XI.
Si stavano baciando.
Erano sdraiati sul letto di Eddie, le coperte un groviglio di stoffa tra le gambe, la stanza immersa nella penombra.
Dalle tapparelle non totalmente abbassate proveniva un fascio di luce lunare che si rifrangeva sui loro volti.
Quante volte Eddie aveva immaginato un momento del genere?
Quante volte, sentendo il respiro di Norman accarezzargli il viso durante un pomeriggio di studio, aveva desiderato voltarsi e annullare il poco spazio che separava le loro labbra?
Quante volte aveva dovuto inchiodare le dita alla sedia per non infilarle tra i capelli che gli finivano sugli occhi?
E adesso che poteva - che il corpo di Norman era premuto contro il suo, e la sua bocca lo accoglieva con calore, cos'altro c'era a bloccarlo?
Era forse il pensiero di Richie, di quel che gli aveva detto?
"Se non eri interessato a me, potevi anche dirlo subito".
Già.
Perché non l'aveva fatto?
Anche il pomeriggio prima, mentre erano sul balconcino della biblioteca ad attendere che la rabbia di Norman sbollisse - perché Eddie non aveva chiarito la situazione con Richie? Perché non gli aveva chiesto di farsi da parte?
Ti piace, sussurrò una voce malevola nella sua testa.
Eddie diede un morso al labbro inferiore di Norman, facendolo gemere.
Perché era lì tra le sue braccia, allora?
Si sentiva confuso al punto da starci male, il peso dell'altro ragazzo sdraiato sul suo petto divenne quasi insopportabile aggiunto al senso di colpa che gli opprimeva il cuore.
Avvolse una gamba attorno al ginocchio di Norman e lo ribaltò sulla schiena. Il ragazzo atterrò sul materasso con un ansito, le ginocchia di Eddie strette attorno ai fianchi.
Aprirono gli occhi entrambi, scrutandosi nella parziale oscurità, e il ragazzino riuscì chiaramente a vedere l'effetto che i suoi baci e la sua vicinanza avevano sul compagno di stanza: le pupille completamente dilatate, il nero che inghiottiva il verde, e tutt'intorno una scintillante patina di lacrime di desiderio.
Anche i suoi occhi erano così, in quel momento? O Norman poteva vedere quanto fosse dilaniato dal di dentro?
Lo voglio, si disse.
Ma voglio anche quel ragazzo dai ricci scuri e Richie Tozier, che sembra somigliargli così tanto. Dio, perché gli somiglia così tanto?
Com'erano gli occhi di Richie quando baciava qualcuno? Quando il nero dell'iride veniva divorato dal nero ancor più nero della pupilla?
Norman premette improvvisamente una mano sul suo viso, allontanando la sua bocca. Eddie non riuscì neppure ad essere stupito dal gesto, e non fu stupito nemmeno quando il ragazzo chiese:-C'è qualcosa che non va?-
Non poteva tenere due piedi in una scarpa. Non poteva avere tutti e tre quei ragazzi - e se le cose stavano cosí, era meglio non averne nessuno.
-Possiamo fermarci?- Mormorò, sollevandosi.
La mano di Norman ricadde.
-Certo che possiamo.- Rispose lui, con dolcezza inaudita.
Eddie rotolò di lato e si sdraiò sul materasso, accanto a Norman.
Questi lo osservò in silenzio ancora per qualche minuto, gli occhi verdi avevano perso ogni ardore, tornando ad essere pieni della solita preoccupazione.
-Stai bene?- Domandò ancora, sfiorandogli le tempie con le dita.
Il ragazzino annuí.-Sono solo stanco.-
Era una scusa plausibile. La mattinata era stata frenetica, carica di lezioni e nuovi argomenti da assimilare, il pomeriggio passato sui libri.
Non fosse stato per l'indecisione che gli scuoteva ogni membrana, si sarebbe probabilmente addormentato nel giro di pochi minuti.
-Raccontami una storia.- Bisbigliò, lo sguardo rivolto al soffitto.-Qualcosa sui tuoi fiori.-
Norman si fece piú vicino, posò la testa sul suo petto, all'altezza del cuore, e Eddie gli avvolse un braccio attorno alle spalle - non poteva fare altro che stringerlo a sé, che acconsentire a quell'ultima ricerca di calore.
Norman iniziò a parlare mentre il ragazzino gli districava piano i capelli.
-Eco era un'Oreade, una ninfa delle montagne presso i Greci. Aveva il dono della chiacchiera, stordiva tutti con parole e pettegolezzi.-
Eddie fece una smorfia. Per qualche motivo, quell'introduzione gli ricordò la lingua frivola di Liz.
-Secondo Ovidio, Giove volle sfruttare quella sua attitudine per distrarre Giunone, mentre lui si crogiolava tra le amanti. Scoperto l'inganno, la dea le tolse l'uso della parola, condannandola a ripetere solo le ultime pronunciate dagli altri. Intanto, per i monti abitati da Eco, vagava un cacciatore. Il suo nome era Narciso, un giovane di bellezza straordinaria, ma anche di straordinaria crudeltà.- Eddie si accigliò e smise di muovere le dita tra i suoi capelli, in attesa.
Norman aveva l'infelice abitudine di tacere sul piú bello, solo per vedere che faccia avrebbe fatto.
-Non sapeva amare.- Proseguí, a voce ancor piú bassa, e il ragazzino si sentí trafiggere il petto.-Quando Eco lo vide aggirarsi tra i boschi, cadde anche lei vittima del suo fascino, come tante prima di lei, ma il giovane la rifiutò duramente, incapace di tenere a chiunque se non a se stesso.
- Quando nacque, fu detto a sua madre che avrebbe vissuto a lungo solo se non si fosse mai conosciuto. Purtroppo, nel fiore degli anni, si conobbe: vide il proprio riflesso in una pozza d'acqua e, assuefatto da tanta bellezza, si innamorò. Realizzando che il giovane riflesso altri non era che lui, si consumò dal dolore, trascorrendo notti e giorni a desiderarsi senza potersi sfiorare mai. Alla fine, al posto del suo corpo assetato e affamato, rimase un fiore, giallo e profumatissimo.- Un'altra pausa. Per qualche motivo Eddie sentiva che avrebbe aggiunto qualcosa di ancor piú triste.
-Per disperazione, Eco si ridusse a sola voce, dissipandosi tra la vegetazione della montagna.-
Eddie si morse una guancia, le mani che strofinavano delicatamente lo scalpo di Norman, gli occhi stanchi che ormai non distinguevano piú dove finisse la parete e iniziasse il soffitto.
Si chiese se anche lui non fosse un po' come Narciso, privato dal destino della capacità di dare amore a chi piú l'avrebbe meritato.
E si chiese se Norman non fosse la sua Eco, e se sapere che non era in grado di ricambiarlo l'avrebbe distrutto.
Eddie si svegliò di soprassalto, dalla tapparella mezza sollevata provenne un lampo di luce accecante, seguito immediatamente dal fragore di un tuono.
A Derry, nel nord degli Stati Uniti, le giornate grigie e piovose erano frequenti, ma un temporale in Georgia, con il clima tropicale da cui era caratterizzata, significava tempesta e tornadi.
In Florida era stato spesso colto di sorpresa da eventi del genere, nel corso dei passati quattro anni e mezzo, ma per sua sfortuna - o fortuna - non ci si era ancora abituato abbastanza da non scattare come una molla.
Si alzò dal letto stando attento a non svegliare anche Norman. Le piante erano già stata messe al sicuro all'interno in previsione del maltempo, per cui il ragazzino si limitò a tirare giú le tapparelle di finestra e balcone, non senza aver dato prima un'occhiata fuori: la pioggia cadeva a secchiate in tutte le direzioni, trasportata dal vento. I pochi alberi del cortile pendevano pericolosamente da un lato, quasi in procinto di essere sradicati. E poi, al centro della baraonda, c'era una figura nera che avanzava sotto le intemperie correndo.
A Eddie importava poco che qualche studente fosse rimasto coinvolto, tanto piú se sembrava cavarsela benissimo anche da solo - aveva quasi raggiunto le scale antincendio.
Norman era lí con lui, e l'unica persona per cui provasse una qualche forma di stima all'infuori del compagno di stanza era...
Richie Tozier.
Era anche l'unica persona che conoscesse in grado di ritrovarsi travolta da una tempesta tropicale.
Si assicurò di bloccare bene le imposte prima di lasciare la stanza e andare a bussare a quella di Richie.
Era solo un controllo. Probabilmente il ragazzo sarebbe andato ad aprirgli mezzo addormentato e in pantofole.
Non accadde.
Dalla camera proveniva un grande silenzio, interrotto solo dallo scroscio dell'acqua, tanto forte da potersi udire attraverso le pareti.
Bussò di nuovo, con piú vigore, arrivando anche a chiamare il nome del ragazzo, ma nessuno rispondeva.
Poi, dal fondo del corridoio, il tonfo delle uscite di emergenza che si chiudevano, vibrando nel cuore della notte, e passi affrettati sulla moquette.
Eddie si voltò per vedere arrivare Richie, fradicio fin dentro le ossa. Erano zuppi i capelli, il cappotto, i jeans, le scarpe, ogni parte di lui perdeva acqua, al suo passaggio si formavano grosse macchie sul pavimento.
E anche in quella situazione non mancò di salutarlo con un sorriso.
-Eddie! Sentito che tuono? Era proprio vicino.-
Il ragazzino sbiancò.-Abbastanza vicino da colpirti su quella testa bacata!- Ribatté, sentendosi in qualche modo sua madre eppure senza riuscire a trattenersi.-Che ci facevi fuori all'una di notte e con quel tempaccio?- Doveva essere nel sangue dei Kaspbrak.
-Avevo un impegno.- Richie liquidò la sua preoccupazione con un cenno.-Tu che ci fai davanti alla mia porta?- E mentre lo diceva, tirò fuori un mazzo di chiavi dalla tasca e l'aprí.
Eddie notò con sorpresa il fodero di una chitarra che ciondolava sulla sua schiena.
-Ho visto un idiota che correva sotto la pioggia e ho pensato che fossi tu.-
-Sí, sei sempre stato quello piú intelligente.-
Si immobilizzarono entrambi sulla soglia, la mano di Richie stretta attorno al pomello della porta.
Cazzo, pensò, mordendosi la lingua.
-Voglio dire... é evidente che tu lo sia piú di me.-
Sentí Eddie ridacchiare alle sue spalle, e tirò un - mezzo - sospiro di sollievo.
L'altra metà la lasciò andare quando il ragazzino rispose:-Non te ne saresti accorto, se fossi stato un idiota completo.-
-C'é speranza, allora.-
Richie si decise ad entrare nella stanza, seppur maledicendosi.
Doveva stare piú attento a quel che gli usciva dalla bocca - a sentir parlare Eddie in quel modo, gli era parso quello di sempre, che gli anni non fossero passati, ma non era cosí.
Non ha idea di chi tu sia, si ripeté, autoinfliggendosi una coltellata. Il dolore lo aiutava a rimanere lucido. A non commettere errori del genere.
Posò il fodero della chitarra contro una parete.
-Che fai, non entri?- Chiese, accorgendosi che Eddie era ancora fermo in mezzo al corridoio.
Il ragazzino si fiondò nella stanza in fretta e furia, senza nemmeno chiudersi la porta alle spalle, e Richie capí che non era entrato per sua richiesta, ma per bloccargli tutte le imposte, che avevano iniziato a tremare sotto i colpi di vento.
-Sarebbe questa la prima cosa da fare.- Gli disse, voltandosi e stendendo un dito minaccioso verso il fodero con cui Richie stava armeggiando.
-Scherzi? Prima le donne e le chitarre.- Tirò fuori lo strumento e lo poggiò con delicatezza sul letto, come un'amante.
Eddie si sfregò nervosamente le tempie e andò a chiudere anche la porta.
Incredibile, pensò: alla luce proveniente dall'esterno, Richie stava strofinando con un panno asciutto il legno della chitarra, rigirandola alla ricerca di punti bagnati.
E intanto lui stesso rimaneva ingolfato negli abiti zuppi.
-Oh, insomma!- Il ragazzino gli sfilò lo strumento di mano, facendolo sussultare.-Pensa a cambiarti! Asciugo io quest'affare.-
-Si chiama Daisy Jane.- Ribatté subito Richie. Sembrava piuttosto preoccupato all'idea di lasciargli tra le mani la sua chitarra.
Il ragazzino alzò gli occhi al cielo.-La tratterò bene, promesso.-
L'altro si allontanò per prendere dei vestiti e si rintanò in bagno, non senza rivolgere ad Eddie un'ultima occhiata poco convinta prima di chiudersi nella stanza.
Eddie sedette sul letto con un sorriso divertito, passando il panno morbido sullo strumento. Era di un bel legno scuro, un delicato motivo floreale percorreva il foro al di sotto delle corde e si ripeteva sulle giunture della cassa armonica.
Sembrava un oggetto fin troppo pregiato e fragile per trovarsi nelle mani di Richie.
Quindi quel ragazzo suonava.
Provò a pizzicare una delle corde, immaginando le dita di Richie compiere gli stessi gesti, muoversi agilmente sui tasti. Ne uscì un suono debole ma armonioso - doveva essere divino avere la capacità di combinare tra loro tanti suoni diversi e farne uscire una melodia.
Eddie non ne era mai stato capace, neppure ci aveva mai provato. Chissà se Richie era bravo davvero, o se portava quello strumento a zonzo solo per pavoneggiarsi.
"Daisy Jane".
Era una canzone degli America uscita nel 'settantacinque. Proprio l'anno in cui Eddie era nato. Ricordava che a sua madre piacesse parecchio, o almeno l'aveva canticchiata per i cinque anni successivi, ogni volta che la trasmettevano alla radio.
Non aveva nulla di speciale, una canzone d'amore come un'altra - forse significava qualcosa per Richie?
Il ragazzo uscì poco dopo dal bagno, strofinandosi i capelli umidi con un asciugamano.
-E' ancora tutta intera?- Fu la prima cosa che chiese.
Eddie non lo degnò di una risposta.-Perché Daisy Jane?-
Richie sedette accanto a lui sul letto e gli sfilò la chitarra dalle mani, posandola sulle proprie gambe. Si comportava come un genitore spaventato che qualcuno facesse cadere il figlio appena nato.
-Non l'ho scelto io.- Rispose.
Si schiarì un po' la voce, e Eddie dovette pensare che fosse a causa dell'umidità, ma Richie era in preda ad una lieve agitazione.
-E' stato un amico della vecchia città in cui abitavo.-
Il ragazzino incrociò le gambe sul letto e si voltò a guardarlo con il viso tra le mani, gli occhi castani curiosi.-Un amico importante?-
-Uno con dei pessimi gusti musicali.- Richie sorrise tra sè.
Cielo, a chi piacevano i New Kids on the Block?
-E' da molto che suoni?-
-Cinque anni.-
-Allora devi essere bravo.-
-Stai testando la mia modestia?- Richie arcuò un sopracciglio.
Anche un angolo della bocca di Eddie si sollevò. Fece un cenno verso la chitarra.-Suoneresti qualcosa per me?-
Richie sgranò un po' gli occhi.
Aveva suonato per tutta la sera e diverse ore della notte, le falangi viola a furia di pizzicare e premere sulle corde - ma non avrebbe mai rifiutato una richiesta del genere da parte di Eddie.
Condividere la sua musica con lui, sussurrargli canzoni nelle orecchie mentre dondolavano abbracciati sull'amaca, era ció che aveva desiderato fare dal giorno in cui se n'era andato. Rimpiangeva di aver scoperto quella passione solo pochi mesi dopo la partenza di Eddie.
-Posso suonarti Daisy Jane.- Replicò, con un sorriso storto.-Solo un pezzetto, però. É l'una passata e le pareti sono sottili.-
-Vedo che hai imparato le regole del buon vicinato.- La battuta era tagliente, ma la voce di Eddie uscí ancor piú sottile.
Si sentiva emozionato all'idea che Richie avesse accettato.
Il ragazzo iniziò con un giro d'accordi, le dita della mano destra che calavano decise sulle corde mentre la sinistra scivolava rapida sui tasti: la melodia era dolce, e in qualche modo riuscí a trasportare Eddie indietro di quattordici anni, con la vecchia radio sul ripiano della cucina, il segnale sempre disturbato, il bicchiere di latte caldo e miele.
Richie iniziò a cantare, e il ragazzino chiuse gli occhi mentre sulle sue labbra si formavano parole delicate come piume, la voce profonda e pulita:-Well, I've been pickin' it up around me / Daisy, I think I'm sane /
And I'm awful glad/ And I guess you're really to blame, blame /
Do you really love me / I hope you do / Like the stars above me / How I love you / When it's cold at night / Everything's alright...-
Eddie iniziò a mormorare le parole tra sé, il capo che ondeggiava.
-Does she really love me / I think she does / Like the stars above me / I know because / When the sky is bright / Everything's alright.-
La voce calda di Richie morí poco a poco, lasciando spazio alle note. Quando anche la chitarra tacque, Eddie fece quasi fatica a riaprire gli occhi. Si stava cosí bene in quel mondo buio e melodioso che Richie aveva creato apposta per lui, dove i ricordi sembravano raggiungerlo senza difficoltà.
Sollevò piano le palpebre, e trovò gli occhi di Richie immobili a scrutarlo, in attesa che dicesse o facesse qualcosa.
Era bello.
Quell'informazione era rimasta sopita nella mente di Eddie dal momento in cui l'aveva incontrato, perché Richie era tante altre cose: chiassoso, sbadato, singolare, gentile nella sua sgarbatezza, e tutto questo sembrava prevalere.
Ma quando era in silenzio e il suo volto era immerso nelle ombre che la pioggia faceva gocciolare sui vetri, toglieva il fiato.
-Sei bravo.- Mormorò, cercando di non abbassare lo sguardo sulle sue labbra.
Voleva baciarlo.
Lo conosceva da una settimana, Norman dormiva nella stanza di fronte e aveva appena lasciato il proprio sapore nella sua bocca. E voleva baciarlo.
-Lo so.- Richie mise da parte la chitarra e si voltò completamente verso Eddie, le gambe incrociate sul materasso.
Prese la pezza che il ragazzino aveva lasciato lí vicino, perfettamente ripiegata, e di nuovo gli fu impossibile trattenere un sorriso, come quando aveva tirato fuori le salviette a colazione.
-Hai...- Cercò le parole adatte, lasciandole rotolare sulla lingua per capire quanto fossero taglienti.-qualche tipo di mania? Ossessione per il pulito, qualcosa del genere?-
Richie sapeva che Eddie l'aveva. Ma voleva sentirglielo dire. Per scoprire se finalmente se n'era reso conto, se avesse il coraggio di ammetterlo. E perché capisse che i suoi gesti, per lui, non passavano inosservati. Che ci teneva, che lo studiava per comprendere quale fosse il modo migliore di comportarsi.
Eddie fu sorpreso del cambio di argomento, ma non offeso da quelle parole. Norman gli aveva fatto piú o meno la stessa domanda, pochi giorni dopo il suo arrivo al college.
-Non una patologia vera e propria.- Rispose, guardando le dita di Richie che percorrevano le trame dello straccio.-Ma ho delle fissazioni, sí. Mi piace che le cose siano riposte sempre nello stesso punto, che tutto sia pulito...- Si sfregò la nuca con una smorfia.-adattarsi a Norman é stato difficile. Lui lascia di tutto in giro.-
Richie cercò di reprimere le punture di gelosia, a quel nome. La sua mano si serrò sulla pezza.-Abbiamo qualcosa in comune, Norman ed io.-
-Il pretesto per iniziare una buona amicizia, mi auguro.-
Richie alzò gli occhi neri su di lui, e Eddie si sentí come se avessero avuto la forza di spalancargli le coste e spiarvi all'interno.
Aveva detto qualcosa di sbagliato?
-É per questo che hai scelto biologia?- Domandò Richie, dirottando la conversazione.
Il ragazzino glielo lasciò fare.
-Sí.- Rispose.-Niente é lasciato al caso, ogni organismo funziona secondo schemi precisi. Mi dà pace pensare all'ordine di cui siamo circondati.-
Richie si morse distrattamente le labbra.
"Ordine".
Era una parola che faceva non poco a pugni con il passato da cui stava scappando.
Era davvero l'ordine naturale delle cose che una creatura proveniente da chissà dove sbucasse dalle fogne per divorarli tutti?
Ed era possibile che anche Eddie cercasse riposo nelle ripetitive sequenze del DNA per i demoni che lo squassavano dall'interno?
-Ma tu vuoi suonare, vero?- Chiese il ragazzino d'un tratto, posando una mano sulla chitarra alle loro spalle.-Non te ne importa niente della chimica.-
Richie girò il capo, evitando i suoi occhi. La sua vita non gli apparteneva piú dal giorno del giuramento - poco contava che suonasse o si chiudesse in un laboratorio: sarebbe morto in quella fogna lurida, prima o poi. Qualcuno avrebbe ritrovato il suo cadavere masticato senza nemmeno sapere che aveva dato inutilmente la vita per salvare quella degli altri.
-Sono poche le cose alle quali posso permettermi di dare importanza.- Rispose stancamente.
A Eddie fece male sentirlo parlare cosí - cosa lo rendeva triste e disilluso a tal punto?
La cosa peggiore era che riusciva a capire perfettamente cosa intendesse: anche lui, nello stato in cui si trovavano il suo cuore e la sua mente, poteva difficilmente prestare la sua piú completa e devota attenzione a qualcosa o a qualcuno.
-Ad esempio?-
Richie si strinse nelle spalle.-La musica. Gli amici che ho lasciato indietro.- Non aggiunse altro, ma nella sua testa c'era una voce martellante che diceva: Tu, Eddie.
Tu.
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