LORD PHYSICIAN
Cammino a passo sicuro lungo i corridoi dell'Accademia Reale di Londra, sentendo il peso di ogni sguardo che mi scruta. Il palazzo ha un'architettura solenne, con alti soffitti decorati e colonne marmoree che sembrano osservare con giudizio chiunque vi metta piede. L'odore di carta antica e inchiostro fresco permea l'aria, mescolandosi al sentore più acre dei prodotti chimici del laboratorio medico. Mi chiedo per un attimo perché mi trovi qui, ma conosco bene la risposta: mesi di osservazione da parte della commissione medica hanno portato a questo esame, l'ultima prova per il riconoscimento ufficiale.
Michael mi segue, silenzioso ma vigile, pronto a intervenire se dovessi avere bisogno di lui. La sua presenza mi infonde una calma che non avrei altrimenti. Mi stringe brevemente il polso prima di lasciarmi entrare nella grande sala dell'esame.
Davanti a me, una commissione di medici e studiosi, uomini di scienza che non vedono di buon occhio le innovazioni. Non mi chiamano dottore, non ancora. Solo "signor Crueppet". Un titolo neutrale, un confine sottilissimo tra accettazione e rifiuto.
Uno di loro, un uomo dalla barba curata e dallo sguardo inquisitore, prende la parola con tono severo. "Signor Crueppet, la chirurgia è un'arte tanto quanto una scienza. Quali sono le vostre tecniche principali per il trattamento di una grave ferita da arma da taglio?"
Mi concedo un respiro, valutando ogni parola prima di rispondere. "Dipende dalla localizzazione e dalla profondità della ferita. La prima azione necessaria è il controllo dell'emorragia mediante compressione diretta o, se necessario, l'applicazione di un laccio emostatico provvisorio. Pulirei la ferita con una soluzione di acido fenico o, se disponibile, una miscela di acqua e alcol. Dopo aver ispezionato il danno ai tessuti, deciderei se è il caso di suturare immediatamente o lasciare la ferita aperta per drenare eventuali infezioni."
Un altro medico della commissione interviene, visibilmente scettico. "Dunque siete favorevole a una pratica più conservativa? Ma il salasso? Se l'infezione si diffonde nel sangue, non ritenete che ridurre la quantità di sangue possa prevenire complicazioni?"
Mantengo la calma, consapevole di toccare un argomento ancora molto controverso. "Il salasso è stato per secoli una pratica diffusa, ma abbiamo osservato che, in molti casi, indebolisce ulteriormente il paziente piuttosto che aiutarlo. L'infezione non viene espulsa sottraendo sangue, ma contrastata rafforzando il corpo con una cura appropriata. L'uso di sostanze come il chinino per la febbre o l'oppio per lenire il dolore è di gran lunga più efficace che indebolire il malato."
Alcuni membri della commissione annuiscono, mentre un altro, con aria di sfida, pone una nuova domanda. "E per il trattamento del dolore? Senza un'adeguata anestesia, le operazioni restano traumatiche. Quali metodi impiegate per ridurre la sofferenza del paziente?"
"Siamo fortunati a vivere in un'epoca in cui il progresso medico sta cambiando rapidamente. L'etere e il cloroformio sono tra le sostanze più efficaci per indurre uno stato di incoscienza prima di un'operazione. Tuttavia, l'uso deve essere dosato con estrema attenzione, poiché una quantità eccessiva può risultare fatale. Nelle procedure meno invasive, una combinazione di oppio e tintura di laudano può offrire un certo sollievo."
"E la sifilide?" chiede un uomo più anziano, con voce grave. "È un flagello. Quale approccio proponete per il trattamento?"
Annuisco lentamente, consapevole della delicatezza della questione. "Attualmente, il trattamento più efficace è l'uso di composti a base di mercurio, sebbene gli effetti collaterali possano essere devastanti. Ho sperimentato anche l'applicazione controllata di ioduri, con qualche risultato promettente. Tuttavia, è fondamentale isolare il paziente e trattare ogni stadio della malattia con grande attenzione."
Uno dei membri della commissione fa un cenno con la testa, annotando rapidamente delle osservazioni su un foglio di pergamena.
Infine, il presidente della commissione si sporge leggermente in avanti. "Un ultimo caso, signor Crueppet. Una donna in travaglio, il bambino non completamente girato. La vita della madre e del bambino sono entrambe a rischio. Cosa fate?"
Incrocio per un attimo lo sguardo con Michael, che mi fa un impercettibile cenno di incoraggiamento. Poi, mi volto di nuovo verso la commissione. "Dipende dalla posizione esatta del bambino. Se si trova in posizione podalica completa, un intervento manuale per ruotarlo delicatamente potrebbe essere sufficiente. Se il travaglio è già avanzato e la rotazione non è possibile, si deve procedere con un parto strumentale utilizzando le pinze ostetriche, con estrema cautela. Se entrambe le opzioni falliscono... allora è necessaria una decisione drastica, con un taglio cesareo, per salvare almeno la madre."
Il presidente annuisce con aria soddisfatta. "Molti uomini di scienza riterrebbero un cesareo un rischio troppo grande. Ma voi avete risposto con fermezza e precisione. Una qualità rara."
Dopo un lungo silenzio, il presidente della commissione si alza in piedi. "Signori, penso che abbiamo tratto le nostre conclusioni. Alessandro Crueppet, per le vostre conoscenze, la vostra abilità e il coraggio dimostrato nell'applicare nuove pratiche mediche, la Royal College of Physicians di Londra vi riconosce il titolo di Physician."
Trattengo il respiro per un istante. Poi, annuisco, consapevole di aver finalmente ottenuto il riconoscimento che speravo. Mentre lascio la sala, noto Robert che mi attende con la consueta compostezza, le mani intrecciate dietro la schiena, lo sguardo attento e indecifrabile.
Mi fermo davanti a lui, esito per un istante, poi estraggo dalla tasca l'anello di famiglia e glielo porgo.
«Consegna questo alla Contessa Madre con il mio addio. Diglielo tu, se vuole sentirselo dire da qualcuno che conta.»
Robert abbassa lo sguardo sull'anello, lo osserva per un lungo istante senza affrettarsi a prenderlo. Poi solleva gli occhi su di me, una luce ambigua che sfiora l'ombra di un sorriso.
«Scappare non allontanerà nulla, Alessandro. Se pensi che lasciando tutto alle spalle potrai dimenticare, sbagli.»
Lo fisso, sento il peso delle sue parole. Lo conosco troppo bene per non capire il sottotesto, per non riconoscere nel suo tono una nota amara, un'eco di qualcosa che ci accomuna e che entrambi siamo stati costretti a soffocare.
«E tu?» ribatto, con un filo di malinconica ironia. «Quanto hai dimenticato restando qui?»
Il suo sorriso si spegne, e per la prima volta lo vedo incerto, come se la sua impeccabile compostezza fosse una fragile illusione.
«Abbastanza per sopravvivere.»
Annuisco, un lieve cenno, e senza più esitare prendo la sua mano e vi poso l'anello. Lo stringo un istante tra le sue dita, in un contatto che non è solo un addio, ma una muta comprensione.
«Avresti potuto innamorarti un giorno di qualcuno di speciale,» mormoro, il tono più dolce ora, quasi un rimpianto. «Tempo fa ho notato la tua complicità con il tuo aiutante...»
Robert irrigidisce la mascella per un istante, lo sguardo si vela di un lampo fugace, una frattura impercettibile nel suo impenetrabile controllo.
«Ma fai la scelta che possa renderti felice,» concludo, lasciando che le parole rimangano sospese tra noi, come un'opportunità che non può più essere colta.
Lui lascia andare un respiro appena percettibile, poi, con un movimento misurato, chiude la mano attorno all'anello e si volta, allontanandosi senza voltarsi indietro.
Lo osservo mentre si confonde tra le ombre della sala, e per un momento, in quell'addio silenzioso, so che ha capito quanto io ho sempre capito di lui.
Mentre cammino verso l'hotel, una carrozza si ferma accanto a me. Una voce dall'interno mi chiama. "Dottor Crueppet."
Mi volto. Un uomo ben vestito, con il portamento austero di chi è abituato a trattare con la nobiltà, mi guarda con attenzione. Accanto a lui, il presidente della commissione medica.
"Vi prego, salite," dice l'uomo, con un sorriso misurato. "Sua Maestà ha sentito parlare delle vostre capacità. È giunto il momento che la medicina serva anche i più alti ranghi."
Michael mi sorride e si allontana.
L'aria di Londra è densa di nebbia e di attesa quando varco le porte di Buckingham Palace. I tappeti rossi soffocano ogni suono dei miei passi, mentre le alte pareti dorate riflettono la luce delle candele. Un ufficiale in livrea mi scorta lungo un corridoio silenzioso fino a una sala privata, arredata con sobrietà regale.
**Udienza con la Regina Vittoria
Al centro, seduta con il portamento fermo di chi governa un impero, c'è lei: la Regina Vittoria. Il peso della corona non la schiaccia; al contrario, sembra scolpito nella sua stessa essenza. I suoi occhi, attenti e calcolatori, mi scrutano mentre mi avvicino e mi inchino con deferenza.
"Dunque, Lord Physician... il vostro nome appare spesso nei nostri resoconti." La sua voce è misurata, il tono appena velato di curiosità. "Vi siete stabilito nella nostra Cornovaglia e il vostro operato ha suscitato ammirazione anche a corte. Non abbiamo forse guadagnato un suddito illustre?"
Sollevo lo sguardo, mantenendo la compostezza. "Maestà, il mio cuore e il mio servizio appartengono a chi ha bisogno di cure, senza confini di nazioni."
La regina inclina appena il capo, un sorriso sfuggente le increspa le labbra. "Un'affermazione nobile e, direi, ben ponderata. Non siete un calcolatore come la contessa vostra madre, ma di certo sapete come destreggiarvi."
Un colpo ben assestato.
Non rispondo, lasciando che il silenzio parli per me.
La regina non ha bisogno di ulteriori conferme e prosegue, spostando la pedina successiva sulla scacchiera:
"E ci dicono che il vostro... caro amico... sia un disegnatore di talento. L'arte, dopotutto, è uno dei modi più elevati per onorare la bellezza della vita."
Michael. La sua voce si muove con la precisione di un bisturi. Il modo in cui lo menziona non è casuale. È un'affermazione travestita da domanda, un segreto sussurrato senza necessità di conferma.
Poi, con un accenno di sorriso più incisivo: "Un talento raffinato... degno del nostro sangue."
Il nostro sangue.
L'aria nella stanza si fa più sottile, densa di qualcosa che non si può dire ad alta voce, ma che è già stato detto.
Lei sa. Sa di chi è figlio Michael.
Sa tutto.
Eppure, la sua voce rimane leggera, un filo di seta che cela una lama d'acciaio. "Non ci sarebbe forse utile a corte?" Il suo sguardo è privo di ingenuità. "Dopotutto, ciò che scorre nelle sue vene è destinato a un certo prestigio."
La sua pausa è calibrata con maestria. "Ma supponiamo che sia più opportuno lasciarlo a voi."
Un colpo preciso, impeccabile. Non lo ha detto esplicitamente, ma lo ha detto. Michael è sangue reale, e lei ha deciso di chiudere un occhio.
Non rispondo. Non serve.
La regina prosegue senza il minimo turbamento. "Suo cugino, il Re di Sardegna, deve rammaricarsi di aver perso un uomo del vostro calibro." Una frase studiata, un promemoria sottile. Lei è in contatto con lui. Non chiede, non suggerisce: dichiara.
Poi, con una calma assoluta, aggiunge:
"Il vostro titolo di Conte è legalmente valido anche nel nostro Regno e in tutto il nostro Impero. Così come lo è nelle nostre rappresentanze all'estero."
Una dichiarazione che non lascia spazio a dubbi.
La mia famiglia avrà tramato, la Consulta Araldica avrà discusso, ma alla fine, la Corona ha deciso.
Mi osserva con quella calma implacabile che solo i sovrani sanno usare come un'arma. "Abbiamo sempre riconosciuto i meriti della vostra stirpe e il vostro titolo non fa eccezione."
Poi, con lo stesso tono sicuro, continua:
"Ma l'Inghilterra sa riconoscere il valore. È quindi con grande stima che desideriamo conferirvi l'Ordine della Giarrettiera, per il bene che avete fatto ai nostri villaggi e al nostro popolo."
Un ufficiale di corte avanza, posando davanti a me una piccola scatola con il sigillo reale. La osservo, senza toccarla ancora. È un'onorificenza che pochi ricevono. È un riconoscimento che suggella il mio nuovo posto in questo regno.
"Il valore e il merito sono sempre premiati, Lord Physician." Le parole della regina sono lente, ponderate. "E qui in Inghilterra, il contegno e il rispetto delle consuetudini sono la chiave per una vita lunga e prospera."
Capisco il sottinteso. Lei sa. Ha sempre saputo. Ma l'Inghilterra è terra di pragmatismo, non di scandali.
Poi, con un leggero cenno del capo, aggiunge con la sua solita acuta precisione:
"Vi chiamano in molti modi, Lord Physician. Ma vedete, i titoli sono solo parole. Alcuni si ereditano, altri si guadagnano. Noi premiamo chi sa servirsi di entrambi."
Un'onorificenza, non un titolo nobiliare. Eppure, chiamandomi "Lord Physician", la sovrana mi ha dato un'identità. Un riconoscimento che va oltre la nobiltà di sangue.
Un secondo ufficiale si avvicina con un'altra scatola. La regina lo guarda con un'espressione più intensa.
"Siamo soliti premiare chi eccelle nelle arti oltre che nella scienza. Ma sappiamo ogni cosa, Lord Physician, e crediamo che i vostri talenti insieme toglieranno un po' di sofferenza in questa terra. Per questo, desideriamo conferire anche al signor Michael lo stesso riconoscimento. Non solo per le sue abilità artistiche, ma perché, come voi, ha salvato decine di vite. L'Inghilterra apprezza il talento in tutte le sue forme, soprattutto quando è posto al servizio del bene comune."
Un breve silenzio avvolge la stanza. La regina non attende una risposta. Sa già di avere ragione.
Poi, con uno sguardo che sa di sfida, di certezza e di ironia affilata come un rasoio, aggiunge:
"Voi, Conte, ora Lord per noi... servirete meglio qui che da Duca, non trovate?"
Un colpo mortale.
Non un'accusa. Un dato di fatto.
Non il Duca di Hall.
Non l'erede di un altro trono.
Ma un uomo che ha trovato il suo posto altrove.
Le sue parole mi accompagnano mentre lascio la sala, il passo misurato, il cuore più leggero.
Fuori, Londra si stende davanti a me, brulicante di vita, di voci, di possibilità.
Stringo le piccole scatole tra le mani, sentendo il peso del riconoscimento.
Lord Physician.
Non un titolo di nobiltà, ma un nome che ho guadagnato con le mie mani, con il mio sapere, con il mio lavoro.
E mentre la nebbia avvolge le strade, so che questo è il segno più tangibile che il passato non mi possiede più.
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