Chapter 39.
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Levy continuava a ruotare su se stessa nel bel mezzo dell'ufficio. C'erano scartoffie ovunque, per lo più documenti riguardanti il caso Fairy Tail. Il capo, Makarov, le aveva ordinato di rimettere in riga ogni singolo fascicolo in modo da poter finalmente chiudere il caso che aveva coinvolto la gang.
Erano stati giorni terribili in centrale, accompagnati da lunghe proteste da parte di quei colleghi un po' più anziani che continuavano a sostenere che il loro lavoro era stato gettato nel pattume. Levy aveva dovuto rassicurare tutti quanti, facendo vedere loro i vecchi rapporti stilati, quanta importanza ci stessero dando e quanti di quei fascicoli stessero prendendo in considerazione. Era stato difficile accontentare tutti, prestare attenzione anche alla più piccola richiesta e sperare che questi smettessero di tormentarla con nuove pratiche da compilare. Levy aveva ricevuto il fedele aiuto di Lluvia, ma non aveva potuto chiederle molto: l'archivista si stava ancora occupando del caso di Gray con molta dedizione, assicurandosi che il ragazzo potesse avere un futuro sereno.
C'erano molti casi a cui Deliora era stato collegato e, fortunatamente, Gerard aveva preso il controllo degli interrogatori, stabilendo all'incirca che almeno una dozzina potevano essere ricollegati alle gesta del serial killer. Ancora non avevano certezze di poter stabilire lo stesso risultato per il caso di Gray, ma ci stavano tutti sperando.
Lluvia stava facendo del proprio meglio e ogni tanto le veniva concesso qualche aiuto dalla sua vecchia squadra, la omicidi. Levy aveva visto spesso la turchina scendere nel suo vecchio dipartimento per qualche consulto, a volte portandosi dietro una marea di documenti, tutti riguardanti casi di Deliora e in particolare quello di Gray, cercando di individuare anche il più piccolo dettaglio che potesse collegare gli omicidi tra loro. Da quello che le aveva riferito Gerard, c'era almeno il settanta percento di probabilità che Gray avesse ragione e non avesse mentito. Purtroppo, sebbene fosse una percentuale più che positiva, non avrebbero potuto presentare il caso in quelle condizioni: per quanto sembrasse assurdo, un avvocato non avrebbe mai accettato un caso del genere se le probabilità di vincita non fossero risultate superiori.
A volte, Levy riusciva a capire l'odio di Lucy per le faccende burocratiche e le sarebbe piaciuto poter imitare la bionda, scavalcando tutte quelle procedure noiose. Purtroppo non poteva: in quanto capo dell'intelligence, gli altri agenti e le alte sfere si aspettavano da lei il massimo del decoro e il rispetto delle leggi, e ciò purtroppo riguardava anche eseguire al meglio anche le più piccole azioni.
Levy sbuffò, quasi lanciando per aria i fogli che la stavano tormentando da qualche giorno. Sebbene qualche notte prima avesse avuto un attimo di riposo – per così dire – acciuffando i criminali di Tartaros, si sentiva ugualmente stanca. Uccidere non era mai facile, soprattutto quando si veniva costretti. Levy ricordava bene le sensazioni di quella notte, soprattutto l'ansia di non riuscire ad accorrere in tempo. Gli uomini di Tartaros le si erano parati davanti all'improvviso, bloccando la strada a lei e ad altri agenti, e Levy, seppur ben conscia che avrebbe dovuto mantenere la calma, si era fatta cogliere dall'agitazione. Non era stato facile attaccare, ma il capo dell'intelligence aveva deciso di ignorare il più possibile il nodo che si era formato nello stomaco, prendendo la mira. Ricordava le mani impregnate di sudore, e poi sporcizia e sangue che in qualche modo si erano incrostati sotto le sue unghie.
Levy non sapeva quante persone avesse ucciso, e quante avesse semplicemente rallentato, ma ricordava i rumori dei colpi da arma da fuoco, le urla di dolore che si levavano nell'aria come fuochi d'artificio. Le esplosioni erano numerose e tutte attorno a lei, e i proiettili vaganti avevano rischiato di colpirla più volte, ma era riuscita miracolosamente a scamparla. C'era stato solo un avvenimento particolare, una donna sulla trentina con un grosso cappuccio calato sulla testa che l'aveva aggredita nel bel mezzo della folla. Levy aveva cercato di farla ragionare, ma non c'era stato verso e alla fine la donna si era avvicinata a tal punto da sfiorarla con il coltello che stringeva tra le dita tremanti. D'un tratto aveva stretto la presa sull'arma e Levy si era ritrovata con un lungo taglio a percorrerle il braccio, il sangue che scorreva imperterrito e arrivava a macchiarle i vestiti e persino il giubbotto antiproiettili.
Nella realtà, Levy sospirò, voltandosi e osservando quasi stancamente la manica un po' ingrossata della camicia azzurra che portava quel giorno. Sotto, le bende erano legate strette, la ferita tenuta insieme da qualche punto di sutura. Wendy non l'aveva presa bene quando l'aveva chiamata, chiedendole di tamponare un attimo la ferita. C'erano momenti in cui Levy preferiva passare inosservata, quasi a sparire nelle ombre per non ricevere eccessive attenzioni. Aveva aspettato che Wendy finisse di occuparsi di Lucy prima di dirle che era ferita, che il suo braccio aveva continuato a sanguinare copiosamente per tutta la battaglia e oltre. Wendy l'aveva rimproverata senza mezzi termini, ricevendo – con enorme sorpresa da parte di entrambe – l'appoggio di Erza. Il capo di Fairy Tail si era immischiata nella loro conversazione con trasporto, atterrando sul divano della casa di Laxus e facendo rimbalzare rumorosamente le molle. Affermando che gli amici di Lucy erano anche i suoi, Erza si era lanciata in una lavata di capo che Levy avrebbe volentieri voluto dimenticare.
Quando tempo prima Lucy le aveva garantito che Erza fosse spaventosa non le aveva creduto, affermando che stesse solo esagerando; ma ora che l'aveva provato sulla propria pelle, Levy non poteva fare a meno che dare ragione alla sua migliore amica. Anche se, in tutta onestà, non avrebbe mai pensato che lei sarebbe stata il soggetto delle prediche di Erza.
Un tonfo la fece ridestare dai suoi pensieri, portandola a voltarsi nuovamente, questa volta in direzione della porta. Questa era socchiusa, lo spiraglio che faceva passare un lieve raggio di sole, insieme a qualche ciuffo di capelli azzurri. Gerard era sull'uscio e dall'espressione sul suo viso, Levy riuscì a immaginare che il ragazzo avesse bussato in precedenza. Gli fece cenno di entrare, osservando con attenzione come la battaglia con Tartaros avesse provato anche lui. Gerard aveva un enorme cerotto sulla fronte, qualche graffio sulle guance e sulle mani, soprattutto sulle nocche. Il giorno prima, Levy aveva scoperto che un proiettile aveva rischiato di colpirlo, ma il giubbotto antiproiettile aveva fatto il suo lavoro, evitando che l'agente venisse colpito in punti vitali.
<< Avevi bisogno di qualcosa? >> chiese, gli occhi puntati con insistenza su quelli verdi di lui. Gerard si accomodò sulla sedia di fronte la sua con la stessa grazia che avrebbe avuto un elefante se fosse entrato in una cristalleria. Levy sbuffò, perché il gesto dell'agente le aveva mosso un po' i documenti impilati l'uno sull'altro, rischiando di buttar giù l'improvvisata torre di Pisa che aveva creato.
<< Volevo sapere come stava Lucy. Sei andata a trovarla, dico bene? >> Gerard sembrò un po' nervoso mentre poneva la domanda, e Levy si chiese il perché. Del resto, non c'era nulla di male nell'informarsi sullo stato di salute di una collega. In realtà, Levy si chiese come mai il ragazzo non fosse ancora andato nella villa dei Dreyer.
<< Sì, ci sono andata >> disse, mentre cercava di rimettere al posto i documenti. << Ma era incosciente. Wendy mi ha chiamata questa mattina presto, dicendomi che Lucy è sotto shock, e che è intenzionata a portarla da uno psicologo per poliziotti. >>
Davanti a lei, Gerard aveva iniziato a tormentarsi il labbro inferiore. Levy corrucciò un po' lo sguardo fino a ricordarsi che, di fatto, c'erano alte probabilità che Gerard non sapesse per quale motivo Lucy dovesse andare da uno psicologo. Non c'era stato tempo di avvisarlo, e durante la battaglia, Levy aveva preferito che nessun altro vedesse, consigliando a Natsu di portare via Lucy e correre alla villa senza guardarsi indietro.
Era stato difficile per lei lasciare la sua migliore amica nelle mani del ragazzo che le aveva spezzato il cuore, ma era anche vero che se Natsu aveva realmente provato qualcosa per Lucy, allora anche in tempi critici il suo istinto avrebbe prevalso, cercando di proteggere la ragazza che un tempo aveva amato. Levy ricordava ancora la voglia di seguirli che aveva provato, la mano che si era alzata e la voce che si incastrava in gola, cercando di richiamarli indietro e chiedere di portarla con loro. Sapeva di non poterlo fare: era il capo dell'intelligence e ci si aspettava che rimanesse sul campo fino all'ultimo, se non per morire proteggendo la propria causa. Se avesse abbandonato il campo per seguire Lucy e Natsu, i suoi agenti avrebbero potuto perdere ogni briciolo di rispetto che avevano nei suoi confronti.
Levy aveva stretto i denti, e poi le mani sulla pistola, cercando di sfogare la frustrazione su ogni singolo uomo o donna che le si paravano davanti. Era sbagliato, lo sapeva, in quanto agente non doveva mai portare emozioni sul campo di battaglia, tanto meno se erano faccende private. Ma quando aveva sentito la rabbia divorarle lo stomaco e corroderlo come se fosse pieno di acido, Levy aveva mandato a quel paese tutti i buoni propositi che si era imposta.
Sul momento, la sensazione di veder sparire la gente le aveva messo addosso un senso di tranquillità e leggerezza, alimentato dal fatto che qualche agente, dopo poco tempo, avesse iniziato a decantare la loro imminente vittoria. Ma tutto ciò non era durato a lungo. La battaglia era stata vinta, c'erano stati morti – forse più di quanti avrebbero dovuto essercene – feriti, e gente che era riuscita a sopravvivere ed essere arrestata. Dopo aver fatto rapporto e deposto alcuni fascicoli, Levy si era lasciata andare sul divano del suo ufficio, il viso inespressivo e i sensi di colpa che iniziavano a ricoprirla, risalire come il mare durante l'alta marea. Aveva sentito le lacrime pizzicarle gli occhi, e in un attimo era scoppiata in un pianto disperato.
Non aveva sentito la porta dell'ufficio aprirsi, ma tutto ciò che era stata in grado di cogliere era stato un profumo fruttato che l'aveva investita in pieno, lacrime che arrivavano a bagnarle la camicia, e un dolore sordo al braccio. Qualcuno aveva pianto con lei, ma Levy si era resa conto che era stata Lluvia solo la mattina successiva, quando erano andate insieme a trovare Lucy.
E ripensando a ciò che aveva appena rivelato a Gerard, Levy si rese conto che probabilmente anche lei avrebbe avuto bisogno di qualche sessione dallo psicologo. Sospirò affranta, riportando tutta la sua attenzione sul ragazzo seduto di fronte a lei. Gerard stava annuendo distrattamente, quasi come se fosse in imbarazzo per qualcosa.
Era strano, si disse Levy mentalmente, che l'agente non fosse andato a trovare Lucy spontaneamente al posto di chiedere in giro. Lo osservò di sottecchi, ma non riuscì a cogliere nulla, se non qualche foglio volare a terra per una folata di vento improvvisa. Gerard era sempre risultato illeggibile per lei, ma Levy dava la colpa al poco tempo che avevano passato assieme. Da quando lui era arrivato al dipartimento con la richiesta di seguire il caso di Fairy Tail, aveva passato la maggior parte del suo tempo con Lucy. Levy sospirò per l'ennesima volta, ormai conscia del fatto che la sua migliore amica, al suo posto, avrebbe subito capito qual era il problema.
<< Perché non vai tu stesso a trovarla? >> chiese innocentemente, o almeno, era l'impressione che voleva dare. Levy aggrottò la fronte quando notò Gerard abbassare lo sguardo, un lieve rossore farsi strada sulle guance dal colorito olivastro.
Levy rise mentalmente: era strano per lei vedere un ragazzo arrossire, non essendo abituata al tipo che ama e tiene a qualcuno non avendo paura di dimostrare i propri sentimenti. Quasi ebbe un po' di compassione per il genere maschile, abituati sin da piccoli a un tipo di "mascolinità tossica", costretti a nascondere al mondo i sentimenti e le emozioni. Gerard invece, non si era mai preoccupato troppo di come appariva, e da quel poco che lo conosceva, Levy poteva giurare che anche Natsu fosse dello stesso avviso.
Gerard si toccò la punta del naso, quasi come se si stesse pizzicando da solo per darsi coraggio. << C'è Erza lì >> ammise. << Non credo di avere il coraggio di affrontarla. >>
Levy spinse le sopracciglia in alto, l'incredulità in pieno display sul viso. Aveva di recente recuperato una penna, ma a quell'affermazione, le scivolò di mano senza troppi complimenti. Levy si rimproverò mentalmente: non aveva alcuna voglia di abbassarsi fino al pavimento per riprenderla. Del resto, la biro era finita sulla moquette che aveva fatto mettere in ufficio solo l'anno prima, e Levy era poco incline a vederla macchiata di inchiostro. << Hai affrontato pazzi omicidi, rapitori, serial killer e di recente una gang, e tu hai paura di una semplice ragazza? >> chiese incredula, mentre spingeva la sedia imbottita di lato e piegandosi a terra, recuperando con successo la penna caduta.
<< Non è paura! >> esclamò Gerard. Guardandolo negli occhi, Levy riuscì a stabilire quanto sembrasse frustrato. Quasi lo capì: anche lei aveva problemi ad esprimere chiaramente come si sentiva. << L'ho lasciata sola anni fa, e ora vorrei tornare con lei, ma non so come. >>
Levy buttò gli occhi al cielo. << Voi uomini siete più complicati di noi >> sbuffò, la penna che atterrava sui documenti, rotolando fino alle mani di Gerard, che non fece alcun movimento per prenderla. << Dille la verità. Credimi, noi donne apprezziamo molto di più la sincerità che un mare di bugie, anche se secondo voi sono dette "a fin di bene". Non esiste nulla del genere: meglio la verità che illudersi per qualcosa che non è mai esistita sin dal principio. >> Levy si premurò di mettere ben in chiaro il "a fin di bene" disegnando delle virgolette in aria. Sperò che Gerard cogliesse il filo del discorso, ma dal sorriso un po' imbarazzato che le rivolse e dal modo frettoloso con cui uscì dall'ufficio con un ringraziamento sospeso nell'aria, Levy comprese che il messaggio era arrivato forte e chiaro.
Si alzò, la mano che spingeva leggermente la porta semichiusa che Gerard si era lasciato alle spalle. Ripensando alla sua vita e quanto di poco romantico ci fosse in essa, Levy si abbandonò con la schiena contro la porta, i pensieri ad annebbiarle la mente già compromessa.
**
Lluvia stava marciando attraverso il corridoio in direzione del proprio ufficio. Il ticchettio dei tacchi sul pavimento la stava accompagnando lungo tutto il tragitto, quasi in armonia con il forte scalpitare del suo cuore. Il motivo era semplice: Gray la stava aspettando. Non era un appuntamento romantico – Lluvia doveva ammettere di esserci rimasta male – bensì un incontro per parlare del futuro del corvino e dei processi che l'avrebbero atteso di lì a poco.
Mentre camminava, i documenti del processo le sbattevano furiosamente contro al petto, quasi come se anche loro fossero impazienti quanto lei. Non era stato facile gestire le indagini, gli interrogatori e subito dopo il processo. Lluvia aveva faticato a mettersi d'accordo con un avvocato di nome Freed, di certo il migliore nel suo lavoro, ma altrettanto scorbutico. Freed non aveva preso bene la notizia che il caso di Gray fosse complicato, affermando che non aveva seguito la sua passione per proteggere criminali, né tanto meno essere chiamato da cause perse. Quando Lluvia gli aveva sbattuto sotto il naso le prove dell'innocenza di Gray, Freed aveva sollevato il mento, dimostrando appieno il suo complesso di superiorità. Lluvia aveva storto il naso, ma non aveva potuto fare molto, solo osservare l'avvocato prendere le sue decisioni.
Freed aveva constatato che ci fosse almeno il sessantacinque percento di probabilità che Gray ne uscisse solo con accuse minori, ma le probabilità di essere condannato per omicidio erano ancora molto alte. Nonostante si fosse presentato come un incontro orribile, Lluvia era rimasta sorpresa nel vedere che alla fine Freed aveva accettato, uscendo dalla stanza dopo alcuni minuti dall'aver affermato che lo intrigavano i casi complicati. Lluvia aveva raccolto le carte con le prescrizioni lasciate da Freed ed era corsa fuori, mandando un veloce messaggio a Gray per chiedergli di parlare.
Era ancora incredibile credere di poter avere il numero di telefono di Gray, quello vero. Il ragazzo non le aveva rifilato numeri falsi o non rintracciabili, ma quello privato. Lluvia si era sentita sulle stelle, decantando la sua felicità ai quattro venti e saltellando in giro per la stazione di polizia, incurante degli sguardi che i colleghi le stavano lanciando. Varie volte aveva pensato che gli altri le stessero dando della folle, ma quando vedeva Gray e il suo cuore iniziava a battere all'impazzata, Lluvia dimenticava ogni cosa. Era difficile riuscire a togliergli gli occhi di dosso quando si trovavano assieme, ed era ancor più complicato concentrarsi quando Gray le si avvicinava per osservare qualcosa al di sopra delle sue spalle. Lluvia era più che certa che quella non fosse una semplice infatuazione, ma una vera e propria cotta che avrebbe rischiato di corroderle l'anima.
Accompagnata da quei pensieri, l'archivista aumentò il passo, il ticchettio dei tacchi che sbatteva più furiosamente sul pavimento, lasciando dietro di sé una melodia. Fu una questione di secondi, ma quando Lluvia si ritrovò davanti la porta metallica del suo ufficio, deglutì nervosa, prendendo un respiro profondo prima di entrare e palesare la sua presenza. La mano entrò in contatto con il pomello freddo, mandandole una scarica di brividi lungo tutto il corpo.
Quando spalancò la porta, la ragazza notò che Gray era stravaccato sul divano. Lui aveva la camicia abbottonata male e lei dovette conficcarsi le unghie nei palmi delle mani per farle stare ferme, per evitare di andare lì e aggiustargliela. Gray aveva una penna metallica tra le mani e la stava rigirando con poco entusiasmo, quasi come se dovesse palesare il fatto che si fosse annoiato. Lluvia poteva capirlo, del resto nel suo ufficio non c'erano molti divertimenti a meno che uno non fosse interessato a sfogliare casi non ancora risolti, o fare un viaggio alla scoperta dei libri più rinomati trattanti di omicidi. Gray non sembrava il tipo da mettersi a leggere quella roba, perlopiù perché non sembrava interessato nei libri in generale.
Lluvia richiuse la porta alle proprie spalle e il viso di Gray scattò in aria, quasi come lo avesse svegliato da un sonno. Era chiaro che il ragazzo stesse pensando a qualcosa, ma lei non lo conosceva abbastanza bene da riuscire a capire cosa gli passasse per la mente. In un attimo l'ansia tornò a divorarle lo stomaco, facendola irrigidire sul posto. Oh non avrebbe retto un altro incontro da sola con lui.
<< Ci sono novità? >> le chiese. Il viso di Gray non sembrava più illeggibile, perché ora esprimeva chiara speranza. Era scattato a sedere, le mani che affondavano furiose nei cuscini del divano.
<< Freed ha accettato il tuo caso, potrai andare al processo con un ottimo avvocato >> gli disse. E se per molti quella poteva sembrare la notizia del secolo, per Gray chiaramente non fu così. Il ragazzo aveva espresso numerose volte la sua voglia di saltare quella parte, di andare avanti e redimersi per conto proprio, ma ormai il caso era nelle mani della polizia e non poteva tornare indietro. Per quanto Lucy avesse cercato di evitare alcune ripercussioni sui membri di Fairy Tail, per scagionare Gray sarebbe stato un po' più complicato. Un'accusa di omicidio non spariva in una notte, e se lo faceva, c'erano atti illegali dietro. Gray non poteva assolutamente permettersi di ricevere un'altra accusa, o sarebbe stato condannato persino per quell'omicidio che non aveva commesso. << Lluvia lo sa che vorresti saltare il processo, ma è inevitabile. >>
<< Tutte fandonie ideate dalla polizia >> sbuffò lui, la bocca che mandava fuori piccoli concentrati d'aria. Lluvia si chiese se l'alito di lui profumasse di menta, esattamente come si era immaginata molte volte. Sospirò un attimo, raggiungendo la scrivania e posando con poca grazia i documenti che aveva stretto tra le braccia fino a quel momento.
<< Gray-sama >> iniziò lei, le gambe che si muovevano per raggiungerlo. Non si sentiva più molto salda sui tacchi, ma fece del suo meglio per non cadere e non fare una figuraccia di fronte al suo amato. << Lluvia e gli altri non si sono inventati nulla, e te l'ha anche Lucy: questo processo è inevitabile per essere scagionati. Se non ti presenti in tribunale, verrai accusato di omicidio. >>
Gray sbuffò per l'ennesima volta, le braccia portate in avanti e incrociate sul petto, esattamente come avrebbe fatto un bambino che stava ricevendo l'ennesima predica. Lluvia non poté fare a meno che trovarlo adorabile. Adesso il ragazzo era seduto, e l'archivista dovette resistere alla tentazione di andare da lui e sedersi vicino. Già si immaginava il corpo in fiamme per la vicinanza, il profumo di lui che riusciva a penetrare nelle narici e la pelle che si toccava attraverso i vestiti. Lluvia scosse la testa: non era il momento per certi pensieri.
<< Credo che vogliano accusarmi a priori >> borbottò lui.
Lei gli sorrise, anche se Gray non poteva vederla. Il corvino aveva il volto abbassato, quasi come se le sue scarpe fossero divenute la cosa più interessante che avesse mai visto sulla faccia della terra. << Freed ha detto che c'è almeno il sessantacinque percento di probabilità che non lo facciano. >>
<< Beh, c'è un trentacinque percento che non vede l'ora di avere la meglio >> confabulò Gray sottovoce, ma non poi tanto, visto che Lluvia riuscì a sentirlo.
La ragazza buttò gli occhi al cielo. << Quel numero avrà la meglio se non ti presenti in tribunale. >>
Gray sollevò lo sguardo, occhi speranzosi che si posavano su di lei, quasi a trafiggerla come mille pugnali. Lluvia non si era mai sentita tanto in soggezione come in quel momento. << Anche se mi presentassi, chi mi dice che non faranno di tutto per rigirare le prove a proprio favore? >>
Lluvia prese coraggio. Sentirlo parlare a quel modo, come se avesse già perso ogni speranza, le spezzò il cuore. Non aveva mai creduto che Gray potesse perdere la fiducia in sé stesso, ma pensandoci a dovere, forse non era ciò che il ragazzo voleva davvero esprimere. La rabbia del corvino era rivolta verso il sistema, non contro se stesso. Col cuore che le palpitava a un ritmo furioso, Lluvia compì qualche passo in avanti, arrivando direttamente vicino a lui. La ragazza si sedette sul divano, assicurandosi di lasciare un po' di spazio tra i loro corpi. Per quanto le mani le prudessero dalla voglia di toccarlo, non poteva permettersi di distrarsi. Il nervosismo le stava divorando lo stomaco, ma cercò di ricacciare indietro la sensazione concentrandosi unicamente sul problema che aveva davanti. << E' esattamente ciò che faranno, nonché l'obiettivo primario del procuratore, ma ciò non vuol dire che perderete la causa. >> Lluvia si voltò, questa volta a fissarlo direttamente negli occhi. Per qualche ragione, riuscì a mantenere un ferreo contatto visivo con lui. << Freed è un ottimo avvocato, per questo è importante che ne parliate insieme e vi mettiate d'accordo su come gestire questo processo. >> Lluvia si allungò un attimo. L'adrenalina aveva preso a scorrerle nelle vene, infiammando ogni cosa e ciò la portò a posare la propria mano su quella di Gray.
La pelle di lui era calda e un po' sudaticcia, ma lei non ci fece caso, pensando di più a stringere le dita attorno a quelle del corvino. << Pensaci bene, potrebbe salvarti da un mare di problemi. >>
Gray sembrò rifletterci per qualche istante, ma quando Lluvia sentì una presa ferrea sulla propria mano, puntò gli occhi su di lui, mentre il cuore le batteva all'impazzata, quasi a volerle uscire fuori dal petto. Era proprio debole per quell'uomo. << Credo di aver già deciso >> stabilì lui e quando le rivolse un piccolo sorriso, Lluvia capì all'istante. Il petto le si riempì di gioia prima ancora che lui potesse pronunciarne le parole. << Accetterò che Freed mi rappresenti in tribunale. >>
**
Il cuore le batteva all'impazzata, tanto che credette di averlo in gola, o che stesse per uscirle fuori dal petto. Attorno a lei c'erano solo spazi neri, ma continuava a sentire l'ansia crepitarle sulla pelle come piccoli fuochi d'artificio, tanto che iniziò a sentirli nelle orecchie. Per un attimo pensò che fosse frutto della sua immaginazione, ma ben presto divennero reali e tutti attorno a lei. Ascoltando meglio, si rese conto che non erano fuochi d'artificio, bensì degli spari. Arrivavano da tutte le direzioni e per un attimo pensò che qualche proiettile vagante prima o poi l'avrebbe colpita. Strinse gli occhi, aspettando sul posto un colpo che non sarebbe mai arrivato e mandando all'aria il suo addestramento da poliziotto.
Quando tutto divenne silenzioso, decise che fosse il momento adatto per sollevare le palpebre e catapultarsi da un'altra parte. Davanti a lei, steso a terra e in una pozza di sangue, c'era il corpo senza vita di Zeref. Gli occhi di lui erano spalancati ma ciechi, e fu quella l'unica consolazione che ottenne, perché subito dopo sentì un grido. Era orribile e le fece accapponare la pelle tanto da farla piangere, ma quando sollevò le mani per asciugarsi le lacrime che avevano preso a bagnarle il viso, si rese conto che era lei quella che stava urlando.
Il panico le montò dentro al petto così violentemente che si sentì strappare via, il grido ad accompagnarla come una musica suonata sulle note sbagliate e piene di terrore e rumori gravi.
Quando Lucy aprì gli occhi, scattò a sedere con il petto che si alzava e abbassava furiosamente. Il cuore le martellava nel petto come un ossesso, portando i suoi occhi a fissarsi in un punto verso la finestra, ma senza guardarlo realmente. Le mani le tremavano, ma quando le sollevò per tastarsi il viso, si rese conto che l'incubo, almeno sulla parte delle lacrime, era veritiero. Si sentiva stanca e affaticata, il respiro rapido e conciso come se avesse appena corso una maratona. Sembrava strano, ma riusciva a sentire il pigiama attaccarsi alla pelle per il sudore e allora scacciò le coperte sul fondo del letto, calciandole con tutta la poca forza che sentiva di avere.
Una mano tremante si affacciò timida per tastare il materasso, cercando la fonte di calore che l'aveva accompagnata per tutta la notte. Lucy ricordava bene gli attimi del suo sogno, ma quello avuto la notte precedente, quando un Natsu trafelato era entrato nella sua stanza per stringerla al petto e aiutarla a calmarsi. Poteva sembrare infantile, ma Lucy voleva provare nuovamente quel calore e quella sicurezza che aveva sentito la notte prima. Proprio mentre pensava che Natsu la odiasse e che non si sarebbe più avvinato a lei, lui l'aveva sorpresa spingendosi nella sua stanza e calmandola da un terribile incubo. E lei non poteva crederci.
Le sue dita si strinsero attorno a della stoffa, ma quando provò a tirare, notò che ciò che aveva tra le mani non era il morbido tessuto di un pigiama, bensì quello un po' ruvido del lenzuolo. Ancora un po' intontita sia dal sonno che dal nuovo e terribile incubo, Lucy si voltò, constatando che il posto accanto al suo fosse vuoto. Le coperte era sfatte, prova che non si era immaginata nulla, ma la stoffa appariva fredda al tatto. Natsu doveva essersene andato durante la notte, forse subito dopo che lei aveva preso sonno.
E forse la realtà non era ben diversa da quello che lei si era immaginata. Un dolore sordo si fece spazio nel suo petto, ormai certa che il suo cuore si fosse spezzato in tanti piccoli cristalli. Il mondo girò attorno a lei, per poi ripiombare in una realtà dove sentì le lacrime scenderle lungo il viso, questa volta più numerose della volta precedente. Era incredibile come un cuore spezzato potesse fare più male di un incubo orribile e realistico. Si sentì un po' in colpa nei confronti di Zeref, ma ciò non fece altro che aumentare il suo pianto.
Era ovvio che Natsu la odiasse, dopotutto lei aveva ucciso suo fratello. Ben presto la stanza venne invasa dai suoi singhiozzi. Strinse le lenzuola tra le mani, incurante del malessere fisico che stava iniziando a tormentarla. Ogni qual volta avvertiva che il pianto si stava attenuando, le venivano in mente ricordi di epoche passate, quando lei e Natsu erano insieme, innamorati e felici, e allora le lacrime riprendevano a scorrere imperterrite, incuranti di tutto. Lucy tastò il sale sulle proprie labbra, le gocce che andavano a bagnarle le mani, oppure a scorrerle lungo il mento, finendole sul pigiama. Era ben conscia del fatto che ormai quello fosse del dolore auto inflitto, ma non le importava nulla: Natsu la odiava e lei non avrebbe avuto alcuna chance di riportare le cose a come erano prima.
Lucy non era sicura di quanto tempo fosse passato, ma ormai la gola si era seccata e piccoli colpi di tosse si fecero spazio nella sua cassa toracica, sconquassandola. Si udì un cigolio rumoroso, la porta che quasi finiva contro al muro della stanza per la troppa forza. Lucy si voltò immediatamente in quella direzione, incurante delle lacrime che le bagnavano il viso. Probabilmente aveva le guance arrossate e appiccicose, ma non le importava. Riuscì a scorgere una figura sulla soglia e questa reggeva qualcosa di lungo tra le mani: un libro, forse? No, era troppo grande, ma allora cosa poteva essere? Lucy si portò le mani agli occhi per asciugarli un po' e cercare di vedere meglio, ma quasi non fece in tempo a sfregare che sentì dei passi pesanti farsi sempre più vicini, fino a quando il materasso non sprofondò ulteriormente per un peso estraneo. Lucy si sentì investita da qualcuno che quasi rischiò di mandarla lungo distesa sul letto, delle braccia che si stringevano con forza attorno a lei, quasi a rifiutarsi categoricamente di lasciarla andare. Il profumo di muschio e toast le arrivò alle narici con violenza, riconoscendo l'odore e persino il calore. Sgranò gli occhi prima che le lacrime riprendessero a formarsi, scorrendo imperterrite. Lucy afferrò inconsciamente la stoffa della camicia di flanella, incassando la testa tra il collo e la spalla di Natsu, riconoscendolo. Lui la stringeva a sé con parsimonia, talvolta accarezzandole i capelli, altre creando movimenti circolatori sulla sua schiena.
Lucy non riusciva a credere che lui fosse lì, che la stesse toccando e consolando come avrebbe fatto un tempo. Si sentiva il cuore esplodere per la gioia, per la tristezza e la confusione, un misto di emozioni che andavano a collidere l'una con l'altra in un catafascio. Lo strinse maggiormente a sé cercando invano di calmarsi, ma respirando il più possibile il profumo di lui. Aveva paura che Natsu sarebbe sparito nell'esatto istante in cui i loro corpi avrebbero smesso di toccarsi, che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui sarebbero entrati a contatto l'uno con l'altra a quel modo.
<< Lucy, perché piangi? >> le sussurrò lui contro l'orecchio. Per un attimo, Lucy si beò di quel soffio di aria calda che era riuscita a destabilizzarla completamente. I singhiozzi erano diminuiti notevolmente e ora lei si teneva aggrappata a lui come se fosse la sua ancora di salvezza. Le era mancato stringerlo a sé a quel modo, respirare insieme a lui e sentire il cuore batterle furiosamente contro al petto come se volesse uscire per raggiungere quello di lui.
E del resto, le parole si ingarbugliarono nella gola di lei, rifiutandosi di uscire. Emise qualche breve singhiozzo, ma decise di calmarsi un attimo: dovevano parlare, risolvere, perché lei non avrebbe mai resistito a stargli lontano per l'ennesima volta. Si districò un po' dalla presa, abbastanza per guardarlo negli occhi, ma non troppo per non perdere il contatto con il calore emesso dal corpo di lui. Natsu la stava guardando con occhi preoccupati e tristi, il verde che era divenuto più scuro per le emozioni, le pupille dilatate per la poca luce presente nella stanza. Quando lui staccò una mano dalla sua schiena, Lucy si irrigidì, convinta che il ragazzo stesse per andarsene, ma si rilassò non appena notò che le stava asciugando le lacrime ancora presenti sul suo viso. E in quel momento, Lucy si rese conto che probabilmente doveva avere un aspetto orribile. Sentiva i capelli sporchi e quelli del ciuffo le stavano incollati alla fronte sia per il sudore che per la sporcizia. Si sentì in profondo imbarazzo al pensiero che Natsu la stesse vedendo in quelle condizioni, avvertendo immediatamente un calore farsi spazio sulle guance.
<< Perché sei triste? >> le chiese per l'ennesima volta. Era chiaro che lui stesse aspettando una risposta chiara e concisa. Lucy ricordava quanto Natsu odiasse i giri di parole, per lo più perché li trovava incomprensibili.
<< Non voglio che tu te ne vada >> ammise tra un singhiozzo e l'altro. Si sentì immediatamente patetica, ma quando Natsu la strinse più forte a sé, capì che probabilmente anche lui provava lo stesso.
<< Non vado da nessuna parte >> le disse, cercando di fare uno sforzo immane per rassicurarla. Per quanto triste si sentisse, Lucy non poté fare a meno che scoppiare in una risata cristallina che invase l'intera stanza. Natsu era chiaramente impacciato, non essendo abituato a consolare qualcuno. Lucy sentiva chiaramente le mani di lui tremare, il pomo d'Adamo che andava su e giù perché Natsu continuava a deglutire per il nervosismo.
L'agente si sentì un po' in colpa per starlo mettendo a disagio, ma continuò a tenere le mani sulle spalle di lui, non volendo lasciarlo andare. Era strano avere il terrore che Natsu potesse sparire da un momento all'altro, ma vederlo mentre cercava di rassicurarla, la fece sentire un po' più tranquilla. << Non ti ho trovato stamattina >> gli disse, cercando di fissarlo negli occhi al meglio che poté. Le iridi di lui erano di un verde luminoso, lucido, quasi come se poco prima avesse rischiato di piangere assieme a lei. Le pupille erano dilatate, esattamente come si diceva che avrebbero dovuto essere quando si guardava qualcosa che ci piaceva, o la persona amata. Lucy si sentì le guance in fiamme al pensiero, il cuore che riprendeva a battere a un ritmo incontrollato. << Pensavo di essermi sognata gli eventi di ieri notte >> concluse, cercando di osservare bene il viso di Natsu per coglierne anche il più piccolo indizio.
Lui sorrise, e in quel momento Lucy pensò che il tempo si fosse fermato all'improvviso. Sentì il cuore batterle prepotentemente nella cassa toracica, e quando ormai pensava di star immaginando Natsu che si avvicinava sempre di più, venne colta alla sprovvista dalle dita di lui che si strinsero maggiormente sul suo pigiama. Lucy trattenne il fiato, ma quando fu sul punto di rilasciarlo, sentì una delle mani di Natsu risalire lungo la sua schiena, affondando nei suoi capelli color del grano. In quell'istante, Lucy decise che forse respirare non sarebbe stata un'idea geniale, ma non ebbe il tempo di capire cosa potesse fare di diverso, perché sentì una leggera pressione sulle labbra. Sgranò gli occhi, ma venne subito invasa dalla sensazione piacevole del sentirsi amata, e in un attimo pensò a quanto le fosse mancata la sensazione di essere baciata da Natsu.
Si aggrappò a lui nello stesso instante in cui il ragazzo iniziò a tracciarle le labbra con la lingua, chiedendole silenziosamente accesso alla bocca. E per quanto Lucy avrebbe voluto giocare, non dandogli subito ciò che lui cercava, non se la sentì di privarsi ulteriormente di quella piacevole sensazione. Il sangue le fluiva nelle vene come il mare in tempesta, arrivando a sentirlo nelle orecchie insieme al battito frenetico del proprio cuore. La lingua di Natsu si fece spazio tra le sue labbra non appena lei le dischiuse di poco, iniziando a cercare e poi rincorrere la sua, facendosi battaglia a vicenda. Lucy arrivò a passargli le mani tra i capelli, aggrappandosi a Natsu come se la sua vita dipendesse da quel momento, sapendo perfettamente che se lui si fosse allontanato anche di poco, lei si sarebbe sciolta.
Purtroppo, il bisogno d'aria divenne impellente quasi troppo presto, ma con disappunto da parte di entrambi, dovettero staccarsi per riprendere fiato. Era quasi piacevole sentire il respiro caldo di lui che si infrangeva contro il suo, il cuore che batteva in sincrono col proprio. Si guardarono negli occhi per attimi che parvero ore, l'uno attaccato all'altra e col fiato corto. Natsu le sorrise, avvicinandosi nuovamente e lasciandole un piccolo bacio sulla fronte. Il ragazzo posò il mento sul capo di lei, ma non pesantemente, al contrario, Lucy poteva affermare di non sentirlo nemmeno.
<< Ero di sotto, stavo aiutando nella colazione. >> E a Lucy ci volle qualche istante per capire che Natsu stava rispondendo alla domanda che gli aveva posto prima. Lui aveva ancora l'affanno e le guance arrossate, ma si vedeva lontano un miglio che stava cercando di farle passare inosservato. << A proposito, quell'idiota di Loki si è offerto di prepararla, possiamo fidarci o rischia di avvelenarci? >>
Lucy scoppiò in una risata, il petto che veniva scosso di continuo. Forse certe cose non sarebbero mai cambiate, soprattutto se riguardava Natsu e Loki. << Possiamo fidarci >> commentò lei.
Natsu non se la prese, piuttosto le offrì una mano e poi entrambi scesero giù dal letto. Per un attimo le gambe di Lucy rimasero impigliate tra le coperte, ma fu facile districarsi con l'aiuto di Natsu, soprattutto perché lui la reggeva con così tanta forza da dare l'impressione che avesse paura che lei potesse sparire davanti ai suoi occhi. << Scendiamo di sotto? >> le chiese, e sebbene fosse una semplice domanda, Lucy riuscì a scorgerci qualcosa di più profondo.
Nonostante quello fosse un semplice invito a mangiare la colazione, per un attimo sembrò la conferma di un'intera esistenza da passare insieme. Lucy colse il modo in cui Natsu strinse la mano attorno la sua, come la guardava e per un attimo fu invasa dai ricordi di quando stavano insieme. Forse non erano tornati indietro nel tempo, le sensazioni troppo forti e travolgenti per poter essere un sogno ad occhi aperti, e furono proprio quelle a far capire a Lucy che forse, sperare che le cose si rimettessero al proprio posto, non era poi così assurdo come pensava.
*Angolinoooooooooooooooooo
Oddio, scusatemi, sono in super-ritardo! O.O Non mi ero dimenticata di questa storia (è passato quasi un mese, ma mi è sembrato un secolo), semplicemente sono successe varie cose.
Alla fine non sono riuscita ad ottenere il permesso di far passaggio di corso e per un po' di tempo questa notizia ha avuto un effetto, non dico devastante, ma mi ha fatto perdere la motivazione necessaria per accendere il pc e continuare a scrivere.
Solo dopo ho capito che era meglio distrarsi, e sono tornata a scrivere, offrendovi ora questo capitolo da più di 6000 parole! Non ci credo che sono riuscita a finirlo XD
Parlando del contenuto, avete ottenuto le informazioni riguardo la battaglia dal punto di vista di Levy, mentre il nostro caro Gerard cerca un ricongiungimento con Erza! Scusatemi, ma dopo tutto questo casino, i Gerza devono avere il loro happy ending ><
La scena che riguarda prima Lluvia e Freed e poi la turchina e Gray, è il reale processo di come funziona una situazione del genere. Il mio anno a giurisprudenza è servito a qualcosa XD Lluvia sta lentamente coronando il suo sogno di rimanere con Gray, ma chissà ;)
Infine, Natsu e Lucy sono tornati a interagire come un tempooooooooooo! La loro scena è stata quella che mi ha fatto penare di più, non voleva scriversi e.e Ho cercato di portarvi più contenuto possibile e spero ne siate contenti!
Mancano due capitoli alla fine di HT e sto già piangendo mentalmente, non oso immaginare cosa succederà quando salverò per l'ultima volta un capitolo di questa ff e.e
Fino ad allora, godiamoci il nostro tempo assieme! Un abbraccio,
Gaia*
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