»capitolo revisionato
•Canzone nei media: Last Part, Urban Strangers
*
Stiles
Appena entrammo in classe vidi il papà di Kira, il nostro professore di storia, intento a stendere una mappa geografica lungo il muro e attaccarla ad esso con dei pezzi di scotch.
Ebbi appena il tempo di appoggiare lo zaino ai piedi del mio banco che l'uomo mi chiamò dicendo: «Stiles, dammi una mano».
Mi avvicinai prontamente a lui e gli tenni fermo la cartina, così che lui potesse appiccicarla. «Grazie, ora vai a sederti per favore» disse sorridendomi riconoscente.
Alcune cose me le ricordo come se fossero scene presenti in un film che ho visto migliaia e migliaia di volte.
Si dice che spesso la gente confonda i sogni con gli eventi accaduti molti anni prima.
A volte si chiedono:"Ma l'ho vissuto veramente?".
Credo sia un'assoluta pazzia, a volte.
Le cose reali si sentono sulla propria pelle, ci bruciano. Rimangono lì anche con il passare del tempo, rintanate e pronte a scaturire di nuovo.
Il sorriso del signor Yukimura, ad esempio, me lo ricordo benissimo.
Come mi ricordo il sorriso di ogni singola persona incontrata nella mia vita. Non posso farne a meno.
Annuii e mi posizionai al mio solito posto in terza fila di fianco a Scott; Lydia e Kira invece erano dietro di noi.
Esattamente quando suonò la campanella, mentre io stavo sfilando dallo zaino i quaderni, e quando parve che tutti i banchi fossero ormai stati occupati, entrarono due ragazzi che non avevo mai visto prima. Il che è strano, ormai conoscevo tutte le persone di Beacon Hills.
Non che fosse una cittadina di campagna dove appena ti giri incontri un amico, ma pressappoco la situazione era quella.
Era solamente una piccola cittadina, che credevo monotona e normale finché in prima liceo non trascinai il mio migliore amico in un bosco.
C'era la luna piena quella notte, il vento sferzava gli alberi e non si riusciva a vedere più in là dal palmo della propria mano.
"Stai giù" sussurro al mio migliore amico, ma è lui che mi trascina acquattato al terreno, evitando che mio padre mi vedezzea a mi rispedisca a casa.
"Non dovremmo essere qui" risponde Scott, ma avverto che anche lui è divorato dalla curiosità.
"Ormai dovresti sapere che è la mi frase preferita" dico sorridendo, mentre mi schiaccio maggiormente al suolo.
Un ululato squarcia improvvisamente l'aria, per poi diventare un boato e svanire nel cielo.
Io sussulto: mossa sbagliata.
"Stiles Stilisnki, esci subito da lì" urla mio padre con tono irritato, avvicinandosi al mio nascondiglio.
Devo evitare che scopra anche Scott; mi alzo dalla sterpaglia e mi incammino verso la macchina della polizia.
"Cosa ci facevi lì?" domanda mio padre, nonché sceriffo della contea.
"Mi ero sintonizzato sulla radio, un'ora fa. C'è un cadavere?" ormai sono a due passi da lui.
"Uno: non dovresti sintonizzarti sulla radio" fa una piccola pausa, e io aspetto fremente la parte numero due. So che mi dirà del cadavere, lo fa sempre. Solitamente analizziamo assieme le prove, e ne veniamo a capo con più facilità.
"Due: è una ragazza, ha le gambe squarciate".
Un altro ululato.
Scott non c'è più.
Occhi gialli.
Scollegavo il cervello troppo spesso.
Mi ripresi dai miei pensieri e riposi lo sguardo sui due nuovi individui, cercando di carpire informazioni.
Erano una ragazza e un ragazzo, dello stesso tipo di carnagione, quindi dedussi che probabilmente sarebbero dovuti provenire dalla stessa città.
Lei era parecchio più bassa di lui e portava i lunghi capelli rossi sciolti sulle spalle.
Lui invece era biondo e teneva, con fare protettivo, un braccio attorno a quella che pareva proprio essere la sua ragazza.
Nonostante fosse ancora estate, indossavano entrambi jeans lunghi e delle giacche di pelle. Lei vi aveva abbinato una cintura spessa, che le metteva in evidenza le forme.
Quasi non si intravedeva nemmeno una parte della loro carnagione, fatta eccezione per il viso, scoperto e contornato dai loro capelli.
In quel momento pensai."Se avessero anche un cappuccio, potrei pensare siano Kenobi e Anakin in incognito".
«Scott, tu hai finito di vedere Star Wars, vero?» è da un secolo che cercavo di convincere il mio migliore amico a guardare la saga, ma lui non si è mai deciso a farlo. Credo nemmeno ora sia arrivato a vederne almeno una minima parte.
«Cambiamo domanda...».
A salvarlo da uno strozzamento fu il professor Yukimura che ci interruppe dicendo: «Ragazzi, questi sono i due nuovi vostri compagni: Clary Fray e Jace Mongestern».
Il ragazzo biondo alzò la mano, facendomi notare che attorno al polso aveva degli strani segni nero pece.
Egli ribatté, con un lieve accenno di contrarietà «Preferirei Herondale, grazie».
«Certo, scusa. Mi avevano avvertito del doppio cognome. Come stavo dicendo: Clary Fray e Jace Herondale sono venuti qui da New York, confido che li accoglierete tra di voi presto» concluse il professore finendo di impilare dei moduli sulla cattedra.
Guardai di sottecchi Scott, cercando di parlare con voce più bassa possibile: «Perché mai uno che vive a New York dovrebbe venire a Beacon-la-città-dove-è-sempre-Halloween-Hills?».
Mi voltai completamente verso l'Alfa, avvertendolo muoversi: «Senti qualche odore?».
Lui era intento a fissare i due ragazzi, gli occhi gli stavano diventando della tipica tinta rosso fuoco.
Neanche se ne accorse e digrignò lievemente i denti, mostrando i canini.
Io gli tirai una tallonata sulla gamba.
«Più che qualche odore...» ribatté allora lui, cupo.
Lydia mi tamburellò con il dito sulla spalla, mi girai di scatto.
Ero abituato al suo tocco: sapevo differenziarlo dagli altri.
Le dita non magrissime, la pelle lievemente secca sui polpastrelli... Era lei. Solo lei.
«Le voci nella mia testa continuano a gridare i loro nomi» sussurrò la biondo fragola, tenendo con la mano sinistra una matita.
«Dicono che moriranno?».
La guardai perplesso, non è mai un buon segno quando una Banshee sente delle voci.
Sperai con tutto il cuore che la calma apparente non cessasse in quel momento.
Era tutto normale, come se niente fosse accaduto.
Come sè nessuna granata fosse esplosa davanti a noi.
«No Stiles, dicono che sono già morti».
La ragazza proferì le parole come se quanto avesse appena detto fosse ovvio, come se non avessero lacerato niente.
No.
Abbassò lentamente la matita, per poi scarabocchiare qualcosa sul suo taccuino.
Tutti e tre guardammo in direzione di Lydia con una faccia sgomenta, anche orribile probabilmente.
«Che c'è? Perché mi guardate così?» sembrò non accorgersi di quello che aveva appena detto.
Non se ne rendeva quasi mai conto; semplicemente si attorcigliò una ciocca di capelli intorno all'indice.
«Lydia cara» dissi io.
«Loro due sono qui» continuò Scott.
«Davanti a noi» a terminare la frase fu Kira.
«Sentite, io sento delle voci e loro dicono che quei due sono morti e sepolti. Il mio istinto di Banshee è abbastanza iperattivo di questi ultimi tempi».
Poi sbuffò e riprendendo la sua opera su carta.
Spostò la solita ciocca di capelli dietro l'orecchio, con il suo tipico atteggiamento di sicurezza, che per la cronaca trovavo adorabile.
Il suo profumo raggiunse il mio viso, facendomi sentire a casa.
Se usava qualche tipo di fragranza, io non ne ero a conoscenza. Era più un qualcosa di naturale, qualcosa impresso nella sua pelle.
«Se sei sicura tu... L'unico problema è come possano essere qui»; Scott stava diventando ogni giorno che passava un Alfa sempre più bravo, stava tentando di tenere il suo branco unito.
Si sentiva responsabile per ogni singola morte avvenuta, si colpevolizzavacontinuamente.
Ci proteggeva tutti invece.
O almeno ci provava.
Non posso dire che abbia fallito, non completamente almeno.
Non era facile di quel periodo, con tutte le cose che stavano accadendo.
Io cercavo di non darlo a vedere, ma ero terrorizzato. Temevo che da un momento all'altro l'equilibrio precario che avevamo ricostruito, tappezzato con lo scotch, si sarebbe potuto rompere nuovamente. Andare in frantumi come tutte le cose belle fanno.
"Ai miei tempi gli oggetti rotti si riparavano".
Era questo che mi diceva sempre mia nonna, quando ero piccolo e mi rannicchiavo sulle sue gambe, avvolgendomi tra la stoffa della sua gonna.
Io ci ho provato, nonna.
È questo che avrei voluto dirle. Ci provo da sempre, da quando mamma è morta.
«Stiles, Scott. Giratevi» il padre di Kira ci riportò alla realtà con uno schiocco repentino delle dita. Non so a cosa stesse pensando il mio migliore amico, ma so che i miei di pensieri scomparvero nella mia mente.
Si allontanarono, per poi eclissarsi.
È sempre una strana sensazione.
«Scusi» pronunciammo all'unisono prima di voltarci verso la lavagna, tentando di seguire la lezione.
«Ragazzi, andatevi a sedere accanto a Lydia e Kira. Grazie» concluse il professore indicando la biondo fragola e la mora.
Appena li vidi passare tra i banchi, una scia di freddo si espanse per tutta la classe.
Non era solo una "sensazione", era come se il freddo ci fosse veramente, come se avessero intrappolato l'intera classe in una cella frigorifera.
Quando Jace si sedette e si tirò su le maniche della giacca, notai meglio ciò che prima avevo solo intravisto: gli avambracci erano quasi interamente ricoperti da tatuaggi.
Anche Clary ne aveva uno, per quello che potevo vedere dai piccoli risvoltini sui polsi.
Avevo sempre odiato i tatuaggi, soprattutto da quando Scott si era fatto le due fasce sul braccio.
Mi voltai nuovamente verso Lydia, forse in cerca di risposte a domande che non avevo ancora posto, e notai che stava disegnando qualcosa accanto al suo disegno del Nemeton, nel solito block notes perfettamente conservato.
Il diario era ricoperto da una carta con una fantasia floreale, sulla tinta dell'azzurro e del rosa pallido.
«Lyds, cosa stai facendo?» chiesi tentando di tenere il tono della voce il più basso possibile.
Lei alzò la testa e mi guardò come se la domanda che le avevo appena posto fosse una cosa stupida.
«Secondo te? Vado a caccia di unicorni. No Stiles, quelle sono rune. Voglio cercare il loro significato in libreria alla fine della scuola» ribatté secca la biondo fragola, riabbassando gli occhi.
«Rune che?».
Lei sbuffò, ma non si rifiutò di darmi una spiegazione. In un certo senso, adorava saperne di più di qualcuno.
«Allora, le rune probabilmente derivano da una scrittura appartenente al gruppo delle cinque principali varietà di alfabeto italico, derivato dall'alfabeto etrusco. La vera origine delle rune risale alla colonizzazione greca dell'Italia meridionale in particolare alla città di Cuma. Molto spesso le rune venivano incise su strumenti o nel legno delle navi per assicurare virtù sovrannaturali a tali oggetti. Con il passare del tempo hanno cambiato forma, fino a diventare più o meno così...» indicò con un dito Jace e Clary.
Io riuscii miracolosamente a tenere il filo del discorso e lo impressi il più possibile nella mente. A qualcosa dovevo pur essere utile.
«Quei due o sono morti, oppure hanno qualcosa a che fare con essa».
*
Spazio autrice:
Buon salve!
Il capitolo è corto e mi scuso, ma oggi sono riuscita ad aggiornare entrambe le storie e non potevo fare di più.
Commentate e ditemi se la storia vi sembra interessante, aspetto davvero i vostri pareri.
Un abbraccio,
darkwaystofly💕
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