I.


Eddie non sapeva bene dove si trovasse.
C'era una luce soffusa ad indicargli la via, in un lungo corridoio che sembrava scavato nel ventre di una montagna.
Continuò a camminare - non riusciva a ricordare un momento in cui era stato fermo - e sbucò in una grotta ampia, dagli alti soffitti rocciosi. Un lampadario penzolava da una spessa catena d'acciaio arrugginito, le candele, ormai ridotte a scarsi mozziconi, gocciolavano cera sulla tovaglia di un tavolo al centro della stanza.
Era lungo da parete a parete, imbandito di stoviglie: piatti dal bordo dorato, brocche in vetro soffiato, bicchieri di cristallo dagli steli sottilissimi - tutti completamente vuoti.
Non c'era vino nei calici e nelle caraffe, nessuna pietanza nei piatti o nei vassoi.
Eddie finalmente si fermò, confuso da quella mancanza, e si accorse improvvisamente di essere affamato.
Quasi avesse sentito il brontolio del suo stomaco, una figura si staccò dalla parete di fronte, uscendo dall'ombra.
Era una giovane donna, vestita come le cameriere che prestavano servizio nelle case dei ricchi borghesi, con una trina bianca sui capelli neri, un grembiule tutto pizzi e merletti sulla divisa scura.
Gli andò incontro con le mani giunte in ventre, il capo chino, i passi inudibili nonostante il pavimento di roccia e la vastità della stanza. Sembrava che fluttuasse, e Eddie avrebbe voluto arretrare, ma i piedi rimasero inchiodati a terra, le gambe rigide come se gli avessero infilato due staffe di ferro nelle anche.
-E' pronta la cena, signore.- Disse la donna, sollevando su di lui due occhi scuri e grandi, forse troppo per un viso tanto minuto. Sembrava una bambola di pezza, di quelle con le orbite in vetro, e Eddie si sentì attraversare da un brivido mentre lei stendeva un braccio per indicare il tavolo, con un movimento secco e flessuoso, che fece schioccare la stoffa della tunica nera.
Il ragazzo guardò in direzione di quella mano sottile e protesa, e vide che il piatto a capotavola era ancora vuoto.
-Io non...-
-La prego, mi segua.- La cameriera gli afferrò un polso, e Eddie sussultò per quanto le sue dita fossero inumanamente gelide.
Avrebbe voluto sottrarsi alla sua presa, ma ancora una volta non ci riuscì: sembrava che solo quella donna fosse in grado di muoverlo a suo piacimento, e il ragazzo si ritrovò seduto al tavolo prima che potesse rendersene conto.
La cameriera incombeva su di lui, in piedi e di nuovo con le mani giunte.
Eddie alzò gli occhi su di lei, e vide comparirle in volto un sorriso dolce come la melassa.
-Buon appetito.- Gli disse, i denti luccicanti anche nella penombra.
Il ragazzo tornò a fissare il piatto con perplessità, per poi trasalire.
Adesso era pieno.
Uno strano ammasso rosato giaceva nella porcellana, pallido e smussato come una fetta di petto di pollo cruda.
-Che cos'è?- Domandò, incapace di distogliere lo sguardo.
-Un polmone.- Rispose la donna, una punta di ovvietà nella condiscendenza della voce.-Il suo, signore.-
Eddie sgranò gli occhi per l'orrore, mentre quella carne estranea assumeva nell'occhio della sua mente un aspetto fin troppo conosciuto e familiare.
Sulla porcellana immacolata del piatto si allargò improvvisamente una piccola chiazza rossa. Una goccia.
Poi un'altra.
Un'altra ancora.
Finché Eddie non si accorse di star perdendo sangue dalla bocca spalancata, e il sapore del ferro lo tramortì.
Alzò di scatto il capo verso la cameriera, al punto che le ossa del collo scricchiolarono, e si portò contemporaneamente una mano al petto. Le dita affondarono come se fossero inciampate in una voragine, e quando le ritrasse, erano zuppe di sangue.
-Non è di suo gradimento?- La donna sorrideva ancora, ma adesso i suoi occhi grandi erano ridotti a due fessure luccicanti, e c'era bava attorno alla sua bocca, che colava dal mento fino al colletto della divisa.
Eddie cadde dalla sedia urlando, e lei gli si avventò contro.

-Eddie! Eddie, svegliati!-
Il ragazzo spalancò gli occhi di colpo, alle orecchie gli giunse il suono delle sue stesse grida, ancora ininterrotte.
-Eddie!- Chiamò ancora la voce, e il giovane realizzò di avere delle braccia attorno alla vita, che lo stringevano e scuotevano.-E' solo un incubo!-
Cessò di urlare, riprendendo fiato, il cuore che palpitava, gocce di sudore gelido sulla fronte.
Sbatté le palpebre, mettendo a fuoco il volto della persona che lo stava stringendo.
Norman.
Il suo compagno di stanza.
Eddie vide i suoi occhi verdi e sgranati tornare a dimensioni normali mentre constatava che era completamente sveglio e fuori dall'incubo.
-Sto bene.- Gli disse, raddrizzandosi, e le braccia di Norman ricaddero.
Il ragazzo rimase fermo al centro della camera, i piedi nudi sul parquet scadente, le mani sui fianchi.-Vuoi che ti porti un bicchiere d'acqua?- Passò le dita tra i capelli biondi con un gesto frettoloso, sembrava in ansia, e per qualche istante Eddie dimenticò il proprio terrore per concentrarsi sul suo.-Sta capitando troppo spesso.- Proseguì Norman, muovendosi verso la finestra.-Hai caldo? Vuoi che apra?-
Eddie non era ancora sicuro di poter comprendere bene cosa stesse accadendo attorno a lui, e tutte quelle domande lo stordirono.
Strinse tra le mani le coperte, perché voleva assicurarsi di essere davvero nel dormitorio del college, al sicuro nella sua stanza, e non riverso su un pavimento, con una bocca famelica e spalancata ad un morso dal volto.
Norman intanto si era seduto sul proprio letto, abbandonando l'idea di prendere dell'acqua o aprire la finestra.-Non credi anche tu che stia accadendo troppo spesso?- Insistette, fissandolo nel buio.
Eddie stava per dargli ragione - aveva quegli incubi da anni, ormai, anche se non sapeva ricordare bene quando fossero iniziati, o perché.
Una vocina nella sua testa gli aveva sempre suggerito che tutto fosse iniziato nel giorno in cui era partito da Derry, a quattordici anni.
Rimase comunque zitto, per non allarmare ulteriormente il compagno, che dopo aver trascorso il primo semestre a placare le sue crisi, sembrava spaventato quasi quanto lui.-Sono sicuro che si tratti solo di stress.- Gli rispose, anche se, di nuovo, la vocina gli diceva che no, non c'era nulla di razionale in quei sogni tremendi.
Nulla che potesse essere sminuito con l'ansia per gli esami e il troppo studio.
Norman annuì, anche se era palesemente poco convinto. Arricciava sempre le labbra quando sapeva che gli stavano mentendo.
-Torniamo a dormire.- Eddie si sdraiò, avvolgendosi nelle coperte, anche se era sicuro che non avrebbe chiuso occhio. Il materasso era intriso di sudore, come i vestiti che indossava, e sentiva il bisogno di farsi una doccia, ma non aveva il coraggio di avviarsi verso il bagno e rimanere in quella piccola stanza da solo, nel cuore della notte. Se si fosse alzato in piedi, probabilmente Norman avrebbe visto che le sue gambe tremavano.
Diede le spalle al compagno, fissando il muro, di un intonaco talmente bianco da stagliarsi contro il buio.
Per un po' regnò un gran silenzio: era la notte tra il giovedì e il venerdì, c'era una lezione di chimica organica fissata per le otto e nessuno nell'intero stabile osava emettere un suono.
Probabilmente le urla di Eddie dovevano essersi diffuse per una buona manciata di corridoi. Il ragazzo si vergognò al solo pensiero, sperando che nessuno fosse stato in grado di identificare la stanza da cui provenivano. Anche se, ormai, tutti sapevano che nell'ala A, al secondo piano, stanza ventisette, c'era uno studente che strillava nel sonno, a volte chiedendo aiuto, altre latrando come una bestia ferita. E tutti avevano iniziato ad evitarlo.
Solo Norman era rimasto costante nell'affetto che gli aveva mostrato dal primo giorno, ed era forse l'unico vero amico che Eddie fosse riuscito a trovare nel giro di quei quasi sette mesi, nonostante l'alto numero di studenti iscritti al primo anno.
Il ragazzo era così preso dal gelo di quella solitudine da non accorgersi dei passi del compagno sul parquet. Sentì solo che il materasso sprofondava sotto un secondo peso, facendolo trasalire, e voltò il capo quel tanto che bastava per incontrare il volto di Norman poggiato sul cuscino e la corona di capelli biondo scuro che aveva attorno alla testa.
-Non chiedermi di lasciarti solo.- Mormorò questi, sorprendendolo.
Eddie non si azzardò a dire nulla. Non voleva che se ne andasse, ma ammetterlo ad alta voce sarebbe stato troppo. Per cui lasciò che Norman gli posasse una mano sul fianco, delicata e leggera, come quando sfiorava i petali delle sue preziose azalee, assicurandosi che avessero abbastanza acqua e luce.
Si sentì al sicuro, e il suo respiro tiepido sul collo lo accompagnò anche nei sogni.

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