Sorellanza. [CAPITOLO 13/1]
Ingrossa il petto, si prende il proprio tempo.
Ma Selene non ha tempo.
Non da perdere con lei, perlomeno.
«Dalla missione in esterno alla ricerca dei resti del regno di Gunhoot, la stessa dalla quale tornarono pochi soldati distrutti circa dieci anni fa, tuo padre è s-stato...»
La voce le si spezza.
Altre lacrime le solcano il viso, e solo ora Selene nota quanto rughe ed occhiaie siano diventate evidenti sul volto di Melissa.
«È stato dato per disperso e pochi giorni fa... lo hanno ufficialmente dichiarato d-deceduto.»
Selene, senza rendersene conto, cede.
Casca in un tonfo piatto, a peso morto, ove ogni luce diviene soffusa ed ogni suono ovattato.
Sul gelido pavimento d'un gelido centro commerciale.
In una gelida giornata.
Fa meno freddo.
No, non fa affatto freddo.
Cos'è questo calore?
Era al centro commerciale, lo rammenta, ma ora dove...
Le calde luci soffuse delle lampade sono sparse qua e là fra un comodino e un ulteriore arredo, decisamente immancabili in una delle ville più grandi e famose della città.
O perlomeno del quartiere, ma non solo. È risaputo ovunque.
Ed è naturale che Selene se ne ricordi.
Come potrebbe cancellare queste luci soffuse dalla propria mente? Ci ha provato, innumerevoli volte.
Ha perso il conto di quanti siano i tentativi che hanno costellato le sue giornate, le sue notti, i suoi incubi.
Eppure quelle luci, quei quadri felici, rimanevano tali.
Sorridenti.
Falsi.
Vorrebbe aver perso il conto anche di quante volte si sia messa in posa, da bambina, realmente felice di farlo.
Eppure, il conto non è ancora mai iniziato.
È tutto uguale ad allora.
Sembra che Melissa abbia avuto paura di smuovere la benché minima cosa, quasi potesse così cancellare le tracce di esistenza delle sue figlie.
Eppure, Selene ne vede fin troppe.
Sembra che non se ne sia mai andata.
Curioso, come rovinar loro l'esistenza andasse bene.
Ma cancellarla no.
Perché in fondo, sorride nervosamente, che gusto ci sarebbe?
Se non le vedesse, o avesse visto, soffrire ed accartocciarsi lentamente a causa sua?
Crogiolarsi, piangere, nascondere, sorridere.
Ma poi hanno smesso di sorridere.
Con lei, perlomeno.
E poi hanno smesso di nascondere;
hanno cominciato a nascondersi.
Un ordine, un insulto celato da piatti sorrisi, e neppure sempre, un ago di bilancia, un vestito troppo troppo, davvero non ci siamo, appariscente.
O troppo troppo poco elegante, davvero non ci siamo! Solo un mentecatto si vestirebbe in quel modo.
E poi un voto.
Un maledetto, stracazzo, voto scolastico.
Perché prima o poi arrivava sempre.
Come le punizioni, naturalmente.
Perché è giusto così. Solo un mentecatto andrebbe così male ad un compito, e così male era qualsiasi risultato al di sotto della perfezione.
La rabbia le sorride amica, le labbra sussultano in un fremito e la mandibola anche. Il collo si frammenta in chiazze rosse.
Il divano di pelle su cui giace seduta, ad esempio, è rivestito da un velluto le cui condizioni sono le medesime perfette da sempre.
Se un materiale potesse durare un solo giorno, pensa, con Melissa durerebbe ugualmente una vita intera.
Qui il tempo non è mai trascorso.
Peccato che tale legge universale valga solo con gli oggetti.
O solo con ciò a cui Melissa tiene.
E a giudicare dall'arredo vi è una lunga lista... Selene si chiede se lei ne abbia mai fatto parte davvero.
Poggia i piedi sul tappeto dalla intatta seta, anch'esso rosso vinaccio, e la sua impressione è che nessuno vi ci metta piede da anni.
Si guarda ancora intorno, guizzando per un solo istante alle proprie scarpe.
Sono accanto al divano.
È tutto silenzioso, vuoto, felice, perfetto. Troppo.
Inanimato, non vivace come nei quadri. Troppo.
Spento, non splendente come sembra. Troppo.
«Troppo silenzioso, perfetto, inanimato e splendente.»
Borbotta lentamente Selene, noncurante.
La lingua analizza e scandisce affranta, come non potendo fare a meno di esplicare il vuoto che le attanaglia la mente.
Non se ne rende neppure davvero conto.
Sembra tutto irreale. Tutto finto.
Felice, l'altare dei ricordi. Tutto finto.
Ma in realtà è solo l'altare del dolore. Tutto finto.
«Ho il voltastomaco.»
Questo luogo è disgustoso.
Avanza, cauta.
Modera ogni passo, quasi intenta a non svegliare le mattonelle del pavimento.
Potrebbero gridarle contro, reclamare il proprio giocattolo e divertirsi ancora nel vederla lì.
Rigata in due dalle lacrime. E dai lividi.
Un cristallo frammentato, piccole schegge d'anima ovunque.
Non ha bisogno della loro accoglienza; a lei non sono mancate.
Passeggia fra le mensole in legno, l'altare del dolore, su cui ovviamente la polvere non osa chiedere asilo, e la scia di piccole e medie foto delle tre è aberrante.
Incorniciate da motivi floreali.
Felici. Tutto finto.
Fanculo.
O forse ciò che è aberrante è che siano sempre loro.
Solo loro.
Sono in tre. Ne manca uno.
Dov'è suo padre?
Suo padre.
Il silenzio nella sua mente esplode, ed il cristallo è nuovamente frammentato.
Piccole schegge d'anima ovunque, ciò che solo il tempo aveva lenito.
Ciò che ha trattato come ferita, ma in realtà cicatrice.
Il sapore ferroso del sangue torna a farle visita con veemenza, quasi fossero gargarismi d'acqua o colluttorio.
Ma non è così.
Un groppo in gola, un magone allo stomaco, un capogiro.
Qualsiasi cosa sia, fa male.
Le sta graffiando l'animo, dall'interno.
E si espande.
Lo avverte salire lungo il collo e divampare in calore, afferrandola per il mento sottoforma di mano invisibile.
Una mano, o una catena, che le si avvinghia al collo.
E vorrebbe tanto fosse suo padre, ma così non è.
Non è Alator, ma la sua mente.
O qualsiasi cosa sia. Effimero, ma complesso.
Astratto, subdolo, interno.
È il primordiale istinto, secondo solo a quello di sopravvivenza.
Il senso di colpa.
Il tradimento.
Ha dimenticato e disonorato la sua memoria.
Non lei, in effetti, ma forse oggi si.
Melissa non ha neppure una foto con lui.
Sono tre. Solo loro.
Una madre, due figlie. Donna, giovani donne.
Tre. Il numero perfetto.
Ma non per Selene.
Il solo pensiero di aver notato lo scomodo pezzo del puzzle nascosto, quello che completerebbe davvero il dipinto, la devasta.
Perché non se l'era chiesto, in effetti.
Ha osservato questa casa e le menzogne che nelle sue ombre sono insidiate, scrutandola come fosse un incubo.
Perché è così che considera la propria infanzia.
Ma lo realizza solo ora. Non è davvero un incubo.
«Che stupida.»
È reale. Lei è davvero qui.
Ed ora lo rammenta.
Ha davvero incontrato Melissa al centro commerciale, e poi...
Cos'è successo, poi?
Il mondo che ruota, il proprio corpo d'un tratto leggero e mille sussurri furenti in un solo istante.
E l'incognita, il movente...
Lui.
Quel pezzo del puzzle.
Quel quarto numero mancante.
Solo tre, ma non erano davvero solo tre.
Ed ora lei lo sa, cos'è che è accaduto. Più o meno.
Perché suo padre è...
E quel calore divampante ormai esploso genera ulteriori zampilli, piccole implosioni dalle quali nascono ulteriori esplosioni.
Artifici, gas, caos e distruzione.
La rottura del sottile filo che teneva in equilibrio la sua mente.
Nel suo viso roseo, nell'aria inesistente, nei polmoni incapaci di inspirare ossigeno senza uscirne graffiati.
Nelle lacrime che le rigano il viso, una dopo l'altra.
E persino quelle le graffiano i polmoni, poiché ammettere a se stessa di doverle cacciare e così rigettare parti di sé, di goccia in goccia, fa male.
Non incontra suo padre da anni, molti più di quelli da cui non vedeva Melissa. In effetti era solo una bambina, e da lui non c'era da scappare. Poi è cresciuta, e i motivi c'erano.
Non per lui, chiaramente.
Ma per lei.
«Non sai quante volte avrei voluto cercarti, diamine.»
Una voce dal tono solitamente piatto, eppure ora tremolante. Una donna dal gelido temperamento, tuttavia a rischio.
Selene si volta di scatto alla sua destra, ancora con il volto rigato e incandescente.
Nei suoi occhi, lucidi, rimbalzano numerosi giochi di luce.
Sull'uscio della porta, un'ampia cornice funzionale solo ad unire il lungo corridoio, le cui pareti sono costernate di rombi di quarzo e ghirigori, al soggiorno, appare la figura di una snella donna non troppo alta.
Un tempo era stata più snella, più tirata in viso e più composta, con un qualche vestito nero, lungo ed elasticizzato.
Ora ha il viso più rigato, dal pianto come dal sorriso, ed ogni imperfezione è piuttosto visibile nonostante la parvenza di fondotinta e forse correttore, intenta a coprire il possibile.
Un tempo era solita usarli, dunque quella di Selene è un'ipotesi.
Potrebbe averle sempre avute ma coperte, eppure... no, non erano così evidenti.
Sembra che pochi anni le abbiano aggravato l'estetica più che un'intera vita.
Un vissuto, più pesante di una vita.
Persino il fisico ne ha risentito, e l'altezza... no, quello è perché ora ha indosso delle pantofole nere. Non i soliti tacchi.
Risalendo la sua figura nota un completo, una camicia e un pantalone da notte in raso, ed anche questi, come le pantofole, sono neri.
I capelli sono identici a come li rammentava.
Più scuri dei suoi, più scuri di quelli di Emma.
Non dev'essere un caso se lei e sua sorella li hanno più chiari, pensa Selene.
Chiaro equivale a puro, di solito, no?
E Melissa di puro non ha mai avuto alcunché.
Vederla ora, nitidamente, alla fioca luce soffusa della lampada, rievoca alla mente della giovane emozioni che credeva ormai dissipate da tempo.
Come una sottile velatura di nostalgia, tuttavia soffocata da non pochi strati di rancore.
Altre lacrime minacciano di solcarle il viso.
«Perché mi hai portato qui?» Tossisce Selene, sviando con gli occhi da sua madre per un solo istante.
Sfarfalla con le ciglia.
Non vorrebbe perdere la gara di sguardi, ammesso stiano entrambe partecipando.
Eppure, lei detesta quello sguardo come qualsiasi altra caratteristica di Melissa.
Sembra supplichevole, ma lei non ha alcuna richiesta da ascoltare. Non vuole averne.
«Eri svenuta, hai perso i sensi... non sapevo cos'altro fare.»
Fa spallucce la donna, come rimpicciolendosi per un istante.
Avrebbe voluto chiamare qualcuno, ma non sapeva chi.
Anche volendo, non aveva neppure idea di chi avrebbe preferito ritrovare al proprio risveglio, Selene.
Anche se era certa di una cosa: non avrebbe voluto trovare lei.
E non sarebbe voluta essere lì.
«Avresti potuto cercare un qualsiasi addetto del centro commerciale, avranno qualcuno di competente per la sicurezza dei clienti, no? E comunque non serviva di certo portarmi fin qui o volermi cercare.» Sputa velenosa la giovane, ora a braccia conserte nonostante il viso arrossato;
la sua ultima frase è una chiara risposta alle parole pronunciate da sua madre.
«Scusa io... ho avuto paura, sono andata nel panico. Ti ho riavuta, e dopo poco già ti avevo persa. E poi non sapevo chi chiamare.» Scuote il capo la donna, curvando le labbra dopo un lieve tremolio.
«Non mi hai "riavuta". E poi, Emma non ti aggiorna più sulla mia vita? O sei solo ancora troppo orgogliosa per ammettere che la mia migliore amica sia ancora Stella, la stessa che tanto detestavi? In fin dei conti era a causa sua se la tua super figlia prodigio faceva cagare, dico bene?»
Un sorriso le dipinge il viso. Uno freddo, nervoso.
Le labbra di Melissa hanno un sussulto, e lo sguardo della donna si porge per un istante altrove, nell'esatto momento in cui la vede deglutire.
E gonfiare il petto, l'istante successivo, ma rapidamente. Si ricompone in un battito di ciglia.
Selene non sa se è una sua impressione, ma le sembra essere impallidita.
«È un sollievo sapere che tu e Stella siate ancor tanto unite, mi rincuora davvero che tu abbia una persona che ti vuole bene al tuo fianco.» Melissa scosta una ciocca di capelli dalla fronte, tirando su un tentativo fallimentare di sorriso.
«Non di certo grazie a te! Se fosse dipeso da te ad oggi non avrei più neppure lei.»
È ciò che ha dentro a parlare, il vuoto che le ha sino ad oggi consumato l'anima. Come fosse un patto: la sua anima per la sua parziale libertà.
La sua salute mentale per poter stare bene.
Una morte lenta e subdola, uno di quei veleni di cui non ci si rende davvero conto sin quando non agisce.
Sino alla morte.
«Mi spiace tu dica così... io voglio tu sappia che avrei voluto denunciare la tua scomparsa, poiché come saprai un minore può, sì, vivere da solo, ma a patto ci sia la delega di un adulto, di un genitore o un tutore. E non ero stata davvero io a firmare quel contratto, lo sai vero?»
La donna si avvicina alla giovane a passo felino, lentamente. Selene non saprebbe descrivere il suo tono di voce.
Pacato, attento, forse timoroso.
«Quindi? Devo ringraziarti perché hai avuto la decenza di lasciarmi in pace? O forse sentirmi amata, visto che hai avuto la premura di essere in pensiero per me?»
Scrolla le spalle Selene, vagliando le varie e ridicole ipotesi.
Non ha ancora compreso cos'è che sua madre vuole da lei.
O forse sì, forse lo sa.
Ma non è disposta a darglielo.
«Tua sorella mi ha dissuaso, molte, troppe volte. Se non fosse stato per lei sarei sicuramente intervenuta, non voglio che pensi neppure per un secondo che io non ti abbia pensato, che io non ti voglia bene! Anche se... mi odi, io ti voglio davvero bene e te ne vorrò sempre. L'amore di una madre è indissolubile, e sino ad oggi mi ha come disidratato ma poi, all'improvviso... tu eri lì. Davanti ai miei occhi. So che forse avrei dovuto fare finta di nulla, ma lasciami quantomeno tentare di poter essere una madre diversa, una madre migliore.»
Degli attimi di silenzio trascorrono, scoccando l'uno dopo l'altro allo scontro con le lancette dell'orologio.
Ma poi, la bomba esplode.
«Non mi interessa ciò che dici, Melissa. La mia famiglia sono Emma e Stella... non ho una madre, e non intendo averla.»
Taglia completamente la distanza con la donna, avvicinandosi affinché digrigni i denti dalla disperazione, al suono della sua voce. Affinché oda bene le sue parole.
Le stesse parole che fuoriescono da sole, poiché la bocca non riesce più a rigettare dentro quanto la sua mente esige ancora di gridare.
Non può più ricacciare indietro tutto il veleno ricevuto.
E d'altronde l'odio è più rapido della calma.
L'altra richiede tempo, logica, lucidità.
Qualità che Selene non possiede, al momento.
Non in questa casa.
Non circondata dai puntaspilli della propria infanzia.
«Fa male, vero?» Selene innalza le sopracciglia e inarca l'angolo delle labbra. Un altro sorriso nervoso, breve, piatto.
«Non farà comunque più male di un secchio d'acqua bollente gettato sul corpo di tua figlia, no? In fin dei conti se lo meritava. La tua cazzo di figlia, aveva preso due voti di fila al di sotto del massimo!» Ride, e l'eco della sua risata vuota riecheggia per la villa.
Melissa diviene una maschera di stupore, rabbia e rimorso.
Un guizzo, una contrazione dei muscoli facciali, e gli occhi sempre più lucidi. Il suo sguardo ora cupo, avvilito.
«Sai Melissa, spero davvero tu non stessi mentendo dicendo di volermi bene, di come quanto accaduto ti ferisca.»
Esplica in un solo spasmo di rabbia, annuendo a se stessa come complimentandosi per aver pronunciato queste parole.
Quasi fossero già lì da tempo, in attesa di abbandonare le pareti della sua mente.
Ma Selene ha sempre anche, in fondo, desiderato altro.
Ma è troppo orgogliosa, almeno quanto sua madre, per lasciare da parte i dissapori.
Il suo rancore è molto più forte.
Soprattutto ora che sa di suo...
«Mi spiace, ma la tua recita di madre addolorata non mi tocca perché so che cazzo di mostro sei! Tutto ciò che ti è sempre e unicamente interessato era apparire perfetti, fingere di esserlo e pretendere che noi seguissimo le tue regole. È ovvio che papà non ti volesse più cazzo! E ciò che più mi fa schifo non è quanto hai fatto a me, o quanto ancora avresti potuto farmi se Emma non mi avesse permesso di andar via... No, è la tua frustrazione, la tua ignorante e infondata paura per gli elementi.»
Espira in un suono gutturale, divertito.
Come facendosi beffe di Melissa, ma sprezzante.
Le immagini della propria pelle che diviene incandescente, dell'acqua gelida che stride nel tentativo di scacciare il calore, le fanno rizzare i peli delle braccia. Odiava quel suono.
Odiava quella sorta di sibilo che lo seguiva, quello scrosciare continuo d'acqua.
Neppure la doccia è più riuscita a darle sollievo; l'acqua deve essere rigorosamente fredda.
«Dunque è così, davvero?» Nella voce di Melissa dilaga lo stupore. Straborda, persino.
«Hai proseguito gli studi con quelle pericolose stronzate? Ti ho detto milla volte che non ti condurranno a nulla!»
Ed ora anche l'orgoglio di sua madre ha la meglio sulle proprie emozioni.
Su quelle positive, almeno.
E forse non è solo orgoglio.
Le due recitano dunque le due parti di una guerra fredda, sempre contando che Selene non si scaldi troppo.
Non letteralmente, dai.
«Si, hai decisamente "capito i tuoi sbagli."» Inarca le sopracciglia e sospira, Selene, rievocando le medesime parole di Melissa.
«Il punto non è se io abbia scelto o meno di fare ciò che mi piace, ma che i tuoi pregiudizi al riguardo costrinsero papà ad andarsene! I tuoi pareri del cazzo gli sono costata cara la vita!»
«Non osare dirlo neanche per scherzo, Selene! Non ho ucciso io tuo padre, e lo sai, te lo stavo spiegando.» Tenta di ricomporsi la donna, ma le loro urla ancora riecheggiano funeste.
Le chiazze rosse sul collo divengono evidenti, e sua figlia deduce di averla davvero irritata con l'ultima accusa.
Strano, a lei non sembrava poi così fuori dagli schemi di Melissa.
«Edward II, il Generale dell'Accademia Militare, mi ha convocato di recente per parlarmene... pare che ultimamente molti dei casi di soldati scomparsi in quella spedizione stiano venendo archiviati, poiché ormai caduti in prescrizione. Dunque smetteranno di cercarli, non che lo stessero davvero facendo, e come con gli altri soldati hanno dichiarato anche tuo padre... lo sai. Ma quando eri piccola, invece, io non ebbi il coraggio di dirti che fosse davvero scomparso.»
La voce le si incrina, ma Selene non saprebbe stabilire se stia o meno recitando.
Ciò che invece la destabilizza è come abbia puntualizzato che non stessero davvero cercando Alator.
Che il governo non stesse davvero svolgendo il proprio lavoro... un pensiero anche da lei formulato all'istante.
È da Melissa che ha imparato ad essere tanto sospettosa?
O a diffidare da chi regna ad Highest City, nello specifico?
Non rammentava ci fosse qualcosa che le accomunasse.
Decide di scacciare questo pensiero come farebbe con uno sciame di mosche. Soffia, e questo sparisce.
Fingendo sia per lei irrilevante.
«Quand'ero piccola non hai avuto il coraggio di dirmi che mio padre fosse scomparso, ma che mi avesse abbandonata invece si! Grazie tante, davvero. Mai pensato di candidarti al concorso mamma dell'anno? Sono certa che vinceresti tu il montepremi.» Tira su le labbra, Selene.
Non la diverte davvero, ma non ne è neppure furiosa.
Non esattamente. Non quanto si sarebbe aspettata di essere.
È come se, lentamente, stesse sbollendo la collera e il rancore accumulato negli anni... molto lentamente, e che ora altri sentimenti lottino contro il suo spettro interiore pur di emergere.
D'altronde i fondali non sono mai un'ottima scelta per chi è alla ricerca di luce.
«So di non essere la madre migliore di Highest City ma-»
«No, non lo sei stata. E che tu ora sia o meno cambiata m'importa poco... papà non mi ha abbandonata.»
Gonfia il petto, Selene, e l'istante successivo restituisce alla casa l'aria presa in prestito, deglutendo infine nel tentativo di restare cosciente.
In un solo istante realizza, ancora, quanto ha nervosamente appreso.
Non può che mandar giù il boccone, deglutire, per l'appunto, e proseguire a testa alta con l'amara consapevolezza ormai sopraggiunta.
Consapevolezza che, tuttavia, la rasserena.
Sfarfalla le palpebre per trattenere i numerosi gorgogli di luce incandescenti e vogliosi di grondare, riprendendo.
«Papà non mi ha abbandonata, ora lo so, e fa bene, fa tanto bene... ma fa anche tanto male.»
La voce le si incrina, rivivendo con la mente quanto ogni sorriso di Alator fosse caldo, carico di affetto e speranze per le proprie bambine.
In quella famiglia disfunzionale, lui era la luce.
Ciò che Melissa spegneva, con imposizioni e doveri, lui era in grado di riaccendere con sogni e ideali.
Con divertimento e affetto... Ma nulla di ciò ha mai più abitato con loro.
Lui le aveva evidentemente portate con sé.
Alator le ha salutate, un giorno, dicendo di non trovarsi bene con la mamma.
Ma che sarebbe tornato.
Sarebbe. Tornato.
Sarebbe tornato da loro.
Non è così che è andata.
Le aveva mentito. Anche lui, anche lui la odiava.
Come la mamma.
Ma perché la odiavano tutti?
Era solo una bambina. Cosa la rendeva tanto disprezzabile?
Si impegnava tanto a scuola, ma non era mai abbastanza.
La mamma era sempre cattiva, anche quando lei non credeva di meritarlo.
Anche quando credeva avrebbe reagito meglio, quando avrebbe gradito un complimento o solo più entusiasmo.
Ma nulla di ciò che faceva era mai sufficiente.
«T-tuo padre non... non ti avrebbe mai abbandonata. Gli dissero che sarebbe stata una cosa di pochi giorni, non ti salutò per questo. Nessuno poteva immaginare, nessuno avrebbe mai creduto che...»
Melissa tira su con il naso, con un fare drammatico che Selene ritiene sinceramente appartenerle.
Ora ne è certa: non sta recitando.
E forse, sapere che persino lei volesse bene a suo padre la rincuora. Forse tutti quei litigi, quell'odio, quella rabbia... magari si sarebbe potuto tutto evitare.
O quantomeno risolvere.
Magari, in un'altra dimensione. In un altro universo, forse, il desiderio di avere una famiglia è stato esaudito.
«Selene, io so di aver sbagliato. So di averti prob- sicuramente rovinato l'infanzia, so di non essere stata all'altezza del mio ruolo e so che oggi non era nei tuoi piani venirmi a trovare ma...» Melissa si avvicina alla giovane con il viso ora rigato dalle lacrime, singhiozzando, e l'altra svia per un istante con lo sguardo.
Come incerta.
«Non ti chiedo di trasferirti qui o di interrompere i tuoi studi, per quanto a me non piacciano, ma almeno potremmo... provarci? Ogni tanto, quando ti va magari di v-vederci?» Innalza le spalle la donna, corrugando la fronte.
Il sorriso che tira su tenta di mascherare il tremolio delle labbra, il sudore che fa per colarle lungo il viso e forse, distraendo Selene, anche le mani tremolanti nascoste dietro la schiena.
Non può costringerla, lo sa.
Ma quanto vorrebbe che accettasse, quanto vorrebbe poter trascorrere altro tempo con lei... lo sa solo Zeus.
Niente litigi, niente continue incomprensioni, niente odio o imposizioni.
Niente di ciò che sono stati.
Solo ciò che potrebbero essere.
Solo... una famiglia imperfetta che impara ad amare.
E forse, i suoi pensieri, la mente di Selene riescono a sfiorarla.
Un guizzo nel volto della giovane accende come un lume di speranza che si espande nelle iridi di Melissa.
Divengono incandescenti, luccicanti.
Ed anche quelle di Selene, lentamente, riflettono le luci di casa.
Divengono lucidi, e rilasciano gocce a catinelle.
E le gocce divengono fiumi e oceani che le rigano il volto
«Selene!» Melissa scatta in avanti, e la giovane non può che soffermavici.
«Non... non è mai successo.»
L'espressione incerta sul volto di sua madre le lascia intuire di dover aggiungere ulteriori dettagli. Deglutisce, e realizza di non riuscire a trattenere le lacrime.
Non ne comprende il perché. Perché il petto le brucia tanto?
Perché fa così male, ora che le lacrime escono senza problemi?
«Non è mai successo che ti avvicinassi a me quando piangevo.» Selene singhiozza, ma non tenta neppure di asciugarsi il volto.
Odia piangere dinanzi a chiunque, specialmente a sua madre, e detesta le proprie ciglia umide.
«Di solito mi dicevi di star zitta, lo urlavi. Perché ora sei...»
La voce di Selene si perde in un sottile eco vuoto.
Le braccia di Melissa le circondano il busto in una stretta, un abbraccio disperato quanto amorevole.
Uno di quelli di cui si ha bisogno, pur non essendone a conoscenza.
Non ha mai creduto di necessitarne, in effetti, ma il calore che sua madre le sta porgendo è come una resurrezione.
Le lacrime divengono ulteriori e, seppur incerta, poggia il mento sulla spalla di Melissa e serra le palpebre.
Si abbandona a quel tepore, ad un affetto sincero sino ad ora mai rinvenuto.
L'amore di una madre.
L'amore di sua madre, la stessa che non ha mai creduto di avere.
D'un tratto, ogni promessa taciuta ed ogni certezza mai riposta, crolla. Quel possibile tepore, quella parvenza o culla di lacrime, amore e rabbia verso se stessi, svanisce.
Tutto tace e il mondo arresta la propria corsa.
Poiché un tonfo piatto conduce le due a divincolarsi.
Il suono di qualcosa che è crollato ed è ora in frantumi.
Un cumulo di macerie.
«Cos'è stato?» Avanza Selene, voltandosi sulla porta alle sue spalle che da sulla cucina. «C'è qualcun altro in casa?»
Ritenta, asciugandosi di getto il viso ancora umido con le dita.
Si volta ora su Melissa, ma questa sembra aver perso colore.
«No. Speravo arrivasse Emma ma...»
Deglutisce, riponendosi lentamente eretta.
Un altro suono, più di uno.
Sono dei passi.
«Nasconditi, presto!» Melissa indica con un gesto della mano le scarpe accanto al divano, e Selene le afferra al volo in uno scatto.
Fa per superare il corridoio, quello dinanzi a lei e dal quale non provengono rumori, ma esita.
«Mam... tu non vieni?» non è certa di averlo pronunciato.
Forse la voce le è morta in gola, o forse ha solo immaginato di riuscire a parlarle.
Melissa non si volta.
Dunque a farlo è Selene, procedendo per il corridoio e nascondendosi in bagno.
È la prima porta sulla sinistra.
Andare oltre sarebbe stato troppo doloroso.
Getta una rapida occhiata al marmo, ovunque ben lucidato.
Sonda il terreno, quasi avesse uno scanner negli occhi, ma la scelta più rapida è anche quella più scontata. La doccia.
O vasca, considerando che è una vasca con tenda.
«Chi siete? Come avete fatto ad entrare?»
La voce ovattata della donna giunge alle orecchie di Selene; le sembra stia tremando, ma se la conosce abbastanza ciò non trasparirà.
Può carpirlo lei, dalla cadenza e dal timbro della voce, ma non lo capiranno loro osservandola.
Ma... loro chi?
Selene deve fare qualcosa. La paura le irrigidisce le mani per un istante, ma le basta ingrossare il petto e realizzare quanto stia accadendo per riprendersi.
Una scossa di adrenalina la percorre in un brivido unico, e d'istinto entrambe le mani s'intrufolano nelle proprie tasche del pantalone.
E quella destra lo trova, il telefono.
«State lontani o chiamo immediatamente l'esercito, state lontani ho detto!»
Melissa innalza la voce ed una certa urgenza le si espande, tramandandosi di lettera in lettera.
Ciò mette Selene in allerta. Non promette bene.
«Sappiamo che è qui, devi consegnarcela.»
Una voce più dura, decisamente maschile. Dev'essere uno di quegli uomini.
Ma quali, chi? Che Melissa abbia fatto arrabbiare le persone sbagliate? Ha dei debiti?
Nasconde forse qualcosa?
Selene non comprende.
D'istinto pigia sulla chat di Stella, digita poche parole.
"Sono da Melissa, ero svenuta e lei era lì. Sono entrati degli uomini in casa. Aiuto."
Le dita scorrono irrequiete sullo schermo, forse più scivoloso del solito.
Scuote il capo per allontanare delle ciocche ostili dal proprio viso. Trattiene persino il respiro pur di non far rumre, ma... qualcosa agisce al posto suo.
Un trillo acuto. Un eco.
E un silenzio, l'istante successivo.
Come se anche in soggiorno lo avessero udito.
E forse è così.
Stella ha risposto al messaggio: la notifica.
«Che cazzo, credevo di aver messo il silenzioso!» Borbotta Selene, nervosa, accingendosi a pigiare sul tastino laterale.
«Dunque è lì. Dietro una porta del corridoio.»
È uno degli uomini a parlare.
«Cosa?» Corruga la fronte Melissa, e il medesimo stupore dilaga anche in Selene.
Il medesimo dubbio.
La medesima risposta.
«Tua figlia, Selene.»
Si è sbagliata, completamente.
Melissa non sta nascondendo qualcosa a qualcuno, no.
Sta nascondendo lei.
Perché è lei, che stanno cercando.
Sono lì per Selene.
SPAZIO AUTORE
Ciao carissimi/e! Come state?
Mi siete mancati/e, lo ammetto, una settimana off fra concerti (sono andato a Bologna per il concerto di Olivia Rodrigo!😭 Meraviglioso.) viaggi ulteriori e stress pre esame (in realtà ancora non studio nulla.) e mi sono sentito spaesato!
E poi la novità, che ormai non è più tale... Sono quasi TRE SETTIMANE che VN è #1 in #Urbanfantasy
MA CHE SCHERZIAMOOO?😭😭😭😭
Ma siete pazzi. Pazze. Pazzu.
COSA MI STATE DICENDO😭
Io non so più come ringraziarvi e come sclerare, davvero, per quanto possa "non contare" nulla, per me è importantissimo e sono davvero taaaaaanto grato per tutto ciò.🫧♡
Detto questo, spero che questi capitoli di approfondimento su Selene non vi stiano annoiando, perché "Sorellanza" ha ancora due parti di cui presto scoprirete ogni cosa! Anche se, c'è da dire, non ci sarà esattamente SOLO Selene ora...👀
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See you soon!❤️🩹🫧
Vi voglio taaanto bene<33
Yours Truly♡
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