2. King

Mi scoppia la testa a forza di rimuginare.
Il mio aereo è partito con quaranta minuti di ritardo ma ho l'impressione che la velocità a cui sta andando il pazzo alla guida del mio taxi mi farà recuperare l'orario in cui avevo previsto di arrivare da LEI. 
Come in un flashback mi viene in mente quella volta in cui le avevo mostrato un video divertente in cui gli italiani venivano presi in giro per la loro guida poco prudente.
Lei mi aveva risposto stizzita fingendosi offesa che noi inglesi siamo gli unici al mondo che si ostinano a guidare in senso contrario e che comunque io da buon londinese senza patente non potevo esprimere giudizi.
La patente era arrivata qualche mese dopo e la sua osservazione mi tornava in mente ogni volta che rientravo dai miei viaggi all'estero e dovevo riabituarmi alla guida a sinistra.
Avevo riso molto della sua reazione patriottica e avevamo battibeccato scherzosamente come da nostra abitudine; mi piace provocarla e lei sta al gioco, mi lascia fare.
Ora seduto intrappolato sui sedili posteriori di  questa Mercedes che sfreccia in autostrada come se fossimo all'inseguimento di qualche criminale mi sento alla mercé del destino e prego di arrivare a destinazione al più presto.

L'aeroporto di Norwich per fortuna era quasi deserto e io avevo con me solo il bagaglio a mano, perciò non ho dovuto fare file per l'imbarco.
Nessuno mi ha fermato per fare dei selfie o chiedermi autografi ma ho visto scattarmi qualche foto di nascosto da un gruppo di persone indistinte.
Non mi sono voltato verso i loro obiettivi e ho proseguito incassando quella spiacevole sensazione di intrusione, chiedendomi quanto tempo ancora mi ci sarebbe voluto per abituarmi a tutto questo o se piuttosto avrei provato per tutta la vita l'impressione di essere diventato come uno sfortunato animale dello zoo.

Il tassista all'inizio ha provato ad avviare una conversazione banale con me: in un inglese maccheronico mi ha chiesto se fosse la prima volta che venivo in Italia e per quale motivo fossi qui.
Ho risposto in maniera cortese ma serafica che ero in vacanza, lasciandogli intendere che non avevo altro da aggiungere.
L'uomo, che puzza di fumo, ha alzato gli occhi sullo specchietto retrovisore per guardarmi in faccia.
Sono un pessimo bugiardo e devo avere un aspetto terribile dovuto alla tensione e alla stanchezza.
Probabilmente deve aver percepito tutto il mio malessere perché ha annuito e distolto lo sguardo.
Neanche lui ha avuto altro da aggiungere e gliene sono stato grato.

Ho un turbinio di pensieri che mi vorticano in testa... dubbi e paure vengono a galla e si sollevano come polvere che offusca la ragione.
Appoggio la testa al finestrino e mi lascio avvolgere dal silenzio e dall'oscurità dell'abitacolo.

Nella mia mente, a occhi chiusi, trovo sempre lei.
L'immagine del suo bel volto sorridente accarezza le mie insicurezze, le culla, mi incoraggia, e io mi convinco che sto facendo la cosa giusta, sentendomi subito meglio.
Abita i miei pensieri in maniera fissa e costante da qualche mese, da quando il cervello ha  smesso di combattere e ha alzato bandiera bianca al cuore.

Lo squillo del mio cellulare mi tormenta di nuovo.
Fisso lo schermo, è mio fratello.
Sono indeciso se rispondere o lasciare cadere la linea, ma poi mi sento in colpa e accetto la chiamata.
" Ciao, dove sei?" chiede in tono neutro. Sospiro, inutile mentire.
"In Italia, a venti km da Firenze" rispondo, e attendo che la notizia si sedimenti nella sua testa.
Al contrario di ciò che mi aspettassi non arriva nessuna reazione eclatante; è chiaro che già lo sapesse. Forse, penso, ha letto il mio post.
"Ok, stai attento. Insomma, sei un adulto e la vita è tua, ma mandami un messaggio domani mattina per farmi sapere se è tutto a posto".
Nathan è un altro nome che si è aggiunto recentemente alla lista di persone che pensano che io sia completamente impazzito; in realtà fanno parte della lista praticamente tutti quelli che sono a conoscenza della storia.
"Tranquillo, certo. Buonanotte"
Chiudo prima che possa aggiungere altro.
In fondo non è andata male come pensavo, niente consigli non richiesti, niente ramanzine.

Controllo il navigatore, manca poco.
Sento crescere la tensione e con essa il mal di testa.
Salvo sul cellulare la posizione dell'hotel che ho prenotato poco prima di partire, sperando senza mentire a me stesso di passare la notte insieme a lei.
Una vocina fastidiosa mi suggerisce che lei potrebbe già essere tornata a casa da lui, o che magari potrebbe aver cambiato programmi per la serata e non essere neanche uscita. 
Scaccio con angoscia l'idea di aver fatto questo lungo viaggio a vuoto; naturalmente non ho un piano B.
Non ho voluto avvisarla della mia decisione di andare da lei, perché sapevo che sarebbe scappata, che mi avrebbe elencato una quantità infinita di dubbi e obiezioni, che mi avrebbe spinto a cambiare idea, ad aspettare.
E io non voglio e non posso più aspettare, l'ho fatto più a lungo del dovuto.
Conosco l'indirizzo di casa sua ma non oserei arrivare a tanto.
O forse si?
Non ho tempo di rispondermi, la voce dell'autista mi riporta alla realtà avvisandomi che siamo arrivati mentre ferma la macchina.
Mi osserva scuotere la testa tra me e me, probabilmente penserà che sono fuori di testa e non lo biasimo.
Scendo dall'auto e prendo la giacca e il borsone da palestra dove ho infilato qualche cambio alla rinfusa.
Ringrazio sorridendo l'uomo che ricambia solo dopo aver visto la mia mancia.
Rifletto sulla possibilità di chiedergli di restare ad aspettarmi qua fuori, ma credo di esser già stato fortunato ad arrivare vivo fin qui e decido di non sfidare ulteriormente la sorte.

La discoteca è un grande edificio bianco e si trova in aperta campagna.
All'esterno ci sono molte persone, alcune sono fuori a fumare, altre in fila per entrare. Controllo l'ora, sono quasi le tre.. ma a che ora va a ballare la gente in questo paese?!
Prendo il mio bagaglio e mi accodo a quest'ultime.
Ascolto il suono delle voci di chi mi circonda parlare in una lingua che non capisco.
A disagio sento ridere dei ragazzi dietro di me che guardando il mio borsone dicono qualcosa che suona come "bomba".
Fantastico, penso, ho le sembianze di un serial killer.
Sono ridicolo nella mia tuta nera con una sacca da palestra a tracolla mentre tutti intorno a me sono vestiti elegantemente.
Avrei dovuto pensarci prima, ma questo succede quando si segue l'istinto al posto della ragione, ci si ritrova in situazioni in cui si fa la figura dell'idiota.
La ragazza della biglietteria mi ha fissato qualche secondo più a lungo del dovuto; per fortuna non ha proferito parola.
Non so se mi abbia riconosciuto, sono corso dentro prima di scoprirlo e ho infilato il cappuccio sulla testa per evitare altre seccature.

La musica qui dentro ha un volume assurdo, così alto che non ti permette neanche di pensare, figuriamoci parlare, e e c'è tantissima gente, più di quanta ne abbia mai vista in un club a Londra.
Le cubiste sono vestite solo dalla vita in giù con dei micro shorts bianchi, mentre sul torace nudo hanno una specie di body painting floreale.
Distolgo lo sguardo per l'imbarazzo e sorrido nonostante l'ansia immaginandola ballare qui, in uno dei suoi posti preferiti.
Ora che ci sono anche io mi sembra di far parte della sua vita in modo più concreto.

Spingo la mia roba sotto al primo divano libero che trovo, accanto all'ingresso, sperando che nessuno me la rubi.
Mi guardo intorno in cerca della sua presenza, devo trovarla.

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