Washing Machine Heart. [CAPITOLO 16]
«Quest'incubo potrà... giungere al termine?» Crystal sussurra, ripetendosi le parole della Regina di poc'anzi.
La legge e la sorte, l'una l'analogia dell'altra.
Quasi sobbalza, realizzandolo, ma smette di opporsi ai due uomini che la stanno trascinando via.
Finirà?
Cesserà davvero?
Ma cosa c'è dopo la fine?
Un risveglio? È davvero possibile?
"Dicono anche che il fuoco riaccenda emozioni e ricordi."
E se... se fosse questa, la sua "prova"?
Bruciare, consumarsi, accartocciare una parte spirituale di sé per farne tornare un'altra?
Un ricordo per un altro, una vita per un'altra.
Una parte di sé in scambio, come una moneta.
Per uno e un solo istante la giovane smette non solo di dimenarsi, ma persino di pensare.
Il mondo le vortica rapidamente attorno, rapido, rapidissimo, semplicementetroppomadavverotroppovelocevelocissimo.
Fine.
Blackout.
«Lilith?»
Un istante, è stato... no, forse anche più.
Qualche attimo, una sagoma lucida in una opaca foschia.
Vorrebbe tamponarsi la fronte, quasi sanguinasse, con la delicatezza e la rabbia che le bruciano l'anima e scandiscono i respiri e i battiti e i pensieri. Soprattutto quelli.
Corrono, sfrecciano, generano una vorace e vi si gettano a capofitto.
Ma cos'è davvero accaduto?
Era tutto reale?
Quanto vorrebbe massaggiarsi le tempie.
E se lo chiedesse a... oh, no. Decisamente non la migliore delle idee.
Si era anche, quasi, dimenticata di essere lì.
Di essere qui.
Ruota il capo con non poca fatica, avverte il collo dolerle, sulla destra, e Aurelia siede al tavolo in legno; la sua chioma bionda è più raggiante del solito.
Oh, sta persino leggendo. Non ha più nessun compito da supercattiva da svolgere? Pensandoci meglio, potrebbe star leggendo una guida su come sterminare la stirpe umana?
Non saprebbe rispondere ai propri crucci, né tantomeno scoprire la provenienza di quel libro dalla verdognola copertina, che intravede da quanto sporge oltre le pagine. Ma è certa che sia meglio fingere di star ancora dormendo.
O qualsiasi cosa stesse facendo.
È meglio non attirare la sua attenzione.
Tuttavia... non appena tenta di rievocare l'immagine di quel palazzo, che è certa di aver visto con i propri occhi, la testa fa per esplodere.
Ritenta, ritenta di comporre il puzzle. Di riunire i pezzi.
Chiude gli occhi. Palpebre serrate.
Solo un lancinante mal di testa.
Ma cos'altro? Osserva le proprie catene.
Giusto, era incatenata anche lì! Oh, non un buon ricordo.
Un altro, meglio trovarne un altro.
Stando a quanto ha detto Lilith, e questo lo rammenta, dovrebbe aiutarle a recuperare la propria memoria, e il suo... potere?
Questo non lo rammenta più bene.
Le sembra di percepire quella donna sempre più distante, forse inesistente, forse immaginaria.
Magari era anche quello un sogno. In fondo, nessuno oltre lei può confermarle alcunché.
E se chiedesse ad Aurelia?
No. Idea da declinare.
Un secondo.
Lei, però, dovrebbe sapere. Sorelle, sono sorelle.
Crystal riapre gli occhi di scatto. Teme di aver perso un battito nel realizzare ancora una volta questa verità. Un boccone che le risulta tanto amaro quanto impossibile da digerire.
E tutto il resto, poi. Santo Zeus.
Inspira, graffia i polmoni e li riempie di umidità, poi rigetta l'aspirato. Tenta di non essere rumorosa, di non allontanare lei, l'altra sorella, dalla sua coinvolgente lettura.
Persino respirare è una sfida mortale.
Il cuore le rammenta con frenesia di esistere, di essere in agitazione, ma Crystal osserva comunque la donna che ha dinanzi.
Quest'ultima accavalla le gambe, ponendosi ben composta e proseguendo la propria lettura.
La giovane inspira, lentamente, e...
Ritenta.
Deve reimmergersi.
Deve ricordare.
Chiude gli occhi.
Serra le palpebre.
Si inizia.
Buio?
Ancora blackout?
Ma fra i vicoli insidiosi della sua mente aleggiano, irruenti, voci e trambusto.
Irrompono, d'un tratto, dopo pochi secondi, o dopo un'eterna attesa, ma irrompono.
E sono loro.
Si è immersa.
Avverte una salda presa su entrambe le braccia, i piedi le dolgono per il gelo di un pavimento costituito interamente da ghiaccio, sul quale non sembra tuttavia semplice scivolare, per qualche motivo a lei ignoto, e ode una voce a lei sin troppo familiare.
È lì.
È di nuovo alla corte del Regno delle Alpi.
Strabuzza gli occhi, di scatto, come rinascendo in questo stesso istante. Si guarda attorno di scatto, non si dimena, non fronteggia le guardie che la trascinano.
Ignora le loro armature, dette a cotta di maglia, che le sembra lacerino la sua pelle da quanto son gelide, e ignora lo sguardo trionfante, forse timoroso o forse disgustato, che sua Maestà le rivolge dal proprio trono.
È alla ricerca, rapida, frenetica, di una sola persona.
Di un solo volto.
Prima di svegliarsi, di lasciare questo regno... ne è certa.
L'ha vista. È stata l'ultima cosa che ha visto.
Ma poi realizza di essere giunta al capolinea.
Alle porte d'ingresso.
Cosa ne sarà di se stessa, appena varcata la soglia?
Fuoco e fiamme.
L'attuale sé diventerà cenere, polvere.
No, non può permettere che accada, deve...
«Il sogno era stato sufficiente, non serviva tentare di innescarlo ancora!»
La sua voce.
Si volta, sulla sinistra, fra le guardie?
No, dietro.
Accanto a uno stendardo, lì, in fondo.
Ecco dov'è Lilith.
In merletti verdi, una sfarzosa collana di perle e smeraldi.
«Cosa?»
«Devi svegliarti immediatamente! Il prossimo arriverà a tempo debito, Crystal, non lasciare che il tuo passato ti consumi o verrai sostituita!»
Sull'orlo.
Ora o mai più.
Un altro passo e si avvicinerà alla sua possibile fine.
Sostituita? Da... dalla regina?
«Non esiste. Lei è solo la mia ombra.»
L'uomo alla sua destra corruga la fronte, non comprendendo quali deliranti parole borbotti una traditrice prossima al rogo.
Ma lei non sta affatto delirando.
Le sue iridi divengono lapislazzuli iridescenti, e in un solo istante i due uomini si ritrovano le mani e le braccia interamente rivestite di ghiaccio.
«Ma- cosa?»
«Non riesco a muovere il mio braccio!» Tenta di smuoverlo con la mano libera, invano.
Alla giovane non risulta poi così difficile scostarsi dalla loro presa, ora, sorridendo loro.
«Come...» sua maestà abbandona il proprio trono di getto, muovendo solo pochi passi per percorrere i piccoli gradini che la eleggevano a un ulteriore livello. «Quella giovane...» arriccia il naso e contrae le labbra in una furente smorfia.
«Catturatela immediatamente! Dovete eliminarla, al rogo, ora!»
Crystal punta l'altra Crystal con l'indice destro, e la manciata di guardie che la venerava in ginocchio, poc'anzi, si alza traballando in un inchino.
«Sissignora!»
«È finita?» Domanda, la giovane, voltata sul demone che da lontano la scruta.
«No, affatto, è appena cominciata! Scappa!»
E così fa.
Non arrivando neppure a varcare quel maledetto ingresso.
Non serviva, d'altronde.
Il regno degli inferi è già qui.
Con Aurelia davanti ai propri occhi, fra le catene del buio e la polvere delle propria ossa, probabilmente già pronte a divenire cenere.
Ma lei non lo è.
E il blackout è terminato.
Seconda immersione andata.
Inspira ed espira di getto, non curandosi più di interrompere la lettura di Aurelia... per quanto le sembri presa.
"Ho l'affanno, cazzo. Era reale?"
«Mh?»
Aurelia si volta, distrattamente, sulla propria vittima.
Ma lei ha già richiuso gli occhi.
«Se solo lui fosse qui...»
La donna inarca le sopracciglia, reagendo espressivamente ai sussurri confusi della giovane.
Udire i bisbigli di Crystal durante i suoi sogni, solitamente, la incuriosisce. Rivela sempre una qualche lacuna, o mancanza, che il demone non vede l'ora di lasciarle colmare.
Quando potrà liberarla a progetti conclusi, chiaramente.
Ma non potrà, e ne è consapevole...
Prendere tempo per poterla risparmiare inizia a pesarle.
«Lui è... ma chi...»
«Eh?» Aurelia corruga la fronte, abbandonando il proprio posto per avvicinarsi cautamente alla giovane.
Non sposta neppure la sedia, se non il necessario.
«Come si chiamava... quel ragazzo? Ar- Arc...»
Persino Aurelia sgrana gli occhi.
Non lo avrebbe mai creduto possibile.
Cos'è che le sfugge?
«Mi fa piacere che Selene stia riallacciando i rapporti con sua madre, e credo anche con sua sorella... non ho ben capito la dinamica, in realtà, ma tutto è bene quel che finisce bene!»
Gioisce Archer, stiracchiandosi le braccia subito dopo aver richiuso la porta della propria camera d'hotel.
Getta un'occhiata alla serratura, come per accertarsi che sia chiusa quanto basta a tenere il gelo esterno relegato, per l'appunto, all'esterno.
La barriera di Highest City, in realtà, non ha mai concesso ai suoi abitanti il lusso di un caldo scottante o di un freddo glaciale, ammesso possa definirsi lusso, poiché il clima è prevalentemente mite. Ma non quanto si potrebbe pensare.
Così come le carnagioni, solitamente pallide a causa dei troppi raggi solari che la barriera non lascia oltrepassare.
L'autunno risulta particolarmente freddo, gli alberi facenti parte delle zone urbane spogli, esclusa la flora del Bosco della Crisalide Piangente, e le foglie che scorrazzano ovunque decorando Highest City generalmente rossicce, sul mattone.
Un autunno decisamente apprezzabile, sembrerebbe, ma in inverno nulla sembra mutare. Ed è ciò che logora gli abitanti, spingendoli a preferire massivamente l'estate.
Le temperature autunnali, sufficientemente basse, finiscono con il promulgarsi, senza tuttavia variare affatto, per l'intero inverno che risulta dunque non così gelido...
Ma comunque troppo, per chi ci vive.
Archer non è diverso: ama l'inverno, detesta l'autunno che lo strappa al candore estivo, ma finisce con l'adorare ogni singola foglia rossa autunnale, invidiandone il colore ramato che desidera emulare sui suoi capelli, sino a non sopportare più mezzo cappotto dopo sei mesi di freddo invariato.
Attende l'estate, anche per assumere una parvenza di colore, ma detesta il polline primaverile. Soffre e teme il raffreddore a tal punto da poter tollerare un demone in città, ma non un influenza.
Si sfila le scarpe senza neppure curvarsi, ma aiutandosi con l'altro piede, per poi gettarsi a capofitto fra le coperte del proprio letto. Lascia che il viso sprofondi lentamente in quel mare di pelucchi e morbidezza, abbandonandosi forse a un silenzio riflessivo, spera l'altro.
Ma purtroppo per Aiden, sia che i piedi gli dolgano che le braccia facciano per implodere, la lingua di Archer non conosce freni inibitori.
In senso figurato, naturalmente.
«Si, ne sono anch'io felice... quella ragazza merita di star bene, e non solo "meglio". Un po' di pace non guasterebbe, ecco.»
Tenta Aiden di concludere e sviare, non fornendo lui un modo per ribattere o romanzare.
Ultimamente lo fa troppo spesso.
Fa per alzarsi, sfuggendo al fetore di sudore che l'altro emana dal letto di fianco, e procede a spogliarsi della gigantesca felpa rossa che ha indosso e della tuta nera, pesante solo a causa del clima.
Ma loro, ad allenamento "intensivo" concluso, o così lo definisce "quella scalmanata di Victoria", percepiscono una temperatura decisamente più elevata.
«Secondo te Selene reggerà questa nuova... tregua? Conoscendola questa pace sarà solo momentanea.» Archer riemerge dalle coperte fra le quali sprofondava poc'anzi, voltandosi e ponendosi a gambe incrociate, seduto, in una manciata di secondi decisamente breve.
«Smettila di fare gossip su Selene e vatti a lavare. Puzzi di manzo stagionato.» Gli lancia contro la propria felpa, anch'essa sudata, che lo colpisce in pieno volto.
In realtà l'amico tenta di coprirsi, con le mani, ma fallisce miseramente.
«Viene da chiedersi se il fallimento non fosse premeditato, a questo punto.» Curva l'angolo delle labbra, Aiden, ma l'altro sembra non comprendere la frecciatina.
Ciò lo costringe a trattenere una risatina, voltandosi per afferrare dall'armadio sulla destra, accanto la porta del bagno, un pantaloncino.
Lascia cadere la propria tuta, ponendosi di spalle rispetto ad Archer; rimane in boxer, e null'altro. L'altro apprezzerà.
«Tu puzzi di manzo stagionato, semmai! E cosa mi lanci la felpa sudata, diamine... che schifo.» Borbotta Archer, arricciando il naso e gettando la felpa dell'amico a terra; la tiene con la punta dei polpastrelli.
«E comunque non mi hai risposto! E...» Riprende. «Si può sapere perché continui a darmi le spalle e sei seminudo? So che a furia di allenarti, sia le tue gambe che la tua schiena stanno migliorando, e so anche che sono indubbiamente più belle delle mie, ma ora potresti girarti?» Sospira, infastidito dalla poca voglia dell'amico di spettegolare.
In fondo cosa c'è di male.
Trova solo necessario essere informato sulle vicissitudini altrui, è... semplice curiosità.
«Perché? Vuoi verificare se anche visto da davanti sono un "manzo stagionato"?» Sorride Aiden, continuando tuttavia a dargli le spalle. Oh, eccolo!
Il pantaloncino verde, finisce sempre in fondo all'armadio.
«Sei insopportabile.» Borbotta Archer, che facendo per alzarsi lascia trasparire una nota di sforzo nella voce.
«Perché so di essere un gran manzo stagionato o perché non mi va di spettegolare sulla ragazza più...» Aiden si volta, sfoggiante di un curioso sorriso, ma s'interrompe ritrovandosi il viso di Archer a pochi centimetri di distanza.
L'altro curva l'angolo delle labbra, lentamente.
«Più... cosa?» Il sorriso percepibile persino nella voce del giovane, divertito.
«Più... più-» Balbetta Aiden, osservando l'altro in evidente difficoltà. Gli scruta gli occhi, tentando di sfuggirvi.
«Si?» Archer aggrotta lievemente la fronte, ponendosi a braccia conserte.
«Più i-intrigante! Ora poss- vado a lavarmi.» Alza di scatto il braccio, come a sventolargli in faccia il pantaloncino preso dall'armadio. Ciò gli rammenta di essere ancora in mutande, e null'altro.
Arrossisce.
«Vai vai, tranquillo.» Gli sorride Archer, indicando la porta del bagno con un gesto del mento.
L'altro sospira, volgendogli di tutta risposta contro un delicato gesto della mano che prevede ogni dito piegato, eccetto uno.
Il terzo.
«Fa così freddo... cosa?» Crystal riapre gli occhi, che neppure sapeva di aver richiuso, ma...
«Do il benvenuto a tutti i miei sudditi, dato che oggi avranno accesso senza esclusioni alla Grande Corte!»
«Quella voce... è la mia.» La giovane deglutisce e d'un tratto avverte le tempie dolerle, pulsare freneticamente, come se la mente stesse temporeggiando nell'attesa di scegliere se implodere o esplodere.
Un dolore, una pausa, un applauso.
La folla esulta.
Probabilmente per la sua morte.
L'attendono così tanto, la sognano a dir poco, che le hanno persino fatto passare la voglia di morire.
Non intende dar loro alcuna soddisfazione, non più.
"Hanno persino allestito la sala."
«Siamo qui riuniti per celebrare, ancora una volta, il ricordo dei nostri amatissimi e compianti sovrani, ma non con un altro corteo funebre o con un nuovo monumento, affatto...» Sospira divertita, a tratti eccitata, sua Maestà, guardandosi attorno con aria raggiante.
Scende persino dai gradini che innalzano il suo trono, elevandola a uno status superiore.
«Oggi, finalmente, la dipartita che anche a distanza di tempo ancora ci affligge il cuore, che mi addolora personalmente l'animo e incupisce le giornate... quel terribile incubo che irrompe costantemente nei miei sogni felici, troverà pace com'è giusto che sia, perché troverà giustizia. Troverà vendetta!»
Erge le braccia a mezz'aria aizzando la platea, con il petto gonfio e dall'aria solenne.
Il boato, vorace, della sala, come affamata, percuote e fende l'aria facendo pentire la giovane Crystal di avere ancora un perfetto udito; Aurelia avrebbe dovuto colpirle più forte le orecchie.
«E tu sei l'incubo che irrompe nei miei, di sogni.» Borbotta d'istinto, sottovoce, arricciando il naso e perdendosi nella baraonda della sala.
Inizia a pentirsi anche di aver accettato, qualsiasi cosa abbia accettato, parlando con Lilith.
È stata solo colta alla sprovvista, prendendo decisioni avventate per il poco tempo a disposizione ma con l'occasione di ottenere risposte all'esilio immotivato e scostante che da mesi perdura.
Non comprende neppure più Aurelia, che esce sempre meno e la tortura sempre più sporadicamente... oh, santo cielo, ma perché preoccuparsene. Non è certamente il caso di invertire i ruoli.
C'è sempre una vittima, c'è sempre un carnefice.
«Su, su, contenete l'entusiasmo miei sudditi...» Ride, la regina, applaudendo come per zittire o placare i presenti.
Ci riesce.
«Vedete, lì, inginocchiata fra le stesse catene con le quali ha strangolato mio padre, il nostro precedente Re, c'è quella abominevole creatura che oggi...» Curva l'angolo delle labbra, che per un attimo sembrano emettere un guizzo.
«Avrà ciò che le spetta di diritto.» Trattiene una risata, osservando con i propri occhi quello che per lei non è altro che una macchia rossa nella storia dell'umanità, e nella sua; una sporca nemesi a sua immagine e somiglianza.
«Naturalmente non mi riferisco al trono, ma alla morte.»
Sua Maestà contrae i muscoli facciali e storce il naso con disprezzo, scuotendo impercettibilmente il capo nel pronunciarsi in un'ultima sentenza velenosa.
Odio. Rabbia.
Morte.
Era dunque questa la triade di emozioni che era solita sfoggiare, in passato? Ammesso si parli di sé, ipotizza Crystal.
Continua a osservare quel riflesso rotto di se stessa, dall'abito sgargiante e lo sguardo spento, ma non ci si rivede.
Quella donna non può essere lei.
Né prima, né dopo Aurelia. Né prima, né dopo il rapimento.
Né ancora prima. Molto.
«Io non ho ucciso nessuno!»
Spiazza chiunque. Crystal irrompe nel loro quadro perfetto di giustizia e vendetta ove lei non è altro che un puntino a bordo pagina, deceduto sul nascere.
Un corpo spento e privo di vita.
«È una presa per il culo, cazzo? Sopporto le torture e i ripensamenti di quella donna da mesi senza neppure saperne il perché! Non ho idea di cosa mi attenda, ma per scoprirlo e per scoprire quali siano le mie apparenti origini sono costretta a subire ancora questo schifo! E anche questo, anche ora, tutti voi, tutto questo cazzo di incubo che sembra non finire mai! Si può sapere cos'è che volete da me? Perché? Di cosa mi state accusando, cazzo, io non conosco nessuno di voi! Nessuno!»
Sbraita, grida, stride. Annienta le proprie corde vocali con rabbia a lungo soffocata.
Strappa i freni della propria civiltà, legandoli a un punteruolo sull'orlo di crollare al suolo.
Non ne può più.
Di getto, senza pensarci, si libera del macigno che l'ombra di se stessa sta tentando di affibiarle per sopprimerla.
Ma nessuna inesistente versione di sé può sopprimere quella esistente, l'unica reale, giusto?
Non possono coesistere due versioni diametralmente opposte di una stessa entità, giusto?
Finirebbero con lo scontrarsi, giusto?
Una delle due sopprimerebbe l'altra, giusto?
E una delle due si ritroverebbe soppressa... dunque smetterebbe di esistere.
Giusto.
Intoccabile silenzio; la folla non osa fiatare dinanzi alla collera della giovane.
Ma il sorriso che svanisce sul volto della Regina non presagisce nulla di buono, non per l'altra sé.
"Quella da sopprimere, o quella che sopprime?"
Un soffio che le sfiora la mente.
Per uno e un solo istante il cuore di Crystal sembra mancarle un battito. Si sente... incorporea.
Come se non esistesse e non fosse mai esistita davvero.
Come se l'incubo non sia più sognare, ma esistere.
«Cazzo...» Bisbiglia, deglutendo l'istante successivo.
Ha paura. Teme i propri pensieri, teme la propria realtà, e...
Teme se stessa.
Si guarda attorno, gli occhi di tutti puntati su di sé.
Non ha mentito, lei non li conosce. Non ammette la loro compassione, ammesso ne abbiano, e non ne ha bisogno.
Non ha la benché minima idea di chi siano, ma loro sanno chi è lei.
E lei, forse, sa chi è la loro regina.
È tutto sbagliato, capovolto, controverso, inesatto.
Confuso. Terrificante.
Distorto.
Lei non è questa donna.
È solo una giovane studentessa a cui è accaduto qualcosa di terrificante, qualcosa che l'ha condotta a non ricordare più neppure la propria infanzia. A non rammentare nulla sino al primo giorno di scuola, a dire il vero.
Ma lei non conosce Lilith. Non conosce alcun passato tanto lontano.
Quella non è la sua infanzia, ne è certa.
Questa non è la sua gente, ne è certa.
Lei non ha ucciso nessuno.
«Quanta barbarie, sei certamente priva di tatto e qualsivoglia forma di educazione, oltre che eleganza. Sei decisamente impresentabile.»
Spezza, sua Maestà, il silenzio dilagato nella sala poc'anzi, esterrefatta dalla volgarità o forse dalle incongruenti parole della giovane.
O dal modo in cui queste siano state esposte.
«È così stancante, sai? Inizi ad essere snervante, oltre che ripetitiva.» Crystal, la regina, avanza verso l'altra versione di sé.
Si ferma forse a un metro di distanza, e solo ora la giovane nota quante pietre preziose tempestino il sottile diadema che fronteggia parte della sua chioma raccolta dietro la nuca, in una elegante spirale. Solo due ciocche sul davanti sono li.
Le donano un'espressività, una percezione e un'atmosfera così elegante e fiabesca da risultarle distorta.
Questa donna è tutt'altro che fiabesca e principesca, ne è certa.
«Non credo affatto di meritare un trattamento così ostile da parte tua, considerando che ti trovi alla Grande Corte del Regno delle Alpi perché accusata di averne sterminato i precedenti regnanti, non trovi?»
«Io avrei... cosa?» Sibila, all'altra sé, senza neppure rendersene conto. È incosciente, forse, o ciò che le sta accadendo è semplicemente troppo surreale per riuscire a reagire con lucidità.
Persino in un mondo in cui esiste la magia, in cui esistono demoni e chissà cos'altro, le risulta impossibile credere alle parole che un'altra Crystal le sta bruscamente scagliando contro.
Lei. Non. Ha. Ucciso. Nessuno.
Lei non li conosce.
Quante altre volte deve ripeterlo?
Quante altre volte dovrà dire a se stessa, una sé completamente opposta, di non credere alle sue parole?
Sua Maestà eleva gli occhi al cielo, sospirando dopo aver gonfiato il petto, e si volta altrove, in una direzione alle sue spalle, una direzione come un'altra.
Crystal non guarda con lei, non segue il suo sguardo, non gliene importa.
Qualsiasi cosa sia non la turba e non potrebbe sconvolgerla ulteriormente; la testa sta per imploderle, o forse esploderle, ma non saprebbe stabilirlo.
Un insieme di voci, cori e ricordi, la devasta. È incapace di reagire e non le importa di ciò che chiunque potrebbe dirle.
Lei non ne può più, non ci riesce.
Prima un solo nemico e un solo dolore, Aurelia.
Ora c'è anche se stessa.
È come se, sogno dopo sogno, la testa le venga trivellata e aperta per inserire nuove parvenze di ricordi, così da richiuderla come se nulla fosse.
Ricordi che, al momento, non avverte come suoi. Non riesce ancora neppure a identificarli e riconoscerli, a visualizzarli nitidamente davanti a sé.
Sono solo confusi, sbiaditi, ma non comprende come ciò sia possibile.
Deve aver sbattuto la testa troppo forte.
C'è una cosa che ha notato, però.
Corruga la fronte, realizzandolo forse davvero solo in questo esatto momento: i frammenti di ricordi che le stanno lentamente riempiendo i polverosi cassetti della mente, non sono esattamente ciò accade nei sogni.
Per qualche motivo, ne è certa.
Potrebbero avere a che fare con ciò che questa presunta regina le sta blaterando contro, che potrebbe corrispondere al vero come no. Ma i sogni che sta facendo, e ormai ne è più che sicura, non sono veri e propri frammenti di memoria...
Ciò che sta vivendo, non è accaduto davvero.
I sogni non coincidono davvero con la realtà.
Sono una via traversa, tuttavia, un condotto astratto e rischioso che può però condurla a rammentare.
A ricordare come siano davvero andate le cose.
E potrebbero perfino essere quelle che le vengono narrate, ipotizza fra sé e sé sperando che l'altra Crystal non possa anche leggerle nella mente, o qualcosa del genere, ma se così fosse...
Se ciò di cui la regina la sta accusando corrisponde al vero significherebbe che sì, lei si è macchiata di uno o più crimini, significherebbe che ha davvero commesso un peccato che neppure rammenta, ma...
Significherebbe anche che non è mai stata punita.
Perché se quella donna, colei che siede sul trono con un lutto sul proprio capo, è davvero Crystal, se è lei... in che modo avrebbe potuto accusare se stessa di un crimine?
Sbraitare, imputare, imprigionare.
Realizzare cortei e banchetti, cerimonie in onore dei caduti.
Ordinare alle guardie di trascinarla via e aizzare un rogo.
No, non avrebbe potuto.
E no, non lo avrebbe fatto.
Se la Crystal che ha davanti è davvero sé stessa, e "se stessa" era davvero così come ora appare, ne è certa.
Basta guardarla: questa donna avida e sprezzante non avrebbe mai confessato il proprio crimine.
Non avrebbe mai confessato di aver eliminato i suoi stessi genitori per usurpare il trono.
D'altronde, com'è che ha detto?
"Avrà ciò che le spetta di diritto, e non mi riferisco al trono."
«Stava parlando di se stessa in terza persona... era ciò che lei, che io, volevo. Il movente dell'omicidio.» Bisbiglia inconsapevolmente, sgranando rapidamente gli occhi.
Un'immagine astratta le si para dinanzi, divenendo forse, a poco a poco, sempre più concreta.
È sempre stata lì, la verità; davanti ai suoi occhi.
Era solo stata nascosta, stupidamente celata.
Un peso sul petto si fa consistente, come un'enorme macchia in espansione. Crystal, ancora inerme al suolo, ignora la squillante voce della donna che la richiama in eco, più e più volte.
Forse furente, perché... come osa sfuggire alla propria condanna, no?
Ma a lei non importa, non riesce semplicemente a importarsene.
Riesce solo a devastarsene.
Il mondo le vortica pericolosamente attorno.
La testa diviene pesante, sempre di più, ancora e ancora, ma il suo corpo non riesce a sostenerla; né la testa, né la macchia.
La roccia sul petto, una lama sul capo.
Una goccia rossa sulla coscienza, un crimine, un peccato.
Un omicidio.
È stata lei.
È tutto vero.
Sente di poterle credere, di potersi fidare di se stessa, della sé che non lascerebbe un crimine impunito purché la persona punita non sia lei.
Ma ora il suo peccato riemerge, nonostante il tempo sia trascorso, nonostante si credesse innocente sino all'istante precedente, nonostante lei se ne sia persino dimenticata.
Nonostante abbia dimenticato anche il volto delle sue vittime.
Dei suoi veri genitori.
Anche se, di questo, non è ancora del tutto certa.
Se quest'epoca è all'incirca medievale, storicamente parlando, come Highest City differisca in usi, costumi e, soprattutto, in tecnologia è assolutamente sbalorditivo.
Dovrebbe essere passato un millennio.
No, stando ai libri di storia... anche più, circa 1500 anni.
Circa 1500 anni dalla Grande Guerra che ha causato l'estinzione di gran parte dell'umanità.
Sono sufficienti per un tale progresso? O per poter sopravvivere all'interno di una barriera?
Non ha alcun senso.
Come faceva ad essere già in vita?
No, domanda errata.
Come fa ad esserlo, ora? Si tratta di reincarnazione?
«Cazzo, cazzo, cazzo!» Sbraita di getto, urlandolo.
Una risata nervosa libra dalle labbra di Crystal che, come in preda a una crisi isterica, si getta al suolo, dimenandosi e a tratti ruotando, ridendo e stridendo sempre più forte.
Avverte il corpo formicolare, ovunque, e non appena le guardie ricevono l'ordine di immobilizzare "quella bestia", i suoi spasmi sembrano cessare.
Rialza lentamente il capo, sorridendo loro.
La regina corruga la fronte, indietreggiando di un passo. L'intera corte sembra imitarla, abbracciando il suo disgusto e la sua repulsione nei confronti di una creatura abominevole.
È terrificante.
È l'agghiacciante sorriso di una giovane omicida, nulla di più.
Persino le guardie scattano indietro, di un passo o forse due, trattenendo le mani sull'elsa delle spade che pendono dalle loro cinture.
Le dita non smettono di formicolarle e Crystal avverte l'aria come asfissiante, come se persino l'ossigeno abbia smesso di sostenere un omicida immeritevole di compassione.
Nella sua mente delle immagini divengono nitide e poi sbiadite, e colorate, forse troppo, troppo accese. Ma poi desaturate.
Il sangue le ribolle sotto pelle.
Ecco cos'era, quella sensazione.
Anche se su di un suolo ghiacciato, la pelle le brucia.
È calore.
È consapevolezza.
E nessuna stima di amore sembra volerle donare una forma di calore differente, un calore meno freddo del rimorso.
Ma poi, la curva che le bagna le labbra s'incurva al contrario.
E poi si appiattisce.
Perché i suoi occhi incrociano qualcuno che non ha indosso alcun diadema o corona, ma solo un lungo abito rosso, elegante oltremodo, ma privo di decorazioni. Eccetto lo stemma, quello che ha già intravisto sugli stendardi e non solo, impresso su di un ciondolo penzolante dal collo.
E la sua mente realizza, comprende.
Comprende tutto, o forse no, ma se ne fa un'idea.
Una così remota, omonima e detestabile da non volerla neppure analizzare davvero.
Tenta di non pensarci, di non vagliare alcuna ipotesi.
Se vi è la benché minima possibilità che qualcuno, qui, possa leggerle i pensieri, o forse sta soltanto perdendo il lume della ragione, non deve esserne in grado. Non può farlo.
Custodirà questo sentore, questa ipotesi, nei ripostigli più reconditi del proprio cuore.
Ma di una cosa è certa.
Ora sa perché Sua Maestà si era voltata: sa chi stava chiamando.
E sa che tutto, in un modo o nell'altro, sembri riguardare lei.
È un cerchio che si richiude, e se a una estremità vi è lei, Crystal, all'altra non può che esservi...
«Se hai terminato con le tue azioni... incresciose, se così si posson definire le piroette di pochi istanti fa, lascerei parlare la mia più fidata consigliera.» Si prende un istante, breve, per scostare il proprio sguardo su chi ha accanto.
«Prego, procedi pure, Aurelia.»
La regina fa cenno con il capo alla donna che la affianca, invitandola a prendere parola, e la bionda, la cui chioma è raccolta in un elegante chignon alto, non perde l'occasione di sorridere cordialmente. Forse non così spontaneamente.
Fra le due sembra esservi intesa.
Aurelia si schiarisce la voce, tossendo, così da porgere le proprie attenzioni su di una pergamena già srotolata fra le sue mani; Crystal scorge di sfuggita come lei abbia indosso, attorno all'anulare, uno smeraldo incastonato in un anello dorato, che con grazia risalta fra piccole facce di luce e prisma iridescenti, giocando con le luci del palazzo.
Aurelia non guarda neppure l'imputata.
Ma lei avverte ancora quel formicolio.
Quella tensione.
Quel brivido lungo la spina dorsale.
Quel vuoto e quell'immensità oscura che assocerebbe solo all'ignoto, al di fuori della barriera di Highest City.
Al di fuori di tutto ciò che conosce e ha visto, sin da piccola, sebbene non riesca più a rammentare la propria infanzia o i propri genitori.
È davvero tutto reale?
Lei, che è solo una giovane studentessa che del mondo conosce alcunché, può davvero aver commesso un crimine di tale portata, a distanza di così tanti anni?
Può davvero aver guidato un Regno intero, che adesso sembra tormentarla e disprezzarla, riemergendo dal fondo del passato?
Può davvero star per udire una sentenza regale emanata da se stessa, con la complicità della stessa donna di cui è prigioniera nell'altro mondo, quello che dovrebbe essere il reale?
A quanto pare si. Ma Aurelia non la guarda neppure.
La odia con ogni briciolo di ragione che stima di avere.
Persino qui dev'essere. Persino nel medioevo le ronzava attorno.
E ciò, forse, spiega molte cose.
«La Grande Corte del Regno delle Alpi, con la massima autorità conferitaci e volontà di giustizia, sotto la giurisdizione e autorizzazione di Sua Maestà Crystal in persona, vede oggi il popolo riunito per smettere di compiangere i nostri amati precedenti regnanti, genitori della grandiosa...» Aurelia si volta sulla Regina al suo fianco, sorridendole e stendendo un braccio nella sua direzione, come a volerla presentare in gran elogio, ma l'altra non sembra... apprezzare.
«Non serve, sanno già tutti chi sono. Annuncia il resto, forza.» La interrompe, sua Maestà, facendo nuovamente cenno con il capo di procedere con la lettura.
D'altronde non vede perché attendere.
Dunque, Aurelia esegue.
Procede con la lettura e le sillabe e le virgole e le pause e le parole che compongono ogni frase, impressa sulla pergamena che fra le mani stringe, giungono alla giovane Crystal come lame aguzze e punteruoli in avvicinamento; freccette poco prima dell'impatto con il bersaglio. Ma sbiadite.
Persino la voce della donna viene recepita a tratti, in tardivo eco dapprima ovattato e poi chiaro. Ma mai abbastanza.
È come se fosse sotto anestesia.
Non riesce a credere a nulla di ciò che la sua mente tenta di analizzare e recepire. Niente.
Ricordare avrebbe dovuto colmarla, riempirla.
Ma lei, invece, si sente sempre più svuotata.
«Sua Maestà Crystal approva ciò che la Grande Corte del regno ha deciso.» Aurelia giunge al primo punto, che è anche l'ultimo.
La giovane, nonostante non riesca a smettere di tremare e guardare punti ciechi, con sguardo assente e labbra lievemente schiuse, ascolta.
I pochi versi confusi che la sua mente riesce a processare vengono messi insieme, formando frasi d'apparente senso compiuto.
A quanto pare solo lei le trova prive di significato.
«La giovane qui presente è accusata dell'omicidio di almeno cinque guardie reali, del premeditato omicidio del suo stesso padre, il Re Atlas, attraverso le catene che solitamente son destinate ai condannati privi di speranza e futuro, che ha difatto utilizzato proprio per condannare il Re ai suoi ultimi istanti di vita...» Il tono sprezzante e i muscoli del viso contratti conducono Aurelia a degnare Crystal di un'occhiata rapida, fugace, velenosa.
L'altra la recepisce, ma il suo odio non può scalfirla.
E non può minacciare il proprio, che è sufficiente per entrambe.
«Ha inoltre, perdonatemi, è inoltre accusata di aver avvelenato sua madre, la nostra compianta Regina...» Il tono improvvisamente tirato, rammaricato, della donna fa incespicare mentalmente Sua Maestà.
O forse il termine corretto è imprecare, visto il suo pesante ma puntuale sospiro.
Aurelia le getta un'occhiata, notandola volgere gli occhi al soffitto. «Chiaramente è solo p-per l'affetto che legava ognuno di noi alla dolcissima Idris, Maestà, non volevo intendere che voi siate solo un rimpiazzo- Crystal, la Regina, si volta lentamente con lo sguardo giudizioso puntato su Aurelia, che quasi emette un grido, e la fronte corrugata ma gli occhi sbarrati- per tutti gli elmetti reali, no, Maestà, voi siete estremamente preziosa e speciale per questo popolo che da sempre vi ammira, vi adora e protegge, e...»
«Santo Cielo Aurelia, vuoi sbrigarti una volta e per tutte?!» La voce della Regina fa rizzare qualche pelo di troppo sulla nuca dei presenti, compresa l'altra sé. Non riesce a leggere le proprie emozioni con chiarezza, al momento.
È in una stasi d'allerta e timore e completa assenza totale.
Ma non la sua assenza di caos, non lui.
"Già, com'è che si chiamava, lui?"
«Leggi quella dannata pergamena e condanna quella bestia al rogo! Non ne posso più di compiangere, ricordare e dispiacermi per quei poveri caduti, vendichiamoci e basta!» Sbraita, sua Maestà, che innalza le braccia al cielo come per innalzare la folla.
Forse spera che le loro grida nascondano il suo totale menefreghismo. Ha finto già fin troppo con le due lacrime versate durante la cerimonia funeraria.
«Si Maestà, chiedo perdono. Dicevo- si schiarisce la voce, Aurelia, tornando con lo sguardo fisso sulla propria pergamena ingiallita- che l'accusata, inoltre, è considerata peccatrice e traditrice per il suo alto tradimento nei confronti del Re di Camelot, Arthur Pendragon, e dell'intera stirpe umana.»
La bionda lascia che la pergamena le scivoli via, abbandonando le sue dita per un più o meno gelido pavimento.
Degna nuovamente di attenzioni Crystal, quella reale o quella inesistente? La scruta, emettendo un sospiro divertito.
Le labbra di Aurelia s'incurvano verso l'alto, prima di emettere l'ultima sentenza.
Quella che non ha bisogno di leggere.
Quella che non v'è più bisogno di nascondere.
Quella che, lentamente, Crystal incominciava ad intuire.
A sospettare, forse, o a rammentare?
D'altronde lei è colpevole.
È tutto vero. Forse inizia a ricordare.
O forse no, solo a crederci, a convincersene.
Spera nella seconda, ma crede nella prima.
«Per ultimo, ricollegandoci proprio all'ultimo punto, sei colpevole di esserti schierata dalla parte dei demoni, tradendo quindi la razza umana e non fornendo alcun aiuto al Regno di Camelot, caduto a causa tua.» Il silenzio dilaga nella sala, tutti sembrano sconcertati, e la Regina... beh, torna sul proprio trono.
Soddisfatta. Ha vinto.
«Sei colpevole di aver dato inizio alla Grande Guerra fra esseri umani e demoni, appoggiando il Re Adam piuttosto che Arthur Pendragon. Pertanto, con il potere conferitomi da Sua Maestà Crystal... ti condanno a morte.»
Un fischio nell'orecchio.
Un boato assordante.
Un capovolgimento delle due parti.
Qualcosa si rompe, si spezza; è il sottile equilibrio di un omicida che non rammenta più di esserlo.
E Crystal, nonostante le catene e le guardie, che le si avvinghiano subito contro, non accenna a trattenersi.
Corre contro Aurelia e le salta addosso... sferrandole un destro dopo l'altro.
Sua Maestà non interviene, non abbandona il proprio caldo posto a sedere, ma conduce istintivamente una mano alle labbra con fare esterrefatto.
«L-lasciami stare, scollati immediatamente!»
La voce di Aurelia fuoriesce quasi strozzata, con l'altra che continua a strattonarle il vestito e tirarle i capelli con rabbia.
Forse crede sia una bambola incapace di provare dolore, o forse spera che ne provi il più possibile.
«Mi fai male, smettila subito!»
«Male dici? Non sarà mai abbastanza, sei soltanto una bugiarda, una schifosa stronza del cazzo!» Le sferra un pugno, tenendole ancora i capelli fra le dita dell'altra mano.
Non riescono ad allontanarle, a sollevarla, e neppure le catene riescono a tenerla a bada.
Sembra indemoniata, ma è soltanto collera.
«Santo Cielo che spettacolo inorridibile.» Fa spallucce Crystal, la Regina, commentando la scena con le mani ancora vicine al proprio volto. Deve nascondere un velato sorriso.
La folla inizia ad alzare la voce, fra mormorii che divengono baccano e risate che diventano grida.
«Sei soltanto una bugiarda, una bugiarda! Tu mi conosci, mi conosci eccome, non la vedi la tua amatissima regina del cazzo, non vedi quanto mi somiglia o sei anche diventata cieca!?» Sbraita, la giovane, con le gote arrossate e le corde vocali dolenti.
Gli occhi le divengono appena lucidi, riflettendo mille luci e contrasti, ma i capelli bluastri continuano a filtrarne una gran parte mentre ondeggiano fra Aurelia e il pavimento su cui è distesa.
«Non so... di cosa tu... stia parlando!» La bionda corruga la fronte e socchiude un occhio, non riuscendo a scostarsi dalla dolente presa dell'altra.
Crystal le si pone sempre più a cavalcioni, ancorandosi a lei nella speranza che nessuna fra le guardie alle sue spalle riesca ad allontanarle... ma queste ultime iniziano a colpire la giovane, sulla schiena, utilizzando le spade ancora richiuse nella propria custodia come fossero bastoni di legno.
«Cos'è lei, eh? Una sorella? Una vita passata? Una sosia, cazzo, non ne ho idea! Perché tu, ovviamente, non mi hai detto niente, assolutamente niente!» Le sue grida divengono sempre più stridule e sottili, ma le sue parole destano curiosità in Sua Maestà.
«Pensavi forse di potermi togliere i poteri o qualcosa del genere, ma poi hai scoperto di non poter per chissà quale motivo? Per questo continui a tenermi prigioniera nell'altro mondo, in quello... "reale", cazzo?» Una risata nervosa le abbandona le labbra, che sembrano tremare.
«Ti sei infiltrata nei miei sogni e stai cercando di scoprire qualcosa che neppure io so, hai dato tu inizio a tutto ciò? Sapevi di Lilith? Sapevi ogni cazzo di cosa sin dall'inizio, da quando ti ho conosciuta come mia preside?!»
L'eco della sua voce si espande, rimbalzando fra le mura e le vetrate e gli stendardi del castello.
Ma la sua prima lacrima, invece, si lascia andare al vuoto del silenzio.
Lascia il suo volto per approdare su quello di Aurelia, e scivolare.
Scivolare, lentamente, dalla penombra alla notte più assoluta.
Dalla disperazione all'apatia.
Dal gelo di un regno ghiacciato, a una semplice parete un po' umida.
Da catene assai gelide, abbastanza da lacerare la pelle, a quella che ora le sembra solo semplice freschezza.
Le catene anti-gelo, fredde solo a causa dell'umidità e del materiale.
Nient'altro.
Una prigionia vuota, lenta, dolente e straziante.
Ma ora, forse, il suo metro di giudizio è differito.
Ora, forse, Aurelia le sembra il male minore.
Se stessa la supera, di gran lunga.
E le lacrime, che continuano a inumidirle le ciglia, ne sono la prova.
La prova che era tutto reale.
L'incubo è terminato.
Crystal è di nuovo tornata alla realtà.
Ma ora ha inizio il vero incubo.
Vivere.
Una lama costantemente sul capo.
«Oh, sei vestito.»
Incurva le sopracciglia, Aiden, uscendo dal bagno del quale l'altro intravede lo specchio opacizzato, appannato; si conduce una mano fra i capelli, aranciati e spettinati come suo solito, per condurli alla nuca ben consapevole che non rimarranno tali.
E come previsto, difatti, dopo pochi istanti ecco che le ciocche semidorate tornano sulla fronte, seppur divise in due parti. Sono giorni che ha appreso come dividere i capelli con una scriminatura centrale, e ora non riesce più a liberarsene.
Anche se non gli dispiace come da a vedere; Archer lo ha recentemente udito vantarsi della propria immagine, davanti lo specchio, per circa quindici minuti.
Quindici minuti trascorsi ad apprezzare se stesso, autodefinendosi "principesco" e irresistibile.
Oh, e, ormai indossa soltanto magliette polo.
Proprio come ora.
Per essere... principesco. In teoria.
«Si, deluso?» Sospira, Archer, sistemandosi il cappuccio della felpa bluastra appena indossata; osserva la propria figura in uno specchio verticale che ha accanto al suo letto, pochi centimetri oltre.
«Beh, se lo dici con quel tono fiacco e inacidito no, mi passa persino la delusione.» Si pone lui a braccia conserte.
«Dai, non prendertela. Dovrò uscire a breve, quindi mi sto preparando.» Rilassa le spalle, l'altro, cercando con lo sguardo le proprie scarpe in giro per la stanza. Oh, eccole.
«Uscire?» Corruga la fronte, Aiden. «Vai in accademia, per... chiedere di Crystal? Se vuoi ti accompagno, son già pronto io.»
Indica se stesso, ma con il pollice destro, accennando un sorriso.
«No, grazie. Tralasciando poi che sono un po' di giorni che non vado lì. Ormai è diventato inutile.»
La voce pacata di Archer, che s'inclina appena, travisa un sottinteso velo malinconico e ciò conduce le labbra dell'altro ad appiattirsi.
Per poi reincurvarsi, l'istante successivo; non vuole che Archer si ponga domande e sprofondi ulteriormente.
Troppe volte, troppi notti, lo ha segretamente udito piangere.
È difficile vederlo sgretolarsi, assistere alla sua inesorabile assimilazione, inerme, e sapere di non poter fare assolutamente niente.
Di non poter rimediare in alcun modo a un torto privo di mittente.
Eccetto Aurelia, chiaramente.
Non può mostrarsi avvilito, affatto. Per lui. Perché sa quanto sia facilmente contagiabile, quanto un suo sorriso possa generarne uno altrettanto ampio in lui. E spera sempre che ciò basti.
Anche se nessuno dei due crede più davvero che lei sia viva, e nessun altro osa porgere quesito.
Anche se è come un fantasma, una giovane apparsa in sogno di cui è difficile persino ricordare i connotati.
Una lucciola smarrita nel buio della città rinchiusa in una scatola.
Eppure lei esiste. E ad Archer importa, ancora. Eccome.
«Oh, beh, se non è lì che vai allora immagino tu abbia una tappa ben più entusiasmante in programma, giuuusto?» Aiden gli si avvicina, quasi fiondandoglisi addosso come di consueto, per avvolgergli il collo con il braccio.
Vederlo serrare le palpebre di getto come impaurito, seppur impulsivamente e per un solo istante, lo intenerisce.
Quando si conobbero, nonostante la tenera età, Archer seppe ricucire ogni sua singola ferita. Non sapeva davvero la gravità del suo dolore, il peso che un altro bambino era costretto a tollerare, ma sapeva come renderlo nullo.
Lo alleggeriva, e questo nonostante lui avesse già perso tutto.
Aiden lo comprese, dopo un po'.
Era proprio questo il motivo, il perché lui volesse così tanto risollevare i cocci di un bambino prematuramente frastagliato, uno che neppure conosceva, e il come.
Archer conosceva già la sofferenza del vuoto.
Lo aveva appreso ancora prima di lui. E Aiden, a differenza sua, non ha mai davvero perso qualcuno. Non ha mai pensato di percepire davvero quella solitudine che abbraccia il vuoto, di sentirsi abbandonato.
Fino a quando non ha conosciuto Archer.
Prima, nulla che non somigliasse all'indifferenza.
Non gli ha mai chiesto perché fosse sempre triste, perché sembrasse così perso e solo. Non ha mai preteso di saperlo, eppure ha sempre tentato di colmare quel vuoto.
E ci è sempre riuscito.
Si chiede se lui, Aiden, sia mai stato in grado di ricambiare davvero.
Ogni pianto notturno dell'amico risuona nella sua mente come una cantilena sprezzante.
Come un secco no alla sua domanda.
«Se andare in biblioteca può dirsi entusiasmante... allora, suppongo di si.» Fa spallucce Archer, ricambiando lo sguardo dell'altro solo per un istante.
Aiden si scosta solo ora da lui, ma allontanarsi significa dare all'amico la possibilità di ricambiare, di guardarlo in viso.
«In biblioteca?» Replica con il medesimo tono sorpreso di quando ha appreso che dovesse uscire.
Un'azione insolita per una meta... insolita.
«Si, di solito ci si va per leggere e scoprire cose nuove, per apprendere... sai, credo che frequentare luoghi di cultura di questo tipo farebbe bene anche a te.» Punta un dito contro l'amico, Archer, ribattendo con sarcasmo.
Sa benissimo quanto leggere sia più un hobby di Aiden, che suo. È stata la sua prima compagnia, da piccolo. La lettura.
Ma i fumetti con supereroi invincibili e altruisti sono la specialità di Archer, invece, da sempre.
«Frequentare? Visitare, semmai. Andare in biblioteca dev'essere come scoprire dei reperti archeologici del passato, suppongo.» Emula una riflessione, l'altro, grattandosi il mento. «Io non mi reco mica quotidianamente al museo, non che ci sia granché. Decisamente non un' azione abituale.»
«Già, neanche per me lo è, ma voglio capirci qualcosa e devo passare di lì.» Sospira il giovane amico, rivoltandosi verso lo specchio.
Si spettina i capelli con la mano, immergendo le dita fra le sue ciocche rossastre; in base alla luce, non saprebbe stabilire quanto davvero siano d'un rosso cremisi e quanto d'uno ramato.
«Cos'è che... devi capire?» Aiden corruga la fronte, guardandolo attraverso lo specchio; lui fa altrettanto, ma sottecchi.
Crystal? Si tratta di ciò?
È un bene aver chiesto?
«Tutto, in pratica. A partire da questo.» Archer non si volta, non ancora, ma Aiden osserva dal suo riflesso nello specchio come le iridi dell'amico divengano incandescenti, d'un celeste più puro di qualsiasi altra forma di ghiaccio mai esistita.
Irradiante e istantaneo, fulmineo.
Le sue iridi brillano e in pochi istanti, davvero pochi, fra le sue dita si formano dei piccoli cristalli ricoperti di ghiaccio che rapidamente avanzano, rivestendo parzialmente la mano del giovane in una sorta di corazza di ghiaccio; solo il palmo risulta scoperto, per un istante, ma corazzato in quello successivo.
Archer si volta, guardando stavolta Aiden negli occhi.
«I miei brillano, e anche quelli di Crystal lo facevano. I vostri no. Perché?»
Il giovane boccheggia, balzando con lo sguardo dalla mano dell'altro ai suoi occhi.
Non ne ha la più pallida idea.
Ma lo ha sempre notato, in effetti. Non ci fa, generalmente, caso.
Ma lo ha sempre saputo, lo ha sempre visto.
È sempre stato così.
«Sono già stato in biblioteca, ma da solo, e a quanto pare la capacità di un mago dell'elemento di controllare la propria magia con il pensiero, facendo semplicemente brillare gli occhi, può essere ereditaria, oppure il frutto di una conciliazione perfetta con i propri sentimenti dopo un lungo periodo di instabilità, se non dopo un'intera vita, quindi...»
Inclina il viso a tre quarti, lentamente, agitando la mano in un solo movimento per rimuovere la corazza generata poc'anzi.
«È probabile che sia... ereditaria, nel tuo caso, giusto? Questa "cosa" ce l'hai sin da piccolo, dubito tu abbia conciliato delle emozioni instabili dopo un lungo periodo simile. O almeno credo.»
Anche se non è tutto. Non tutto ciò che i suoi pensieri gli suggeriscono, quantomeno.
Sanno entrambi quanto Archer fosse emotivamente instabile, in tenera età, ma è anche vero che Aiden non ha mentito.
Dubita sul serio che l'amico abbia mai riconciliato quei sentimenti. Tutt'ora.
Li nasconde, li reprime e li accantona. Li gestisce, certo, li tiene a bada, senz'altro, ma fa ancora fatica anche solo a concretizzarli nella propria mente o a dire in giro di essere rimasto orfano.
A scuola nessuno sapeva nulla, e questo anche negli anni passati, poiché lui mentiva, costantemente, persino a se stesso.
Diceva spesso che i suoi genitori lavorassero fino a tardi, o dall'alba, ragion per cui era spesso solo con i vicini, Iris e Arthur. Lo diceva anche a se stesso.
Aiden non sa se abbia mai smesso di farlo.
Ma potrebbe, grazie alla "dimensione" in cui Aurelia lo aveva rinchiuso. Grazie alla sua maledetta prova.
Da quando ha scoperto chi abbia strappato lui l'infanzia e la vita stessa, in tenera età.
Si, forse potrebbe aver metabolizzato qualcosa.
«Lo penso anch'io. Sono nato con questo potere.» Annuisce, Archer, a tratti serioso. «Se così posso definire questa capacità.»
Sospira, riflettendo sotto lo sguardo attento dell'altro. Schiude le labbra, ripescando dai cassetti della propria mente le informazioni acquisite.
«C'era anche scritto che chi è in grado di far brillare i propri occhi non è necessariamente più forte di chi non riesce, ma il suo controllo della magia si, è nettamente superiore.»
Aiden inarca le sopracciglia e inclina lievemente il capo di lato, in una smorfia di stupore delle labbra.
"Mica poco", suggerisce il lieve sorriso che gli increspa le labbra, l'istante successivo.
«Questo perché si diventa tutt'uno con il proprio elemento, per cui sarà più semplice sbloccare i "gradi successivi", in futuro. Ma non dice nulla che possa riguardare nello specifico me e Crystal, almeno nel libro che ho letto io... insomma, possibile Aurelia volesse solo questo! Mi sembra poco.» Sbotta il giovane, frustrato, con le labbra verso il soffitto.
«Beh? Cos'altro volevi, l'immagine di un santuario dedicato a voi? Il potere del teletrasporto, o del volo? Un mantello da eroe?» Sdrammatizza Aiden, pur rimanendo esternamente serio.
Mantiene uno stato pacato e non assottiglia o sminuzza la voce, eppure la sua sottile ironia coglie l'altro.
«Beeeello! Lo voglio!» Sorride Archer, effettuando un piccolo salto sul posto.
«Cosa? Il santuario?» Corruga la fronte, l'altro.
«No, stupido! Il mantello, ovviamente!» Sorride ancora Archer, piegandosi lievemente in avanti per scuotere l'amico.
«Ah, già. Ovviamente.» Sospira Aiden, ponendosi, serioso, a braccia conserte. «Come ho potuto non capirlo al volo.»
«Io però sarei quello stupido.» Borbotta, ancora.
«Cosa?» Chiede l'altro, che nel piegarsi per raccogliere lo zaino, interamente ricoperto da un motivo rossastro a quadri, non ha udito.
«Niente di rilevante. Piuttosto! Ricordi di aver visto questa... capacità, nei tuoi? Sapevano farlo?» Tenta di non osare.
Ma di tastare il terreno.
«Mhh... no, non che io ricordi. Mamma e papà non credo ne fossero in grado, ma ero piccolo e non li ho mai visti in azione come maghi... credo.» Ma non ne è davvero sicuro, poiché ha ricordi confusi della loro magia.
Nella sua memoria, nel suo cuore, ha preservato altro di loro.
Eppure devono averla sfoggiata, anche quotidianamente, anche per un uso completamente innocuo.
Devono averlo fatto.
Ne ha il sentore, la sensazione che sia così.
Ma non il ricordo, apparentemente.
Gli hanno sicuramente trasmesso amore per il mondo esterno e per i quattro affascinanti elementi, eppure... no, forse era semplicemente troppo piccolo.
Non ricorda nulla.
«Ok, tranquillo, potresti semplicemente non ricordare ma magari è così. O forse si tratta dei loro genitori, i tuoi nonni, anche se tu sai poco e niente di loro. Quello che è certo è che tu ne sei in grado e non è di certo un crimine, né tantomeno una giustificazione a ciò che Aurelia ha provato a farti, o...»
Vaga con lo sguardo altrove, trascinando con sé l'ultima vocale pronunciata per qualche altro secondo.
No, non sa come sviare il discorso senza menzionare anche Crystal.
"Decisamente fottuto."
«Si, lo so... e in effetti non è tutto.»
«Eh?» Si volta di scatto, Aiden.
A cosa fa riferimento? Lo aveva tagliato fuori o si è semplicemente tenuto tutto dentro, ancora?
«Quando Crystal era ubriaca, alla festa in piscina intendo-»
«Io ricordo fossi tu quello ubriaco, per il kaboom.»
«Fa lo stesso! Mi disse che aveva come dei vuoti, dei ricordi che non possedeva più. Non... riusciva più a ricordare bene la propria infanzia, inizialmente, e poi neppure un singolo giorno precedente alla scuola di magia. Voleva che io la aiutassi perché sentiva di potersi fidare e anche che... fossi coinvolto. Con lei, e con Aurelia.» La voce gli trema, lievemente.
Una crepa nello specchio perfetto, nella perfetta facciata d'indifferenza che da mesi sfoggia.
«Lei ha detto che... cazzo, ne sei sicuro?» Si avvicina Aiden, stringendo l'avambraccio dell'amico con la mano.
«Certo che lo sono, non ero poi così ubriaco.»
«No, non pensavo che... cazzo, Archer, perché non mi hai detto niente? E i militari? Ti interrogarono quella sera, giusto?» Si allontana di un passo il giovane, come per prendere aria e riflettere.
Corruga solo lievemente la fronte ma serra la mandibola; è solito farlo quando è naufrago dei propri pensieri.
«Non ho detto nulla. Non mi avrebbero creduto, o... forse ci avrebbero considerati suoi alleati, o qualcosa del genere. Ho pensato fosse meglio non dire nulla.» Scuote il capo, negando ogni possibile scenario gli vortichi per la mente.
«Se stai per dirmi che potrebbero accusarmi di falsa testimonianza o-»
«Hai fatto bene, non avrebbero comunque modo di saperlo.» Lo interrompe Aiden. «È giusto così, avrei solo voluto... esserci.»
Accenna a un sorriso, ignorando i propri occhi lucidi.
«Ehi, è tutto ok.» Sospira Archer, incurvando l'angolo delle labbra e avvicinandosi all'altro.
Ma l'amico, di tutta risposta, precede le sue intenzioni.
E lo avvolge fra le proprie braccia, tirandolo a sé.
«Se vuoi, io ci sono, ora.»
«Beh, in realtà... qualche giorno fa ho chiesto a...»
«Stella, allora io escoo!» Ruota la chiave nella serratura, Selene, e in un solo passo le lucide mattonelle della propria camera d'hotel vengono sostituite dalla moquette in morbida lana del corridoio. Persino con le scarpe dalla doppia suola è evidente il distacco.
«Va benee! A dopo, salutami Melissa!» Squittisce l'altra, stridula, sotto il bollente getto d'acqua della doccia.
Selene trattiene a stento una risata soffocata, richiudendosi la porta alle spalle. Pensava di essere stata chiara quando le ha spiegato di non dover più andare da Melissa, ma che sarebbe uscita con Archer.
E dopo neppure un paio di passi, un suono.
Quella maledetta notifica.
Sospira.
A chi sta mentendo davvero, quando dice di poterla gestire?
Quando dice di averla perdonata?
No, cazzo. Non lo ha fatto. Non lo farà mai.
Come potrebbe?
Estrae il telefono dalla tasca, consapevole di non volersi rovinare l'umore ma estremamente incapace di dar retta alla propria volontà.
Lo schermo si accende, schiarendole lievemente il volto e l'eye-liner nero che le affila l'occhio.
Due messaggi. Melissa.
Pigia sulle notifiche.
"Non vieni proprio più? Neanche più tardi?
"Fai sempre così, avevo cucinato già per te. Anche stavolta..."
Le labbra sondano un tremolio, e Selene rigetta nella tasca destra dei jeans il telefono senza neppure spegnere il display.
Lo farà da sé.
Può rispondere alle sue chiamate, ci riesce.
Ma pranzarci, insieme? Tornare in quella casa, oltretutto.
Rivivere tutto, ogni singola emozione.
«Non potete chiedermi così tanto, basta, per favore...» Bisbiglia, biascica, tentando di rigettare all'istante le proprie lacrime.
La porta della stanza di Archer e Aiden è lì davanti, a due passi da sé. Deve solo bussare, ed evitare che alcuno la oda dire alcunché.
O piangere.
Serra i denti e avverte la propria vista appannarsi, declinare nel fondo più oscuro dei suoi ricordi.
«Pranzare insieme, eh.» Sbotta, sottovoce, contro se stessa e contro il mondo; ora non più le labbra, ma anche la sua voce emette un tremolio.
«Come se fosse facile, stronza.»
Non lo è. Per nulla.
Non quando il solo pensiero di mangiare qualsiasi cosa possa averle preparato, insieme, viene sostituito da uno in cui Melissa la colpisce in pieno viso con il mestolo, ancora bollente.
Lo stesso che aveva utilizzato qualche istante prima per prepararle il delizioso cibo che la spronava a ingerire, e in fretta.
Aveva da studiare, recuperare.
Formarsi ed eccellere, naturalmente.
Lo faceva per lei, naturalmente.
Non rammenta neppure più se fosse questo il motivo, ma rammenta il dolore della scottatura, le urla protettive di suo padre e il delicato tocco di Emma nel distenderle una fresca pomata anti scottatura.
Una di quelle cose che allevia le sofferenze, sostituendo il dolore con il piacere.
«Una di quelle che ti illude di star bene, mentre il mondo ti fotte.» Tossisce, schiarendosi la voce.
Rigetta indietro le lacrime.
Soffoca la propria rabbia, reprime tutto.
Poi ode del frastuono, dietro quella porta alla quale finalmente si avvicina. Delle voci ovattate in apparente scontro fra loro.
«Quindi è così che stanno le cose, eh?! Hai deciso di lasciare il tuo dolce, premuroso, amorevole e compassionevole migliore amico all'oscuro, di gettarlo negli inferi di una terra desolata per... per... per girovagare in biblioteca con una ragazza molto...»
«Molto?» Archer innalza le sopracciglia, lo incalza, accennando una curva all'angolo delle labbra che Selene non può naturalmente scorgere.
«P-per una disinteressata donzella tuttavia coinvolta, più o meno, con il tuo dolce, premuroso, amorevole e compassionevole migliore amico! Riesci a immaginare come mi sento?!» Indica se stesso con fare teatrale, Aiden, un solo istante prima di coprirsi la fronte con l'altra mano, fingendo scotti.
«Hai persino imparato a memoria l'ordine dei tuoi... super pregi da migliore amico?» Divarica le braccia, Archer, ormai non realmente incredulo.
«Cosa ne è della nostra amicizia?! Potevi parlarmi anche prima di questo "alto tradimento", o forse non ne hai avuto il coraggio, eh? Perché non parli!» Gli punta l'indice contro, Aiden.
«In verità io-»
«Ecco, è meglio se non parli!»
Gonfia il petto, interrompendo l'altro con fare increscioso.
«Traditore.» Borbotta ancora, sprezzante, osservando l'amico prendere le sue cose in procinto di fuggire.
«Ecco, scappa, scappa pure!» Innalza le braccia al cielo, indietreggiando dopo circa un secondo di riflessione per scegliere se lasciar passare il giovane, che eccetto il silenzio non sfodera risposte.
«Non saprei neppure stabilire se ciò che mi ferisce davvero è che tu abbia preferito Selene a me o che hai scelto di non dirmi nulla per tutto questo tempo... ok! Ho scelto, è senza ombra di dubbio la prima! Traditori, entrambi.» Sospira, scuotendo impercettibilmente il capo con un'espressione di esagitato fastidio in volto.
Archer non distingue neppure più la sua teatralità dalle reazioni reali. Chissà questa a quale delle due categorie appartiene.
Ruota la maniglia della porta, gioioso di poter oltremodo fuggire, e per poco non si scontra con la giovane.
«Archer! Pensavo di essere in ritardo ma tu sei ancora qui, è successo qualcosa?» Incurva ampiamente le labbra, Selene, inclinando lievemente il capo a sinistra; la borsa beige le ondeggia lievemente fra le mani, sospesa a mezz'aria davanti le ginocchia.
Archer schiude le labbra per risponderle, ma le spiegazioni giungono da sé.
Al suo fianco, in polo, "chioma principesca" e sorriso affascinante.
«Ciao, mia carissima Selene!»
Selene schiude le labbra per ricambiare il saluto, ma non appena nota quanto il suo sorriso le sembri tirato, il proprio svanisce sul nascere. Sposta lo sguardo su Archer.
«Salvami, ti prego!» Le sussurra quest'ultimo, strabuzzando gli occhi.
La giovane sospira, serrando le palpebre per un istante. Non sa neppure se le venga da ridere o da piangere.
Ad ogni modo meglio di Melissa, no?
«Aiden, comportati bene e ti comprerò un pupazzo, intesi? Ciaooo!»
Rapisce Archer strattonandolo a sé per il braccio, e prima che l'amico possa controbattere, i due... fuggono.
«Un... pupazzo?» Inclina il capo, Aiden, abbandonato dal suo migliore amico e dalla ragazza che gli piace sull'uscio della porta della propria camera.
Rimane con il capo inclinato e lo sguardo fermo nel vuoto.
Più o meno come fanno i cani.
SPAZIO AUTORE.
Che fatica. Una estrema.
Salve bellissimi e bellissimissime, o salve a chiunque sia qui!
Beh... cos'ho da dire? Tutto. Un mondo di cose e al tempo stesso nulla.✨
Dovrei riordinare le parole, ma per quanto ci provi... non riesco, è difficile, forse impossibile. È un po' come il titolo di questo improvviso capitolo [se avete visto le storie su ig, mi chiamo archer__vn, riguardo l'annuncio di questo capitolo, saprete perché improvviso☠️] poiché mi trovo in un momento molto, forse troppo, particolare.
Uno estremamente particolare.
Non so in che altro modo dirlo, ma le mani mi formicolano e mi sento più o meno come Crystal soltanto a pensarci.
O forse sarebbe più corretto dire come Archer, in questo caso, visto che una delle mie più grandi paure che tanto temevo, la stessa che avevo proprio per questo affibiato ad Archer, ma per motivi differenti... si è avverata.
Mio padre non ce l'ha fatta.
Forse, se non erro, lo avevo accennato nel precedente spazio autore, ed è passato un po' da allora, lo capisco. [Almeno per me, è passata un'eternità].
Stava male, e aveva solo 51 anni. Se penso a quelle che erano le sue condizioni, in realtà, mi verrebbe da affibiargliene il doppio, ma se penso a quanto avrei potuto o voluto ancora fare con lui... no, decisamente troppo pochi.
Non so cosa dire, non vorrei dilungarmi davvero su questo quanto più sul capitolo. Non so fino a che punto un vuoto possa davvero essere colmato, e non so quanto possa apprendere dai miei personaggi, come avrete letto.
L'ho scritto/revisionato prima, durante e dopo. Forse, prevalentemente durante e dopo. Non so come sia venuto.
Forse non mi interessa davvero, forse mi interessava solo pubblicarlo, perché è come aver terminato la letterina da spedire a babbo natale e correre, insieme a chi ti è più caro, a spedirla.
La richiudi, non la rileggi se non per assicurarti di aver chiesto fino all'ultimo giocattolo, e poi via.
In buca.
Non voglio tuttavia che sia così per cui, se avete trovato difetti, errori o altre problematiche, sentitevi liberi di notificarmele o esprimere le vostre opinioni al riguardo.
Non so se è un capitolo avvincente, estremamente prolisso, utile o pragmatico, dosato al punto giusto nelle sue diverse parti, magari sbagliato, noioso o infinitamente lungo [e questo è l'unico dato certo, poiché sono poco più di 10k parole con spazio autore☠️.]
Complimenti se avete raggiunto la bandierina finale, tagliando il traguardo! Ora, alle prossime partite, non servirà restartare se morite. Ripartirete da qui, come su mario bros. ;)
Comunque, perdonatemi, ma non vi ho ancora chiesto come state. E sentitevi liberi di rispondere sinceramente, o di non farlo affatto. [Ma mi fareste compagnia, per cui...🤧]
Io, prima che possiate chiederlo, beh... sto bene.
È così che si dice in giro.
Però ehi, se ignoro lo sfratto e la perdita di un genitore, ignoro tutti i lati negativi, ignoro i continui litigi, ignoro i sussurri delle persone e gli sguardi tristi, una compassione non richiesta, tutto ok! Queen never CRY💜💅🏻.
Ci sono anche un mucchio di cose meravigliose, nuovi inizi e buoni propositi in vista! Non miei, eh. Non guardate me.🫵🏻
Ma dicono che a inizio anno giungano sempre nuovi propositi.
Non so chi abbia dato per scontato che questi debbano essere anche buoni, oltre che nuovi, ma... così si dice in giro.
Già, dicono moltissime cose.✨
Decisamente troppe.
Il 22 dicembre è il mio compleanno e se tutto va come dovrebbe vedrò una persona davvero taaaanto speciale!💛 Spero di vederla sorridere.
Ci vediamo presto, ammesso siate così gentili da voler leggere anche il capitolo 17, "Corpo a Corpo"!💗
[Il popolo di ig, comunque, sa.]
VI ADOROOOOOOO, mi era mancato postare.🤧
E ora fuori tutti dai maroni che non ho mica tempo da perdere!💅🏻
Vado a scoprire l'intelligenza artificiale nel tentativo di fare 500 post virali senza impegno che mi rendano ricco e famoso mentre guardo tavolo parcheggio.💋💋💋
MUAHH! Si, ho perso il lume della ragione.😘🤧
Ma puoi aiutarmi a ritrovarlo lasciando una stellina!😳😌
Toh, così semplice...🫢 [basta cliccare sullo schermo e poi sulla stellina in basso a sinistra! Prego, non c'è di che!]
O dovrei dire grazie?
Nahh.
A PRESTO BELLISSIMIIIIIEEEEEEEUUUUU!!!!💋💜💅🏻
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Yours truly! ♡
Vi voglio bene.❤️🩹🫧
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