E' NUOVAMENTE LEI

Il vento del mattino scivola leggero sulla spiaggia, facendo danzare granelli di sabbia sotto i primi raggi di luce. Ogni riflesso sembra raccontare un segreto custodito dal mare. La luce dorata danza sull'acqua, mentre il mare si infrange con un ritmo lento e costante, quasi a voler raccontare le mie storie dimenticate. Siedo su una roccia piatta, il mio diario aperto sulle ginocchia e la pennino sospeso, indeciso. Non scrivo, non ancora. Osservo il mare e respiro a fondo, cercando di afferrare l'essenza di questo luogo che mi ha regalato una serenità che credevo perduta.

Alle mie spalle, sento il fruscio della sabbia sotto passi leggeri ma sicuri. Mi volto e vedo mia madre, la contessa Matilde, in piedi poco distante. Ha un'espressione enigmatica, come se fosse immersa in pensieri profondi che non condivide facilmente. È immobile, lo sguardo fisso verso l'orizzonte, come se potesse leggere qualcosa nel movimento delle onde. Ha un'aria distante, ma non fredda. La sua figura, con il mantello che si muove leggermente al vento, sembra quasi scolpita in quel paesaggio selvaggio.

«Non è tanto la bellezza di questo luogo che mi interessa,» dice, con il tono di chi valuta un investimento. «Quanto il modo in cui il tempo sembra sospeso. Ma il tempo, Alessandro, è un lusso che nessuno può permettersi. Ricordalo.»

Non è una frase poetica; c'è una fredda verità nelle sue parole. Lei osserva sempre tutto con lo sguardo di chi cerca il vantaggio, di chi non può permettersi di fermarsi mai.

Mi avvicino al piccolo cavalletto che Michael ha posizionato poco distante, dove sta dipingendo con attenzione il paesaggio davanti a noi. Le sue pennellate sono precise, ma cariche di una sensibilità che mi commuove. Lui si volta verso di me con un sorriso, un gesto che sembra dissolvere l'aria pesante lasciata da mia madre.

«Non potrei mai dipingere qualcosa di più bello di te,» dice, scherzando ma con una sincerità disarmante. La sua mano si allunga per sfiorare la mia.

«Michael, non smetterai mai di esagerare,» rispondo con un sorriso. Mi siedo accanto a lui, lasciando che il suono delle onde riempia il silenzio tra noi. «Ma è bello vedere il mondo attraverso i tuoi occhi. È come se lo rendessi più semplice, più... giusto.»

Michael si ferma, il pennello sospeso a mezz'aria. I suoi occhi incontrano i miei, e per un istante sembra che voglia dirmi qualcosa che non ha bisogno di parole. «Tu sei la mia ispirazione,» sussurra infine, con una sincerità che mi disarma. «Tutto ciò che dipingo, tutto ciò che creo... sei tu.»

Il momento viene interrotto dal passo deciso di mia madre, che si avvicina senza curarsi di disturbare. Si ferma accanto al cavalletto, osservando il dipinto con uno sguardo critico.

«Michael ha talento, devo ammetterlo. Anche se trovo curioso che dipinga sempre ciò che vede. Un artista dovrebbe osare di più.»

Michael alza un sopracciglio, un sorriso appena accennato sul volto. «Forse un giorno oserò dipingere lei, madame. Sarebbe una sfida degna delle mie capacità.»

Mia madre sorride, ma il suo è un sorriso privo di calore. «Forse. Ma assicurati di catturare la realtà, non la tua versione idealizzata di essa.»

Più tardi, nella sala, pranziamo tutti insieme. La tensione è palpabile, anche se nessuno osa rompere il silenzio finché mia madre non decide di parlare. Si rivolge a Robert con un sorriso che ho imparato a temere: freddo, calcolatore, letale.

«Sapete, figli miei,» esordisce, puntando il coltello sul bordo del piatto come per sottolineare la sua superiorità, «le sommosse in Francia stanno portando Napoleone al trono come imperatore. Napoleone III, ora lo chiamano. Era inevitabile. Il Marchesato di Orange? Un mio capolavoro di calcolo. Non si trattava solo di strategia, ma di visione. Così si plasmano i destini, con intelligenza e precisione.»

Robert diventa paonazzo, cercando di non incontrare lo sguardo della zia. Pietro, accanto ad Amalia, si irrigidisce leggermente, ma non dice nulla. Amalia invece guarda mia madre con un misto di ammirazione e disagio, forse intuendo quanto lontano sia disposta a spingersi.

«E Londra?Ho saputo dalla tua cameriera che sei in procinto di partire, con la scusa dell'Esposizione Internazionale?» domando infine, cercando di spezzare il silenzio. «L'Esposizione Internazionale finirà a ottobre. Cosa speri di ottenere in così poco tempo?»

Mia madre mi fissa con occhi taglienti. «Oh, Alessandro, non essere ingenuo. Non è solo l'Esposizione. È ciò che accade intorno ad essa. Londra è il fulcro del potere europeo in questo momento. E tu sai bene che certi legami, come quello con Anna, devono essere coltivati. Amalia, Pietro e il bambino resteranno con Belladonna in Cornovaglia. Il viaggio fino a Torino è lungo e inutile per loro in questo momento.»

Si ferma per un istante, guardando Robert con occhi studiati. «Quanto a tua madre, Robert, è tempo che si trasferisca in una delle nostre case vedovili. Sarà meglio per lei e per tutti noi. Non preoccuparti, avrò cura che venga trattata con rispetto. Ma... i suoi contratti matrimoniali sono da rivedere. Troppa generosità, troppo poco controllo. Una posizione così delicata richiede mani ferme.»

Robert stringe il tovagliolo con forza, ma non dice nulla. Pietro si sporge leggermente, e mia madre coglie l'occasione per aggiungere, con un sorriso tagliente: «Pietro, ora sei un ottimo conte. Ma, se le cose fossero andate diversamente, Robert sarebbe stato un legame eccellente tra le nostre famiglie. Non credete anche voi?»

Mi appoggio allo schienale della sedia, incrociando le braccia. «E chi si occuperà delle tue trame da qui?»

Mia madre sorride, glaciale. «Il giovane duca di Savoia farà le mie veci in mia assenza. È un ragazzo brillante, non credi? E, naturalmente, la cugina marchesa si interesserà della giovane contessa Virginia. Non c'è nulla di cui preoccuparsi, mio caro. O preferiresti prendertene cura tu stesso?»

La sua stoccata mi colpisce come una frustata. Non rispondo, ma il mio silenzio le basta. Si alza lentamente, posando il tovagliolo con una lentezza studiata.

«E questo angolo poetico comincia a stancarmi,» aggiunge, guardando fuori dalla finestra. «Troppa umidità. Credo che il Ducato di Hall, per un po', sarà più confortevole.»

Michael mi lancia uno sguardo interrogativo mentre mia madre esce dalla sala, la schiena dritta e il passo sicuro. Il silenzio che lascia dietro di sé è più rumoroso di qualsiasi parola.

«Non capisco,» dice Michael dopo un momento. «Perché vuole Belladonna in Cornovaglia? Qual è il suo piano?»

Sospiro, appoggiando il mento alla mano. «Con mia madre c'è sempre un piano, Michael,» rispondo, lasciando che un velo di stanchezza traspaia nella mia voce. «Ogni mossa è calcolata, ogni parola è scelta per ottenere qualcosa. Fidati, è meglio non cercare di capire. Alla fine, lei trova sempre il modo di ottenere ciò che vuole, a qualsiasi costo.»

Michael si avvicina, il suo tocco leggero sulla mia mano. «E tu? Hai un piano, Alessandro? Oppure vivrai nell'ombra dei suoi giochi per sempre?»

Il suo sguardo è serio, e per un istante non so cosa rispondere. Ma dentro di me so che il tempo di osservare sta per finire. È ora di agire.

Il Duca di Savoia, mio fratello, ascolta in silenzio la conversazione tra nostra madre e gli altri, senza mai interrompere. È sempre stato così: osserva, valuta, attende il momento giusto per agire. Quando finalmente parla con me, le sue parole sono cariche di una calma determinazione che conosco bene.

«Tornerò a Torino,» dice con fermezza. «Nostra madre si aspetta che io mi occupi dei suoi affari in sua assenza, ma non saranno solo i suoi. Mi prenderò cura anche degli interessi di Amalia e Pietro. E, soprattutto, Alessandro, farò tutto ciò che è in mio potere per aiutare te e Michael. Lo sai, vero?»

Il suo sguardo è diretto, quasi a voler eliminare ogni dubbio dalla mia mente. Annuisco lentamente, sentendo una gratitudine che non riesco a esprimere a parole.

«Voglio che restiate qui, in Cornovaglia. Questo luogo vi offre la protezione e la libertà che Torino o Vienna o Londra non possono garantirvi. Belladonna saprà come aiutarvi. Lo strano e enigmatico compito che le è stato affidato è proteggere me e te e, di conseguenza, chiunque ci sia vicino.»

La sua voce si abbassa leggermente, come se volesse confidarmi un pensiero che ha custodito per troppo tempo. «Per il momento sono costretto a firmare gli accordi matrimoniali con la principessa di York. Non ho scelta: sono in linea dinastica e devo fare il mio dovere. Ma per te, fratello mio, farò tanto. Farò tutto ciò che è nelle mie possibilità.»

Mi rassicura con una stretta al braccio, un gesto semplice ma pieno di significato. «Tornerò a Torino, non per servire ciecamente i piani di nostra madre, ma per garantire che il tuo futuro e quello di Michael non vengano compromessi. E, se necessario, userò ogni risorsa a mia disposizione per proteggervi.»

La sua determinazione è contagiosa, e per un attimo mi sento meno solo in questa lotta contro un mondo che sembra sempre volermi costringere in un ruolo che non ho scelto. Mentre lo guardo prepararsi a lasciare la Cornovaglia, so che posso contare su di lui, non solo come fratello, ma come alleato in una battaglia che va oltre i confini della nostra famiglia.



Poco dopo, nel silenzio della notte ...

Quando ho appreso che il re aveva deciso di sollevarmi dai miei impegni a Torino, non potevo fare a meno di avvertire una strana mescolanza di sollievo e inquietudine. Per anni avevo portato il peso di quegli incarichi, spesso senza chiedere nulla in cambio, e ora che mi era stata concessa una libertà inaspettata, il gesto mi appariva tanto magnanimo quanto ambiguo.

La contessa Matilde, naturalmente, non perde tempo nel commentare la situazione con il suo solito sarcasmo affilato. «Ah, liberato dagli impegni, ma il collare dell'Ordine Supremo della Santissima Annunziata ve lo siete tenuti ben stretto, e Michael vive qui con il titolo di Conte di Torino e forse anche con i denari del Granduca. Come se fosse il simbolo di una lealtà intoccabile,» aveva detto, con quel sorriso che non lasciava mai intendere se stesse approvando o disprezzando la decisione.

Le sue parole, per quanto sprezzanti, portano con sé una verità che non posso ignorare. Per lei, quel gesto non era altro che un calcolo ben studiato. Il re, con la sua decisione, sembrava quasi concedermi il permesso di vivere una vita mia, lontano dalle rigide imposizioni di Torino. Ma la contessa vede in tutto ciò un sottile equilibrio di potere. «E pensano che Sua Maestà non si rivolgerà a me? Quando tutto si farà più complicato, chi pensano che saprà rimettere ordine nei loro pasticci?»

La sua sicurezza è al tempo stesso affascinante e irritante. Mia madre, sempre pronta a leggere oltre le apparenze, sembra convinta che nulla possa essere davvero lasciato al caso. Forse ha ragione. Forse questa nuova libertà che mi è stata concessa non è altro che una tregua temporanea, una parentesi prima di essere richiamato a corte per nuove e più complesse responsabilità.

Eppure, non posso fare a meno di aggrapparmi a quell'opportunità, per quanto effimera possa essere. Lasciarmi vivere la mia vita, anche solo per un po', è un dono che non avrei dato per scontato. Se avessi davvero il controllo di quel tempo, lo avrei usato già allora, per costruire qualcosa di mio, lontano dagli intrighi e dalle aspettative che avevano sempre segnato la mia esistenza.

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