Fratello
Scott fissò il soffitto della sua stanza, rigirandosi un pallone mezzo sgonfio fra le mani. Il muro davanti al suo letto era annerito dalle pallonate, e come avesse fatto a non venire giù era un mistero bello e buono.
Tutti i ragazzi si stavano rilassando, o meglio, mezza squadra stava stalkerando Cammy e Mark insieme a Suzette, ma quelli erano dettagli.
Lui invece no. Se ne stava lì, su quel letto, a pensare guardando il soffitto, con un paio di fogli posati accanto a sé.
Li afferrò con una mano.
Caro Scott.
Lo so che non leggerai subito questa lettera. Aspetterai un paio di mesi, per paura. Ma alla fine la leggerai, e probabilmente ti metterai a piangere o a calciare il pallone contro il muro.
Ti conosco troppo bene.
Questa lettera è solo per salutarti e per dirti che cosa ti ho lasciato. Non è molto, in realtà, ma ci tenevo.
Sono tutte le informazioni che ho raccolto sulla nostra famiglia, sull'incidente di mamma e papà e sul nostro passato. Non hai idea di quanto tempo ho passato cercando te e la nostra famiglia.
Non ho trovato chissàche, in realtà. Solo qualche nome, qualche zio o zia che non so se siano ancora vivi.
Voglio che tu ricominci a vivere, Scott.
Credimi, so che cosa significa perdere tutto ciò che si ama. Ritrovarsi soli in un mondo spaventoso e pronto a lasciarti indietro se non vai abbastanza in fretta, e lo sai anche tu.
Ma non sei solo, te l'ho ripetuto molte volte. Celia, i ragazzi dell'Inazuma... sono lì con te, per aiutarti e sostenerti.
Lo so che è difficile da accettare. La mia morte, intendo. Mi avrai maledetta in tutti i modi possibili e immaginabili, ne sono certa.
Però... però io sapevo che doveva andare così. Lo sapevo, e l'ho accettato. Ora... ora accettalo anche tu. Fallo per me, okay?
Ti voglio bene, fratellino.
Ygritte
Scott piegò in quattro il foglio di carta e lo ripose nel comodino accanto al letto. Qualcuno bussò. "Chi è?". "Scott, sono io". "Entra".
Celia socchiuse l'uscio e si infilò dentro, richiudendosi la porta alle spalle. Immediatamente l'occhio le cadde sull'infinita confusione di fogli sparsi su tutto il letto del ragazzino. "Cosa sono?". "Informazioni sulla mia famiglia. Le ricerche di Ygritte, tutto quello che ha trovato". "Cercherai qualcuno?". "Non lo so. Dopo le eliminatorie, forse".
Celia gli mise una mano sulla spalla. "Dovresti provare". "Tu ci hai mai provato? A cercare la tua famiglia, intendo". "No... avevo Jude, e questo mi è sempre bastato. Ma tu... forse dovresti tentare. Potrei farti incontrare la mia madre adottiva, Ygritte ha detto che è sua zia".
Il ragazzo annuì distrattamente. "Lei mi manca tantissimo". Celia abbracciò il ragazzo, che iniziò a piangere.
"Mi... manca e vorrei... vorrei che potesse vedere fin dove siamo arrivati". "Io credo che lo veda". "Non... non voglio sentire queste stupidaggini!". Celia lasciò andare Scott. "Che vuoi dire?". Il ragazzo si asciugò le lacrime.
"Lei non può vederci perché è morta! È morta e non esiste un posto da dove potrà vederci! Non esiste e basta!". "Questo non puoi saperlo". "Non mi interessa. Lo so e basta. Lei non può vederci, perché... perché non riuscirebbe a stare ferma. Verrebbe quaggiù a strillarci contro, non potrebbe mai... lei...". Il ragazzino si mise una mano sulla bocca, mentre altre lacrime gli scivolavano lungo le guance.
Celia lo abbracciò di nuovo. "Tu sei un bravo ragazzo, Scott. Lei ne sarebbe fiera. E poi... non sei solo. E non lo sarai mai".
Il ragazzo tirò su col naso. "Grazie Celia. Adesso... adesso puoi andare se vuoi". La sorella di Jude fece per chiudersi la porta alle spalle.
"Aspetta!". "Cosa c'è?". "Potresti... potresti darmi il numero della tua madre adottiva?".
"Sei pronto?". "Nato pronto". "Adesso!". Morgan scattò in avanti, e Caleb lanciò il pallone più lontano che poté.
Il ragazzo con i capelli viola non riuscì ad arrivarci in tempo. "Dannazione!". "Riprova, quel passaggio l'ho calibrato al millimetro per la tua velocità".
Morgan tornò al punto di partenza. "Adesso!". Scattò di nuovo in avanti, ma di nuovo mancò il pallone.
"Ah! Merda! In partita non potremo permetterci di sbagliare così". "Faremo anche di peggio se il mister insiste a tenermi in panchina". "Caleb, te l'ho già detto. Ma vedrai che non manca molto al tuo esordio". "Non la vedo semplice". "Già. Scommetto che affronteremo la Corea".
Caleb annuì, porgendogli una borraccia che Morgan prosciugò in dieci secondi. "Ho sentito che Changsu Choi è un regista spettacolare". "Così sembra".
Il crestato aiutò l'amico a rialzarsi. "Pronto per un altro lancio?". "Solo uno?".
Andarono avanti per tutta la giornata, senza fermarsi mai, e alla fine si lasciarono cadere a terra, il fiato mozzo e il sudore che colava lungo la fronte.
"Sei già... stanco?". Morgan si tirò su. "Ma chi, io? Ma... figurati". Poi controllò l'orologio. "Adesso scusa, devo andare". "Dove?". "In un posto". "Ah ah! Ti ricordo che mi devi ancora un favore dalla partita con i Big Waves, quando ti sei dileguato".
Il ragazzo sospirò. "Devo andare in ospedale per un controllo". "Perché?". "Elettroencefalogramma, ti basta?". "Hai dei problemi al cervello?". "Sì, io... sì". "Di che tipo?". "Non... non voglio dirtelo. Per favore". Caleb vide dolore e paura negli occhi di Morgan. Quel ragazzo doveva aver passato le pene dell'inferno.
"Va bene. Ma dimmi, se hai dei problemi così gravi... come mai giochi ancora a pallone?". "Non posso farne a meno. Giocare a calcio è l'unica cosa che so fare, che voglio fare".
Caleb esitò, poi gli diede una pacca sulla spalla. "Vuoi che ti accompagni?". "No, tranquillo. Caleb... grazie". "Di cosa?". "Di esserci".
Hello guys! Volevo solo avvisarvi che ci stiamo avvicinando al momento più importante, quindi rimanete aggiornati!
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