Incubi
"Jude! Sei lento!". "Non vale, io ho anche la tua roba da portare! La prossima volta vado avanti io!".
La ragazza davanti a lui gli sorrise, spostando i capelli dietro una spalla con un rapido scatto della testa. "Guarda che ti sei offerto tu!".
Jude scosse la testa e raggiunse la sua ragazza in cima al colle, posando due zaini a terra. "Dove sono gli altri?". "Non ci sono".
Jude la guardò interrogativamente. "Come?". "Siamo solo io e te. Una giornata da fidanzati!". "Ygritte...".
La ragazza sorrise e gli diede un bacio, iniziando a stendere la tovaglia da picnic.
Poi si alzò un vento fortissimo, che spazzò via la coperta. Jude si sentì trascinare via, ma fece in tempo ad aggrapparsi al terreno.
Ma Ygritte...
"JUDE!". La ragazza sembrava essere nell'occhio del ciclone, circondata com'era da vento e detriti.
Poi, all'improvviso, tutto cessò. Ygritte cadde in ginocchio, e Jude la raggiunse. "Stai bene?". "Io...".
La ragazza si tolse le mani dalla pancia, e Jude inorridì: un largo squarcio le attraversava metà del basso ventre, e continuava a vomitare sangue senza fermarsi.
Ygritte lo guardò disperata. Poi le si rovesciarono gli occhi all'indietro e scivolò a terra. Jude la afferrò gridando, ma ormai non c'era più nulla da fare.
Nelle orecchie gli rimase un solo sospiro.
"È tutta... colpa tua".
Jude si svegliò gridando, madido di sudore e tremante. Dopo poco sentì dei rumori fuori dalla propria porta, e una serie di voci che pronunciavano parole incomprensibili.
Poi una lama di luce fece capolino da dietro il pannello di legno, e Celia entrò in punta di piedi. "Ho detto agli altri di tornare a dormire, ma l'urlo si è sentito bene, fratellone. Che è successo?". "Niente. Solo un incubo". "Solo un incubo? Beh, solo un incubo non ti fa urlare in quel modo".
Si sedette accanto a Jude. "C'entrava lei?". "L'ho vista morire fra le mie braccia. Non sono riuscito a salvarla, e lei... la sua voce ha detto che era colpa mia. E la cosa più terribile è che è vero. Potevo... dovevo fare di più per salvarla". "Nessuno di noi ha potuto fare niente, Jude. Nessuno. Lei non ha voluto, è stata una sua decisione". "Forse dovevo costringerla. Dovevo dire ai medici di addormentarla e operarla. Non mi sarei dovuto arrendere!". "Non era una tua decisione".
Quel sussurro gli fece gelare il sangue. "Che vuoi dire?". Celia stava stringendo forte le coperte. "Non eri tu a dover decidere, ma lei". "Ma...". "Non ci sono ma, Jude! È così che doveva andare, e lei lo ha accettato! Ora... ora devi accettarlo anche tu".
Celia si alzò e fece per uscire. "Celia". La ragazza si voltò. Aveva le lacrime agli occhi. "Lei mi manca". "Lo so, Jude. Anche a me. Terribilmente". Poi richiuse la porta.
L'ago gli perforò la pelle. Bruciava come lava liquida.
Il pallone scheggiò il legno della traversa e rimbalzò di nuovo in campo. Morgan lo stoppò al volo e lo colpì di nuovo, prendendo di nuovo la traversa. Era la quinta volta di fila.
Tutto attorno a lui era sfocato e irriconoscibile. L'unica cosa familiare era l'odore di disinfettante.
Prese un secondo pallone, lo lanciò in aria, afferrò il primo e mirò a quello volante, mancandolo di pochi centimetri. Riprovò finché non ci riuscì.
La lama del bisturi gli fece a malapena il solletico quando gli aprì un lungo taglio nel braccio. Gridò fino a perdere la voce.
Morgan iniziò a fare il giro del campo correndo, un pallone fra i piedi e due pesi legati alle braccia. Il sudore gli bagnò la maglietta, ma non gli importava. Forse erano anche lacrime quelle che gli scivolavano lungo il viso, ma non ne era sicuro.
Rotolò sull'asfalto per qualche metro, mentre la pioggia gli inzuppava i vestiti. I vetri rotti tintinnarono sotto le sue scarpe quando si rialzò.
Cadde per terra, la faccia rivolta al cielo stellato. Un singhiozzo gli risalì in gola, ma lo soffocò. E così quelli successivi.
Si tolse i pesi dalle braccia, rialzandosi a fatica. Sentì dei passi e si voltò alzando le braccia, come un pugile pronto a combattere.
Lo afferrarono con forza, e lui non poté opporsi: era troppo stanco, le ultime ferite ancora non si erano rimarginate.
"Mister... posso spiegarle". "Non voglio scuse, Bright. Da domani ti allenerai con gli altri". "Ma...". "Niente ma. Il tuo debutto non è lontano, e posso permettermi di rischiare solo con uno fra te e Stonewall, evitando gli allenamenti di squadra". "Va bene, mister".
"Una sola domanda, Morgan". "Sì?". "Non potresti prendere qualcosa per dormire?". "Ho preso fin troppe medicine in tempi recenti, mister".
L'anestetico le entrò in circolo lentamente, troppo lentamente. Tutto faceva ancora male dall'ultima sessione.
"Ne ho avuto abbastanza".
Morgan rientrò nella sua stanza e si gettò sul letto senza neanche spogliarsi e chiudendo gli occhi.Il fiato gli si fece corto al ricordo dell'ultimo incubo.
Era stato intenso, asfissiante. Doloroso.
Quando riaprì gli occhi il sole stava spuntando dall'orizzonte. Si era appisolato.
Si tirò su, massaggiandosi il collo. Sarebbe stata una giornata durissima.
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