II.
-Eddie.- Norman picchiettò la matita sul quaderno dell'amico, facendolo sussultare.-Il benzene ha struttura esagonale. Perché gli hai tolto un carbonio?-
Eddie strizzò gli occhi, cercando di mettere a fuoco l'errore. Aveva la testa altrove, inutile negarlo, e aveva preso degli appunti indecenti.
Gli sarebbe piaciuto poter dare la colpa di quella distrazione alla mancanza di sonno, ma no - era il volto di quella cameriera a tormentarlo, la sua fila di denti aguzzi, la sua bocca larga, il suo sguardo famelico.
Sembrava tutto fin troppo familiare. Come se avesse già visto un'espressione del genere, sul volto di qualcun altro. Ma chi?
-Non lo so, non mi ero reso conto che fosse un benzene.- Rispose.-Alla lavagna sembrava solo uno scarabocchio.-
Norman si raddrizzò, le braccia conserte.
Erano seduti a gambe incrociate nel prato a est del campus; era pieno febbraio ma il sole era clemente, quel giorno. Batteva sulla nuca di Norman, illuminando i suoi capelli come una filigrana in oro.
Era molto bello.
Peccato che una severa preoccupazione rovinasse la morbidezza dei suoi lineamenti.-Era impossibile confondersi.-
Eddie si imbronciò.-Vuoi farmi una ramanzina per un benzene del cavolo?-
-No.- Il ragazzo lasciò cadere la matita sul foglio.-Perché dovresti farti vedere da un medico.-
-Non ho bisogno di uno strizzacervelli.- Ribatté Eddie, cancellando con troppa forza la struttura della molecola per disegnarne un'altra esagonale.-Smettila di preoccuparti.-
Norman fece per ribattere, ma la sua bocca rimase spalancata e non ne uscì alcun suono mentre guardava fisso la massiccia palla da football che sfrecciava nella loro direzione.
Picchiò dritta sulla nuca di Eddie, e il capo del ragazzo scattò innaturalmente in avanti, come quando si colpisce la palla da biliardo con la stecca.
-Ma che diavolo!- Urlò il ragazzo, massaggiandosi il collo, gli occhi ancora sgranati per la sorpresa e una mano di Norman sulla spalla.
-Stai bene?-
-Sì.- Rispose, raccogliendo la palla che era caduta accanto a lui e voltandosi in cerca di chi l'aveva lanciata.
Non potè trattenersi dall'alzare gli occhi al cielo mentre vedeva correre verso di lui alcuni membri della squadra di football, tonici come il marmo delle colonne che circondavano l'università.
-Scusami, Kaspbrak!- Disse uno di loro, staccandosi dal mucchio. Eddie non era sicuro di quale fosse il suo nome - Brad? Brett? - ma era sicuro di non sopportarlo da quando aveva messo in giro voci inquietanti sul suo conto, una versione molto romanzata delle sue grida notturne.-Non l'ho fatto di proposito.- Si voltò verso i compagni, ghignando.- Forse.- Aggiunse, a bassa voce, ma Eddie lo sentì ugualmente, e alzò di nuovo gli occhi al cielo.
Credeva che una volta andato via da Derry, avrebbe smesso di avere a che fare con idioti come Bowers, ma si era sbagliato di grosso.
Si irrigidì di colpo, e per un istante si fece tutto sfocato.
Bowers.
Chi era? Perché gli era tornato in mente quel nome?
-Ehi, Kaspbrak.- Brad (Brett?) stava agitando con foga una mano davanti al suo viso paonazzo.-Ti ha colpito proprio forte quella palla.-
Eddie sbatté ripetutamente le palpebre, e ogni cosa riacquisì un contorno: l'erba, gli alberi, le panchine, le dita di Brody - qualcosa con la B, insomma -, lo sguardo preoccupato di Norman.
-Lasciatelo stare.- Disse questi d'un tratto, abbandonando la sua serafica calma.-Smettetela di comportarvi come se foste alle elementari.-
-Sei caduto davvero in basso, Fletcher.- S'inserì un altro della squadra, con le spalle larghe e fluenti capelli castani. Malcolm. Eddie riuscì a leggere il nome sula maglia della divisa da football che indossava.- Diglielo anche tu, Brian.- Aggiunse, facendo un cenno col mento al compagno biondo che aveva parlato fino a quel momento, e Eddie pensò che finalmente sapeva come si chiamasse, e anche che se ne sarebbe dimenticato nel giro di mezz'ora.
-Non dovresti farti vedere in giro con persone del genere.- Disse Brian, incrociando le braccia muscolose al petto.-Ti stai rovinando la reputazione.-
-Credo sia peggio farmi vedere in giro con gente come voi.- Ribatté Norman, inflessibile. Ma Eddie, che lo conosceva bene - che in quei sei mesi e mezzo aveva imparato a memoria ogni suo gesto ed espressione - si accorse del modo in cui le sue mani si serrarono nell'erba, e si morse una guancia.
Ormai passava il tempo a difenderlo da soggetti come Brian, Malcolm e la loro squadra di Adoni.
Voleva che la smettesse di comportarsi come una babysitter - come se in lui non ci fosse altro da vedere che un fratello minore da proteggere dai bulli.
-Come vuoi, Fletcher.- Rispose Brian, facendo dietrofront.- Non tornare da noi piangendo quando ti sarai reso conto del tuo errore.- Concluse, con serietà impressionante, portando via la sua mandria inferocita.
Eddie sbuffò e tornò a fissare il benzene storto che aveva disegnato. Lo cancellò, e il suo malumore parve essere contagioso, perché anche Norman lasciò andare un sospiro scoraggiato.
-Mi dispiace.-
-Non siamo più alle medie, Nor. Non ci rimango male se degli idioti mi tirano addosso una palla.-
L'altro non rispose, e Eddie alzò gli occhi per incontrare i suoi, verdissimi alla luce del mezzogiorno, e feriti.
Ah.
Norman pensava che fosse colpa sua. Che Brian se la prendeva tanto perché non aveva più il suo compagno di squadra preferito. Che avrebbero smesso di tormentare Eddie, se fosse tornato a giocare con loro.
-No, hai ragione.- Rispose il biondo, e distolse lo sguardo dispiaciuto dal suo.
Eddie si sentì stringere il petto.
Eddie ricordava con precisione disarmante il giorno in cui aveva conosciuto Norman.
Il primo semestre era iniziato già da una settimana quando era arrivato al college: in Florida, dove abitava con sua madre da quando avevano lasciato Derry, c'era stato brutto tempo per giorni, e i voli erano stati cancellati.
Eddie sapeva già di essere rimasto indietro con le lezioni, il che non lo spingeva ad affrontare il primo giorno con entusiasmo.
Era entrato nella camera che gli era stata assegnata con uno sbuffo, sperando di potersi finalmente riposare dopo sette ore di viaggio in uno scomodo sedile della classe economica, ma si era ritrovato davanti una vista che l'aveva lasciato sbigottito sull'uscio.
C'erano piante ovunque, sulle mensole, a metà strada tra il pavimento della stanza e quello del balconcino, sui davanzali, appese al soffitto con intricati giochi di corde, i rami affusolati che spiovevano sui due letti.
E poi, in mezzo a tutto quel verde, la figura olivastra e tonica di un ragazzo dai capelli biondissimi, un asciugamano in spugna attorno alla vita, gocce d'acqua che scivolavano dalle ciocche umide al torso.
Il tempo si era congelato, poi aveva ripreso a scorrere troppo in fretta: lo sconosciuto gli aveva teso una mano per presentarsi, Eddie si era sporto in avanti per prenderla, poi entrambi si erano rifatti indietro prima che le loro dita potessero anche solo sfiorarsi, arrossendo fino alla punta dei piedi.
-Torno in un altro momento.-Aveva detto Eddie, grattandosi la nuca e facendo dietrofront, ma il ragazzo l'aveva fermato, una mano sull'asciugamano per evitare che cadesse nella concitazione del movimento.
-Non fa nulla.- Aveva risposto, e Eddie si era scansato accorgendosi che stava per prendergli un polso.
Non gli piaceva l'idea di essere toccato da uno sconosciuto - anche da uno che aveva appena fatto la doccia.
Aveva bisogno di aria, di spazio, e in quella stanza gli sembrava di non poter muovere un passo senza che qualche vaso - o un ragazzo mezzo nudo - gli cadesse addosso.
-Sono Norman.- Aveva continuato il giovane svestito.
-Edward.- Era stata la replica secca.
Poi Norman si era allontanato in bagno con altre scuse imbarazzate, e ne era uscito vestito.
A Eddie non piaceva fare il petulante, o il guastafeste, ma non aveva perso un istante a dirgli che quelle piante non potevano rimanere in giro. Erano davvero troppe, e lo disturbava anche l'idea che quel ragazzo si fosse appropriato di tutto lo spazio nella stanza, come se il suo arrivo non avesse avuto importanza.
Norman si era scusato di nuovo.
E non solo quel giorno, ma anche durante le due settimane successive, perché pur essendo un ragazzo tranquillo - almeno così Eddie aveva intuito nel poco tempo che avevano trascorso assieme - era incredibilmente invadente.
Lasciava in giro le sue cose, usava la sedia della scrivania accanto alla porta come un armadio, riempiva le mensole del bagno di prodotti per le piante - che, per inciso, non avevano smesso di essere ingombranti: anche se una metà della camera ne era stata liberata, non era raro che qualche folata di vento proveniente dal balcone che Norman lasciava insistentemente aperto trasportasse foglie fino al letto di Eddie, insieme a rami e terriccio.
Per questo, in quelle due settimane, il ragazzo era stato perpetuamente seccato, e non si era risparmiato dal rivolgersi a Norman con acidità e sufficienza, intimandogli più volte di rispettare il suo spazio.
Norman non aveva mai risposto con altro che gentilezza.
Eddie ne era rimasto stupito, ma alla fine era giusto così, era lui ad essere nel torto, non poteva certo permettersi di arrabbiarsi se qualcuno gli diceva di farsi più in là.
Poi era successa una cosa che aveva sconvolto tutto - che aveva dato a Eddie la prova della bontà incondizionata di Norman, e gli aveva fatto cambiare idea su di lui in maniera immediata e totale.
Aveva avuto un altro dei suoi incubi.
Uno tremendo in cui un bambino con un impermeabile giallo gli strappava le gambe e le divorava davanti ai suoi occhi appannati dal dolore.
Si era svegliato urlando, e aveva trovato Norman accanto a lui, le mani sulle sue spalle mentre cercava di calmarlo.
Avevano passato il resto della nottata a guardarsi nell'oscurità, seduti sul letto uno di fronte all'altro, la mano di Eddie che stringeva spasmodicamente quella del compagno di stanza.
Norman non era tenuto a farlo - non gli doveva niente, soprattutto per il modo in cui l'aveva bistrattato. Ma era rimasto accanto a lui tutto il tempo, accanto ad uno sconosciuto che gli aveva rivolto occhiate inviperite per due settimane.
Eddie non l'avrebbe dimenticato mai.
Eddie ricordava con precisione disarmante il giorno in cui aveva conosciuto Norman.
Così come ricordava tutto ciò che era accaduto da quando si era trasferito in Florida: il liceo, i compagni di classe, le interrogazioni, una cotta per un ragazzo che a volte incontrava in corridoio mentre andava in palestra, le liti furiose con sua madre perché lo liberasse dal suo morboso controllo, la prima sigaretta nel bagno della scuola, circondato da un branco di teppistelli, di cui si era pentito l'attimo dopo. Ricordava la gita dell'ultimo anno, la notte in cui aveva fatto sesso con uno che neppure gli piaceva, ma aveva un odore familiare, di menta e nicotina, che gli faceva venire in mente una persona che aveva conosciuto ma a cui non riusciva ad associare un volto. Ricordava il giorno del diploma, le foto sull'annuario, la festa di fine anno dove aveva fatto sesso per la seconda volta, con un ragazzo dai ricci neri e l'accento californiano, mentre al piano di sotto qualcuno stava per affogare in piscina. E la polizia, la notte in centrale a testimoniare che non aveva visto nulla, che era impegnato altrove.
E ricordava che da quando aveva quattordici anni la sua vita era stata piena di buchi, di suoni, volti, voci, persone che non riusciva ad inquadrare, che per quanto si sforzasse non riusciva a mettere a fuoco.
Da quando aveva quattordici anni, sembrava che fosse nato solo da cinque, e sentiva un vuoto nella mente, nel petto, che lo teneva quasi più sveglio dei suoi incubi.
Sentiva che c'era una persona da cui doveva tornare. Una persona dai ricci scuri, che odorava di menta e nicotina. Che continuava a cercare in chiunque, e che aveva trovato solo in parte, in qualche dettaglio nei corpi degli altri.
Ma mai in Norman.
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