Misteri
Morgan raggiunse il locale di Hillmann. "Ciao Mister". "Ciao ragazzo. Sai dove andare, no?". "Certo". Raggiunse il cortiletto dove Archer si allenava.
"Morgan, che ci fai qui?". "Volevo vedere come te la cavi". "Chi ti ha detto che mi alleno qui?". "Conosco anch'io questo posto. Ci sono venuto per tre mesi di fila". "E perché? Tu a differenza mia sai giocare benissimo". "Già, ma mi serviva un cambiamento". "Che vuoi dire?". "Niente di che".
Rimase a fissare l'ex gangster che si allenava. "Perché continui a guardarmi?". "Mi ricordi me".
"Prova ancora". "Ma mister! Non posso cambiare stile di gioco da un giorno all'altro! Non è possibile!". "Se vuoi continuare con il tuo piano devi farlo".
Si tirò in piedi, per la quarta volta quella sera, e riprese il pallone. "Devi lasciar perdere i dribbling e le finte. Da adesso sei un attaccante puro, che può partire dalla difesa e scartare tutti da solo, ma senza rischiare di perdere il pallone. Lo voglio ancorato ai tuoi piedi. Devi puntare su potenza e velocità". "Me lo hai ripetuto almeno quindici volte".
Hillmann si avvicinò al ragazzo e gli mise una mano sulla spalla. "Hai vissuto esperienze orribili. Ti capisco, davvero. Quando ti abbiamo trovato... non potevo credere che fossi ancora tutto intero. Pensavo che fosse un sogno". "Non è stato un sogno".
Morgan si sedette sul pallone, scoprendosi il braccio sinistro e mostrando un'orribile cicatrice biancastra che gli attraversava l'avambraccio. "Direi piuttosto un incubo".
Morgan scosse la testa e se ne andò. Lungo la strada incontrò Xavier. "Perché non ti alleni mai con noi?". "Ordini del mister" mentì lui.
In realtà il mister non glielo aveva mai propriamente negato. Anzi, probabilmente avrebbe dovuto farlo. Solo che...
Ho cambiato il mio stile di gioco per un motivo. Eppure il rischio ancora c'è...
"Strano come ordine". "Lo so, ma anche se non lo capisco devo obbedirgli". Xavier gli sorrise e lo salutò. E Morgan si diresse nell'unico posto che riuscisse a donargli un po' di pace: la torre Inazuma.
Jude osservò Morgan salire sulla torre. Lo seguiva da un po', ma ancora non aveva notato nulla di eccessivamente strano. Gli sembrava solo un tipo solitario e taciturno, niente di che.
Lo vide prendere il cellulare e rispondere a una chiamata. "Pronto?". Il ragazzo rimase in ascolto della persona all'altro capo del telefono. "Sei sicura? Voglio dire, certo che sono felice! Ma... che cavolo, ho capito! Certo, certo...".
Ci fu un altro lungo silenzio. "Qualcun altro? E chi? Senti, non metterti nei guai. Ascolta, stai già rischiando tantissimo, non potrei accettare che ti accadesse qualcosa per colpa mia".
Un'altra pausa, seguita da una risata. "Lo so, lo so... va bene, cercherò qualcosa per conto mio. Sì, lo so che non devo farmi beccare".
Morgan sospirò. "Non potrò continuare per molto. Speriamo che vada tutto bene. Buona fortuna anche a te".
Poi riattaccò. Jude rimase a fissarlo per un po', poi se ne andò e raggiunse Celia. La ragazza stava cercando informazioni sul portatile.
"Trovato altro?". "Niente di niente su internet. Certo, se potessi... no, non sono il tipo. Ygritte faceva queste cose, non io".
Solo a sentire quel nome a Jude si strinse il cuore. Raccontò alla sorella della conversazione che aveva origliato.
"Quindi?". "È in contatto con qualcuno segretamente. Credi che stia passando informazioni agli avversari?". Celia alzò le spalle.
"Non lo so, fratellone. Davvero non lo so". La ragazza mise la testa sulla spalla del fratello.
"Mi manca tantissimo. Ogni giorni mi alzo... e credo che lei sarà lì, al campo da calcio, pronta a prenderci in giro perché siamo in ritardo". Jude le accarezzò i capelli.
"Lo so". Jude non voleva ricordarsi di lei. Né dei propri sentimenti. Tutto dentro di lui era buio e dolore e paura, paura di perdersi in se stesso se solo avesse provato a scendere a patti con le sue emozioni sterili.
Strinse forte il proprio ciondolo. "Dovresti aprirlo, Jude. Lei lo avrebbe voluto". "Lo so. Ma non ci riesco. Posso tenere fuori i miei sentimenti, se non ci penso. Ma quando ricordo... quando ricordo tutto torna come sei mesi fa".
Celia tirò su col naso e chiuse il computer.
Jude sospirò e si alzò in piedi. "È ora di dormire, Celia. Buonanotte".
Anche Morgan era tornato al dormitorio, ma si era fermato a lato del campetto. Perché?
Beh, Jordan e Xavier stavano monopolizzando il terreno, e di sicuro lui non li avrebbe interrotti. O almeno, questi erano i suoi programmi. Ma quella frase...
È stato un errore fin dall'inizio inserire in squadra un giocatore di seconda fascia come me, per giunta della Alius Academy.
Quel discorso se l'era ripetuto in testa per molto tempo, e anche allora, ogni tanto, si ritrovava a pensare di non meritare tutte le occasioni che gli erano state concesse.
Scattò in piedi dalla panchina e raggiunse Jordan. "Non devi mai pensare di essere uno di seconda fascia". "Cosa?". "Credi che il cambiamento possa essere ottenuto in una notte, o in una settimana? No, è il risultato di mesi e mesi di fatica e sudore! Ogni cambiamento ha un punto d'inizio, e presto toccherà anche a te".
Jordan lo guardò con gli occhi spalancati. "Ma...". "Io so che puoi riuscirci, Jordan". "E come lo sai?". Il ragazzo si voltò, mettendosi le mani in tasca.
"Io ci sono riuscito".
Jude, dalla porta della struttura, lo osservava assieme a Mark. "Quel ragazzo ci nasconde qualcosa". "Io mi fido". Jude gli raccontò della telefonata che aveva origliato.
"Jude...". "Mark, sono serio". "Non ti riconosco più. Una volta non avresti dato questi colpi di testa". "Una volta ero diverso".
Una volta lei c'era ancora.
Mark parve capire al volo e gli mise una mano sulla spalla.
Morgan, nel frattempo, si avvicinò a Xavier. "Lo so che è tardi e che probabilmente sei stanco, ma... vuoi allenarti con me?". "Va bene".
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