VIOLA E LAVANDA

Tenuta di Hall Park, fine novembre 1850

Il viale che conduce alla tenuta di Hall è immerso in una quiete solenne. Il vento freddo soffia tra gli alberi secolari, portando con sé il respiro di una terra antica, quasi magica. La luce della luna si riflette sul lago accanto al grande albero che domina il paesaggio, creando un'atmosfera sospesa tra realtà e sogno.

Sono arrivato da poche ore, dopo dieci giorni trascorsi in viaggio da Torino. Pietro è partito per Napoli, rasserenato dalle mie parole e finalmente convinto che attendere non significhi perdere, ma solo trovare il momento giusto. Lavorerà alla Stamperia Reale con il mio lasciapassare. È un giovane dotato di grande intelligenza, e spero che la mia lettera di raccomandazione ai Borbone possa garantirgli un futuro migliore, almeno fino a quando non sarò in grado di farlo raggiungere Londra.

Torino mi sembra ormai lontana, quasi un ricordo sbiadito. Non mi fido di mia madre, una donna che preferirebbe vedermi morto piuttosto che accettare il mio tormento. Anche del Re, nonostante la nostra amicizia, non ho piena fiducia. La sua nomina improvvisa e il suo foulard di seta blu sono segni di affetto, certo, ma anche un modo per tenermi lontano dalla Corte, dai miei dibattiti a Palazzo Carignano, dalla mia scomoda presenza in una società che non vuole cambiare.

Sto varcando l'immenso parco della tenuta di Hall. Lo sguardo si posa sull'imponente quercia che adombra un sentiero accanto al lago, come fosse una memoria antichissima custodita nel mio cuore. Proprio lì ho sfiorato le labbra di Michael, e quell'unico momento di gioia mi sostiene fino a oggi. Il maestoso albero, testimone silenzioso di secoli, mi ricorda l'eternità del desiderio umano di amore e libertà. Ogni foglia, ogni ramo racconta storie di speranze e sogni, proprio come il mio amore per Michael.

Davanti a quel simbolo di eternità, un pensiero mi attraversa: sarà mai possibile vivere un amore così sincero e puro senza essere schiacciati dal peso delle convenzioni? Michael mi aveva donato un libro commentato sul Simposio di Platone. "Eros attraversa i mondi, unendo ciò che è diviso," mi aveva spiegato. "L'amore non è solo un desiderio dell'anima, Alessandro, ma anche del corpo. È una forza che non conosce limiti, capace di colmare ogni distanza." Queste parole mi hanno dato forza in tanti momenti, e ora, qui, mi risuonano dentro come una verità ineluttabile.

La tenuta dei Duchi di Hall, con la sua maestosità e intimità, sembra accogliermi con il calore di una famiglia che non ho mai avuto. Dal viale si sentono le note della musica e il rumore ovattato delle danze. Amalia sarà sicuramente in mezzo al ballo. Mi prometto di incontrarla più tardi; per ora desidero solo il silenzio della mia stanza.

Robert, il cugino che più di tutti ha sempre compreso la mia natura, mi accoglie con affetto dall'ingresso secondario. «Amalia è al ballo nella sala grande,» mi informa con un sorriso. «Ha già più pretendenti di tutte le giovani della stagione invernale, ma ha avuto un leggero malessere prima che iniziassero le danze. Nulla di serio, ma forse la stanchezza del viaggio si sta facendo sentire.»




La porta di servizio si apre con un leggero cigolio, e la figura di Amalia emerge dal buio del corridoio. Il respiro affannato, il volto acceso, i suoi occhi brillano di un'emozione trattenuta. Quando mi vede, si getta tra le mie braccia, stringendomi con una forza che tradisce il suo stato d'animo.

«Ale...» sussurra contro la mia spalla, la voce tesa ma carica di sollievo.

Mi scosto leggermente, posando le mani sulle sue spalle per osservarla meglio. È agitata, ma c'è qualcosa di diverso in lei, un dettaglio che mi colpisce: la sua mano si posa istintivamente sul ventre, quasi a proteggersi.

«Amalia...?»

Lei si affretta a sorridermi, come per spegnere ogni mia preoccupazione.

«Sto bene,» mi rassicura con dolcezza. «Solo stanchezza.» Poi, abbassando appena la voce, aggiunge: «Hai notizie di Pietro?»

Il suo nome mi trafigge come un coltello affilato.

«Non ancora,» ammetto, cercando di rendere la mia voce più ferma di quanto mi senta. «Ma suppongo che arriveranno presto.»

Lei annuisce, abbassando per un attimo lo sguardo. Poi lo rialza con una nuova luce negli occhi, quella scintilla di lucidità crudele che spesso si nasconde dietro la sua dolcezza.

«I balli, i ricevimenti... questa vita non è altro che un teatro, Alessandro,» dice con una smorfia appena accennata. «Eppure, quando sono in mezzo a loro, mi sento parte di qualcosa. Tra i principi e i duchi, tra i veli di seta e le regole non scritte, io so chi sono. E mi chiedo se potrei mai davvero lasciarmi tutto alle spalle.»

«E quindi?» domando, stringendo leggermente la mascella.

Lei si passa le dita tra i capelli, con un gesto studiato, ma il suo sguardo si posa su di me con una sincerità spietata.

«Quella notte sarei fuggita con Pietro,» confessa, lasciando che le parole scivolino fuori quasi con malinconia. «Avevo deciso. La carrozza era pronta, il cuore mi batteva nel petto come un tamburo impazzito... Ma poi tu sei sceso, Alessandro. Sei tornato a calmare Pietro, e in quell'istante ho capito.»

«Capito cosa?»

Amalia inclina il capo, osservandomi come se la risposta fosse ovvia.

«Che non potevo farlo,» dice semplicemente. «Che non sarei mai stata solo una donna del popolo. Sarebbe stato bello, forse, vivere senza vincoli, senza le regole della corte, senza i palazzi e i titoli... Ma quanto sarebbe durata la mia illusione? Pietro è il mio cuore, ma questa società è la mia pelle. Non posso strapparmela di dosso senza farmi sanguinare.»

La sua voce si abbassa in un sussurro.

«E poi, Alessandro, il mondo non è clemente con chi rinuncia al proprio rango. Se fossi fuggita, sarei stata una straniera ovunque. Né nobile, né borghese, né popolana. Solo un'ombra in mezzo a due mondi.»

Rimaniamo in silenzio per un lungo istante. Il peso della sua verità si insinua in me come una lama sottile.

«Ti sorprende questa mia lucidità, Alessandro?» chiede, con un sorriso enigmatico.

Scuoto appena la testa.

«No, Amalia. Ma credo che Pietro ti ami davvero.»

Lei abbassa lo sguardo per un attimo, quasi a nascondere un'emozione che non vuole rivelare.

«Lo so,» ammette, ma la sua voce tradisce una nota di esitazione.

Poi si ricompone, lisciando la seta del vestito con un gesto distratto.

«Ora devo andare,» dice con leggerezza, quasi come se questa conversazione non avesse il peso di una vita intera. «I principi reali mi attendono, e non voglio farli aspettare.»

La osservo mentre si allontana, il passo sicuro, la schiena dritta. La sua vita è un equilibrio instabile tra il cuore e la ragione, eppure cammina con la grazia di chi ha scelto di non cadere.

E, in quel momento, un pensiero mi colpisce con la forza di un pugno.

Amalia non ha mai voluto essere nostra madre. L'ha detestata, sfidata, odiata. Ma, alla fine, quanto di Matilde scorre in lei? Quanto di Matilde scorre in me?

Forse non ci siamo mai ribellati davvero. Forse abbiamo solo trovato un modo più raffinato per accettare le sue lezioni.

La nobiltà non è solo un titolo, è una corazza. Ci ha soffocati, ma ci ha anche protetti.

E senza quella corazza, cosa saremmo?

Robert mi osserva per un istante con uno sguardo indagatore. «Alessandro, so quanti pesi porti che pochi possono comprendere. Io sono qui per te, per qualsiasi cosa. Anche per Michael.»

Il suo nome mi colpisce come una dolce lama. Abbasso lo sguardo, stringendo il ciondolo che porto al collo, e un ricordo improvviso mi travolge. Lo vedo: Michael, sorridente sotto quell'enorme quercia qui, a Hall Park. La sua risata leggera, i capelli biondi mossi dal vento e le nostre mani intrecciate, quasi a mezz'aria, come se il mondo potesse sparire attorno a noi.

Robert interrompe il mio silenzio, posando una lettera sul tavolo accanto. «Michael l'ha lasciata per te prima di partire per il nord. Sapeva che saresti arrivato.»

Prendo la lettera con mani tremanti, e mentre la apro, sento il battito del cuore accelerare. Leggo ad alta voce, le parole s'incatenano al petto, come se ogni frase fosse un respiro vitale.

**"Mio adorato Alessandro,

Finalmente potrò abbracciarti ancora, se Dio vorrà, e tenerti stretto fra le mie braccia. Mio padre ha saputo che ti amo e mi ha allontanato. Sarà mio fratello minore a occuparsi dei suoi affari; io sono stato estromesso dalla famiglia e da tutti i miei diritti ereditari. Ma non mi interessano né i suoi soldi né la sua approvazione. L'idea che ho te mi fa sparire ogni dolore.

Ti scrivo da un luogo che mi ha sempre dato conforto: la Cornovaglia. Qui, tra i suoi paesaggi selvaggi e il mare che sembra infinito, ho trovato momenti di pace anche nei periodi più difficili. È un posto che mi ha sempre fatto sognare una vita diversa, lontano da tutto ciò che ci opprime. Qui penso che potremmo essere finalmente liberi, liberi di essere noi stessi senza paura. Non riesco a immaginare un luogo più perfetto per noi due: così lontano dal mondo reale, così vicino all'essenza di ciò che siamo.

Tu sei il mio rifugio, la mia forza. Ti amo con tutta l'anima, Alessandro. Sei il mio respiro, il mio bellissimo turbamento quotidiano . E sarò tuo per sempre, in questa vita e oltre.

Tuo per sempre,

Mic"***

Stringo la lettera al petto, cercando di trattenere le lacrime. Il ciondolo sul mio collo si illumina leggermente, quasi rispondendo alla mia emozione. È come se Michael fosse qui con me, la sua presenza tangibile nonostante la distanza.

Robert, sempre discreto, si avvicina. «La Cornovaglia è davvero un luogo speciale. L'ho visitata con Michael una volta, e capisco perché desidera portarvi lì. È un posto che ti piacerebbe, Alessandro. Lontano da tutto, così vicino al cielo e al mare.»

Poi si allontana, lasciandomi solo con il suono del vento che scivola attraverso le finestre socchiuse. Le sue parole riecheggiano nella mia mente. La Cornovaglia è davvero un luogo speciale... Lontano da tutto, così vicino al cielo e al mare.

Chiudo gli occhi per un istante e all'improvviso lo sento. La voce di Michael, lieve e profonda, che alcuni  anni fa mi raccontava di quella terra con lo sguardo acceso da una luce che avevo visto solo quando parlava di noi.

"Tu ameresti la Cornovaglia, Ale. È un mondo a parte, un luogo che sembra esistere al di fuori del tempo. Le scogliere si gettano nell'oceano con una fierezza che sfida il vento e le onde. Lì il mare non è solo un orizzonte: è un respiro, una presenza costante che si insinua nelle case, nelle strade, nelle vite di chi ci abita. Ti avvolge, ti accompagna, ti ricorda ogni giorno che sei piccolo di fronte all'infinito."

Lo rivedo davanti a me, seduto accanto al fuoco nella nostra stanza in Inghilterra. Il suo viso illuminato dalla fiamma tremolante, la voce bassa, come se stesse condividendo un segreto che apparteneva solo a noi.

"E poi ci sono le brughiere," aveva proseguito, stringendo la tazza di tè tra le mani. "Miglia di campi selvaggi, dove il vento canta e l'erba danza sotto la luce del sole. Ti sembrerebbe di essere solo al mondo, ma non in modo triste. È una solitudine che ti guarisce, che ti lascia respirare."

Avevo sorriso, sorpreso dalla poesia con cui parlava di quella terra.

"E la nostra casa?" avevo scherzato, come se fosse stato solo un gioco.

Michael mi aveva guardato, e nei suoi occhi c'era una promessa.

"Bianca, piccola, con finestre azzurre che si affacciano sul mare. Il tetto di ardesia grigia, il profumo della lavanda tutt'intorno. E un giardino, piccolo, con una panchina di legno dove sederti a leggere mentre io dipingo. E la sera... la sera usciremmo insieme, a piedi nudi sull'erba umida, guardando il sole tuffarsi nell'oceano."

Un brivido mi percorre. Aveva sempre saputo dove voleva stare. Aveva sempre saputo dove voleva portarmi.

Apro gli occhi e il presente mi assale con la sua freddezza. Sono a Hall Park. Il tempo è andato avanti, come un fiume che non si può fermare. Eppure, quelle parole, quel sogno, esistono ancora.

Guardo fuori dalla finestra. Il cielo plumbeo, il vento accarezza gli alberi del parco. Il mio cuore batte più forte.

"Michael, mio amore... un giorno ci arriveremo davvero."

Un sorriso amaro si forma sulle mie labbra. «I nostri nomi ci chiameranno sempre,» mormoro, quasi senza rendermene conto.

La luce del ciondolo si intensifica per un istante, e sento un calore che sembra avvolgermi completamente. Non è solo un ricordo o una speranza: è la promessa che un giorno, forse, potremo vivere quel sogno che tanto desideriamo.

Mi lascio cadere sul letto, esausto, il corpo pesante come se un'intera giornata di fatica avesse svuotato ogni mia energia. Il ciondolo si appoggia sul mio petto, la sua superficie fredda contro la pelle. Chiudo gli occhi, ma una luce improvvisa, quasi abbagliante, mi costringe a riaprirli.

È il ciondolo, che sembra pulsare come una stella viva, e la stanza intorno a me si riempie di una strana foschia.

Un aroma mi avvolge, prima leggero, poi sempre più intenso. È viola... lavanda... profumi familiari, antichi, che mi riportano a mia madre quando ero bambino, alle sue mani che accarezzavano di nascosto i miei capelli, al tessuto dei suoi abiti. Inspiro profondamente, ma l'aria stessa sembra vibrare attorno a me.

Il battito del mio cuore accelera. Qualcosa pulsa, un battito che non è il mio.

Il tempo si sfilaccia.

Il mio respiro diventa più lento, quasi ovattato. Sento un calore strano premere contro il petto, espandersi sotto la pelle.

"Mic..." mormoro, sentendo il suo nome fluire dalle labbra come un sospiro.

La luce cresce, diventa accecante. Tutto si sfalda, si dissolve, si scompone in frammenti di bianco.

Poi il vuoto.

Per un momento, mi sembra di galleggiare in un mare senza confini, e, in quell'istante, credo di essermi addormentato.

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