4«THOUGHTS»
»capitolo revisionato
•Canzone nei media: Think
Lydia
«Lydia, ma che cosa stai dicendo?» mi chiese sgomento Stiles avvicinandosi a me.
Stava tenendo le mani nelle tasche, ma le muoveva all'interno.
Non lo sapevo nemmeno io cosa mi passasse per la testa, ma ero assolutamente sicura che ci fosse un altro ragazzo.
In realtà era un uomo, alto e moro, che continuava a ripetere un nome: Alec.
Aveva gli occhi vitrei, la pelle pallidissima, ma pareva pienamente convinto di quello che stava dicendo.
Non era vestito come i due nuovi arrivati, portava un paio di pantaloni marroni e una camicia color panna con le balza.
Mi ricordava il protagonista di una fiaba che era solita raccontarmi mia nonna.
«...Il bambino corse più che poté per scappare da quei forconi tanto ostili. Ogni tanto si trovava costretto a saltare qualche buca, qualche ramo caduto. Avrebbe fatto di tutto, avrebbe rinunciato alle proprie mani pur di salvarsi.
Ironia della sorte, gli si aprì un burrone ai piedi, al posto di una porta.
Cadde in un pozzo e, per quanto gridasse, nessuno lo rintracciò prima del passare di una settimana».
Mi ricordo che mi mettevo quasi sempre a piangere dopo aver ascoltato la storia e, sicuramente, avrei continuato all'infinito se mia nonna non mi avesse consolata con le solite parole dolci.
«Tesoro mio, non devi spaventarti. Il bambino si è salvato e ha vissuto la sua vita nella maniera più meravigliosa possibile. Ha conosciuto l'amore».
Stavo anche io cominciando a conoscerlo?
L'avrei mai conosciuto?
Mi riconnessi alla realtà solo quando Stiles mi strattonò lievemente la camicetta.
«Sì, c'era un signore moro accanto a Clary...» comunicai io dopo una breve pausa di tentennamento.
«Penso che tu abbia visto un fantasma, Lydia» disse Deaton sistemando alcuni attrezzi da lavoro posti sul bancone.
Poi continuò: «Stai diventando una banshee molto potente, è da dire, ma questa capacità non è comune a tutte quelle come te. Nemmeno i farshee la possedevano».
A sentire quel termine, così antico, mi si accapponò la pelle.
Nel Bestiario degli Argent erano presenti, ma solo una pagina era dedicata a loro.
Mi ricordai Allison che mi illustrava quanto e in cosa si differenziassero dalle banshee come me.
Fondamentalmente, non vi era alcuna differenza, se non per il fatto che i farshee avessero più poteri legati alla natura.
A quel punto, conscia della situazione, chiesi:«Ma i farshee sono estinti oramai, vero?".
Risultò più preoccupata di quanto non volessi.
«Questo era quanto sapevo anche io. Solitamente i farshee e le banshee possono comunicare tra loro attraverso degli ultrasuoni, non udibili dalle altre creature».
Stiles si grattò istintivamente l'orecchio.
Adoravo notare i suoi movimenti tipici.
«...Perciò penso che colui che hai visto non fosse un vero e proprio farshee, ma qualcosa di simile» concluse Deaton tenendo sempre con le mani sugli attrezzi.
Non so che fissa avesse quell'uomo, non ci poteva essere ambiente più ordinato di quello.
Era addirittura più invasato di me, che sistemavo persino i pelucchi dei tappeti.
«E cosa sarebbe?» domandò Stiles accorciando maggiormente le distanze tra me e lui. Aveva ancora la makò posata sul l'orecchio, ma ora si stava massaggiando il lobo.
«Lydia, hai sentito un nome per caso?» chiese Deaton con lo sguardo più serio che gli abbia mai visto. Smette di fare ordine con le pinze.
«Ehm... Sì. Alec» risposi ricordandomelo.
Non c'era modo che io potessi dimenticare quel suono. La voce che aveva pronunciato il nome non era umana, era stridente, ruvida.
Sembrava di venire in contatto con della lamiera arrugginita.
Deaton, che era vicino a uno dei corpi, fece un passo indietro quando le rune del suono su di essi iniziano a brillare.
Emanarono entrambe una luce azzurrina che si propagò intorno a noi, creando scie luminose. Sembrava che quelle cose si stessero avvinghiando ai nostri vestiti, ai nostri capelli.
Le sentivo solleticarmi la pelle, ma non avevo la forza per togliermele di dosso. Non volevo.
La loro luminosità si prolungò per cinque minuti, in cui nessuno di noi tre parlò.
Poi si spensero di colpo, come se qualcuno avesse spento l'interruttore, venendo in qualche modo assorbite da quella pelle ormai fredda.
«Allora. O questi cosi sono luci della discoteca, oppure c'è qualcosa di molto più grosso sotto» Stiles fu il primo a parlare, esordendo con la sua solita punta di sarcasmo.
Mi scappò un risolino, che però dovetti evitare di prolungare non appena mi resi conto che non era la situazione adatta.
Deaton continuava a rimanere serio.
«Lasciatemi qui i corpi, li controllerò appena ve ne sarete andati. Adesso però dobbiamo chiamare Scott» il veterinario aveva un tono davvero preoccupato, il che non era un buon segno.
Solitamente cercava di mandarci messaggi impliciti per calmarci, per farci apparire la realtà meno grave di quanto non fosse. Ed invece quella volta...
Anche lui che, essendo un druido, aveva visto molte cose, non poté credere a quello che stava succedendo.
Per mio conto, ne avevo avuto abbastanza di sacrifici.
Dopo quello che era successo con il Darach l'anno precedente, il rapimento del padre di Stiles e Allison e la madre di Scott... Avevo sempre paura di perdere qualcun altro.
Io, che vedevo la morte, la disgrazia, incapace di fare qualsiasi cosa.
Stiles si mise in un angolo per telefonare al suo migliore amico. La voce era bassa, come se così facendo avesse potuto alleviare ogni traccia di sofferenza.
«Scott, dovresti venire qui. Altri attacchi... Non so, ma pensiamo che potrebbero essere ancora sacrifici, non ne siamo certi... Okay. Ciao».
Le parole erano sconnesse e non mi permisero di ricostruire un vero discorso, ma non serviva.
Conclusa la chiamata, il moro si voltò verso di noi e si passò una mano rapidamente sulla faccia come faceva sempre quando era stressato.
«Ha detto che arriva».
Quindici minuti dopo sentimmo il motore della moto di Scott che si spegneva.
Quando entrò nella clinica, stava tenendo con la mano destra Kira, mentre con la sinistra serrava la presa sul casco verde da motocross.
«Cosa c'è?» mi avvicinai alla Kitsune.
Aveva una faccia distrutta; le occhiaie le solcavano le guance e la pelle era fin troppo pallida.
«La volpe... Ho scoperto che di pomeriggio è più difficile da controllare; mi sta mettendo a dura prova. Mia mamma dice che finché non avrò pieno controllo di lei devo stare attenta a usare la katana, potrebbe usufruirne lei al posto mio» rispose Kira con lo sguardo basso, mantenendo un tono di voce piatto ma accelerato, come se avesse imparato la frase a memoria, una battuta a teatro.
Mi sentii male per lei. Doveva essere tremendo avere qualcuno, o qualcosa, che è parte di te ma cerca di controllarti. Che tenta di spingerti a fare la cosa sbagliata, trascinandoti fuori dalla tua zona di controllo.
Avevo legato molto con Kira negli ultimi tempi; sapevo che non avrebbe preso mai il posto di Allison, ma le volevo bene. Davvero. Tenevo a lei come tenevo a Scott e Stiles.
«Ragazzi, questi non sono creature soprannaturali» Scott ci distrasse tutti dai nostri pensieri.
Il ragazzo era vicino ai due cadaveri, la mano premuta su uno di essi.
Mentre io parlavo con la Kitsune, doveva aver usato le sue abilità.
Notai che le vene sul suo collo si erano gonfiate, aumentando la loro dimensione di due volte e prendendo un colorito violaceo.
Dolore.
«Che vuoi dire? Non hanno né poteri o robe simili?» Stiles era vicino al suo migliore amico e stava cercando di capire qualcosa; odiava non sapere.
«No, e non sento nemmeno odori particolari che possano riguardare l'assassino...».
Stiles si passò per alcune volte l'indice sul labbro, senza mai concentrare lo sguardo in un unico punto per troppo tempo.
Confusione dentro, confusione fuori.
«Allora possiamo escludere sia licantropi sia kanima direi» ovviamente Stiles ci era arrivato prima di noi, eppure né io né Scott e Deaton e Kira avevamo capito cosa volesse dire.
«Non centra l'odore, quello è secondario. Vedete...» proseguì muovendosi intorno ai due corpi. «Entrambi hanno due cose in comune: le rune e il fatto che nessuna delle parti del corpo che non c'entra con esse sia stata toccata. Nel senso... Conosciamo un kanima o un licantropo che non ferisce le sue prede? No. Perciò o è stato un umano, cosa che potremmo subito escludere, oppure qualcuno che può mimetizzarsi con loro».
Non avrebbe finito mai di sorprendermi.
Quel ragazzo era davvero un genio, era dotato di una tendenza all'investigazione che pochi avevano. Da quando lo conoscevo, era sempre stato lui a scoprire la maggior parte delle cose, mentre noi rimanevamo indietro.
Aveva scoperto persino che io fingevo di essere stupida, seppure lo avessi nascosto così bene.
Ma lui ce l'aveva fatta.
Sapeva più cose di tutti noi messi insieme.
Era bellissimo vederlo mentre spostava i fili di diversi colori sulla sua lavagna di vetro, come se fosse il gesto più naturale del mondo.
Avrebbe potuto benissimo diventare un investigatore in quel momento, all'età di 17 anni.
Troppo strano per vivere, troppo raro per morire.
«Allora domani a scuola ci raccontiamo qualsiasi cosa abbiamo scoperto. Io e Kira cerchiamo di rintracciare l'odore, mentre Stiles e Lydia cercano di capire cosa siano le rune e i nostri nuovi compagni di classe. Jace e Clary devono pur centrare qualcosa, anche se ancora non mi è chiaro in che modo siano coinvolti».
Scott era davvero un bravo alfa, ma non se ne rendeva conto.
Forse aveva paura che qualcuno di noi potesse farsi male, perché era già successo.
«Bene ragazzi, voi andate... Avviso io Melissa e lo sceriffo dei morti».
Detto ciò, tutti e quattro uscimmo dalla clinica, ma Scott prese Stiles a parte.
Riuscii leggermente a captare la loro conversazione .
«Hai già una tua teoria, non è vero?» chiese l'Alfa retoricamente.
«A mio parere né Jace né Clary sono gli assassini, sarebbe troppo facile» rivelò il moro.
«Vedremo, ora vai da Lydia che ti sta fissando proprio poco poco» rise Scott passandosi una mano fra i capelli scompigliati e infilandosi il casco.
Si abbracciarono e poi Stiles corse verso di me.
Io camminai verso la jeep con lui dietro, come sempre.
Prima mi dava fastidio avercelo sempre vicino, vederlo che mi seguiva ogni volta che mi spostavo.
In quegli anni invece non potevo farne a meno. Avevo come l'impressione di essere più vulnerabile senza di lui, ma prima persona che avevo l'istinto di cercare nella folla.
*
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