Sussurri divenuti realtà. [CAPITOLO 7]

Una crepa..?
Un buco, si sta...
NO!

Sam non ha mai sfruttato così tante volte la sua tecnica;
mantenerne il controllo è complesso.
E se la sua soglia dell'attenzione cala... con essa sprofonda anche il tornado shield.
Tutta la chioma di Aurelia in un' unica treccia.
Al di fuori, del tornado.

In uno scatto, verso l'alto e poi in picchiata.
Diretta in un unico punto.

Lo stomaco di Archer.
Lo trafigge.

I capelli della preside costringono il ragazzo ad alzarsi, come fosse una marionetta, senza usufruire delle proprie forze ed affrettandosi a lasciarlo crollare al suolo in un tonfo piatto.
Gli sguardi dei presenti sono puntati sul giovane, come sbiaditi,

Sono pallidi, terrorizzati.

«A-archer...»
Aiden schiude le labbra, boccheggiando impotente.
Ancora una volta, le pareti della scuola si tingono di rosso.

«Su, su, sta bene.» Avanza di pochi passi, Aurelia;
due gocce di sangue le tingono le labbra, che si appresta a ripulire con la lingua.

Aiden scatta sul corpo inerme dell'amico, avvolgendolo all'istante con le proprie braccia, tremanti.
«Riesci... Archer, riesci a sentirmi?» La sua vista fa per offuscarsi e le ciglia per inumidirsi, ma desiste.

Desiste, finché non osserva il compagno in volto... e le nota.
Bianche.
Vuote.

Le sue pupille.

Come quelle dei ragazzi uccisi il primo giorno di scuola.
Come quelle dei ragazzi ormai privi persino di un'anima.

«Che cosa cazzo gli hai fatto Aurelia?!»
Sbraita Victoria, la sua insegnante. La sua chioma bluastra ondeggia alle spalle, mossa dal tremolio della donna.

Avverte un crescente sentore di lievi dolori fisici, persistenti a causa della pressione esercitata poc'anzi sui loro corpi, ma non si rende neppure conto che l'effetto del potere gravitazionale del demone sia ormai svanito... nonostante lei e tutti i presenti si stiano a poco a poco rialzando.

Tutti tranne Archer.

«Placate i nervi, non l'ho mica ucciso.»
Aurelia indica il cremisi disteso al suolo con gli occhi, sorridendo. «Per ora.»

Aiden, replicato da Selene e Stella, segue lo sguardo della preside e nota che... il buco allo stomaco di Archer è sparito.
Non c'è più.

«Quello era solo il mio modo di tenerlo fuori dai giochi per un po', curiosando anche nella sua mente.» Spiega lei, notando il loro evidente stupore.
«Ma non gli ho arrecato alcun dolore, tranquilli. Non fisico, perlomeno.»

Incurva ancora le labbra Aurelia, divertendosi in quello che per lei non è altro che un gioco.

O forse no.
Forse c'è dell'altro.

«Si può sapere cosa cazzo gli hai fatto?»
Scatta Aiden, che immediatamente viene come placato dalla presa delle dita di Selene, salde sulla sua spalla; la giovane avanza invece un'ulteriore quesito al demone, corrugando la fronte.
«Perché il bisogno di tenerlo "fuori dai giochi"? Che problema ti creava la sua presenza?»

«Molti.» Si affretta a sintetizzare lei, gelida. «Adesso è in uno stato di pseudo-trans da cui dubito farà mai ritorno. Per dirla in parole povere... è intrappolato nei suoi stessi ricordi.» Aurelia curva le labbra, dipingendosi d'un contorto ghigno.

Perché? Perché spingersi a tanto?

«Il "tuffo nel passato" di cui parlava...» Borbotta Crystal, sottovoce.

Osserva il suo volto tirato, come una maschera, e la sua palpabile soddisfazione.
Per quale motivo Aurelia le ha chiesto se ricordasse qualcosa, appena giunti a scuola?
Come possono le due avere una qualche connessione?
Perché era certa del loro arrivo?

Il frastuono della sua voce interiore viene messo a tacere.
Da una treccia in arrivo.

Capelli, ancora.

Per un istante trattiene il fiato, manca un battito.

«Cazzo!» Crystal indietreggia di scatto, ma la chioma di Aurelia è più veloce.

Avverte i propri muscoli tentennare, esitare dinanzi al demone, e le proprie ossa cedere.
La vista le si offusca ed anche gli altri sensi fanno per abbandonarla.

Riesce a vedere l'esatto momento in cui il suo corpo cadrà in frantumi, spiattellato contro la parete alle sue spalle.

Ma ciò non avviene.
La chioma viene deviata;
è il fuoco di Selene, a sventare l'aggressione.

Tutti i presenti trattengono il fiato senza neppure rendersene conto.
Aurelia è stata troppo veloce, per chiunque.
Ma non per Selene; l'aria sa di cenere e polvere, ma il cuore di Crystal arresta finalmente la propria corsa, e rallenta.

«Oh cazzo!» Esulta Randall come in preda all'adrenalina, stupito della sua giovane neo-apprendista del fuoco.

«Grazie al cielo.» Sospira e serra le palpebre Victoria, abbandonandosi per un istante nell'incavo del collo di Alexandra, che copre invece le labbra appena schiuse con la mano.

«G-grazie.»
Accenna Crystal un sorriso all'altra, che ricambia.
Deglutisce ancora, gonfiando e sgonfiando il petto più e più volte.

Era ad un passo dalla morte.
Ne ha come percepito il gelo.

«Non sono riuscita a difendermi...» Crystal schiude lentamente le labbra, sottovoce; teme qualcuno la oda.
Osserva le proprie mani, come amareggiata.

«Ho provato a far brillare gli occhi, a reagire, ma non ci sono riuscita. Non mi era mai successo prima...» Prosegue la giovane bluastra, persa in un vortice di impotenza.

Aurelia le ha divorato la mente con una sola domanda.
E lei lo sapeva.
Lo sa.

Era certa che Crystal si sarebbe unita ad Archer per affrontarla, e sapeva esattamente che le avrebbe devastato la mente con una sola richiesta, che l'avrebbe resa impotente.

"Ho solo una veloce domanda. Non ricordi nulla, Crystal?"

È stato come un attacco a sorpresa, rapido. Il metodo perfetto per testare i risultati del proprio, precedente, piano.
Quello psicologico.
Quello piu subdolo.

Ed ha funzionato.
I risultati sono soddisfacenti, Crystal è fuori uso ed Archer è...

La preside divide nuovamente la sua folta chioma, non abbandonando neppure per un secondo il macabro ghigno che le dipinge le labbra.

«Ragazzi attenti, dietro di noi!» Alexandra esorta gli studenti a nascondersi alle loro spalle, affiancata ora dai tre insegnanti.

Si preparano a difendersi, ancora.
Si preparano a combattere. Ma i tre insegnanti sono già quasi stremati, ed Alexandra è l'unica priva di ferite.

Il piano di Aurelia, ora che i suoi due obiettivi sono inoffensivi, è la distruzione della struttura in cui si trovano.

Intende eliminarli tutti sotto le macerie della scuola.

Alexandra osserva Aurelia, il suo ghigno incrollabile e l'audacia con cui avanza di pochi passi, come felina.
Gli insegnanti indietreggiano timorosi e gli studenti con loro, tenendo sotto controllo la chioma divisa del demone.

Sono in attesa.
Ma quest'ultima dura poco.

Era un bluff.
Questo attacco non ha nulla a che fare con i capelli di Aurelia.

«Restate dietro!» Ribadisce Randall, preparando le proprie dita a sprigionare fuoco.

«Non che ci sia un'altra scelta!» Borbotta Selene, in realtà pronta a difendersi ancora.
La sua magia è lì per questo; Stella le tende una mano, spaventata, e Sam combatte con i propri sensi di colpa.
«Scusate, se non mi fossi distratto sarebbe rimasta nel Tornado Shield, scusate.»

«Non è colpa tua, tranquillo. Avrebbe ugualmente vinto lei, non abbiamo speranza.»
Aiden accenna un sorriso, nascondendo quanto le proprie ossa tremino l'una contro l'altra.
«M-ma che cazzo vuole fare?» Sposta ora lo sguardo su Aurelia, continuando ad indietreggiare con il gruppo e a tenere Archer privo di sensi ben saldo a sé;

Crystal, a sua volta terrorizzata, detiene fra le proprie dita la mano destra di Archer.
Spera che, in un qualche modo, si risvegli.
Che torni da lei.

«Non vorrà...» Victoria scosta lo sguardo dalla chioma di Aurelia, al momento tenuta sott'occhio da chiunque, e...
Lo nota.

Un luccichio.
Nero.

Qualcosa di incandescente sta per esplodere.

In pochi istanti, le grida divengono come ovattate e la vista si offusca.
Un fischio irrompe nelle loro menti e la corsa contro il tempo diviene nulla.

Non c'è alcuna via di scampo.
Blackout.
Perdono i sensi.

Lentamente, tutti schiudono gli occhi e realizzano quanto accaduto.
Si guardano intorno, scettici. Non saprebbero dire quanto tempo è trascorso.

«Siamo... siamo vivi!»
Getta le braccia al cielo Aiden, incurvando le labbra.
Tossisce, rialzandosi dal suolo.

Si trovano all'esterno di quella che pochi istanti fa era una struttura ben solida, ora intenta a crollare in fracasso e cenere.
Il giovane innalza lo sguardo ed inquadra la disastrosa condizione in cui è ridotta la sua scuola, devastata dal potere di una creatura impregna d'odio.

Tuttavia, la barriera oscura che li circonda e intrappola non accenna invece a svanire.
I civili sono difatti ancora lì radunati, osservando e mormorando curiosi commenti dall'esterno della barriera.

«Restate dietro il mio muro!»
Alexandra riprende il controllo della situazione, facendo solo ora intendere quanto accaduto.
La sua agilità è stata la loro salvezza; un secondo in più avrebbe decretato il loro fato.

Le sue liane hanno salvato i presenti che, esclusi i pochi graffi della caduta e le polveri respirate, non riportano gravi ferite.
Il muro innalzato sta invece impedendo alla cortina di fumo e ai ciottoli delle macerie di causar loro ulteriori danni.

«Grazie professoressa Alexandra, ci ha salvati tutti!»
Trilla Stella, sorridendo dolcemente.
La donna ricambia, piegandosi tuttavia in un colpo di tosse di troppo.

«Professoressa! Come sta?» Scatta Stella, tentando di guardarle il viso.

La donna curva l'angolo delle labbra, tornando presto eretta sulle proprie gambe.
«Sto bene, tranquilla.» Si schiarisce la voce ed accarezza dolcemente il viso di Stella, nel tentativo di rimuoverle parte di polvere dalla guancia..

«Stai esagerando, non puoi occuparti di noi e Aurelia da sola.» Interviene Victoria, rimproverando l'amica con fare accusatorio.
Si tradisce tuttavia accarezzandole il gomito, gesto che rilascia silenziosa premura e gratitudine.

«Per una volta concordo con Victoria.» S'intromette Randall, sospirando. «Io e Luke abbiamo riposato abbastanza e Victoria... Come stai?» Si volta sulla donna, consapevole che il veleno da lui e Luke iniettato stia lentamente scorrendo nelle sue vene.
La frustrazione e l'angoscia sono grovigli che l'essere umano non può tollerare, perché non può mai realmente sconfiggerli.

«Sto bene.» Si limita a zittirlo lei, fulminandolo con un'occhiata torva.
Alexandra non lo sa.
Non sa che la sua migliore amica potrebbe morire.

E non dovrà saperlo, secondo Victoria.
La sua tecnica le darà il tempo di cui hanno bisogno, dopodiché si dirigerà in ospedale... deve funzionare.

L'altro recepisce il messaggio, fuggendo con lo sguardo su Luke che, come desolato, trattiene lacrime amare più che dipinto di evidente tormento.

Come possono nasconderle una tale eventualità?
Dovrebbero dirle la verità? Attendere?

Ma attendere... quanto?
E soprattutto, cosa.

Crystal ed Aiden sono invece inginocchiati accanto al corpo di Archer, disteso supino e ancora perso in una realtà a loro troppo lontana.

«Chissà se riesci a sentirmi...»
Aiden serra la presa delle proprie dita a quelle del cremisi, ignorando gli sguardi cupi di Crystal e Selene.

«Perché non ti svegli, amico mio? Sei davvero ancora qui con noi, oppure...» La voce gli si incrina, morendo in gola l'istante successivo.
Selene svia lo sguardo, deglutendo.

Le ciglia già inumidite conducono Aiden a strofinarsi gli occhi, impedendo così lui di osservare nitidamente il viso di Archer.

Il viso contratto in una smorfia.

«Archer è pronto!»
«Arrivo!»

Completamente diversa.
Il legno colmo di vivace pittura, gli schiamazzi e la loro gioia che impregna ogni singolo angolo della casa.

Completamente diversa da sole settantadue ore fa.
Ma anche da molto più, di sole settantadue ore.

Completamente diversa dalla solitudine che da anni riempie il vuoto da loro lasciato, diversa dalla nostalgia e dal rimpianto che da anni culla Archer ad ogni foto, o quadro, che distrattamente incrocia.

Una casa completamente lontana dallo squarcio nel petto, che il giovane tenta di ricucire da allora.

Dalla loro morte.

La cucina accoglie il giovane con un vispo verde acqua, da allora spento, ed il tavolo è ricoperto da lussuosi merletti dorati, da allora non più così lucenti.

Archer non riesce ancora neppure a fremere di gioia.
Non ha realizzato alcunché, non se ne capacita affatto.

No, è impossibile.

Le sue dita tremano, richiuse in un pugno di stupore.
Il giovane prosegue, a testa bassa, così da ignorare quanto vi sia realmente dinanzi ai suoi occhi.

Riesce ad udire le loro voci, proprio lì accanto... ma come potrebbe credere alle proprie orecchie? Al proprio udito, che da sempre si diverte ad ingannarlo?

Ha perso il conto delle volte in cui, tornando a casa da scuola, ha avvertito l'eco delle loro risate fra le pareti del condominio, ancor prima di giungere alla porta...

Eppure, lei non era lì.
Non lo era mai.

Neppure quando Archer ne avrebbe davvero avuto bisogno.
Neppure quando correva, superando con fretta e furia le scale nella speranza di poterla riabbracciare.
Neppure quando ruotava la maniglia, con il viso grondante di consapevoli lacrime.

Consapevoli che nessuno lo avrebbe accolto, superata quella soglia.
Consapevoli di star sperando in qualcosa di impossibile.

Non ricorda più neppure quale fosse il programma televisivo che sua madre Lexa era solita commentare, una volta di ritorno da scuola.
Le sue reazioni erano così teatrali e pompose da riecheggiare nell'intero palazzo; chiunque sapeva cosa pensasse quella donna di ogni singola scena.

Ma Archer si punisce, odia da sempre se stesso per non aver stretto a sé quei momenti con veemenza, passando oltre come fossero privi di valore.
Eppure, darebbe la vita per riavere quei ricordi.

Per sapere di che programma Lexa andasse matta, per sapere perché la piccola Mazzy, sua sorella, ridesse così tanto con lui accanto e perché James, suo padre, amasse così tanto il tempo trascorso con i tre da aver preso una lunga pausa dal lavoro.

Archer non rammenta più bene neppure i loro lineamenti, se non rispolverando vecchie foto.
Meritava davvero così tanto amore?
Forse, riflette... perderli è stata la sua meritata punizione.

Prende posto a tavola; ci sono quattro sedie totali.
Una per lui, una per sua madre, un'altra ancora per suo padre ed infine un'ultima, per la sua sorellina. Mazzy.

«Com' è squisito! A te piace, fratellone?» Trilla lei, irrompendo in un inconfondibile suono acuto nella intricata mente del cremisi.

Le voci nella sua testa non si erano mai spinte così oltre.
Riusciva ad udirle dall'esterno, ma una volta dentro casa l'unica ad accoglierlo era la solitudine.
Lo avvolgeva sempre, rivestendolo di tutto il gelo e la malinconia necessaria a tenergli compagnia.

L'unico giorno in cui riusciva ad avvertire frasi dirette nei suoi confronti, pur stando dentro casa, era il giorno del suo compleanno.

Da bambino lo detestava.
Era l'unico giorno sbarrato sul calendario, ma non per importanza.

Voleva cancellarlo.
Lo desiderava con tutto se stesso... fin quando non ha conosciuto Aiden.

Ed è ironico, dato che entrambi non lasciavano avvicinare alcuno. Erano due ragazzini silenziosi.

Fin troppo, per la loro età.

Iris ed Arthur fecero di tutto per consentire al cremisi di non dover lasciare la casa a cui tanto era legato, e con non pochi straordinari riuscirono ad acquistarla.

Quel gesto sbloccò forse qualcosa nella mente del piccolo Archer, che decise di lasciarsi un po' più andare alla coppia da sempre amica della sua famiglia.

Decise che, forse, davvero volevano aiutarlo e trascorrere del tempo con loro non sarebbe poi stato così sgradevole.

Ma ciò non metteva a tacere le voci nella sua testa.

I velenosi sussurri che avvolgevano la sua mente erano ricorrenti, petulanti e tremendamente insistenti.

Questo, perlomeno, sino al giorno in cui Iris ed Arthur accompagnarono Archer e la loro bimba al parco... e lo videro.

Chiesero ad Archer se lo conoscesse, se quel ragazzino sempre solo al parco fosse un suo compagno di classe.

Era difficile non notarlo; la sua chioma aranciastra spiccava e rimaneva facilmente impressa, così come tutti i lividi e i segni rossi che spesso gli solcavano il volto, e non solo.

L'intero corpo riportava sempre almeno una ferita.
Lo spronarono, almeno due o tre volte, ed alla fine si decise. Archer scelse di avvicinarsi a quel ragazzino, chiedendogli di giocare insieme.

Ma quel piccoletto rifiutò, e lo fece con non poca impertinenza.

Dunque Archer se la prese, e scoppiò a piangere sotto lo sguardo divertito di Iris, adagiata su di una panchina in lontananza.

Ma poi tornò dall'altro, e glielo chiese ancora.
Lui negò, categoricamente.
Non voleva proprio giocare con Archer, a niente.
Ma lui non si arrese neppure ora.

Gli strinse un polso e lo obbligò a salire sullo scivolo con lui, per stare "in alto" insieme. A detta sua lo scivolo era una grande invenzione, ma l'altro non sembrava d'accordo.

Dunque scese dallo scivolo e tornò ad isolarsi.

Ma Archer non si arrese neppure stavolta; non gli chiese il perché delle sue ferite, né tantomeno il motivo del suo isolarsi.

Gli chiese invece perché lo ignorava.
Gli dava sui nervi non volesse proprio giocare con lui.
L'unica risposta che ricevette fu un "perché non ti conosco."

Archer non se lo fece ripetere due volte.
Gli rivelò finalmente il proprio nome, e gli chiese così il suo.

Aiden.

Si chiamava Aiden.
Ormai si conoscevano.
Non avrebbe più potuto rifiutare di giocare insieme a lui.

Da quell'istante, ogni singola voce è stata messa a tacere.

Ogni singolo sussurro d'odio nella mente di Archer è completamente sparito... dunque perché?

Perché ora che siede al medesimo, maledettissimo, tavolo di sempre riesce ad udire chiaramente le loro voci?

Perché ora Mazzy gli ha persino rivolto la parola?

«Arci?» Inclina il capo la piccola, i cui capelli biondi ondeggiano in sinuose ciocche oltre le tempie.

Il giovane deglutisce,mandando giù un boccone che non ha nulla a che vedere con il caldo piatto dinanzi a sé.

Le dita di una mano sono richiuse in un pugno e le altre, ancora avvolte al manico del cucchiaio in metallo, tentennano.

Non hanno le forze per condurlo al piatto e ancora alle labbra del cremisi, decisamente favorevoli a non inumidirsi.

Lui, non ne ha le forze.

Non muove un singolo muscolo, trattenendo l'irrefrenabile voglia di scoppiare in lacrime e fuggire.
O di gridare, di sbraitare l'intera collera derivata dalla sofferenza.

«Archer, rispondi a tua sorella! Non fare il maleducato.»
Lo richiama sua madre, Lexa, ridacchiando con fare allegro.

Afferra la verdognola bottiglia d'acqua ed il lieve tintinnio, dovuto al dorato anello a contatto con il vetro, riecheggia.

Non ha mai smesso di indossare quel gioiello; fu un regalo di suo marito, James, prima della spedizione per la quale partirono.

L'ultima.

Non ha più avuto l'occasione di sfilare l'anello dal dito.

«Archer? Tutto bene? Non hai ancora toccato cibo, sei pallido.» Riprende Lexa, ora con fare più apprensivo.

Scruta il suo piccolo, e dall'inestimabile valore, tesoro con nostalgia.

«I-io sto...» Il cremisi balbetta, poiché le parole fuoriescono come incerte.

Una raffica esplosiva di mugugni e vaneggi sconnessi fra loro, non riuscendo neppure alla lontana ad alzare il proprio sguardo dal piatto per rivolgere loro attenzioni.

Riesce ad udire le loro voci e riescono persino a comunicare con lui... non è possibile, non alzerà lo sguardo.

Loro non possono essere lì.
Non ha alcun senso tutto ciò.

«Mi piacciono questi capelli rossi, sai?» Irrompe nei meandri della sua mente, suo padre.

James era l'unico, poc'anzi, a non aver ancora proferito parola. Un brivido percuote l'intera spina dorsale di Archer; è la voce di suo padre.

Erano anni che non la udiva.
Fin troppi... ormai persino il ricordo ne era sbiadito.

«Da quanto li hai tinti?» Riprende l'uomo, facendo scostare lo sguardo di suo figlio, dal piatto ad un punto casuale nel vuoto... come intento a ragionare.

Ad accogliere il suggerimento di suo padre.

«Credevo ti piacesse il biondo già rossastro che avevi, li hai appena tinti? Eppure ero sicuro avessi scuola stamattina.» Tossisce lui, inarcando leggermente l'angolo delle labbra.

Bingo.

Archer si alza di scatto e indietreggia, sbattendo involontariamente contro la parete che affianca la porta.

Quando la realtà vacilla e le certezze crollano, l'ombra incombe laddove la luce giace.
In parole povere, ci si sente persi.

Privi di un piedistallo, si crolla inesorabilmente nel baratro eterno dell'oscurità; un buio tale da non scorgere neppure più la via d'uscita.

E al momento, Archer, non la vede affatto.
Perché non v'è mai stata una via d'uscita.

«A scuola... è lì che ero.» Sussurra il giovane, aprendo e chiudendo le dita in un pugno come per verificarne la veridicità. Dubita persino di essere reale.

E forse non lo è.
Come la sua famiglia.

Si guarda irrefrenabilmente intorno, ignorando le timorose lamentele della madre, confusa dal suo scatto, e gli schiamazzi della sua dolce sorellina. James prosegue il proprio pasto con noncuranza, pacato.

Sorridendo.

Archer sfreccia con lo sguardo da un punto all'altro della cucina, avvertendo solo ora quanto tutto sembri finto, distante.

Ma d'un tratto, si ferma.
Arresta la propria corsa con lo sguardo, ponendosi qualche istante di troppo sulla porta da cui rammenta d'essere entrato in cucina.

La stessa che da sul corridoio antecedente ai bagni e alle camere da letto... eppure lì non vi è nessun corridoio.

Buio.

E in effetti, lui non era lì.
Non era qui.

«Papà!» Si volta di scatto, nella speranza che lo aiuti.

Spera ancora nel suo calore, nelle sue parole da sempre così pacate quanto risolute.
Ha sempre avuto come il talento di trasmettere la propria serenità, ed Archer lo ammirava.
Nutriva una cieca fiducia nei suoi confronti.

James ha sempre saputo cosa fosse meglio fare.
James ha sempre saputo asciugare le lacrime altrui, dopo averle fatte defluire per bene.
James ha sempre saputo leggere fra le righe, aiutando il prossimo.

Proprio come poco fa... ma non come ora.
Le labbra schiuse, in un urlo.

Archer non riesce a trattenerlo, neppure coprendosi la bocca con foga.
Impulsivamente, in preda al panico, ha sperato nel sostegno di suo padre ed ha così deciso di voltarsi.

Ma... finora aveva solo udito le loro voci.
Non aveva osato guardare.

«C-chi... cosa cazzo siete?!»
Archer indietreggia, terrorizzato.
Gli si stanno contorcendo le viscere.

Le dita tentennano dinanzi alle sue labbra e non riescono a tenere il passo; non riescono ad impedire che la mandibola tremi di stupore.

Di terrore.

I volti della sua famiglia sono completamente sfregiati.

Un'agghiacciante ghigno dipinge i loro visi, ma... è impossibile stabilire anche solo la forma del naso o degli occhi. Non ne hanno una.
Sono come delle tavolozze, i cui colori miscelati compongono una macabra visione.

Un incubo, ma dipinto.

Tutto ciò che risalta in loro, è la totale assenza di capelli.
La sinistroide forma del loro capo, come esagerata e forse bislunga.

Ed ancora, il loro ghigno.
I denti sono affilati come aculei; fuoriescono persino dalla loro bocca.
O dalle loro fauci.

Scostano leggermente le sedie, Lexa e James.
Come in procinto di alzarsi e abbandonare il proprio posto.

«Non è... non è possibile. Tutto ciò non è reale, statemi lontano!» Archer indietreggia ulteriormente, protraendo le braccia in avanti e inclinando lievemente la schiena.

Non riesce a guardarli.

Non riesce a credere ai propri occhi; è certo di aver percepito suo padre sorridere, quando ha velatamente suggerito lui quale fosse l'inganno celato... eppure adesso sembra impossibile.

Non è neppure certo vi siano labbra da inarcare nei loro volti.
Non sono loro.
Le voci sono identiche, ci stava quasi credendo.
Stava quasi sperando, ancora.

Ma non sono loro.
Non hanno nulla della sua famiglia.

Improvvisamente però, la piccola Mazzy gli corre incontro e gli si fionda alla vita, avvolgendolo e stringendolo a sé con veemenza.

Gli arriva poco sotto l'ombelico, pur scuotendo freneticamente il capo e ponendosi più volte in punta di piedi, come a volersi accertare che l'altro la noti.

Non vuole che suo fratello si dimentichi ancora di lei, vivendo come se nulla fosse.
Come se la sua assenza non contasse, ormai da tempo, più nulla.

Come se persino la sua vita sia stata priva di valore, non incidendo affatto in quella del bambino a cui lei invece tanto era legata.

Il "piccolo fratellone" che le guardava sempre le spalle, che le dava la buonanotte con tre bacini sulla fronte, e guai a mancarne anche solo uno. Il fratellone che le leggeva dolcemente le favole e che le riordinava sempre i giochi, altrimenti ovunque sparpagliati.

Ce n'era uno, in particolare, che Mazzy adorava.

Ed Archer non potrebbe mai e poi mai rimuoverne il ricordo, perché quel maledetto t-rex giocattolo era suo, in realtà.

Un giocattolo che lui ha da sempre detestato, poiché semplicemente noioso.

Marrone, spento e inanimato.

E perché a lui le leggende sull'esistenza dei t-rex, così tiranni e temuti, non sono mai piaciute; preferiva al contrario quelle sui velociraptor, ne era innamorato.

Nonostante la giovane età era solito chiedersi se fossero vere, se quelle possenti creature mitologiche fossero mai esistite.

La sola idea che una specie animale potesse percorrere miglia e miglia di distanza in così poco tempo, viaggiando da un punto all'altro con l'avida pretesa di libertà, accendeva nei suoi occhi un bagliore etereo.

Eppure, Mazzy amava così tanto quel t-rex.

Non se ne separava mai, ci dormiva persino accanto... sentiva che stringerlo a sé le ricordasse il suo fratellone, per qualche strano motivo.

Forse perché lo considerava una figura possente, protettiva, e in un certo senso anche più di loro padre.

Le iridi dorate di cui risplendeva quel giocattolo, erano le stesse che ardevano in Mazzy ogni qualvolta il suo caro Archer decidesse di darle attenzioni.

Era convinta che un giorno si sarebbero persino sposati, genuinamente ignara di non potersi di certo maritare con suo fratello.

Ma ora qualcosa è cambiato.
Qualcosa si è spezzato.
Qualcosa è morto.

«Lasciami andare, lasciami!»
Si dimena Archer, intimorito. Teme cosa questa creatura possa fargli... in fin dei conti non ha nulla della sua vera sorellina.

Ne ha a stento le sembianze, no?

«Ti prego non te ne andare, per favore fratellone non lasciarmi di nuovo da sola!»
Le lacrime le solcano e segnano il viso, ed il tentativo iniziale di Archer di divincolarsi cede presto il passo allo stupore.

Alla nostalgia, e alla gioia e... alle lacrime.

Schiude le labbra e divarica le braccia, quando le suppliche della piccola si espandono persino nel suo dolce viso.

Volto di cui suo fratello, finalmente, riesce a scorgere i reali lineamenti.

Era da tempo ormai che questi eran volati altrove, in un punto del cielo così lontano da non poter essere neppure sfiorato.

Un punto del cielo tanto irraggiungibile da non far sconti neppure al piccolo Archer, giunto sul tetto del condominio attraverso la rampa di scale sul retro.

Saltellava, indicava il cielo... eppure non li raggiungeva mai.

Neppure quando cadeva, sbucciandosi un ginocchio.

Avrebbe potuto piangere e gridare quanto voleva... ma nessuno sarebbe arrivato, non chi lui avrebbe davvero voluto.

Eppure, ora sono lì.

Quel bambino innocente, colpevole solo di aver sognato troppo il proprio lieto fine, alla fine li ha raggiunti davvero.

Ha raggiunto quel punto lontano nel cielo, il proprio lieto fine.
Mazzy; è davvero la sua sorellina Mazzy.

Archer conduce istintivamente le mani alla bocca, come paralizzato. Lacrime a lungo trattenute gli sgorgano ora incessanti e amare, ancora e ancora.

Trascinano con sé fin troppa sofferenza.

La avvolge con cautela a sé, tirando su con il naso e sfarfallando le ciglia, sempre più umide.

«Mazzy, sei davvero tu... sei davvero la mia sorellina.»

Le accarezza il capo, ancora avvinghiata a sé, e non può che esser grato di poterla toccare ancora.

Ode la sua voce, le sue lacrime di gioia e le proprie.

Respira dopo anni la vita e il calore da Mazzy emanate, non riuscendo a cessare le proprie lacrime neppure per un istante... è così surreale.

La sua vista si offusca, sino a quando Archer non serra le palpebre e si lascia completamente andare alla piccola; il groviglio di dolore che da tempo gli attanaglia le giornate, seppur per poco, si dissolve. Tace, finalmente.

Ma poi rammenta, e le sue dita allentano man mano la presa esercitata sul corpicino di Mazzy.

«Fratellone?» La sua voce, sottile, e il suo corpo così minuto ed innocente... eppure il cremisi è restio.

Si separa da lei, indietreggiando di pochi passi e con fare incerto. I genitori osservano silenziosi, ormai da qualche minuto in piedi, accanto al tavolo.

«Tu... voi non esistete più da tanti anni.» Deglutisce, mandando giù l'amaro retrogusto della verità.

«A soli sei anni, dopo due settimane dalla morte dei miei genitori, ho assistito con i miei cazzo di occhi all'incidente c-che ha...»

Si ferma per un istante, rivivendo quell'atroce secondo.
Il secondo in cui il suo cuore ha smesso di battere... e non solo il suo.

Come può un ricordo d'infanzia essere tuttavia ancora tanto vivido nella sua mente?

«Qualcuno era alla guida, quel giorno, e non si rese evidentemente conto che Mazzy stesse attraversando la strada. Non so se la vide, ma scappò... ed io invece la vidi eccome. Gridai il suo nome e implorai chiunque di aiutarmi ma nessuno lo fece, neppure chi la investì. Io scoppiai in lacrime, non avevo la minima idea di come aiutarla. Come potevo? Ero solo un bambino con le mani piene del sangue della sua sorellina!» Alza il capo e rivolge il proprio sguardo duro, una maschera dipinta di disperazione e atroce dolore, al volto della piccola dinanzi a sé.

«Quindi scusami, davvero, ma non puoi essere tu Mazzy. Le somigli, tanto» Conduce il braccio agli occhi arrossati, asciugandosi il volto, ed istintivamente incurva l'angolo delle labbra,

«Ma tu non sei lei. E neppure voi.»

Si volta su Lexa e James.
Ma non ci sono.

Schiude le labbra, scuotendo lievemente il capo e tornando ora su Mazzy.
Ma lei non è lì.
Ed ora non lo è neppure più la sua cucina.

Tutto, intorno a lui, diviene nero.
Buio.

«Vediamo... inizialmente non ricordavi nulla e soprattutto non ricordavi né il volto dei tuoi genitori, né quello di tua sorella. Magari c'entra con lo sbalzo di potere magico nel tuo corpo, o non so a cos'altro... potrebbe essere un effetto collaterale dell'iniezione.»

Una voce in lontananza, piatta, riecheggia nel covo di oscurità in cui Archer giace, inerme.

Si volta di scatto, guardandosi attorno con frenesia. Il cuore gli tamburella contro il petto con fare incessante, come tuonando al suo interno.

Cos'è questa sensazione?
Sta tremando.

«D-di quale iniezione stai parlando?»

Il volto saccente di Aurelia, la sua preside, diviene nitido dinanzi ai suoi occhi.

Sembra così sicura di sé, quasi fosse nel suo intoccabile habitat.
Come se fosse lei quella in vantaggio, avendolo in gabbia.

E infatti è così.

«Arrivati a questo punto credo di potertelo dire.»
Sospira lei, apparentemente seccata.

Conduce le braccia al petto e le incrocia; nel suo sguardo è evidente un cenno di trionfo, di eccitazione.

«La notte in cui avete trovato i cadaveri da me personalmente uccisi e affitti alla parete del corridoio con estrema premura, ho atteso che fossi nel pieno del sonno e sono entrata nella vostra stanza.» Increspa l'angolo delle labbra, non appena Archer aggrotta la fronte e rilascia un sospiro di stupore.

«Ti ho iniettato del sangue demoniaco.»

Il mondo cola come cenere sotto i piedi del giovane.
Ammesso esista ancora un mondo in cui fare ritorno.

«S-sangue di... ma allora io-»

«No, non diventerai un demone.»
Lo interrompe la bionda, deducendo il fine ultimo della domanda.

Un macigno scivola dalla schiena di Archer, che rilascia forse il più lungo sospiro nella storia dei sospiri.

«Iniettare sangue demoniaco non basta affatto per diventare uno di noi... in pratica ti serviva solo come stimolo, una piccola spinta per accelerare il risveglio del tuo vero potere. Quando mi hai attaccato con Crystal ho notato dei miglioramenti, qualche riflesso maggiorato... ma sei ancora una delusione, detto francamente.»
Conclude Aurelia, scostandosi le ciocche bionde dalla fronte con un gesto plateale della mano.

«Non ho la minima idea di cosa tu stia parlando, lasciami andare!» Agita le braccia il cremisi, decisamente stufo di udire le sentenze che blatera un demone psicopatico.

«Potere? Sangue demoniaco? Tutto ciò a cui la mia mente è gelidamente immobile, è il viso di mia sorella Mazzy corrugato dal pianto!»

Le inveisce contro, tagliando ora la già poca distanza che li separava.

«Vedi Archer, tempo fa sei stato scelto come il futuro erede di un regno lontano. Difatti il potere di cui ti parlavo è da sempre dentro di te, ma per far sì che essa emerga c'è stato bisogno di un piccolo aiuto. Non prendertela, io ti ho soltanto spronato.» Fa spallucce il demone, noncurante.

Nella mente del giovane fin troppe informazioni riecheggiano in eco tortuoso, scontrandosi fra loro in una scossa perpetua e ridondante.

Tuttavia, per un solo istante, qualcosa rammenta.
Qualcosa che, una volta a scuola, aveva totalmente tralasciato.
Chi era la donna volante in hotel? Cos'ha a che fare lei con tutto ciò?

«Ad avermi scelto...» Le labbra di Archer tremano per un istante, incerte. «È stata per caso la donna volante che è apparsa all'acquapark? L'hai mandata tu vero?»

Aurelia, forse per la prima volta da quando la conosce, gli sfoggia una smorfia perplessa.

Non sembra stia mentendo... lei non ha idea di chi fosse quella donna.

«Non so minimamente chi sia questa donna volante, ma deduco in ogni caso tu non fossi poi così sobrio.» Agita le mani a mezz'aria, sorprendemente sarcastica.
«A sceglierti è stato il potere stesso.»

«Ciò che dici non ha alcun senso.» Scuote con fare deciso il capo, Archer, in assoluta negazione.

«Perché sono qui? Perché mi hai mostrato la mia famiglia?»

Ha per anni finto non fosse accaduto nulla, evitando l'argomento come meglio ha potuto per tutelare se stesso e la propria mente... ma non ha mai davvero dimenticato.

Non lo farà mai.

«Una madre e un padre misteriosamente scomparsi in missione ed una sorella morta poche settimane dopo in un incidente stradale...» Gli vortica ora intorno Aurelia, scrutandolo come fosse un falco o un avvoltoio.
«Speravo che mostrarti una realtà felice potesse convincerti a restare lì. Attualmente sei un mio nemico, e credo purtroppo lo sarai per sempre. Volevo fossi fuori dai giochi.»

Archer aggrotta la fronte, schiudendo le labbra è inclinando il viso a tre quarti. Sembra esitare un istante, ma poi increspa l'angolo delle labbra.

«Volevi fossi fuori dai giochi ma... non morto. Perciò io ti servo vivo!» Sorride, genuinamente.

«E la cosa ti esalta? Mah, contento tu.» Fa spallucce Aurelia, non che le interessi l'umore del giovane, in effetti.

Si appresta tuttavia a riprendere.
A concludere.

A dargli il colpo finale.

«In ogni caso io eviterei di gioire se fossi in te. Esattamente come dieci anni fa, quando nella spedizione militare per Gunhoot rasi al suolo tutto e tutti, sono pronta a sterminare la razza umana. Non sottovalutare mai un demone superiore.»

Lei sorride, ma Archer...

I suoi occhi strabuzzano, ed il cuore accelera ancora la propria corsa. Deglutisce, avverte le proprie forze abbandonarlo come stesse per perdere i sensi, con la vista che gli si offusca lentamente.

Boccheggia, emettendo continue sillabe confuse.

Sono suoni sconnessi che trovano sfocio nel formicolio che gli solletica le mani con veemenza.

«L-la terribile spedizione di dieci anni fa, quella in cui venne scoperta un'altra città ancora in vita ma in realtà infestata dai demoni... loro non fecero ritorno perché tu hai...»

Inspira ed espira, sempre più forte.

Il petto non fa in tempo a gonfiarsi che è già sul punto di rilasciare tutto l'ossigeno accumulato.

No. Non può essere reale.
Le mani formicolano. Troppo.

Archer sta per crollare.

«Hai ucciso tu i miei genitori.»

SPAZIO AUTORE
E dopo settimane di assenza... sono tornato!
Purtroppo, per molti versi non è stato il migliore dei periodi è non lo è neppure nella scrittura, ma posso garantirvi che dietro le quinte io sto preparando taante cose! <3

Vi ringrazio IMMENSAMENTE per le 2k letture! Wow, sono così grato e meravigliato da questo piccolo ma per me ENORME traguardo raggiunto, davvero😭

Vi ringrazio ancora una volta per l'enorme attesa, e vi chiedo anche davvero scusa :( ma in questo capitolo ho messo così tanto di me che credo sia stato uno dei più difficili da scrivere, pur contando i successivi. Spero si sia percepito e che soprattutto vi sia piaciuto! ❤️

Siete una forza unica, vi ringrazio ancora e ringrazio chi da dietro le quinte mi ha atteso e supportato maggiormente!💛🩵

Yours truly, vi voglio bene<3

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A presto!<3
See you soon🫧

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