CAPITOLO 26 - Galassie


«Bang Dao Mang significa letteralmente: "aiutare al contrario"» spiega Teh, fissando un punto indefinito fra la pagina di quaderno e il bicchiere di limonata. «Quindi, si può tradurre come: "essere d'ostacolo più che d'aiuto", magari un ostacolo involontario, ma pur sempre un ostacolo.»

La mano di Oh che scivola lentamente verso la sua sul piano del tavolo è per l'appunto un bang dao mang: intralcia il buon senso, uccide la lucidità mentale e costituisce in ogni caso una distrazione. E nemmeno si può dire che sia involontario. Serrare le dita e sottrarsi al tocco sembra l'unica mossa saggia.

Col metro della mano di Teh che si ritrae Oh-aew misura in anni-luce la distanza fra i due capi del tavolino. E' irraggiungibile, anche più di ieri.

Oh-aew è giovane, ma ha già capito che la prossimità fra due persone è illusoria e mutevole come la distanza fra due stelle. Le prospettive, la mancanza di punti di riferimento, lo sfondo uniforme delle cose ordinarie e banali alterano la percezione, confondono i sensi, dilatano i tempi e gli spazi. Così va a finire che ci sente vicini un momento e a distanza di una galassia il momento successivo.

E ora Teh è proprio questo: una galassia lontana, fredda, che fugge verso il bordo dell'universo. Il senso di colpa e la frustrazione gli disegnano sul viso un'ampia gamma di espressioni tutte accigliate, con lunghi sguardi dal basso, dominati da una spaventosa ruga verticale in mezzo alla fronte, un solco fatto apposta per seminare delusioni e coltivare giudizi.

Lo sguardo di Oh vaga confuso e sofferente su quei tratti, in cerca di un residuo di tenerezza, un'eco dei versi soffiati nel cielo notturno, un'impronta delle dita trepidanti che frugavano la sua pelle in cerca di risposte facilissime. Non trova nulla: è tutto finito. Così lontano e passato che forse non è mai davvero accaduto. Restano i cocci di un'amicizia che però, forse, si può ancora riparare. E vale la pena provarci.

«Come mai oggi non studiamo a casa tua?» domanda Oh, rigirandosi la penna verde fra le mani.

L'esitazione della risposta è la misura esatta del tempo che Teh impiega a calarsi nella parte. «Casa mia è un tale casino» risponde, imbronciato, cercando di ridurre la portata di quella domanda insidiosa a una pura questione pratica. «Ci sono mamma, Hoon e adesso anche Nozomi-san... non riusciresti mai a concentrarti come si deve.»

E' una delle interpretazioni meno convincenti della sua vita ma Teh non sa fare altro che attenersi al copione.  «Questo posto, invece, è perfetto per studiare» recita, con il dovuto tono didascalico. E' determinato a fermarsi all'involucro esterno delle parole, al loro significato letterale, deprivato della potenza dei sottintesi e dei non detti.

«Teh, ascoltami, volevo dirti...che se non ti va più di alzarti presto la mattina per aiutarmi... o se non vuoi che venga a casa tua... basta che me lo dici... senza problemi.» Nelle lunghe pause fra un mozzicone di frase e l'altro, scorrono fiotti di parole vere.

Perdonami. Ho esagerato. Torniamo indietro. Detta tu le regole.

Teh si ostina a galleggiare sulla superficie di se stesso, perché non ha il coraggio di affrontare le acque torbide che lo chiamano dalla profondità. Abbassa gli occhi, deglutisce. Si ripete che va tutto bene. E' tutto favolosamente, rispettabilmente, confortevolmente normale.

A parte il fatto che Oh continui a insistere: «Io, se tu mi dicessi queste cose, lo capirei, davvero. Ma...» 

«Ma cosa?»

«... ma potresti almeno rispondere ai miei messaggi?» Ha il tono querulo di una lamentela e invece è un'implorazione, una resa, dettata dal terrore di perdersi di nuovo, di scoprirsi di nuovo estranei, di nuovo proiettati su vite divergenti. E passare la vita a rimpiangersi.

«Non hai risposto ai miei messaggi» ribadisce Oh, sempre più prossimo alle lacrime. «Sembra davvero che tu mi stia evitando...»

Vero. Teh ha passato ore a fissare quei messaggi, dibattendosi fra il desiderio bruciante di richiamare, o a voler essere onesti di correre da Oh-aew, e la convinzione di doversi negare, la necessità di marcare le distanze, di evitare... cosa esattamente?

Teh non lo sa più. Ma ha imparato il copione. Scrolla le spalle, simula un fastidio molto realistico, un'arroganza credibile: «Vuoi che risponda ai tuoi messaggi tutti i giorni?»

L'assurdità della risposta colpisce entrambi.

«Non lo hai sempre fatto?»

«Non sempre.» 

Falso. E' una piece sceneggiata molto male, ci sono buchi di trama e il protagonista risulta stupido e incoerente. In un momento di lucidità, mentre si impegna a mostrarsi indifferente, Teh si rende conto che i limiti del personaggio sono i propri, che l'incoerenza è un modesto sipario dietro il quale si svolge tutt'altra commedia.  

«Non sempre. Non tutti i giorni. Ho anch'io una vita» ribadisce.

Una vita privata. Una vita senza di te. Una vita in cui il mio tempo e i miei pensieri non ti appartengono.

Una vita che non esiste. Ma Oh non deve saperlo, e Teh pretende ancora di mentire a  se stesso.

Finalmente, si guardano negli occhi. Ciascuno si specchia nell'amarezza dell'altro e se ne ubriaca. Una sbornia triste. Non è molto diverso dalla sera della recita, tanti anni fa. Allora si gridavano addosso frasi insensate. Adesso non stanno gridando, ma lo strappo sta per riaprirsi proprio nello stesso punto, dove la finta noncuranza di Teh si scontra con la vera indignazione di Oh-aew.

Oh è stanco di essere sempre lui quello che perde. «Una vita, Teh? Alle cinque di mattina? E poi quando ti ho scritto eri online» protesta, incredulo. Non alza la voce, è solo deluso. Intossicato dalla delusione come da un veleno.

Teh abbassa gli occhi e nella sua mente tenta di giustificarsi:  è stato costretto a dire quelle cose, perché Oh non vuole capire quando esagera. Perché non hai il senso della misura e nemmeno quello dell'opportunità.

«Sai che ti dico?» continua Oh, esacerbato. «Non me ne importa niente se non mi vuoi rispondere. Tutto okay. Nessun problema. Ma non comportarti così!»

Oh aspetta per lunghissimi istanti una replica che non arriva. Se ne farebbe andar bene una qualunque: ripensamento, apertura, persino la collera o la negazione sarebbero un segno di interesse. Invece le sue parole di provocazione si disperdono nella nebbia di un silenzio colpevole.

Nel giro di un minuto, Teh si ritrova impotente a fissare il posto vuoto di fronte a sé. Nutre nel suo intimo una disperazione profonda, sempre più lontana dalla sfera cosciente e dal mondo reale, con tutti i suoi comodi alibi. Un mondo dove Oh-aew non prede sul serio lo studio. Dove la loro amicizia è di nuovo appesa a un filo.

E dove Teh è solo.

***

A lezione di cinese, ogni tentativo di dialogo, diplomazia o rappacificazione va a vuoto, disintegrato dall'ostinazione di Oh-aew.

Sono regrediti a due mesi prima, salvo il fatto che ora Teh si sente addosso lo sguardo risentito e accusatorio di Bas, i cui occhi intelligenti seguono Oh continuamente, lo scrutano, indovinano le sue emozioni come a Teh non è mai riuscito di fare. A dire il vero, Bas non ha mai smesso di stare addosso a Oh, in un modo così sfacciato che a Teh ha sempre dato fastidio. Anzi, prima gli dava fastidio, adesso è insopportabile. Anche perché non riesce a tirarlo su di morale neanche un po'.

«Ragazzi, io vado a casa» comunica asciutto Oh-aew al gruppo, mentre camminano verso il ristorante dove hanno programmato di cenare tutti insieme. «Divertitevi e mangiate anche per me» aggiunge, quando vede che gli altri ci sono rimasti male. Non prova neanche a fingere di essere allegro; la sua tristezza, in quei giorni, la respirano tutti.

«Vuoi un passaggio al molo?» si offre dubito Bas.

«No, non importa. Vai con loro, tranquillo.»

«Dai, Oh, aspetta... » tenta di fermarlo Kai, ma è alla sua schiena che parla.

«Che gli prende?» domanda Mod. E' una domanda rivolta a tutti, nella forma, ma è verso Teh che sta guardando.

«Ragazzi, vado a casa anch'io» esclama Teh subito dopo. 

«Ma come? Dovevamo uscire tutti insieme!»

«Aspetta!»

«Ciao! Ci vediamo» saluta Teh, allungando il passo.

«Ma che gli prende a quei due?» chiede Mod, perplesso.

Bas lo sa benissimo che gli prende. Non conosce i dettagli, ma non servono per decifrare la situazione: lo stronzo di Teh sta facendo di nuovo soffrire Oh-aew, probabilmente senza neanche volerlo. Quello che fa impazzire Bas è  il fatto che questo tira-e-molla sarebbe comprensibile, o persino accettabile, se Teh stesse solo giocando, se non gli importasse niente di Oh. Sarebbe una situazione affrontabile, in cui una terza parte avrebbe qualche carta da giocarsi. E invece no. A Teh importa e come. Eppure continua a sbagliare, come se non gli riuscisse proprio di evitare di comportarsi da imbecille, di farsi del male (cosa di cui a Bas non importa un fico secco) e di fare del male a Oh (cosa che invece gli importa moltissimo).

Bas metterebbe volentieri le mani addosso a Teh. Sarebbe una bella soddisfazione aprirgli quella zucca vuota a suon di sberle, per farci entrare qualche buona idea, qualche nozione utile, oltre a tutte quelle migliaia di vocaboli cinesi.

«Non è che escono insieme per davvero? Tipo che hanno una storia?» getta lì Phil, in un'intuizione insolita.

«Tu dici?»

«Ma no, dai.»

«Tu che ne pensi, Bas?»

Bas sospira forte, ma non risponde.

***

Oh-aew cammina per inerzia. I passi trascinano se stessi in avanti, sotto i bagliori festosi delle strade del centro, dove gli alberghi si rincorrono in un tripudio di bandierine colorate. Di tutta quella luce, a lui non arriva nulla. Si sente spento. Ogni respiro gli costa fatica. Ed evita di proposito di pensare, per non farsi trascinare a fondo.

Per lo stesso motivo sta evitando Teh. Cosa potrebbe dirgli? Cosa che non abbia già detto, o sospirato, o pianto? Una sola cosa non gli ha detto a parole: ti amo. Che poi è l'unica che ci sarebbe da dire: la più sbagliata, la più sgradita.

Quando sente i passi di corsa che lo seguono, non ha bisogno di voltarsi e inizia a correre a sua volta.

«Oh!» lo chiama Teh, a gran voce, correndo a perdifiato. Lo insegue, accelera fino a raggiungerlo  e lo blocca per il braccio.

Quando Oh-aew si volta, Teh sperimenta il più assoluto smarrimento, uno scollamento totale fra corpo e mente, fra l'istinto di stringerlo e il proposito di tenerlo a distanza.  Nel frattempo, non può continuare a stare zitto, e anche se sa che il copione sarebbe da bruciare, sono le uniche battute che conosce a memoria.

 «Oh, non hai ripassato? Non hai riguardato niente di quello che abbiamo studiato insieme?»

Oh lo fissa interdetto. «Sì, che ho ripassato. Si può sapere che vuoi da me?»

Teh lo accarezza con lo sguardo,  mentre continua a recitare la parte: «Allora come mai hai preso un voto così basso?»

Oh non riesce a credere alle sue orecchie. E' vero, ha preso un punteggio bassissimo, ma è anche vero che non si è impegnato affatto. Durante il compito, gli scorrevano nella mente spezzoni traditori del film degli ultimi giorni: i versi lanciati nell'oceano, le dita di Teh fra i capelli, il suo respiro bollente sul collo. E poi l'insofferenza , il sorriso ipocrita, le gocce che scivolano lungo il bicchiere di limonata, le mani che continuano a ritrarsi inesorabilmente lungo il piano del tavolo...

«Ti sei di nuovo fatto i fatti miei? Hai sbirciato il mio punteggio?»

Teh non prova a negare. Ma non capisce perché Oh lo ritenga importante. E' importante essere lì, essere vicini. Guardarsi negli occhi è importante. L'esame è importante. 

«Oh, se c'è qualcosa che non capisci, perché non lo chiedi? Voglio solo aiutarti!»

Ci sono io. Ti aiuto io.

Questa volta, però, la formula magica non funziona.

Le labbra di Oh tremano, i suoi occhi si riempiono di lacrime in un istante.

Teh li guarda rapito: non gli sono mai sembrati così belli, così dolci, così tristi.

«Facciamo così» si affanna a dire Teh, il cui unico bisogno, in questo momento, è trattenere Oh-aew, fermare il tempo, riavvicinare quei lembi, sperando che il rammendo tenga. «La prossima volta che andremo a studiare a...»

La frase resta sospesa. Possono leggere uno negli occhi dell'altro le rispettive paure.

«...a casa mia» trova il coraggio di dire Teh, in un sospiro liberatorio. E' esattamente lì che lo vuole, a casa, in tutti i sensi in cui la parola si può declinare. « Vedrai, troverò un modo migliore per insegnarti gli ideogrammi. Un modo più semplice, qualcosa che tu possa ricordare facilmente, anche meglio delle flash card.»

Nel linguaggio del non detto Teh sta urlando.

Ci sono io. Ti aiuto io.

Oh-aew lo sente benissimo, ma sono parole che spargono sale sulle sue ferite. Anche quello sguardo tenero, fiducioso, implorante è uno strumento di tortura. Perché Teh è tutto un'illusione, un orizzonte che si allontana man mano che Oh si sforza di avvicinarsi. Un sogno pronto a sciogliersi nella luce dell'alba.

Teh rifiuta di mollare la presa: «Che ne pensi, Oh? Non è una buona idea?»

«No, Teh. Tu proprio non ce la fai, a capirmi!» lo accusa Oh, con la voce che trema per lo sforzo di trattenere le lacrime. Il problema è sempre lo stesso. Che Oh riesce ad ascoltare in tutto lo spettro del sentire, mentre Teh si aggira sordo e cieco fra macerie di parole e grovigli di emozioni.

«Mi hai ferito» chiarisce Oh-aew. Non ha più paura di dirlo. Soffrire, sentire, aspettare, cadere, rialzarsi lo hanno reso maturo: esibisce a cuore aperto ferite e cicatrici, senza orgoglio, ma senza debolezza.

E' questa sua dignità che spaventa Teh. Quella con cui Oh parla e con cui poi si volta, aggiustandosi il giubbotto e ricominciando a camminare. Lentamente, a testa alta. Come un adulto.

Teh rimane fermo in mezzo alla strada, a guardarlo allontanarsi. Ora è lui che fa fatica a respirare, come se l'ossigeno si disperdesse fra i polmoni e il cuore. A sanguinare per le ferite altrui, non si è ancora abituato.

Neppure ad arrendersi.

***

La notte è un devoto, operoso affaccendarsi intorno all'unica forma di riparazione che Teh conosca: la dedizione cieca e rovinosa.

Prende il suo lessico cinese, un volume costoso e difficile da trovare, e lo riduce a brandelli, ritagliando, con precisione maniacale, frasi e parole. Da giornali, riviste e altri libri, ritaglia immagini, figure, elementi grafici e inizia ad assemblare un frasario, incollando i ritagli su un quaderno rigido.

In ogni pagina, le immagini guidano la mente verso i concetti, illuminano le idee.

Teh conosce la mente di Oh, anche se ignora il suo cuore. Sa come funzionano i suoi meccanismi di pensiero, cosa lo colpisce e cosa lo fa ridere, cosa si deposita nella sua memoria. Sa quali immagini creeranno un'emozione e gli resteranno impresse. Punta a quelle, per legarci a doppio filo il senso e la forma delle parole. 

Personalizzato non è un aggettivo che renda giustizia al quel lavoro  e allo spirito con cui  Teh ci si sta dedicando. E' un'ode tenera e innamorata alla loro amicizia. Un percorso nel pensiero di Oh-aew, un cifrario su chiavi private, che solo loro condividono. Una mappa della mente che passa per il cuore.

Al pomeriggio del giorno dopo, senza neppure un'ora di sonno, Teh sta ancora lavorandoci. Anche se Oh non dà segni di vita, se ignora i suoi post, se sta studiando con gli altri.

«Che stai facendo di così interessante?» lo apostrofa la signora Su, guardandolo dal ballatoio del piano di sopra. «E' da ieri che sei seduto lì. Scommetto che ci hai passato anche la notte.»

«Sto creando un libro illustrato per insegnare il cinese ai miei amici.»

«Certo che ti impegni tanto per i tuoi amici» osserva la signora Su. Ed è quasi un rimprovero. Perché quel lato altruista di Teh, che non conosce misura, l'ha sempre un po' spaventata. E' forse l'unica forma di avventatezza che il figlio abbia mai mostrato. «Perché non pensi anche un po' alle tue cose? Devi andare a Bangkok a confermare l'ammissione la prossima settimana. Hai preparato i documenti? Hai fatto le valigie?»

La voce arriva a Teh dalle scale. Poco dopo la madre lo raggiunge e getta un'occhiata distratta alla carta colorata, alle riviste e ai ritagli che circondano Teh.

«Maddai mamma, devo starci solo un giorno: le valigie basta farle la sera prima. E i documenti sono pronti da un secolo!» protesta Teh.

«Non prendere le tue cose sottogamba!» lo sgrida lei. «A proposito Teh, visto che hai tirato fuori questa roba: quando finisci, la carta colorata, le forbici e la colla lasciamele qui. Voglio fare una cosa.»

«Cosa devi fare, ma'?» I progetti artistici della signora Su raramente arrivano a buon fine senza imprevisti.

«Ho deciso che voglio decorare tutto il ristorante» risponde lei, sorridendo, con un gesto semicircolare della mano aperta, che abbraccia idealmente il locale.

«Perché?»

«Come perché? Per festeggiare: mio figlio sta per diventare uno studente universitario!»

E' il genere di riconoscimento per cui Teh ha passato la vita a struggersi, e in questo momento è molto meno importante che ritagliare con attenzione la sagoma del fiore giallo che andrà sulla copertina del quaderno. Ogni colpo di forbice è una dichiarazione appassionata, ogni buco nel libro del lessico, un tributo d'amore.

La voragine dentro Teh brama ancora approvazione, ma quella di una persona sola.

E per la prima volta, non è sua madre.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top