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Jimin stava sistemando la sua camera finché non sentì un rumore dalla finestra.
La aprì per controllare cosa fosse stato a provacarlo e si accorse che quel ragazzo era venuto un'altra volta a guardarlo.
-Ma si può sapere cosa vuoi byeongsin-a!- lo mandava su tutte le furie ritrovarselo sempre nei piedi nell'ultima settimana.
-Potresti chiamarmi con il mio nome?Non è
difficile, sai?- disse lui con aria un po' stufa.
-Jimin con chi stai parlando?- disse sua madre entrando di scatto dalla porta e Jimin sbuffò.
-Sto parlando esattamente con quel pazzo- sbuffò ritornando a sistemare i suoi vestiti nell'armadio.
Appena si girò, sua madre non c'era più.
Jimin pensò avesse degli impegni urgenti.
Ritornò alla finestra e non vide nemmeno quel ragazzo, il ché lo fece sorridere echiudere la finestra che venne bloccata da una mano così velocemente da farlo spaventare.
-Voglio solo parlare bulg-eun ppyam, non ho amici in questo paese- sussurrò il ragazzo dai capelli menta entrando nella camera del più piccolo.
-E ti sembra normale ciò che stai facendo?- disse Jimin su tutte le furie.
-Fare cosa?- mise le mani nelle tasche e lo guardò confuso.
-Insomma!Entrare dalla finestra, seguirmi quando vado a fare la spesa e rompermi le scatole!Sei stressante e poi non ti conosco nemmeno- disse tutto d'un fiato e gesticolando infuriato.
-Scusami, voglio solo diventare un tuo amico.- disse spostando il suo viso a guardare i propri piedi.
-Perché?-
-Perché vedo sempre il tuo essere triste inoltre ho notato come guardi il confine di questo paese. Vuoi scappare, vero?Non sembri tanto felice qui-

La conversazione non finì come previsto, infatti Jimin iniziò a dare di matto dicendo di non conoscerlo affatto e di non volerlo più vedere.
Lo cacciò fuori dalla finestra e la chiuse con forza.
Quello stupido byeongsin-a aveva ragione però, ma Jimin non voleva ammetterlo.
Non voleva ripensarci, aveva fatto una promessa a se stesso ma dopo che il ragazzo disse quella frase per lui non ci furono altri pensieri nella sua mente.
E si odiò per quello a tal punto da piangere, non voleva deludere nessuno ma sembrava lo stesse già facendo da tempo.
E Jimin pianse ancor di più perché uno sconosciuto aveva capito tutto mentre chi gli stava intorno, pensava andasse tutto bene.
Cercò di darsi una calmata e si riprese facendo profondi respiri, ma con chi poteva confidarsi?Non aveva nessuno a cui dire ciò che stava passando in quei mesi, nemmeno ai suoi amici per paura che potessero dire tutti ai suoi genitori.
Così cercò di consolarsi ritornando ai propri impegni promettendosi che avrebbe cercato di scusarsi con quel ragazzo, nonostante l'odio nei suoi confronti.

-Jimin?Mangia qualcosa su- lo incitò sua madre dall'altra parte del tavolo.
-Non ho fame stasera, mi dispiace- sussurrò allontanando il piatto da sè.
I suoi genitori si guardarono e poi posarono la loro attenzione su quella del figlio.
-Io e tua madre vorremmo parlarti, Jimin- disse suo padre posando le posate sul piatto.
Lui alzò lo sguardo e ascoltò.
-Son tre settimane che dici di parlare con un ragazzo, giusto?- aggiunse sua madre.
Jimin ebbe un nodo alla gola ma annuì.
-Tu questo ragazzo, lo vedi?-
Quella domanda lo lasciò perplesso.
-Che intendete?- disse attendendo una risposta.
Suo padre abbassò gli occhi mentre sua madre prese a parlare cercando di non distogliere lo sguardo dagli occhi di Jimin.
-Ogni qual volta dici di parlare con lui, noi non lo vediamo.Sei sicuro di star bene, Jimin?Noi vogliamo solo la tua salute ma questo ragazzo, non esiste- disse a tratti -Abbiamo contattato uno psicologo e ci ha riferito che i ragazzi tendono a crearsi una figura che rappresenti ciò che non possono avere. Jimin, queste tue allucinazioni sono molto gravi, dici che parli sempre con questo ragazzo- aggiunse.

Jimin si bloccò.

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