Verità Nascoste. [CAPITOLO 14]


«Magari c'è qualcosa che posso fare per te...»

Immediatamente, le iridi celesti e ora lucide di Crystal guizzano nell'oscurità alla ricerca di Aurelia.
Non l'ha vista rientrare. Impossibile.
No, non è stata lei a parlare.
Purtroppo, conosce perfettamente ogni gradazione e variazione di tono. Dunque poche.

Inumidisce le labbra, ha la gola secca.
I capelli impastati sulla fronte la infastidiscono, così scuote il capo.
No, qualcuno ha parlato, ne è convinta.
Serra le palpebre, le socchiude.
Ogni sagoma ora scura sembra muoversi, confondendosi nell'ombra.
Nulla.
Non un singolo movimento nella penombra.

Eppure ne è certa, non lo ha sognato.
Qualcuno ha parlato.
E non è stata la bionda, non Aurelia.
Qualcuno è lì, con lei.

E in effetti non ha torto... qualcuno la sta osservando.
Due occhi, nel buio. Con lei.
Dapprima lontani. Ora vicini.
Crystal non ode neppure un suono, ma quando la ragione si fa contorta e la lucidità diviene solo una mera convenzione sociale... le lacrime scorrono, le solcano il viso.

E dopo le lacrime, una mano.
Fredda.
Sulle sue guance.

Nell'oscurità della sua prigione, la sua possibile tomba.
Crystal sbarra gli occhi e divarica le labbra ma...

Viene ammutolita.
La mano le copre il viso, e l'ombra incombe su di lei.
Trascinandola lì, con sé.

Nel baratro della più grande Verità Nascosta.







Ma dopo pochi istanti, che a lei appaiono come interminabili millenni, la vista le si riconduce a una realtà tangibile.
Come a chiazze nere, macchia dopo macchia, riacquisisce la padronanza di se stessa, della propria lucidità.

Quella rimasta, quantomeno, reduce di torture e isolamento da parte di Aurelia.

Tenta di inspirare, pur avendo appreso a caro prezzo quanto ciò la ferisca. Sarà per il proprio fisico, ora maculo, o per la troppa polvere e umidità, che le graffia i polmoni e occlude la pelle.
Ma, pur sapendolo, ciò che la ferisce è anche ciò di cui più ha bisogno. Non può privarsene.

Necessita e reclama a sé quel dolore, così da sentirsi viva.
E per esserlo davvero, naturalmente, poiché deve respirare.
Non può smettere, nonostante la quantità di volte in cui l'idea le ha vagliato la mente.

E poi, senza quel dolore non crederebbe a se stessa, alla propria mente o ad Aurelia. Non avrebbe alcuna conferma di essere ancora viva.
A volte ne ha persino dubitato, convincendosi di essere già morta lì, lontana dai riflettori insidiosi del sole e intimi della luna.
Morta, senza neppure rendersene conto.

Senza essersi posta le giuste domande, pensa, e con il tormento del demone ancorato a sé come un'eterna tortura.
E in effetti lo è.
Una delle sue voci interiori le ha sussurrato di aver ormai perduto il lume della ragione e che tutto ciò non sia possibile, innumerevoli volte.

Eppure, lei non saprebbe più stabilire quale sia il confine fra realtà e immaginazione.
Ve n'è mai esistito davvero uno? Essere rapita, imprigionata, torturata e dimenticata lo avrebbe sicuramente ricollegato all'immaginazione.
Eppure è reale. Lei è lì. Lo è da troppo tempo.
Non ne può più di subire... deve fuggire.

E poi, in fondo, è davvero così poco plausibile che sia già morta?
Lo è più di credere che Aurelia non l'abbia ancora finita, che non le abbia mai inflitto il colpo di grazia affinché lei sopravvivesse? Che se la tenesse per... ah, già.

Per qualcosa che non sa neppure come avere.
O che non può avere, al momento.
Quanto cazzo vorrebbe darle ciò che cerca e sparire di lì, se solo le rivelasse i suoi intenti. No, neppure, non le interessa.
Le basterebbe il cosa.

Perché una fine di cui non rammenta l'avvenuto dev'essere meno plausibile di una non-fine?
Essere ancora in vita, si, ma... a quale prezzo?
Segni evidenti, lesioni, cicatrici di cui non potrà liberarsi.
Le stesse che le sussurreranno qual è il suo vissuto e quale il suo peccato, sino a renderlo una condanna.

Una condanna che le macchierà l'anima per l'eternità, delineando e descrivendo chi lei sia in qualunque situazione. Circoscritta nel diametro di una ferita.
Sminuita, rimpicciolita. Umiliata.

Sapendolo, sapendo tutto ciò, è davvero sbagliato desiderare la morte? O averla desiderata per tre mesi.
Tre mesi d'inferno. Di supplizio.

O almeno, questo è il tempo che Aurelia le ha rammentato esser trascorso, di recente, ridendole in faccia.
Era divertita, per qualche assurdo motivo, e prima di allora Crystal non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso.

Vorrebbe solo non aver riaperto gli occhi.
Non così, almeno.
Non sola. Non abbandonata.

Gonfia il petto. Prova dolore. Espira e poi lo rigonfia, serrando le palpebre per strizzare gli occhi.
Poc'anzi è svenuta, realizza, ma non se ne sorprende.

È tutt'altro che la prima volta che perde i sensi da quando è nella stretta di Aurelia... non è neppure più certa di averli, dei "sensi."
Ma se la sua visuale non muta e risvegliarsi equivale a essere sempre la prigioniera che è, con il suo sguardo brancolante nel buio di una stanza che le fa da cella, preferirebbe non riaprire affatto gli occhi.

Ogni volta, ogni singola volta, ci spera.
Eppure il suo organismo non cede.
Il suo corpo lotta o chi per lui, ma non crolla.
Viene malridotto, fa per cedere, ma non cede.

Ma no, un momento.
Stavolta è stato diverso. Qualcosa glielo garantisce, ma non saprebbe dire cosa, con esattezza. Non lo rammenta.

Crystal sfarfalla le ciglia, percependole lievemente inumidite seppur forse a secco. Lei sente di essere a secco.
Prosciugata, completamente.

Le sue ciglia avevano bisogno di quelle lacrime, o erano i suoi occhi a reclamarne la necessità.
Eppure si sente colpevole; piangendo ha sottratto al proprio corpo dell'acqua altrimenti essenziale.

«Perché cazzo ho riaperto gli occhi anche stavolta?» Sussurra, contraendo il viso in una smorfia di rabbia.
La vista le si offusca lievemente quando la lucidità incombe nelle sue iridi.

«Chi diamine mi impedisce di chiudere gli occhi una volta e per sempre!? Perché non ci riesco? Perché non posso sparire qui, nel silenzio di questa stanza di merda priva di luce!?» Sbraita, con la voce tremolante e furente.
Una corda tesa nell'oblio del silenzio.

E non sa neppure a chi, con chi se la prenda e a chi rivolga realmente le proprie imprecazioni, se non al vuoto che la circonda.
In fin dei conti nessuno può sentirla.

Sono mesi che nessuno ode la sua voce e, probabilmente, a tutti va bene così. Ma non a lei, non per Aurelia e non per se stessa.
Per lui.
Non lo rivedrà mai più, non potrà più aprire la porta della sua camera d'hotel, o alcuna porta, e fingersi seccata.
E in realtà non era neppure finzione.
Ma se ne pente.

Era infastidita da tutte quelle attenzioni decisamente eccessive, pretenziose e giocose.
Decisamente calorose e confidenziali.
Ma allora era decisamente troppo presto.

Lei, proprio lei, non avrebbe mai e poi mai potuto ipotizzare che in fondo, dopo tutto, quel calore non le sarebbe dispiaciuto.
O che lo avrebbe rimpianto in ogni secondo della propria vita.

Archer era riuscito a mettere a tacere le voci della sua mente.
Un potere tanto grande, un talento persino, eppure rammenta perfettamente quanto dolcemente barcollasse dopo un drink, quel giorno.
O dopo la sua "dichiarazione".

Il kaboom e la musica nelle orecchie. Aurelia imprigionata.
I suoi occhi sui propri.
La felicità di un giorno festoso, la vittoria.
È stata la serata più bella della sua vita, e sa che probabilmente ne custodirà il ricordo sino alla tomba.
Lo proteggerà, gelosamente e a ogni costo.
A qualsiasi costo.

Quel ricordo è la sua felicità più pura.
E sa che, probabilmente, la tomba che ospiterà lei e quell'attimo, è questa stessa stanza buia.
Quattro pareti umide e un mucchio di fetide catene.

E forse non avrà davvero senso elevare o sovrastimare proprio quel momento, ma non ne rimembra altri altrettanto piacevoli... nè altrettanto spiacevoli.
Forse, il termine adatto è "catartici".
In effetti, credeva che quanto accaduto in quella occasione le avrebbe cambiato la vita.

Non così, però.
Non credeva che sarebbe fuggita, che improvvisamente molteplici immagini e scenari le avrebbero invaso la mente e che l'ansia le avrebbe tappato i polmoni.
Non credeva che ad attenderla, a pochi passi dal cancello esterno, ci fosse Aurelia.

L'ha stordita, non rammenta nient'altro.
Solo il vuoto, il baratro del caos.

Ha visto le sue labbra, del demone che l'ha rapita, curvarsi verso l'alto. Il suo volto era sfocato, ma era lei, e poi...
Al suo risveglio i polsi le dolevano, stretti fra le catene della sua attuale prigionia.

Rimpiange le poche occasioni in cui lui era lì, con lei, e con i suoi modi stravaganti, la sua voce più acuta e irruente di quella degli altri ragazzi, la tenera ma schietta, a tratti sfacciata, innocenza... annullava ogni cosa.
Lui era la sua assenza di caos.

Il suo caos, che si sovrapponeva a quello di Crystal e finiva con il sovrastarlo. Così caotico e irritante da zittire il velenoso frastuono della propria mente.
Insolente e insistente, al punto da sfiancare persino le voci che da sempre le corrodono e prosciugano l'esistenza.

Non ne ha mai capito il significato, così ha iniziato a tollerarle. A conviverci.
E così, loro, sono divenute la sua ombra.

Era impossibile sfuggirle. O così credeva.
Non lo ipotizzava neppure e mai lo avrebbe presunto possibile, ma...
Archer ha combattuto il fuoco con il ghiaccio.
Combatteva al posto suo, e senza neppure rendersene conto.

L'unico ghiaccio così puro da poter rendere cristalline persino le proprie emozioni.
L'unico ghiaccio in grado di emanare calore.

Ma ora, come un qualsiasi fiore incolto, quel curioso calore è stato abbandonato ed è probabile che si sia dissolto, perso nell'immensità del nulla.
Chissà in quante particelle. Chissà ove son dirette.
Ma si è spento, ne è certa.

Al suo posto, vi è solo il gelo.
Uno, però, privo di calore.

Lo stesso del loro unico e apparente punto in comune: l'elemento che condividono.
Lo stesso che non le consente tuttavia di mettersi in salvo, distruggendo quelle dannate catene, ma neppure di fuggire.
Di scampare alla propria vita, alla propria condanna.

Le è del tutto inutile.
E forse è anche la causa di ciò che le sta accadendo, l'oggetto del desiderio di quella donna.
In sintesi, sarebbe meglio non averlo affatto.

E poi le sue voci, diamine. Quelle dannate voci non tacciono mai; digrigna i denti, sull'orlo della disperazione.
Se con Archer tacevano... con Aurelia sembrano aver trovato il proprio apice di loquacità.
Neppure lui sarebbe in grado di zittirle, ora.

Ma poi, d'un tratto, rammenta qualcosa. Fra tutto il baccano che la stordisce dall'interno, scorge una nozione utile.
Crystal non aveva semplicemente perso i sensi. Corruga la fronte, e le immagini divengono a poco a poco più nitide.

Lei era... cazzo.

C'era... deglutisce.
Come ha potuto dimenticarsene?
C'era qualcuno.

E se Aurelia non ha ancora fatto ritorno, è certa che quel qualcuno sia ancora qui.
Con lei.
Nella sua stessa stanza. Proprio ora.

Perché la sta osservando, celato dal velo di assoluta oscurità che li circonda.

Crystal deglutisce nuovamente. Lo realizza, lo avverte. Le tremano le labbra, ma lei non se ne rende neppure conto.
No, forse è la mandibola.

Ma ora le ciglia sfarfallano, e il corpo diviene caldo senza alcun motivo.
E poi freddo, in alcuni punti. O in altri.
Non saprebbe spiegarlo.

Ma è possibile che qualcuno voglia approfittare dell'assenza di Aurelia per... vuole eliminarla?
Per non lasciare prove? Forse è lì per volere della stessa Aurelia? Non le è più di alcuna utilità?
No, Crystal, pensa.
Ci dev'essere una spiegazione valida.
Almeno un'altra.

Per cos'altro?
Giusto. Il suo potere.
Se è ciò di cui quel demone ha bisogno, forse, ucciderla le rovinerebbe i piani.
Quindi qualcuno è qui per ostacolare Aurelia?
No. Non va bene.
Anche questa spiegazione la vede morta.

Ma lei, d'un tratto, non vuole più morire.
Ne ha paura, e Aurelia la spaventa molto meno.

Socchiude le palpebre, come alla ricerca di un guizzo nell'ombra. Strizza gli occhi, con l'aria che le minaccia i polmoni e l'incertezza del buio a negarle il saluto.

Ma lei minaccerà se stessa, di questo passo, o chiunque sia lì.
Con lei. Per ucciderla.

Ma se così fosse, perché è ancora viva? Perché non l'ha eliminata quando ne ha avuto l'occasione?
Che voglia ucciderla da cosciente? Accertarsi della sua identità?

Che voglia interrogarla e ottenere qualcosa da lei, prima di eliminarla?

Scuote rapidamente il capo, per quanto possibile, e gli occhi le roteano su ogni angolo polveroso, su ogni luccichio, su ogni colore più appariscente di un altro.
Vagano nell'oscurità.

Niente.
Alcun movimento.

Eppure... quella mano.
Era gelida.
Non può essere stato solo un sogno... o si?

Sta davvero impazzendo?
Osserva qua e là, sospirando.
Non una sola mosca che vola.

Serra le palpebre, un istante e uno soltanto.
Le riapre.

Niente.

Scuote impercettibilmente il capo, confusa.
L'ha davvero solo sognata? O forse chi è stato lì se ne è anche già andato?
Abbassa lievemente il capo, spostando il proprio sguardo su ulteriore oscurità.

Poi lo rialza di scatto.
Possibile che si sia mosso qualcosa?
Un'ombra.

Niente. Non vede alcunché.
Sospira, cedendo ancora, e abbassa il capo.

«Quindi sto ufficialmente impazzendo...»
Scrolla le spalle, curvando l'angolo delle labbra con forza.

Ma poi si zittisce. Tenta di zittire anche i propri pensieri.
E ci riesce.
Poiché un brivido le percorre le spalle.
Con la coda dell'occhio ha... qualcosa si è mosso.

Lì, nell'oscurità.
È stato come un fruscio notturno, ma più rumoroso degli altri. Quello per cui sbarrare gli occhi alle quattro del mattino, durante una tempesta di pioggia e tuoni.

O come vedere la propria ombra riflessa quando si è a casa da soli, di sera.
Peccato che quest'ombra non fosse sua.

Crystal non è sola. Ora lo sa. Ne è certa.
Uno sconosciuto la sta osservando.
La sta fissando, al buio.

Rialza il capo, lentamente. Molto lentamente.
Avverte il suo...

Una macchia scura forse più delineata delle altre avanza di un passo, lì, nell'ombra.
Ora è accanto alle sedie di legno, attorno al tavolo.
Le sembrano solo diverse sagome scure.
Ma accanto, accanto alla sedia capotavola e a un mobiletto grigio lì accanto, ce n'è un'altra.
Una non riconducibile a un utensile.

È una sagoma.
È una cazzo di sagoma. Immobile.

... Sguardo. Avverte il suo sguardo su di sé.
La sta fissando, in silenzio. Nell'ombra.
Ed è immobile.

Crystal punta i suoi occhi sulla sagoma.
La osserva a sua volta.

Ma poi li scosta. Non riesce. Non ne scorge i dettagli ma riesce a scorgere i suoi occhi.
È come se solo quelli fossero visibili, nel buio, sospesi a mezz'aria. Sbarrati e puntati su di lei.

E se funzionasse come nei libri, se fissandola reagisse?
E se stesse attendendo Aurelia?
Se la stesse tenendo d'occhio per lei?

Ma... non può far finta di nulla.
"Cosa cazzo faccio? Potrei creare un'arma e attaccarlo o..."

Solitamente funziona.
Lo ha visto fare. Più o meno.
Deve funzionare. Funzionerà. Ha un piano.

Ok, quindi...
Gonfia il petto, ma guarda altrove.
E tenta.

«C'è...» Serra di getto le palpebre.

Schiude lentamente un solo occhio.
Ma ritrae istantaneamente il capo contro la parete alle sue spalle, sbattendovi con la testa.

Si è mossa.
Ha scorto un altro movimento della sagoma.

No, non può fermarsi proprio ora.
Deve proseguire. La frase-rituale non è completa.
Richiude di colpo l'occhio e non lo riapre.
Non li riapre affatto.

La sua mandibola tentenna, prima di riuscire a rilasciare alcun suono. Ma il piano deve proseguire.
L'infallibile piano.

«C'è q-qualcuno?»

Niente.
Ritenta, ancora a occhi chiusi.
Solitamente funziona, deve funzionare.

«C'è... qualcuno?» Schiude lentamente l'occhio sinistro, lasciando l'altro serrato. Magari è più fortunato.

Ma se ne pente l'istante successivo.
Non appena lo riapre, divarica le labbra in un urlo.

Ha la sua faccia davanti agli occhi.
A un centimetro o due dal suo viso.

Ma il suono della sua voce non fende l'aria, non raggiunge affatto l'esterno... la figura sconosciuta le tappa la bocca prima ancora che possa gridare.

La sua mano è gelida. Non l'aveva sognata.
«No, no, no, ferma! Zitta, per favore, non urlare ancora.»

Crystal deglutisce e dentro di sé è certa di essere già deceduta.
Se non in passato, ora. È deceduta ora. O lo farà a breve, probabilmente di crepacuore.
Scuote il capo e gli occhi le divengono lucidi.
Cosa le farà? Cosa ne sarà di lei?

Non ne scorge neppure bene i lineamenti, ma... di una cosa è certa. La sua voce, la forma del viso, i capelli lunghi e perfettamente lisci.
Persino le dita della sua mano.

È una donna.

«Perdona i miei modi, io... io ora mi allontano e accendo la luce. Ma- tu, tu non gridare, ok?» Il suo tono di voce è pacato, quasi piatto, ma non lo definirebbe apatico.
O forse sì, seppur lievemente... incerto?

Non le sembra particolarmente agitata o burbera, quanto più in difficoltà.
Forse teme l'arrivo di Aurelia?

Dunque, se così fosse, significherebbe che non l'ha mandata lei. Non è stata inviata dal demone per sorvegliarla o peggio...
Lei non sa che è qui.

Crystal si limita ad annuire più e più volte, mugugnando versi incomprensibili. È terrorizzata.
Anche se...

Possibile non sia lì per eliminarla?

«Ok, per favore... non attiriamo Aurelia in alcun modo.»
Afferma la donna, allontanando la mano dal viso della giovane per poi discostarsi.

È così, dunque.
Aurelia non sa che lei è qui; c'è un intruso.
Un puntino rosso sulla perfetta mappa di trionfi e segretezza del demone.
Crystal curva l'angolo delle labbra, o così crede, ma l'altra non lo nota a causa del buio. Per fortuna.

Non è detto che sia dalla sua parte.
Ma non è da quella di Aurelia, e questo è già qualcosa.

L'altra si dirige dunque verso la piccola rientranza di un mobile, sul fondo della piccola stanza. Oltre la porta, ma sulla destra.
Crystal la osserva muoversi nell'ombra. La sua leggerezza, forse delicatezza, nei movimenti le risulta inspiegabile.
Non emette alcun suono. Neppure il minimo.

È come se fosse scalza, priva di peso e forse inesistente.
Forse inconsistente.
Come se lì, in realtà, Crystal fosse sola.

La donna si accuccia, afferrando qualcosa che la giovane ipotizza essere polveroso, poiché la donna vi soffia sopra...
No, non crede abbia soffiato. Non ha avvicinato il volto, o le labbra, per soffiare come si è soliti fare.

Ma potrebbe giurare di aver avvertito un filo d'aria.
Che l'abbia raggiunta passando fra le fessure e la serratura della porta?

E dopo poco, con un piccolo utensile di cui Crystal non individua all'istante la forma... l'ombra che le circonda, diviene penombra.

Un'aura di luce riveste parte dello stanzino espandendosi in un batter di ciglia, rendendo nuovamente visibili i pochi resti di antiquariato presenti. O di rottame.

E illuminando il suo volto, quello della donna che sta maneggiando un candelabro incandescente, a mezz'aria.
Il suo viso evidentemente paonazzo viene riscaldato dalla luce delle fiamme, divenendo difatti più rossastro del normale.

Una perfetta frangia le copre la fronte e la restante chioma le scivola alle spalle, sinuosa o fluttuante, quasi.
I suoi capelli sono lunghi, denota fra sé e sé Crystal, molto lunghi. Le giungono quasi sino alle caviglie.
Si aggrovigliano in onde confuse e naturali sulle punte, forse sul fondoschiena, ma solo ora ne denota il colore.

Si domanda come sia possibile che, anche se al buio, non sia riuscita a notarlo prima.
Sono platino.
No, forse completamente bianchi. O forse grigi.
Ma sono d'un chiarore lucente e del tutto in contrasto con l'oscurità che poc'anzi albergava nella stanza.

I suoi occhi lilla le rammentano vagamente Selene, dato il suo colore di capelli, ma il suo sguardo... chi le ricorda?
A chi somiglia, quello sguardo come vuoto?

«Ah!» Sussulta Crystal sul posto, e il clangore metallico delle catene raggiunge le sue orecchie.
Un brivido le percorre la schiena, raggelandole il sangue in un solo istante.

Aurelia.
Il suo sguardo, per qualche motivo, le rammenta quello di Aurelia.
Cosa c'è che le accomuna?
Apparentemente, nulla. Non sembrano due anime... affini.

«Chiedo venia, non era mia intenzione spaventarti.» Accenna un sorriso, la donna, donando alla giovane cordialità e ulteriori risposte.

"Ecco cos'è! Il loro sguardo, ma anche il modo di parlare è... è l'apatia."
Crystal volge con lo sguardo altrove, sovrapponendo istintivamente le figure delle due donne.

No. Non si somigliano affatto.
Questa donna, poi, è ben più esile e alta dell'altra. Sembra avere un seno meno prosperoso dell'altra, delle forme meno definite, un viso più scavato e delle labbra più carnose, seppur quasi violacee.
È estremamente pallida o cosa?

Inoltre, definirla apatia, è inesatto.
Si morde la lingua, incespicando fra i suoi stessi pensieri.
Sono così rapidi che lei non riesce a seguirne l'andamento.

Questa donna le sembra gentile. Aurelia è l'opposto.
Non si può di certo dire che dimostri gioia e amore, ma... anche la rabbia è un'emozione, no?

Dunque, no, apatia è decisamente il termine errato.
Eppure, c'è qualcosa di strano in questa donna, qualcosa che la turba nonostante i modi gentili.
Qualcosa che la differenzia da se stessa, oltre le catene ai polsi.

Persino i suoi movimenti silenziosi... e anche ora.
È immobile, non traballa e non oscilla neppure di un millimetro con il braccio che sostiene il candelabro, come se non detenesse alcun peso.
Quando Aurelia cammina per la stanza, solitamente, le assi in legno di parte del pavimento raschiano sempre, cigolano.
Annunciano ogni suo passo.

Ma con lei, con questa donna, ciò non accade.
Lei non emette alcun suono.

Un momento.
Com'è entrata lì?

«Allora, tu sei... Crystal, dico bene?»

La giovane sussulta.
Dunque conosce la sua identità, e oltre ciò... che strano effetto che è, udire il proprio nome dopo mesi. Da qualcuno che non sia Aurelia, chiaramente.
Forse le era mancato.
Ma prima che se ne penta deve accertarsi delle sue intenzioni.

«Dalla tua reazione intuisco sia proprio il tuo nome!» Ridacchia lei, che Crystal nota non scrollare le spalle.
Le sembra una risata innaturale.
«Ho indovinato?» Sorride la donna, inclinando lievemente il viso a tre quarti.

«Chi è lei? Come fa a sapere chi sono e com'è entrata qui?» Rilascia senza rendersene neppure conto, Crystal, in un solo respiro.

«Capisco senz'altro perché tu abbia domande da farmi, ma non abbiamo molto tempo a disposizione prima che lei torni.» Spiega la donna, riconducendo il proprio viso a una prospettiva perfettamente frontale per l'altra.

«Come conosce Aurelia? Come ha fatto a trovarmi e come sa chi sono? Inoltre perché...» Crystal scuote impercettibilmente il capo, vaneggiando con le labbra che ancora sono in movimento nonostante non producano più alcun suono.

«Ascolta, Crystal, e per favore dammi del tu. Abbiamo poco tempo e non posso spiegarti ora le circostanze del perché non sia apparsa prima.»

«Apparsa?» Le fa eco l'altra, a tratti bisbigliando.

«Si, ho già provato ad aiutarvi ma credimi, non mi era possibile fare molto. Aurelia non avrebbe dovuto e non deve sapere di me, dunque se avessi agito prematuramente, senza prima conoscere i suoi piani o sapere cos'è che stava cercando in questa città... avrei perso io. Ma non è così che andrà, te lo prometto.»

La giovane stringe le palpebre, scrutando maggiormente la donna che ha dinanzi a sé.
Chi accidenti è?

«Considerami pure una vostra aiutante nell'ombra, almeno per il momento. Se lei avesse fatto la sua mossa prima di me sarebbe stata la fine, ma anche se l'avesse fatta dopo una mia azione avventata e alla cieca, perché il risultato sarebbe stato il medesimo. Serviva che prima vi osservassi da lontano e non interferissi troppo, così mi sono limitata a impedire che moriste.»

«Cosa?» Crystal non riesce a seguire le sue parole. Sono assurde.
Avverte il proprio capo appesantirsi, le spalle indolenzirsi e il cuore sussultare. Non riesce a capire.

Chi è questa donna?
È lei che lo ha dimenticato, fra la confusione stordente della sua mente in subbuglio, o non le ha ancora detto il suo nome?

«Quando hai ascoltato una delle tue voci e deciso di lasciare l'hotel per dirigerti a scuola, così da fermare Aurelia e salvare i professori, sono apparsa nella camera del giovane dai capelli rossi e gli ho riferito di doverti cercare. Di doversi dirigere a scuola, per la precisione.»

La giovane schiude le labbra ma svia con lo sguardo altrove, per poi richiuderle e inumidirle con la lingua.
Non sa neppure da quale domanda partire.

Forse il suo nome. Si, non lo rammenta.
Forse non glielo ha ancora detto?
No. Indietro.
Cos'è che ha appena detto?

«Un momento, tu sai delle mie voci?»

Impossibile. Nessuno lo sa.
È sempre stata una battaglia silenziosa, una guerra fredda.
Lei contro la sua mente. Nessun altro incluso.
Nessuno ne è a conoscenza, oltre lei.

«L'ho intuito, si. Ho immaginato che il tuo potere potesse manifestarsi così.»

«Cosa? Il mio potere?» La testa le rimbomba in cento e mille eco. Di cosa sta parlando?

«Non lo sapevi? Beh, in ogni caso ci arriverò a breve. Dicevo che mandando Archer lì con te non saresti stata sola, dunque pensai di aiutarti ma... al tempo non avevo idea di aver commesso un terribile errore. Aurelia, ecco, io non lo credevo possibile ma non appena ti ho vista lì, nella scuola di cui lei era improvvisamente divenuta preside... oh, no, non ho avuto più alcun dubbio.» Sospira, e curva di getto le labbra verso l'alto.

Sembra volgere con la mente altrove quando scuote il capo e torna al presente.

«Sapevo che eri proprio tu, Crystal, e allora ero certa che lei fosse giunta qui in città per cercare te. Ne ero assolutamente convinta, perché qualcosa mi sfuggiva e forse sfuggiva anche a lei, ma sapevo che fosse qui per te. Doveva essere così, il quadro sarebbe stato completo se solo...»
Inspira, schiudendo le labbra.

«Se solo?»

Attende. Sospira.
E rilascia.

«Non ci fosse stato quel ragazzo dai capelli rossi. Non sapevo che anche lui facesse parte dei suoi piani.» Forse.

«Archer.» Bisbiglia Crystal, corrugando la fronte.
Volge lo sguardo ovunque, ove capita, tentando di riordinare i propri pensieri.
Non ci riesce.

Per un istante le si offusca la vista e teme di perdere i sensi.

«Avervi mandati lì insieme è stato un errore di cui mi pento, ma sono lieta che nessuno dei due sia morto... sebbene tu poi sia finita qui. Mi spiace non poterti liberare ma anche volendo non saprei come fare, il mio elemento non mi è utile. Ma ho qualcos'altro che potrebbe aiutarti.»

"Elemento?" Una teoria formulata ma inespressa le si sgretola dinanzi agli occhi. Oh, giusto. Il nome.
«Chi... sei?»
Deglutisce, racimolando le proprie forze.

Ne è sicura. Non è la sua mente, stavolta.
Non le ha ancora rivelato il proprio nome.

«Oh, che sbadata! Scusa, credevo quantomeno di essermi presentata come si deve. Io sono Lilith, e se sono qui è perché voglio aiutarti. Capisco tu possa essere confusa e avere almeno un centinaio di domande, ma lascia che ti spieghi come sono realmente andate le cose... o quantomeno che ti dica ciò di cui sono a conoscenza.»

«Perché dovrei fidarmi di te?» Bisbiglia, avvertendo improvvisamente freddo.
Come ha fatto a entrare?

«Perché l'alternativa è credere ad Aurelia.» Risponde di scatto l'altra, senza neppure rifletterci.

Come se la risposta fosse ovvia.
In fin dei conti, Crystal non ha alcuna scelta.
È questo il motivo.
Le sembra di non averne mai avuta neppure una.

«So che è difficile, ma...»

«Ma vuoi che mi fidi di te, giusto?» Replica lei, dal tono come sfacciato. O deluso, o furente.
Non saprebbe canalizzare le proprie emozioni in una specifica.

«No, non è necessario. Ti chiedo solo di ascoltarmi.» Innalza le sopracciglia, Lilith, inarcandole.

L'altra la scruta e sembra mordersi un molare, o qualcosa del genere, visto il guizzo che la donna scorge.
Giunge per un istante a un punto casuale, per poi inspirare e voltarsi nuovamente sul viso di Lilith.
Le annuisce silenziosamente.

«Bene. Io non posso liberarti ma posso provare ad aiutarti in un altro modo. Prima, però, voglio che tu sappia che... ho osservato molto ognuno di voi, da lontano, e le vostre tre strade si sono intrecciate in quel corridoio, quando tu hai deciso di salvare Archer dall'attacco di un demone. Di Aurelia.
Lo ricordi?»
La giovane la osserva, e alle sue parole associa immagini vivide e reali.

Lo rammenta eccome, tanto che le sue labbra emettono un incontrollato tremolio.
Ma lei le trattiene. Non è il momento di sorridere.
Richiederebbe troppe energie.

"Si, io invece ricordo bene chi sei, Crystal! Sembravi la più antipatica."
È la sua voce.

Si sorprende quando la vista le si offusca e teme di star perdendo i sensi, ancora.
Ma poi realizza di non star affatto svenendo.
Sono lacrime.

E non attendono un solo istante per sfigurare ogni immagine e bagliore si estenda dinanzi ai suoi occhi e alla sua mente.

"Perché fa così male pensare che non lo rivedrò? Non... Non significa nulla, non c'è stato nulla, non lo conosco neppure. Eppure..." Deglutisce, e l'aria le graffia i polmoni.

Ma ciò non basta a tenerle a bada, poiché una lacrime le solca avara il volto. E poi due, e ancora tre.
Ma le labbra vincono, curvandosi verso l'alto nonostante il dissenso della giovane.

«Crystal! Che succede, ho detto qualcosa di-»

«Ho... ho davvero vissuto un illusione? Era tutto finto, Lilith?»
Singhiozza, ma non riesce a trattenersi.
Il viso le si riga dal pianto, ma lei non scosta il proprio sguardo dalla donna.

Nessuno, sino a oggi, l'aveva udita piangere e lei aveva smesso di farlo persino dinanzi ad Aurelia, temendo le sue reazioni.
Si è sentita sola.
Abbandonata a se stessa, e tutt'ora è così.
Ed è consapevole di non conoscere la donna che ha di fronte, ma se potesse spezzare le catene che la immobilizzano le si getterebbe contro, abbracciandola.
Ne ha semplicemente bisogno.

Non riesce a smettere di singhiozzare, di cacciare all'esterno ogni lacrima sinora trattenuta.
Ogni urlo di rabbia sinora taciuto.

«Cosa? No, Crystal non...» Lilith boccheggia confusa, ma poi comprende a cosa l'altra alluda.
E realizza anche il perché di un tale dubbio.

«"Hai vissuto un illusione e nulla di più, tesoro."»
Bisbiglia la giovane, con il viso maculo e lo sguardo perso nel vuoto.

Inarca solo un sopracciglio, che fronteggia facendo lievemente spallucce.
Ma ora non sta più guardando Lilith.

"Hai vissuto un illusione", la sintesi di ogni suo inganno psicologico. La base per un perfetto lavaggio della mente.

L'altra schiude le labbra, interdetta, ma prima che possa proferire parola viene battuta sul tempo.

«"Perché credi che nessuno ti trovi? Dalla città di certo non sei sparita..."» Crystal prosegue ed emette un sospiro divertito, derisorio. Lo sta solo emulando da qualcun altro.

Il suo sguardo è ancora perso nel vuoto, lo stesso che Lilith rivede nei suoi occhi.

«"Ma non c'è una singola persona che ti voglia bene, qualcuno che si sforzi davvero di cercarti. Sei completamente sola e lo sei sempre stata, ma..."» La voce le si inclina, sempre più sottile e acuta.

Da un occhio sgorga un'ulteriore lacrima, che risplende del bagliore che la fiamma delle candele emana.

«"Anche se loro ti odiano io invece ci sono, e ci sarò sempre. Sono l'unica che ti vuole davvero bene, Crystal."»
Con il volto completamente rigato dal pianto, tremando per un freddo che è apparentemente l'unica a percepire, riconduce il proprio sguardo su Lilith.

La donna ha ricucito le labbra in una linea sottile, non le sembra affatto turbata. Quanto più in attesa.

«Me lo ripete da mesi. Se come dici ci hai osservati, ti- ti s-scongiuro...» Le labbra, no, la mandibola intera non accenna a placarsi.
Trema inesorabilmente e il pallore non suggerisce alcuna sparizione.
Crystal sembra prossima all'ipotermia.

Lilith le si avvicina di getto, sperando che il calore del fuoco la riscaldi. Non sa cos'altro fare.

«È vero? Dimmelo, c-ci crederò ma... devo saperlo. È stata tutta un illusione?» La voce tesa quanto una corda di violino, la speranza che vacilla sulla fune dell'oblio.

La giovane non scosta il proprio sguardo da Lilith, sforzandosi invano di tenere a bada il proprio tremore.
Detiene i propri occhi, sbarrati, sui suoi.
In attesa. In trepidante attesa.

Lilith serra le palpebre, seppur per un solo istante.
Espira, o forse sospira.
L'altra non ci si sofferma. Sono parole ciò di cui ha bisogno.

La donna non può credere a ciò di cui Aurelia è stata capace. Non la riconosce.
Sa che un tempo è stata differente.
Buona.

«No, Crystal. Non è stata un'illusione. È tutto reale, lo è ora che sei qui esattamente come lo è stato conoscere quel ragazzo. Sì, voi siete reali.» Scandisce con fermezza le sue parole.

«Noi siamo...» Boccheggia l'altra, che lentamente volge con lo sguardo verso il basso.
Sfarfalla le ciglia e le labbra tentano di disegnare archi, o cerchi, che possano invano divenire parole.

Ma Lilith la osserva anche gonfiare e sgonfiare il petto con progressività, mutando da una incontrollata isteria alla mandibola che cessa finalmente di tremare.

«Ne sei... come fai ad esserne sicura?» Tossisce, schiarendosi la voce. «È da quando sono stata incatenata che continuo a ripeterlo, eppure ad una certa perde di significato.»
Deglutisce, sviando con lo sguardo altrove solo per un istante. Riconduce il proprio sguardo sull'altra, nell'attesa di una risposta.

«Ho finora spiato Archer ed è da mesi, per l'appunto, che ogni giorno fa visita all'accademia militare nella speranza di ricevere tue notizie, Crystal.» Curva lievemente l'angolo delle labbra verso l'alto, e la giovane sgrana gli occhi d'istinto.

«Cosa? Dici sul serio?» Il clangore metallico riecheggia nella penombra non appena la giovane scatta in avanti, quanto concesso dalle catene.

«Ogni singolo giorno si presenta lì, alla stessa ora e per lo stesso identico motivo, ma riceve sempre un'unica risposta. Nulla.» Scandisce, Lilith.
Ma per l'espressione di punto in bianco affranta di Crystal, si appresta a riprendere.

«Tuttavia, nonostante non abbia ancora ricevuto alcuna risposta positiva, lui non ha smesso di sperare! Ha continuato ad allenarsi, a sorridere e ad attendere il momento in cui potrete finalmente rivedervi. E allora riprenderete da dove siete stati interrotti, mi sbaglio forse?»
Domanda, dipinta di un ampio sorriso.

Inclina lievemente il capo verso destra e fa spallucce.
Crystal sorride di riflesso, senza neppure rendersene conto.

«Quindi... non mi ha dimenticata.» La voce della giovane emette un tremolio, ma lei non smette di sorridere.
Il suo tono sottile e teso ora cresce e diviene fiorente e ricolmo di nuova speranza. Emette gioia.

«Sarà anche stata tutta un'illusione, ma se non sono l'unica ad illudermi a me va più che bene!» Ridacchia Crystal, in un suono che ora le appare innaturale e sempre più rumoroso, visto il tempo trascorso dall'ultima volta.

Ma anche Lilith ride, ride con lei, e ciò la rende ulteriormente felice. Crystal gioisce, nonostante tutto, e in un solo istante qualsiasi tortura inflittale da Aurelia le appare piccola e insignificante.

Una serie di lacrime splendenti di gioia straripa dagli occhi della giovane, tracciando sul suo volto due piccoli fiumi di speranza.
Due barlumi di tenerezza in un pozzo oscuro e privo di fondo.

«Mi fa piacere vederti piangere, perché ora ti vedo anche sorridere.» Sospira Lilith, divertita, modulando il proprio tono in uno dolce e pacato.

«Rammenta, Crystal, che l'unica che mescola le carte del proprio mazzo come le pare e piace è solo e soltanto Aurelia. Tutto ciò che lei afferma non è altro che una menzogna, e i suoi sono dei futili tentativi di offuscarti la mente! Deduco ti voglia con sé, o che voglia prepararti a qualcosa riscrivendo le tue conoscenze.» Scuote impercettibilmente il capo.

«Le mie conoscenze?» Corruga la fronte Crystal, nuovamente estraniata.

Tira su con il naso, infastidita dal non potersi asciugare il viso come vorrebbe. Anche se le dispiacerebbe, in un certo senso, cancellare persino i rimasugli di quei due fiumi.

«Aurelia ti ha detto che nessuno ha interesse nel ritrovarti, e questo è falso. So che qualcuno è al contrario vicino alla scoperta di questo edificio, dunque sarà solo questione di tempo prima che ti liberino.» Rilascia, Lilith, affrettando la propria parlantina.

Possibile che il tempo stringa più del previsto?
Lei è nei paraggi?

«C-come, sul serio? Chi? Perché non me lo hai detto prima!» Le labbra di Crystal raggiungono quasi i suoi stessi zigomi, risaltando le sue guance ora più scavate. Ma sorride.

«Perché nessuno lo sa, a quanto pare, e temo la voce possa giungere ad Aurelia. Manterrò ancora un profilo basso, al momento, ma sappi che non attenderai ancora a lungo. Presto sarai di nuovo libera, Crystal.»

Lilith marca le ultime parole con fermezza e un velato sentore di trionfo, consapevole del peso che queste detengano, ma la soddisfazione sopraggiunge solo quando coglie Crystal ritrovare se stessa.
La propria sé felice.

«Tuttavia, ufficialmente parlando, non ti ha mentito. O quantomeno non totalmente.»
Sospira, seccata. «Aurelia ha lasciato un biglietto anonimo, seppur evidentemente suo, al generale dell'accademia militare. Mentendo.»

«Cosa c'era scritto sul biglietto?»

«A quanto pare, Aurelia ha finto di aver preso le sembianze di una guardia militare d'alto rango e di averti portata con sé, nel... mondo esterno.» La voce della donna s'incrina lievemente.
Tossisce.

«Nel mon... no, un momento, è assurdo! Non le avranno di certo creduto, spero.»
Crystal innalza il proprio tono di voce, finalmente ritrovato, ma il silenzio dell'altra la spazientisce.

E intimorisce.
«O si?»

«Tecnicamente, come ti ho già detto, c'è chi ti sta cercando e sono convinta che manchi poco al tuo ritrovamento. Salvataggio, intendevo.» Tossisce. «Ma... sulla carta, per quanto lo stesso generale stenti a crederci, Aurelia ha già varcato in passato la soglia della barriera, no? Non è poi così impensabile che possa averlo fatto ancora.»

«Ma come avrebbe fatto a portarmi con sé? Come saremmo mai potute passare inosservate, non ha alcun senso!» Il clangore metallico le rammenta di non potersi dimenare quanto vorrebbe.

«Ne ha ucciso uno.»

Crystal sbarra gli occhi, schiudendo lievemente le labbra.
Cosa... intende?

«È stato ritrovato morto uno di loro, una guardia militare che quel giorno era di turno all'ingresso del portale con l'esterno. Dell'unico varco che consente agli umani di abbandonare Highest City.» Ride, sospirando. O sospira divertita.
Ciò che è evidente è il suo disappunto.
«Quell'ingresso dovrebbe essere il più sorvegliato, eppure non fanno che commettere negligenze. Umani... hanno creduto che si sia introdotta fin lì assumendo l'aspetto di un altro soldato, per poi eliminare la guardia che era di turno e varcare la soglia della barriera indisturbata.»

«U-Un momento, come avrebbe fatto ad assumere l'aspetto di un soldato? E come avrebbe fatto a trasportare me!»
Le suona tutto così assurdo.

«È in suo potere in quanto demone superiore. Esattamente come ha fatto con la professoressa Victoria a scuola, lei può invertire il proprio aspetto con quello di una persona priva di conoscenza. E, intuisco che tu forse non lo sappia, ma è anche in grado di scambiare l'aspetto fra due persone tra le quali lei non è compresa, se esanime.
Al momento del rapimento ti avrebbe dunque fatta svenire, così da sostituirti i connotati con quelli di un'altra guardia, e non a caso ne è stata ritrovata anche un'altra... ma viva, era solo svenuta.»

Crystal sembra tirare un sospiro di sollievo, pur non affatto tranquilla dopo tali rivelazioni.
Cosa significa? Verrà salvata, ma non ufficialmente?  Cosa intende?

«C'è anche chi ha ipotizzato tu fossi una traditrice.»

La giovane riconduce di getto lo sguardo sulla donna.
Strabuzza gli occhi.

Schiude le labbra, divarica, ma non sa da cosa partire.
È già esausta.
Non può rispondere ad accuse del genere finché è lì.

«Pochi giorni dopo il tuo rapimento sono state fatte delle indagini, e i soldati hanno interrogato Archer.»

«Cosa? Perché?»

«Perché è stata l'ultima persona con cui hai parlato prima di incontrare Aurelia, dunque avevano bisogno della sua versione dei fatti.» Spiega l'altra, con naturalezza. Il suo tono rimane invariato. Pacato. Accelera tuttavia la propria parlantina.

«Io non l'ho "incontrata". Non stavo di certo passeggiando.» Le fa eco Crystal, evidenziando la pessima scelta di parole dell'altra. «E poi questo cos'ha a che fare con me che...»
Sospende la frase, lasciando intuire a Lilith il prosieguo.
E lei lo coglie.

«Si sono fatti spiegare quanto successo. Archer disse loro che te ne eri andata dopo aver detto di essere la chiave per Aurelia, che voi due foste in un qualche modo connesse o che veniste dallo stesso posto.»

«Io ho davvero... no, cazzo!» Serra le palpebre, Crystal, gettandosi con il capo contro la parete, umida.
Se n'era completamente dimenticata.

«Si, beh, non ha molta importanza al momento. Sembra che quel ragazzo non fosse completamente lucido e, in ogni caso, loro non sospettavano esattamente che tu fossi una spia, o che fossi d'accordo con Aurelia fin dall'inizio. Piuttosto, l'ipotesi sosteneva che tu fossi stata manipolata da Aurelia e sfruttata per qualche motivo. O che fossi, per tal motivo, dalla sua parte.»

Si schiarisce la voce, e Crystal ha notato essere un modo per smorzare l'atmosfera. O per prepararsi alla notizia successiva.

«Ciò significa che... a causa del biglietto e delle altre prove lasciate da Aurelia, se entro un mese nessuna indagine o spedizione di ricerca andrà a buon fine, il tuo caso verrà... archiviato. Verrai data per dispersa, e dunque morta.
Smetteranno di cercarti, Crystal.»

Lilith tossisce, di nuovo, ma Crystal neppure ci fa caso.
Il piccolo mondo in penombra che la circonda le rotea attorno vertiginosamente, sempre più rapido, sempre di più.
Schiude le labbra, che tremano, e conduce il proprio sguardo ovunque, posandolo in ogni dove alla rinfusa.

Prima un punto, il tavolo. No, meglio la fiamma che arde sul candelabro. No, troppa luce.
Un angolo più scuro.
Un angolo più buio. Uno polveroso, umido, privo di luce.
Uno in cui poter sparire.
Magari rintanata, magari con le ginocchia a coprirle il viso, e a coprirle gli occhi. Così non dovrà più vedere Aurelia, no?

«Crystal, non è ancora finita!» La voce di Lilith la fa sussultare sul posto, e lei si volta.
Tremando. Di nuovo.

La giovane guarda accidentalmente la fiamma della candela, e nota come questa sia sempre più vicina a divenire cera colata.
Una vita che arde e ne consuma un'altra, solo con l'inutile fine di sparire e tornare a essere cera.
Si chiede se non siano così anche lei e Aurelia.

«Archer lo sa?» Spezza il silenzio, la stessa Crystal.
«Sa di questa bugia?»

«No. Non hanno ancora rilasciato alcuna informazione, in realtà. Te l'ho detto, lui si reca ogni giorno in accademia proprio per questo, ma se non hanno ancora divulgato alcunché significa che il caso è aperto.» Ribadisce la donna, avvicinandosi alla giovane per porle una carezza. È fredda.

Ma è fredda anche la sua mano, secondo Crystal.

«Non temere, sono sulle tracce di Aurelia ed è solo una questione di tempo prima che la trovino. Tu sarai libera, e ben prima che possano archiviare il caso.»

«Capisco... allora spererò che tu abbia ragione. O che non mi stia mentendo.» Tossisce, ma stavolta è la giovane a farlo.
L'altra avrà colto il segnale?

«Non ti fidi di me?» Inarca le sopracciglia, Lilith, inclinando lievemente il volto a tre quarti.

«Dovrei? Non ti conosco affatto, e mi stai dicendo così tante cose che non posso non domandarmi come tu faccia a conoscere.» Scuote lievemente il capo, corrugando la fronte in curiosa attesa.

Le crede, in realtà.
Il suo cuore vuole farlo. E neppure le circostanze sembrano suggerirle diversamente, ma... qualcosa la turba.
Qualcosa la mette in allerta. Ma non saprebbe stabilire cosa.

Lilith curva l'angolo delle labbra, sospirando divertita. Abbassa lo sguardo per un solo istante, ma poi lo riconduce negli occhi taglienti della giovane prigioniera.

«Credimi se dico che non ti biasimo, e che sono piacevolmente colpita dalla tua capacità di diffidare degli altri. È importante che tu ne sia in grado, per restare lucida dinanzi alle torture di Aurelia. Specialmente quelle psicologiche.» Affila la lingua.

L'altra la osserva in silenzio, si limita a serrare le labbra in una linea sottile che ripiega all'interno della bocca, per poi ricacciarla all'esterno.

«Non so chi tu sia, però.» Si decide a ribadire.

«Ma io so chi sei tu. E a dire il vero anche tu mi conosci.» Annuisce con il capo, Lilith.

«Cosa?»

«L'hai solo dimenticato.» La donna emette un sospiro, forse seccata o forse annoiata dal doversi ripetere.
«Come ho già detto, mi chiamo Lilith e più di chiunque altro voglio che Aurelia torni a essere quella di un tempo. Questa donna gelida, anzi, sadica, non è affatto quella che conoscevo. Non la riconosco!» Getta la mano libera all'aria, e con l'altra agita il candelabro.

«È pericolosa, calcolatrice e crudele, ed è arrivata a livelli inimmaginabili... tu ne sei la prova vivente, Crystal. Ha superato ogni limite e va fermata prima che sia troppo tardi, per te e per l'intera umanità!» Annuisce con il capo, come rafforzando i concetti espressi.
L'altra svia con lo sguardo altrove.
Non sa come sentirsi, al momento.

«Vorrei tanto che rammenti cosa significa davvero amare qualcuno, cosa si prova a rendere felici le persone che si amano e vederle a loro volta gioire per te. Vorrei che tornasse a essere il demone più solare, empatico, gentile e altruista che il mondo abbia mai visto.» Serra le labbra in seguito a un sospiro, schioccandole e scuotendo impercettibilmente il capo con rassegnazione.

«Aurelia è stata cosa?! Tutto questo? Sul serio, empatica, solare e cosa?» Inarca le sopracciglia Crystal, decisamente allibita.
Non è indubbiamente il demone spietato che ha, suo malgrado, conosciuto.

E poi, da quando i demoni provano emozioni?
È impossibile.
Semplicemente non ne sono in grado.

Lilith ride, scrollando le spalle. «Si, so cosa vuoi dire. Non è più quella di un tempo, e purtroppo ha finito con il corrodere se stessa... tuttavia, si. Un tempo, prima della Grande Guerra, lei è stata un demone particolarmente... umano.
Ma poi ha conosciuto te, ed è diventata così. Vuota.»

Come cento e mille lastre di vetro in frantumi, anche l'immagine che Crystal aveva della realtà, crolla. Disintegrata, un'infinità di cocci d'anima ovunque e non poca confusione nel riordinarli.

Che diamine significa?
È forse colpa sua se Aurelia l'ha rapita?
È questo ciò che intende dire?

«Di cosa stai parlando, Lilith? Io non conoscevo Aurelia nè tantomeno te, e non riesco proprio a capire ciò che mi stai dicendo. Perché parli di... Grande Guerra? E perché mi attribuisci la cazzo di rovina di Aurelia, come se il suo cambiamento fosse colpa mia?»
Il clangore metallico scatta a ogni suo ondeggiare.

A ogni suo movimento troppo rapido, scatto del capo o oscillazione, il clangore metallico delle catene che le circondano i polsi e le caviglie le rammenta di non avere libertà.
Neppure quella decisionale.
Neppure quella di muoversi sul posto.
Non più di quanto non le consenta Aurelia.

«Allora? Come fai a-»

«Sono un demone.»
Lilith schiude le labbra, in seguito a un sospiro seccato.

Eppure, non appare all'altra come spazientita.
Solo... diversa da sé.

«Tu sei un...» Crystal la scruta, serrando quasi le palpebre, ma il sentore di tradimento che la sua espressione di disappunto non cela affatto, fa sorridere l'altra.

«Si, ed è per questo che noi due ci conoscevamo già, esattamente come conoscevi mia sorella.» Sbatte le ciglia.
Le sue labbra formano una linea sottile, ma la giovane non saprebbe constatare se questo sia o meno un accenno di sorriso.

«Tua sorella è...» Crystal inclina il volto di tre quarti, e le parole che volutamente sceglie di sospendere sembrano aver già trovato risposta.

«Sì, è lei, ovviamente. Aurelia è mia sorella.»

Il tono sepolcrale della donna fa raggelare il sangue di Crystal, che in un solo istante ripensa a tutta la gentiezza ed empatia ottenute da Lilith.
Può davvero rappresentare una minaccia?

«Ovviamente? E io dovrei, ovviamente, fidarmi di un demone che afferma di essere sua sorella! Cazzo, Lilith! Cos'altro vuoi? Sarebbe stato meglio restare svenuta.» Si rigetta contro l'umida parete, serrando le palpebre nel desiderio di svanire.

Magari la penombra la assorbe. La rapisce.
Si può rapire una persona che è già tenuta in ostaggio da un altro rapitore?

«Non c'è tempo. Lei è nei paraggi.» Guarda altrove, Lilith, forse per la prima volta per una manciata di secondi così prolungata.

«Cosa? Come fai a saperlo?»

«Ti trovi in un condominio, più precisamente un palazzo abbandonato ben oltre l'accademia militare, di più non saprei dirti. Ci sono cinque piani e questo è l'ultimo, ma lei a breve avrà varcato la soglia d'ingresso, il portone cigolante. E io non posso più attendere o prepararti oltre... devo dirtelo.»
Lilith le si avvicina ulteriormente, azzerando la già poca distanza che le separava.

«Sapere cosa? D-di cosa stai parlando?!»

«Sto parlando di tutto ciò che lei sa ma che tu non sai, dei ricordi che ti sono stati sottratti e delle tue voci.»

Ricordi. Voci.
Dunque c'è una risposta, un'alternativa alla pazzia.
Una che vale la pena ascoltare.

Lo stomaco le si contorce da un'isterica ansia furente.
Aurelia sta arrivando, hanno pochi minuti, tanto da dirle.
Tanto che lei non sa, ma che vorrebbe sapere.
Che crede di voler sapere.
E poi, trascorsi questi minuti, cos'accadrà? Lilith se ne andrà?
Come? Sparirà anche stavolta?

I ciotti, i frammenti e le schegge di vetro si riuniscono alla rinfusa nella sua mente.
«I miei ricordi... si, credo di sapere di cosa stai parlando. Sai come posso recuperarli?»

Lilith si volta di scatto verso la porta, per poi tornare su Crystal. Da le spalle alla porta e questo, forse, la pone in agitazione. Inspira ed espira.

«Non ho agito fin da subito anche perché non avevo idea di cosa ti fosse accaduto. Avevo... no, forse in cuor mio ne ero già al corrente, ma non volevo accettarlo. Era impensabile, ai miei occhi, ma poi, purtroppo, i miei dubbi sono divenuti realtà.»
Il suo tono sepolcrale, il suo sospiro.
Non un buon presagio, secondo la giovane.

«Durante la Grande Guerra, Aurelia deve aver appreso e utilizzato a mia insaputa il sortilegio vincolante che io stessa creai per "neutralizzare" nostro padre, l'ultimo Re della stirpe demoniaca, Adam.»

Un brivido sviscerante trapassa Crystal. Le si raggela il sangue; il prima principe e poi Re, Adam. L'ultimo e glorioso membro della stirpe reale demoniaca, nonché... colui che ha dato inizio allo sterminio della razza umana.
E Aurelia, cazzo, è sua figlia. E anche Lilith, a quanto pare.
Ora le è tutto più o meno chiaro... possibile che quella psicopatica voglia trionfare laddove suo padre ha fallito?

Non che non sia riuscito nel suo intento, ma la stirpe umana, seppur protetta da una barriera, è ancora in vita.

«Nostro padre voleva a tutti i costi inneggiare a un conflitto, sottomettere gli umani e dare così inizio alla Grande Guerra, ma io ero contraria. Così... escogitai un piano B, un'ultima arma segreta in grado di evitare quell'inutile spargimento di sangue...
Un sortilegio vincolante di primissimo livello, l'unico in grado di perpetuarsi nel tempo come solo le maledizioni fanno.
L'ho chiamato "Verità Nascoste".»

«Verità... Nascoste?» Bisbiglia Crystal, frastornata.
Gradirebbe senza alcun dubbio un massaggio alla tempia.

«Il suo utilizzo è quello di cancellare, o nascondere, completamente i ricordi di una creatura a quest'ultima, e indipendentemente dal suo potere o dalla sua razza.
Difatti, cancellando i ricordi e dunque distorcendo la realtà di un individuo, gli vengono al tempo stesso celate diverse verità... non che ti interessi il significato del nome, a ogni modo.»

Il clangore metallico lacera la mente già in subbuglio della giovane, che sussulta.
«Cazzo! Che spavento... perdonami.»
Sospira, gonfiando poi il petto e accennando un sorriso, Crystal.

Ma lo sguardo di Lilith diviene presto corrugato.
Preoccupato.

«Non erano le tue catene.» L'altra sbianca di colpo, intuendo. «Era il portone di ferro, al piano terra. Qualcuno lo ha aperto.»

«Aurelia! No... non ora, cazzo!»
Crystal digrigna i denti, guardandosi attorno come nella speranza di una via di fuga.
Ah, già.

«C'è un dettaglio di cui Aurelia non sembra essersi curata!» La richiama a sé, Lilith, affrettando ulteriormente la propria parlantina.
«A quanto pare lei crede che tu abbia ormai perso completamente i ricordi, e apparentemente è così. Ma "Verità Nascoste" non è una maledizione come lei crede, ma un sortilegio vincolante! Ciò significa che, al contrario di una maledizione, richiede di essere alimentata da energia demoniaca, costantemente. Non basta scagliarla una sola volta e dimenticarsene!» Sospira, beffeggiando sua sorella.
«Aurelia non riusciva a diventare più forte proprio per questo. Non riesce a rinforzarsi perché tu la indebolisci continuando a prosciugare la sua linfa vitale, e nel tentativo di tenere a bada un vincolo che lega e intrappola te quanto lei! È stata un' azione sconsiderata.»

Una rampa, forse due. Aurelia percorre le scale, cigolando di trave in trave.
Gradino dopo gradino.
Tre piani la separano dal tentativo che la sua stessa sorella, che lei rammenta essere defunta, sta attuando per spezzare il vincolo che le lega.
Per porre fine a una storia che ha avuto inizio più di mille anni fa.

«Puoi spezzarlo? Puoi annullare questo vincolo?»

«Naturalmente, Crystal. D'altronde, anche se non ne vado fiera, sono solo e soltanto io la sua creatrice, non Aurelia. Lei non ha neppure saputo distinguere un sortilegio vincolante da una maledizione... dilettante.» Si pavoneggia, Lilith, che sospira con fare solenne e orgoglioso.
«Posso interrompere il suo flusso in un solo istante, ma la tua memoria non tornerà altrettanto in fretta. Potrebbe manifestarsi sotto forma di sogni o visioni, o voci.»

«Voci? Come il mio...»

«Esattamente, come il tuo potere. Tu non rammenti più di averlo, non ne conosci la forma, l'entità e la portata. Non ricordi più neppure come sfruttarlo e, pertanto, esso tenta di riemergere attraverso le voci che tanto ti affliggono. Volevano che salvassi Archer, in quel corridoio, e volevano che affrontassi Aurelia. Non volevano altro che spingerti a ricordare, Crystal.»
Il suo tono pacato chiude il cerchio di incertezze in cui la mente della giovane è stata sinora immersa, eppure...

Aurelia. Le manca un solo piano.
Procede a salirlo.
Una sola rampa di scale.

«Ciò significa che se riavrò i ricordi che per qualche motivo Aurelia mi ha sottratto... t-tornerà anche il mio potere, perché ricorderò come usarlo, è così?»
Crystal incurva le sopracciglia.
Il suo cuore è in trepidante attesa.

E Lilith, di risposta, le sorride.
«Si, esatto. Con il ritorno della tua memoria, riemergerà anche il tuo vero e unico potere, e ciò implica anche una... assenza di caos. Le voci che senti non avrebbero più motivo di manifestarsi.»

«Ti scongiuro Lilith, qualsiasi siano le conseguenze, fallo! Annulla questo sortilegio, ti imploro!» Crystal scatta in avanti, il fondo oscuro del panico e il focoso bagliore della speranza ardono nei suoi occhi di diamante.

Lilith sospira, ma poi, sorride.
«Se dovesse esserci un sovraccarico di informazioni, il tuo cervello eliminerà o distorcerà parte dei tuoi ricordi del presente, sostituendoli con quelli del passato. Ne sei ancora convinta?»

Una sfida, una scelta.
Si, o no.
Non si torna indietro, non si guarda avanti.

Tic.
Tac.
Le campane del grande orologio di Highest City riecheggiano in un boato assordante.

E il tempo è scaduto.

«Crystaaaal!» Cantilena Aurelia, ruotando la maniglia.

Si richiude la porta e le sue numerose serrature alle spalle.
Lucchetti, metallo, ferro, chiavi.

Ma poi si volta, osserva Crystal.
Ma lei non può ricambiare il suo sguardo.

Sta dormendo.




Ma la giovane, dopo poco, riapre gli occhi. O così crede.
Dolore, dolore ovunque.
Avverte la propria mente frastornata, un caos lobotomizzante. Eppure...
Cos'è questo pavimento così gelido? E questa luce, queste manette sono... no, un momento.

Non sono le spesse catene di Aurelia.
Cos'è questo baccano? Così tante voci, cosi...

Alza lo sguardo, serrando le palpebre per una frazione di secondo. Reagisce alle non poche luci presenti in ogni dove.
Ma poi guarda davanti a sé, e gli occhi li sbarra.

«Ecco perché Lilith ha detto che noi ci conoscessimo...»
Deglutisce, completamente esterrefatta.
In ginocchio, su di un pavimento gelido e celeste.

Ma le è chiaro chi lei sia.
Conosce la donna che ha dinanzi a sé, adagiata su di un trono di ghiaccio con fare saccente e annoiato.
Quantomeno finché i loro occhi non si incrociano.


«... Ho preso parte anch'io alla Grande Guerra.»



SPAZIO AUTORE
Dunque... come giustifico tutto ciò che accadrà?🥳
Beh, nel caso, ricordate che io mi limito a narrare le loro vicende... poi fa tutto la trama, ovviamente.
Io non ho alcun potere!🤧😖

Vi do il benvenuto in questa "nuova parte" di VN!💅🏻
Teorie in merito al finale o a quanto detto?

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