Morgan trascinò Xavier nel suo luogo di allenamento preferito. "La periferia di Tokyo? Non è pericoloso?". "Solo perché è un po' buio? Nah, figuriamoci".
Morgan lanciò in aria il pallone, colpendolo in rovesciata e centrando in pieno un lampione pericolante all'altro lato della strada.
Mentre era in aria fece una capriola e atterrò in piedi. "Come hai fatto?". "Mi sono allenato moltissimo da solo". Davanti a loro si srotolò un lungo percorso fatto di bidoni dell'immondizia, cassonetti, lampioni caduti e crepe nell'asfalto, oltre a un'infinita serie di casse di legno rotte.
"Ma come fai ad allenarti qui?". "Un tizio che ho conosciuto all'estero mi ha insegnato un paio di trucchetti".
Iniziò a muoversi rapidamente fra gli ostacoli, evitandoli con rapidità. Xavier lo guardava a bocca aperta: persino quando inciampava o sbatteva in qualcosa non perdeva mai il pallone. Era forte, a discapito delle apparenze.
Il ragazzo arrivò alla fine del percorso, ma all'ultimo momento sbatté forte il braccio in una trave di metallo, e gli scappò un grido.
Il pallone rotolò via, mentre Morgan si stringeva forte l'avambraccio.
Xavier gli corse vicino. "Stai bene?". "Certo". "Fammi vedere". "Sto bene ho detto". Ma ormai Xavier aveva sollevato la manica della maglietta. Strizzò gli occhi; oltre al grosso livido che si stava formando, il braccio di Morgan era attraversato da una cicatrice biancastra e irregolare, che a chiunque non vi avesse prestato attenzione sarebbe probabilmente sfuggita.
Il ragazzo con i capelli viola tirò via il braccio con forza. "Chi te l'ha fatto?". "Nessuno". "Non è vero".
Morgan aveva le lacrime agli occhi. "Lasciami in pace". Xavier gli mise una mano sulla spalla. "So cosa vuol dire avere un passato difficile. Davvero, lo so. Puoi parlarne con me".
Morgan sospirò e si sedette sul marciapiede, imitato da Xavier. "È successo tutto qualche anno fa. Avevo... dieci anni, forse. Mio padre... un giorno ha cominciato a maltrattarmi. A isolarmi e a escludermi da ogni cosa potesse. La mamma non c'era mai, e quando c'era era remissiva ed evasiva".
Il ragazzo esitò. "Un giorno papà... ha afferrato un coltello e mi ha tagliato tutto il braccio. Non so se era ubriaco. Ma piangeva e gridava, quindi pensai che fosse per quello. Mi hanno portato all'ospedale, dove sono rimasto per un po'. Sono state fatte delle indagini... che sono ancora in corso. Per adesso sembra... che mio padre abbia agito sotto l'influenza di qualcun altro". "Hai idea di chi possa essere?". "No. Ieri mi ha chiamato una mia amica dall'America, dicendo che ci stavano lavorando e che parevano essere vicini". "È una buona notizia, no?".
Morgan abbassò la testa. "Sarebbe più facile. Dare tutta la colpa a mio padre. Però... però nonostante tutto, in qualche modo malato... so che lui mi vuole bene". Xavier gli mise una mano sulla schiena.
Morgan sembrò irrigidirsi, ma Xavier lo attribuì al freddo. "Torniamo?". "Torniamo".
Durante il percorso Morgan si fece dire del passato di Xavier. Si fece dire della sua infanzia di orfano, della sua piccola famiglia di fratelli e sorelle, poi dell'esperienza della Alius.
"E adesso come stanno i tuoi fratelli?". "Credo bene. Della maggior parte ho perso le tracce da mesi, ormai, ma con qualcuno sono ancora in contatto". "Tipo?". "Beh, tranne Jordan... Isabelle, per esempio. Io e lei ci abbiamo messo più degli altri a guarire". "Come mai?". "Lunga storia, ma ora stiamo entrambi bene".
Morgan rimase in silenzio per un po'. Poi sputò fuori una sola frase. "Sei innamorato di Jordan". "Come scusa?". "Andiamo, si vede lontano un chilometro!".
Xavier iniziò a balbettare una serie di parole sconnesse, arrossendo più dei suoi stessi capelli. Morgan rise piano. "Mi stai dando ragione ogni secondo che passa". "Scusami, e tu come lo sai?". "Lo so e basta, non ci vuole un genio per capirlo".
L'atmosfera lentamente si sciolse e i due iniziarono a conversare. Quando arrivarono alla Raimon era ormai mezzanotte. "Se il mister ci becca siamo fritti" sussurrò Xavier. "Ci sono. Seguimi!" disse Morgan dirigendosi sotto la finestra di Celia.
Afferrò un sasso e lo lanciò. Dopo qualche tentativo la finestra del primo piano si aprì. "Ma chi... Xavier! Morgan! Che cavolo fate?". "Facci entrare!". "E come dovrei fare?". "Allora, innanzitutto lanciami... due paia di pantaloni!". "Che cosa??". "Fidati!". Dopo pochi minuti Celia lanciò loro gli indumenti.
"Xavier, hai mai visto Mulan?". "Ma certo! Okay, ho capito. Ma dove...". "La grondaia, forza!".
Morgan fu il primo a far passare una gamba dei pantaloni dietro al tubo di metallo. Poi, con un po' di spinta e l'aiutino delle leggi della fisica, iniziò a risalire il muro.
Ci misero dieci minuti buoni, ma alla fine raggiunsero la stanza di Celia e si lasciarono crollare sul pavimento. "Adesso muovetevi e tornate nelle vostre camere, prima che Travis vi becchi!".
Morgan annuì, asciugandosi il sudore che aveva inzuppato anche la maglietta. Appena si voltò, Celia scorse qualcosa di strano: il sudore aveva fatto appiccicare parte della maglietta alla pelle, ma attorno al petto si notava una sorta di spesso bendaggio.
Ma che diavolo...
Morgan uscì, chiudendosi la porta alle spalle e lasciando Celia con un mucchio di domande senza risposta.
Il ragazzo si ritirò in camera propria e si tolse la maglietta. La fasciatura di bende scure gli circondava metà torace, ma non bastava a coprire tutte le cicatrici che aveva sulla schiena.
Morgan si guardò nello specchio, fissando i segni rossastri che dalla schiena si allargavano anche sulla spalla sinistra.
Non sono ancora guariti. Maledizione.
Indossò il pigiama e si passò una mano sullo stomaco, poi si sciacquò la faccia e andò a letto.
Ma non fu una nottata tranquilla.
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