7. Lara
La settimana che ho appena trascorso è stata piena di complicazioni e oggi non ha fatto eccezione, appena entro in casa mi butto a peso morto sul divano.
Sono sola, come capita spesso quando lavoro da casa o, come in questo caso, quando consegno un lavoro in anticipo.
Aron non è ancora tornato da scuola e Marco rientra sempre in casa alle 20:00, puntuale come un orologio svizzero.
Sono ancora di malumore a causa della nostra ennesima discussione.
Lo irrita il fatto che io sia così giù di morale e quindi poco produttiva secondo i suoi standard.
È molto contrariato dal fatto che alcuni compiti familiari di cui prima mi occupavo in esclusiva ora gravino a volte su di lui che è già sovraccarico di impegni lavorativi.
La mia depressione è fonte di grandi seccature.
Se potesse darmi un voto come casalinga sarei sicuramente un tre meno meno. Non può più darmi un voto come moglie, altrimenti, sono sicura, riceverei la stessa grave insufficienza.
Non capisce lo sforzo che devo fare ogni giorno per tentare di non formulare pensieri suicidi, che riuscire a mettermi in piedi e indossare la maschera della normalità mi risucchia moltissime energie, che avrei solo bisogno di supporto amorevole e pazienza per guarire.
Ieri sera mentre cenavamo non riuscivo a smettere di pensare al fatto che non avrei mai più sentito la voce di mia madre, pensavo a quanti giorni, mesi, anni, avrei impiegato prima di dimenticarne il suono.
Ho deciso di salvare i suoi messaggi vocali che ho in memoria nella casella whatsapp anche se non so se troverò mai la forza di riascoltarli. Sarebbe straziante e il mio cuore è colmo, non sopporterebbe più neanche un briciolo di questo dolore.
Mi sono sfuggite delle lacrime ma lui non ha avuto pietà né tanto meno ha provato a consolarmi, mi ha detto che so solo piangermi addosso mentre infastidito caricava la lavastoviglie, e in tono aspro mi ha rimproverata di non essermi accorta che fosse finito il detersivo.
Quella reazione indifferente mi ha fatto più male di cento schiaffi, ho sentito tutto il peso della mia solitudine, l'errore di questa separazione parziale.
Tutta la debolezza del non riuscire a reagire lasciandolo definitivamente.
Non vuole vedere il mio dolore, si gira dall'altro lato come faceva di notte nel nostro letto e io so che non sarò mai in grado di perdonarlo per questo.
Eppure siamo stati anche felici insieme. Peccato che l'amore sia un sentimento destinato a consumarsi fino a completa estinzione.
Marco è fiorentino, ci siamo conosciuti mentre lui frequentava l'ultimo anno di architettura come studente fuori sede nella mia città, Bologna.
Io avevo 23 anni, un anno meno di lui, ed ero appena tornata da Londra dove la mia voglia di viaggiare mi aveva portato a trascorrere gli ultimi due anni della mia vita.
All'epoca ero piena di sogni e di interessi, lavoravo come commessa in un negozio di articoli sportivi, in attesa di capire quale piega avrebbe preso la mia vita.
Qualunque strada avessi imboccato ero sicura che sarebbe stata sorprendente.
Sentivo che il destino avrebbe avuto in serbo per me qualcosa di meraviglioso.
Quando siamo giovani siamo sciocchi, ci sentiamo speciali.
Ho capito che avrebbe voluto chiedermi di uscire quando tutti i giorni veniva a comprare un paio di calzini durante il mio turno.
Disse che era stato un colpo di fulmine.
Per me non fu altrettanto, ha dovuto corteggiarmi qualche mese prima di convincermi ad accettare un appuntamento. Ma alla fine ho ceduto.
Aveva uno stile di vita completamente diverso dal mio, che mi affascinava.
Era uno studente brillante e mi faceva ridere, era molto sicuro di sé e la sua solidità mi faceva sentire protetta.
Dopo la sua laurea lo seguii nella sua città e andammo subito a convivere.
Ricordo quanto ci divertiva all'inizio della nostra relazione fare l'elenco delle nostre differenze, giocavamo a sfidare la nostra incompatibilità.
Espansiva io riservato lui, io preferivo il dolce lui il salato, vino io birra lui, io sognavo di fare quella vacanza avventurosa in Laos senza itinerario mentre lui sfogliava i cataloghi dei villaggi con formula all inclusive in Sardegna. Lui andava ad ascoltare gruppi rock emergenti nei pub e io amavo ballare in discoteca, credente lui atea io, razionale lui istintiva io, lettrice accanita io lui dopo tre pagine perdeva interesse, io ho sempre adorato guardare il mondo dall'alto e lui soffriva di vertigini.
Potrei andare avanti ancora a lungo in questo pietoso elenco che preannunciava già dall'inizio la nostra fine.
Gli indizi c'erano tutti, solo ora mi rendo conto di quanto siamo stati ciechi a scommettere l'uno sull'altra.
Adesso che la squadra ha perso la partita, l'unica cosa che campeggia sul tabellone segnapunti è la scritta game over, ma il senso di colpa nei confronti di nostro figlio di 6 anni ci blocca nel prendere l'unica decisione ragionevole.
Siamo separati in casa da qualche mese, incapaci di voltare completamente pagina, due estranei intrappolati sotto lo stesso tetto che provano rabbia e delusione l'uno nei confronti dell'altra.
Tutto molto scontato, il mondo è pieno di gente sulla quarantina che si separa, si potrebbe definire un grande classico della storia moderna.
Quando ti raccontano la favola degli opposti che si attraggono, omettono il finale della storia in cui uno dei due o si annulla per la controparte o fugge a gambe levate.
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