Incontri

Jude richiuse la porta dietro di sé, appoggiandosi al muro con le spalle.

L'odore di disinfettante gli aggredì le narici con violenza, sebbene fosse appena uscito. Odiava quel posto. Odiava gli ospedali.

Celia gli mise una mano sul braccio. "Che ti ha detto il dottore?". "Che sto bene, anche se continua a consigliarmi lo psicologo. Le crisi dovrebbero essere finite. Tu invece?". "Io sto bene, fratellone. Te l'ho detto, le crisi di panico sono durate solo un mese".

Jude le passò una mano fra i capelli, infilando una boccetta di calmante in tasca senza farsi vedere.

I due ragazzi raggiunsero l'uscita, ma prima di varcare le porte a vetri Celia tirò il fratello per la manica. "Jude, guarda". Il regista si voltò e vide Morgan imboccare un corridoio.

"Che va a fare in Neurologia?". Ai due non servì neanche mettersi d'accordo: semplicemente lo seguirono.

Dopo poco lo videro sbucare da una stanza con una cartellina gialla in mano. "Grazie. Sì, sì lo terrò a mente. Certo, ogni giorno. Grazie dottore". Il ragazzo si voltò all'improvviso e li vide.

"Jude? Celia? Che ci fate qui?". "Volevo farti la stessa domanda. Noi abbiamo accompagnato Axel... per il controllo mensile di sua sorella. Tu invece?".

Morgan dette un rapido sguardo alla cartella che teneva in mano. "Semplice visita di controllo, tutto qui. Mi sono sentito poco bene e i miei mi hanno consigliato di...". "I tuoi?". "Genitori, sì". "E dove stanno?". "Sono in viaggio all'estero, ma ci ho parlato per telefono".

Jude non si fidava per niente, ma Morgan non gli diede nemmeno il tempo di pensare. "Strano, sai? Perché ho parlato con Axel, un'oretta fa, e mi aveva detto che aveva intenzione di portare sua sorella alle giostre. Quindi le opzioni sono due. Uno, ha sviluppato il dono dell'ubiquità. Due, mi hai detto una bugia".

Celia strinse il polso di suo fratello. "Siamo venuti per il nostro controllo mensile". "Come?". "Sì. Io e Jude... da quando Ygritte... insomma, abbiamo passato un brutto periodo. Il resto capiscilo da solo".

L'ultima parte non voleva uscirle così, ma la voglia di chiudere in fretta la questione le aveva  modificato il tono della voce, facendola sembrare tagliente e arrabbiata.

Morgan esitò, poi le mise una mano sulla spalla. "Mi dispiace". Poi guardò Jude e sospirò. "Fra compagni di squadra si dovrebbe essere sinceri...".

All'uscita dall'ospedale chiamò Xavier. "Che è successo?". "Tu lo sapevi che Jude e Celia avevano avuto degli attacchi di panico negli ultimi sei mesi?". "Che cosa? Sei serio?". "Li ho incrociati adesso in ospedale, me l'hanno detto loro". "E tu cosa... ah, avevi l'elettroencefalogramma". "Sì". "Raggiungimi alla torre, voglio vederti di persona per chiederti come va".

Dieci minuti dopo Morgan e Xavier erano seduti l'uno accanto all'altro sulla terrazza della torre. "Che dicono le analisi?". "Che sto migliorando, ma ho ancora dei problemi all'amigdala". "E il DPTS?". "Te l'ho detto, sto migliorando. E no, non ho intenzione di andare da uno psicologo". "Morgan...". "No. Ho preso una decisione, non ho tempo e non voglio". "Se tu mollassi la squadra...".

Il ragazzo con i capelli viola si alzò in piedi. "Non ricominciare! L'ho già detto al mio medico curante che non ho intenzione di mollare. Almeno... non prima di aver vinto i mondiali". Il rosso si alzò a sua volta e gli mise una mano sulla spalla. "Lo so che è difficile".

Morgan sospirò, passandosi una mano sulla fronte. "Cazzo se è difficile. Comunque, sei riuscito a...". "Sì, ha detto che li porterà a vedere la finale delle eliminatorie".

Xavier si morse un labbro. "Sei sicuro che vuoi farlo? È rischioso". "Io non ce la faccio più da solo". Poi Morgan si mise le mani in tasca e fece per andarsene.

"Dimmi una cosa. Hai intenzione di dirlo alla squadra?". "Certo". "E quando?". "Quando sarà il momento".

Scott si sistemò il colletto della felpa, deglutendo nervosamente. Controllò per la decima volta l'indirizzo e alla fine si decise a suonare il campanello.

Gli aprì una donna sui quarant'anni, con i capelli neri raccolti in uno chignon e un paio di gentili occhi grigi. "Sì?". "Lei è... Kristen Hills?". "Sì. Tu sei? Aspetta... Scott?". Il ragazzino non fece in tempo neanche ad annuire che la donna lo aveva stretto in un fortissimo abbraccio.

"Credevo... credevo che non ti avrei rivisto mai più! Ma guarda come sei cresciuto, sei un ometto!". "Io...". "Aspetta aspetta, vieni dentro!". In meno di cinque minuti Scott era seduto su un divanetto con una tisana ai frutti rossi in mano.

"Celia mi aveva avvisato che prima o poi saresti arrivato, ma non ti aspettavo così presto". "Io...".

Scott era congelato. Aveva tante di quelle domande da farle... che non sapeva da dove cominciare.

"Puoi... raccontarmi di Ygritte?". Subito la donna si rabbuiò, lasciandosi andare a un sospiro triste. "Cosa vuoi sapere?". "Quello che puoi dirmi".

"Era una ragazza splendida. Un po' fredda e scostante, a dire il vero, anche con me. Forse perché l'avevo portata via dall'orfanotrofio, sembrava trovarsi bene lì. È la stessa cosa che è successa con tua madre...".

Scott sentì il cuore rimbalzargli nella cassa toracica. "Che... che vuol dire?". La donna lo guardò con gli occhi sgranati.

"Non lo sai?". "Cosa... cosa dovrei sapere?". "Ygritte... lei non è la tua sorella biologica. Tua madre l'ha adottata".

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