Hic Finitur Deus

Le pire non si sono ancora spente del tutto. Il vescovo distingue le volute di fumo stagliarsi contro il cielo plumbeo della notte. Il fetore della carne bruciata gli impregna le narici, e un sorriso appagato gli piega le labbra nel ricordare le urla strazianti delle donne che ha fatto ardere vive quella mattina. Non desidera altro che tornare nella sua villa e riposarsi: gli ultimi giorni, intervallati da torture e interrogatori, sono stati pesanti. Ma non è ancora il momento di lasciare la chiesa. Lo aspetta una notte di preghiere, perché il male non dorme mai e non può abbassare la guardia proprio ora che ha ridotto in cenere le sue serve. 

Si allontana dalla finestra e, immerso nella luce fioca e tremolante delle candele, si avvicina all'altare, inginocchiandosi sul marmo gelido. Sgrana il rosario color borgogna tra le dita, mentre le labbra si socchiudono in preghiere, riempiendo la navata di sussurri cantilenanti.

Il legno del portone stride contro il sagrato. Il vecchio cuore del vescovo sembra inciampare sotto le costole e perde un battito.

Ha sbarrato lui stesso l'entrata dall'interno qualche ora prima. Dall'interno.

Il vento ulula tra le colonne, portando con sé la puzza rivoltante del rogo. Le fiammelle dei ceri muoiono in sospiri grigi, e le ombre attorno a lui si accartocciano come carta sul fuoco, divorate dal buio.

I muscoli del vescovo si sono trasformati in pietra, il respiro gli si è incastrato in gola. Non osa voltarsi verso l'ingresso, neanche quando sente il rumore graffiante degli artigli sul pavimento. Avverte anche dei passi, brevi e leggeri come quelli di un bambino.

«Aspetta!»

La voce che ha dato l'ordine è dolce e pura, quasi angelica, e finalmente il vescovo ha il coraggio di girarsi.

Davanti a lui, una bambina. Non può avere più di sei o sette anni. I capelli biondi, raccolti in trecce, incorniciano un volto tondo e lentigginoso. Nel buio alle sue spalle, due occhi gialli e una fila di zanne la sovrastano.

L'uomo sente rimbombare il proprio respiro. Il sudore gli bagna la pelle, si sente soffocare sotto tutti gli strati dell'abito ecclesiastico. Sbatte le palpebre un paio di volte, ma riesce a distinguere la figura dietro la bambina, finché essa, improvvisamente, si muove. Ne intravede le zampe massicce, i lunghi artigli che stridono contro il marmo, la pelliccia nera e lucida come le penne di un corvo. Il corpo, sinuoso come quello di un gatto, si strofina contro quello fragile della bambina. La coda le avvolge, minacciosa, le caviglie.

Il vescovo sa che deve aiutarla, deve portarla via da quella bestia che, ne è sicuro, porta il marchio del diavolo. Vorrebbe allungare le braccia verso di lei, convincerla ad allontanarsi dal felino che le si sta strusciando contro, ma le parole gli muoiono in gola.

Lei non ha paura. Ha le labbra piegate in un ghigno grottesco; le pupille, spille scintillanti nel buio, sono così grandi da aver soppiantato le iridi chiare. Il visetto angelico si è tramutato in una maschera mostruosa.

«Avete ucciso le streghe sbagliate» sibila, e la voce gli graffia i timpani. Poi getta la testa indietro, arcuando il collo sottile, quasi spezzandolo, e dalle labbra esce una risata sguaiata. L'uomo guarda in su, verso il crocifisso, ma gli risponde solo il silenzio.

La bambina e la bestia si muovono insieme. L'uomo non sa a chi appartengono i denti che affondano nella sua carne. Sul pavimento, un groviglio di interiora. Le sue urla di dolore si mescolano ai mugolii eccitati delle due belve.

Lei si lecca le labbra. Sorride. Ha i denti sporchi di sangue.

«Hic finitur Deus».

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