Sei mesi

Qualcuno stava parlando. Persone tutto attorno a lei che la intubavano. C'era solo una voce che le sembrava di riconoscere.

"Sapete cosa fare".

Tuttavia non riusciva a... capire.

Ricordava di aver parlato con i suoi amici. Jordan, Xavier... e Scott. Scott... e Jude... e poi tutto era diventato nero.

E quasi un istante dopo si era risvegliata. Metallo freddo sul petto. Un defibrillatore.

Sono morta. E mi hanno riportato indietro.

Voleva parlare. Chiedere di suo fratello, di Jude. Mosse lentamente una mano e socchiuse gli occhi.

Di fronte a lei, le mani in tasca e il solito paio di occhiali neri sul naso, c'era Dark. "Ben svegliata, Ygritte".

C'era qualcosa di strano nel suo tono di voce. Se non si fosse trattato di quel bastardo, a Ygritte sarebbe sembrato dispiacere. Forse persino preoccupazione.

"Dove..." rantolò la ragazza. "In un posto segreto, dove rimarrai a riprenderti dall'intervento per almeno un mese.

L'intervento?

Non era possibile. Aveva detto che non voleva... Dark sembrò leggerle il pensiero.

"Non hai avuto voce in capitolo, persone più in alto di te o di me hanno deciso che eri troppo preziosa". Ygritte voleva urlare, strappare via tubi e macchine varie e saltargli al collo per strappargli la lingua, ma era troppo intontita.

Dark le si avvicinò. Oltre le spesse lenti nere le parve di scorgere tristezza. Ed era tristezza, senza dubbio, quella che trapelò dalle sue parole. "Capirai a tempo debito".

Un mese dopo

Quel giorno non fu un medico ad aprire la porta, ma un ragazzo dalla pelle scura. Brasiliano, forse?

Ygritte stava correndo sul tapis-roulant che aveva iniziato a utilizzare appena alzata dal letto d'ospedale, ma appena il ragazzo entrò lo spense. "Chi sei?". "Mi chiamo Robingo. Mi manda il Capo". "Chi sarebbe?". "Lo scoprirai".

Ygritte non era per niente convinta, ma il ragazzo fu interrotto dall'arrivo di Dark. "Ygritte, con me".

Percorsero in silenzio un lungo e buio corridoio; le uniche luci erano quelle al neon che illuminavano porte con cartelli vari. "Sala addestramento". "Dormitorio". "Palestra". "Mensa".

Dark si fermò di fronte a una porta senza cartello e la aprì. "Entra". Ma prima che Ygritte potesse muovere un passo le afferrò una spalla.

"Non fare stupidaggini. Cogli il momento adatto".

Con quelle parole le chiuse la porta alle spalle, e lei fu sola. A un certi punto sentì un rumore strano, e un pallone da calcio le arrivò come una scheggia in pieno petto.

Cadde all'indietro.

Porca puttana, ho un maledetto deja-vu.

Si accesero le luci, e la ragazza si trovò di fronte a una macchina spara-palloni. Dovette abituarsi in fretta a schivarli, ma i suoi riflessi erano compromessi. Del resto si era alzata dal letto solo una settimana prima. Però c'era qualcosa di diverso in lei. Si sentiva... non bene. Carica. Adrenalinica.

Prese pallonate da tutte le parti per un tempo infinito, e quando credette di svenire qualcuno la afferrò per le spalle, riportandola in camera sua.

Dark si sedette di fronte a lei. "Vorrai qualche spiegazione. Sul perché ti senti quasi bene nonostante tu sia praticamente morta". "E lei come fa a saperlo?".

L'uomo accavallò le gambe. "Vedi Ygritte, non ho smesso di tenerti d'occhio da quando avete sfidato la Absolute Royal Academy. E quando hai avuto quel... incidente, diciamo così, io sapevo esattamente in quale ospedale e in quale stanza ti avrebbero portato". "Mi parli dell'intervento". "Dov'è la pietra di Alius, Ygritte?".

Quella domanda la congelò sul posto. Ecco dove aveva già sentito quella sensazione. L'uomo sorrise. "Vedo che hai capito. Ce l'hai nelle vene. Oltre a curarti le ferite, i dottori ti hanno iniettato una sostanza composta da vari farmaci e dalla tua Pietra". "Perché? Che vuoi ancora da me? Non mi hai rovinato abbastanza la vita, bastardo?".

La mascella di Dark si indurì, e la sua bocca si ridusse a una linea sottile. "Sei una risorsa. La più preziosa che abbiamo".

Poi si alzò. "Gli allenamenti continueranno". "E se mi opponessi? Non voglio essere una tua pedina!". "Non hai scelta, te l'ho già detto".

Con quella frase lasciò la stanza, chiudendo la porta a chiave.

Un mese dopo

Ygritte collassò sul letto, tossendo nell'incavo del gomito. Era passato un mese dal suo primo allenamento, e adesso oltre alle sessioni spaccaossa si erano aggiunte le sedute con i medici: prelievi di sangue, esami, lastre ed encefalogrammi continui, oltre a iniezioni varie.

E le torture.

Sebbene Dark le avesse detto chiaro e tondo che opponendosi non avrebbe ottenuto nulla, lei non era tipo da arrendersi facilmente.

E l'avevano picchiata. Lasciata a digiuno. In isolamento. Era dimagrita in un modo che non avrebbe mai creduto possibile, eppure gli allenamenti continuavano imperterriti.

E non c'era modo di fuggire: due uomini armati di manganello la tallonavano ogni minuto, da quando andava ad allenarsi, fino in mensa e poi di nuovo in camera.

L'unico lato positivo era che spesso non era da sola. Il ragazzo del primo giorno, Robingo, era abbastanza schivo, ma ogni tanto avevano parlato. Gli aveva raccontato del suo passato, dei suoi amici. Di suo fratello.

E degli incubi che ogni notte la tormentavano. Non faceva una notte di sonno piena da mesi, ormai.

Ygritte trattenne le lacrime. Doveva scappare, assolutamente. In quel momento sentì lo scatto di una serratura. Era Robingo.

"Che fai qui?". "Mi hai detto che hai degli amici fuori di qui". "Sì...". "E hai detto anche... che conosci un detective?". "Beh...". Il ragazzo le allungò un pass-par-tout.

"Rob... cosa...". "Percorri il corridoio fino in fondo. Apri la porta con questa chiave, è uno studio. Ma a quest'ora il Capo non c'è. C'è una finestra di vetro. Siamo al primo piano, dovresti riuscire ad aprirla e saltare giù senza farti troppo male".

"Finirai nei guai!". "Ascoltami, adesso!". Le afferrò le spalle. "Sto rischiando tutto per te. Ma devi promettermi... che non ti dimenticherai di me. Di noi. Hai degli amici, persone che possono aiutarci. Aiutaci, Ygritte. Tu sai cosa succede qui dentro, sai perché io e gli altri siamo qui".

La ragazza iniziò a piangere in silenzio. Robingo la abbracciò. "Corri, Ygritte".

E corse. Corridoio. Porta. Finestra. Per un attimo sperò. Poi una voce la fermò.

"Mi domandavo quanto ci avresti messo prima di riuscire a scappare". Dark la fissava dalla porta.

"Perché mi stai facendo questo?" domandò Ygritte stringendo i pugni. "All'inizio, quando mi hai presa con te... alla Royal... credevo che significasse qualcosa di più. Secondo te perché ti odio così tanto? Mi ero fidata di te, e tu mi hai gettata via come spazzatura!".

L'uomo rimase in silenzio. "Ti hai aiutato qualcuno?". "Mi sottovaluti". Cercò di mantenere il tono più sprezzante possibile, e Dark sembrò bersela.

"Vai". Ygritte ci rimase. "Cosa?". "Scappa, avanti". "Adesso mi copri la fuga?". L'uomo si voltò verso il corridoio. "Stanno arrivando, Ygritte. E ricorda che non tutte le cose... o persone sono come sembrano".

La ragazza lo guardò sbalordita. Poi saltò contro il vetro, rompendolo in mille pezzi, cadendo e rotolando sul duro asfalto.

Ygritte si asciugò le lacrime che le avevano bagnato le guance. "Ho rubato un cellulare e chiamato Smith. Lui ha tracciato il segnale e mi ha recuperata insieme a Hillmann. Abbiamo messo a punto il piano insieme: io mi sarei finta un ragazzo, avrei cambiato il mio aspetto e il mio modo di giocare e sarei entrata nella nazionale Giapponese". "Ma perché?" chiese Lina.

"Robingo fa parte della nazionale brasiliana, il Regno. È l'unico modo per incontrarlo senza destare troppi sospetti: andando a Liocott".

Isabelle le prese una mano. "E riguardo a... alle tue emozioni?". Ygritte sospirò. "Non è stato solo il DPTS a causarmi l'anaffettività, né i farmaci iniettati laggiù".

La ragazza tirò fuori dalla tasca il contenitore delle medicine. "Avevo paura. Ne ho ancora. Ogni volta che penso a Jude, a quello che abbiamo condiviso... in qualche modo ripenso anche a tutto ciò che ho passato in quell'inferno. Ho temuto... che fosse troppo. Ma allo stesso tempo non volevo che soffrisse credendo di avermi persa. Gli ho scritto una lettera, nascondendola nel doppiofondo della collana che gli ho regalato".

Xavier le accarezzò i capelli. "Cosa c'entra con le tue emozioni?". "Dopo questo... ho deciso che ero stanca. Stanca di soffrire per gli altri, per me stessa. La verità... è che ho chiesto io ai medici di trovare il modo di non farmi più amare".







Boooooom colpo di scena!

No, non sto male. Sì, ho aggiornato a due giorni di distanza. È che questo capitolo lo avevo in testa da un po', ormai. Spero che si sia capita la situazione di Ygritte (dal punto di vista medico-psicologico), sennò scrivete pure e cerco di spiegarmi meglio.

Shiaooo

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