A month to death
«Che cosa vuole?»
Nell'attendere una risposta, puntai adirato lo sguardo sul mantello nero svolazzante dell'uomo che mi camminava di fronte, cercando inutilmente di appiccargli fuoco servendomi di un Incantesimo Non Verbale ben piazzato. Purtroppo per me, però, la bacchetta si trovava nella mia borsa dei libri, e anche se l'avessi tenuta in mano non sarei mai stato neanche lontanamente in grado di eseguire alcun tipo di incantesimo senza servirmi dell'uso della parola.
Forse la Granger avrebbe potuto insegnarmi...
«E di cosa vorresti parlarmi? Di quanto in questo momento mi desideri?»
«Non è affatto vero...»
«Bugiarda.»
«Presuntuoso.»
Non ebbi neppure il tempo di concentrarmi su quei recenti ed interessanti ricordi, perché il solo pensare alla Grifoncina che fino a pochi minuti prima tenevo prigioniera fra le mie braccia e alle emozioni (sì, ormai potevo permettermi di utilizzare quella parola) che avevo provato mi spingeva inesorabilmente a nutrire un odio altrettanto intenso nei confronti di Severus Piton.
Come si era permesso quel...quel...
Ormai avevo terminato perfino il repertorio di insulti a mia disposizione, il che rendeva drasticamente l'idea della gravità della situazione. Mi aveva interrotto, ci aveva interrotti, quel figlio di una Banshee...
Stai insultando il tuo Signore, Draco.
Sgranai gli occhi per lo stupore e al contempo per la furia: Piton stava frugando fra i miei pensieri, di nuovo.
Non solo, ora si permetteva addirittura di commentarli!
Forse era il caso di ricordargli chi, fra i due, fosse stato ritenuto degno di fiducia da parte di Lord Voldemort e all'altezza di portare a termine un compito talmente arduo...
Inutile mentire ancora a me stesso: il Signore Oscuro non aveva scelto me per le mie capacità, o perché era convinto che gli avrei offerto il mio servigio nel migliore dei modi.
Tutto il contrario.
Voldemort voleva uccidermi, insieme alla mia famiglia.
No Piton, non sto insultando il mio Signore, sto semplicemente maledicendo te e la tua pessima abitudine di ficcare quel tuo naso mostruoso ed unto negli affari altrui.
Mentre attendevo una nuova intromissione da parte di quell'uomo così sgradevole, inorridii nel ricordare cos'avrebbe potuto leggere nella mia mente se solo io, da eccellente Occlumante quale ero, non l'avessi chiusa in tempo.
Sì, ero sicuro di esserci riuscito, nonostante in quel momento il muro d'acciaio costituito dal mio solito autocontrollo psichico presentasse delle notevoli crepe ero stato in grado di sbarrare l'accesso proprio un attimo prima che Piton tentasse di trovarlo.
Potevo essere fiero di me stesso, decisamente. E potevo anche tirare un sospiro di sollievo, di certo le mie fantasie non corrispondevano a quelle che dovevano essere le aspettative del mio insegnante di Pozioni su di me, e trovarmi chiuso in una stanza insieme alla Granger di certo non aiutava.
E se avesse letto nella sua, di mente?
Il dubbio s'insinuò rapido dentro di me, costringendomi a valutare quella sgradevole possibilità: forse, trovandosi la via d'accesso ai miei pensieri sbarrata da quell'ostacolo, la magia di Piton si era di conseguenza appropriata di quelli della Mezzosangue? O magari il suo intento era proprio quello, magari aveva cercato di ingannarmi facendomi credere di essere il bersaglio, ed io ci ero cascato, gli avevo lasciato via libera... Potevo solo sperare, in tal caso, che le immagini, i ricordi, le riflessioni che popolavano l'adorabile testolina della Granger fossero puri e candidi quanto lo era la sua perfetta pelle di porcellana.
«Non riesco a pensare se... se fai così...»
La mia era una speranza vana, e neppure potevo dire che mi dispiacesse, tutt'altro. L'idea di fare a quella ragazza lo stesso effetto che lei faceva a me mi mandava in estasi, totalmente, e non vedevo l'ora di essere lasciato libero di tornare a quell'attività tanto soddisfacente.
Mi guardai distrattamente intorno, e mi resi conto di trovarmi nell'ufficio di Piton, seduto al capo opposto della scrivania di un Mangiamorte. La stanza rispecchiava perfettamente il temperamento del nuovo insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure, che comunque io avrei continuato a considerare professore di Pozioni. Buia, umida e spoglia, priva di qualsiasi inutile ornamento che non fosse inerente alla sua materia.
Era l'ufficio perfetto per uno come lui.
Come diavolo era potuto accadere che nel giro di pochi secondi piombassimo lì? Solo un istante prima camminavo adirato dietro di lui, e ora invece...
Che avesse fatto ricorso a qualche incantesimo del quale non conoscevo l'esistenza? Probabile. Ma era anche probabile che io mi fossi distratto al tal punto da non percepire più nulla, come del resto accadeva sempre più spesso, ultimamente.
Colpa sua.
Colpa della Granger.
«Draco? Mi stai ascoltando?»
Draco sveglia! Il vecchio acido sta parlando con te...
«Mi scusi, cosa stava dicendo, professore?»
Posi un accento particolarmente ironico sull'ultima parola, volendo sottolineare l'enorme paradossalità di quella situazione: era tutto uno stupido formalismo, lui non era il mio insegnante né io uno dei suoi tanti allievi che si trovava in quell'ufficio per una ramanzina o per una punizione. No, Piton non poteva permettersi di vantare alcun diritto, su di me; qualunque cosa volesse comunicarmi, era subordinata ad una volontà superiore, ad una mente mille volte più subdola e perversa di quella di chiunque altro. Se fino all'anno precedente potevo aver considerato il Direttore di Serpeverde una personalità niente male, ora lo detestavo profondamente.
Cercai di spegnere per un attimo quel cervello folle e frenetico che mi ritrovavo e di fingere di ascoltarlo, per evitare di fornirgli l'occasione di frugare di nuovo in posti che per lui avrebbero dovuto essere zona minata.
«Sto cercando di aggiornarti sulla tua situazione, fossi in te mostrerei un po' più di attenzione.»
Non aveva l'aria di un vero rimprovero, più che altro si trattava dell'ennesima formalità, l'ennesima convenzione che contribuiva a mandarmi in bestia. Ma dovevo sforzarmi di mantenere la calma, o quella seccatura sarebbe durata più del previsto, sottraendo del tempo prezioso a quello che altrimenti avrei potuto passare con lei.
«La sto ascoltando.»
«Bene. Ho una notizia per te, come ti ho già anticipato poco fa...»
Pausa.
Sguardo inespressivo.
«Non mi soffermerò più del necessario sul perché tu ti trovassi chiuso in un aula insieme alla signorina Granger, dal momento che ciò non riguarda né me né tanto meno il motivo per cui ci troviamo qui.»
La Granger. Perché diavolo l'aveva nominata? Non aveva una questione della massima importanza di cui parlarmi?
Un messaggio da parte di Voldemort? Possibile che all'improvviso avesse perso tutta la sua urgenza?
Milioni di domande simili mi attraversarono fulminee, mentre i ricordi tornavano a strapparmi brutalmente dalla realtà circostante.
«Lui non mi ha mai amata. Nessuno mi ha mai amata.»
Quelle parole erano state come ricevere uno Schiantesimo in pieno petto, e non sapevo neppure il perché. La Mezzosangue non mi era mai parsa così triste e sola come in quel momento, la sua voce pericolosamente incrinata e lo sguardo incollato al pavimento mi avevano dato motivo di supporre che presto sarebbe scoppiata in lacrime, proprio come quella notte al settimo piano. Non avrebbe dovuto importarmi, affatto.
Eppure mi importava.
Perché provavo l'irresistibile desiderio di trovare Weasley al più presto e sperimentare su di lui tutte le maledizioni che conoscevo? Sapevo che era lui a farla soffrire, e volevo tenere per me quell'esclusiva, sì, doveva essere questa la spiegazione.
Oppure lo odiavo perché, in qualche misteriosa e incomprensibile maniera, era riuscito a farsi strada nel suo cuore?
Smettila.
«Tuttavia intendo riprendere l'argomento in seguito e affrontarlo, Draco.»
Cosa?
«Perché, di grazia?»
«Non parlarmi con questo tono. La signorina Granger è una strega molto potente, ben oltre ogni tua previsione, e non hai idea di quanto possa essere pericolosa. Inoltre è una delle persone più vicine ad Harry Potter, colui che minaccia la vita del nostro Signore, e di conseguenza il nostro primo nemico. Preferirei quindi che ti astenessi dal frequentarla, laddove non fosse strettamente necessario.»
Pronunciò il suo discorso con apatia, utilizzando il solito tono piatto, come se quelle parole fossero state scritte da qualcun altro, apposta per lui. Mi irritava.
Frequentarla? Dubitavo fortemente che il rapporto che si era instaurato fra me e la Granger negli ultimi tempi si potesse definire una semplice frequentazione. Ci si frequentava fra amici, fra compagni di scuola, ci si scambiava qualche battuta sui professori, oppure si discuteva sull'ultima partita di Quidditch, di certo non ci si torturava a vicenda in quel modo così particolare...
«Non ho nessun tipo di legame con quella Mezzobabbana, né con altri della medesima razza.»
«Spero che questa sia la verità.»
La mimica facciale di Piton era sempre stato un vero e proprio enigma per chiunque, così limitata ma allo stesso tempo così disarmante, perché non poteva costituire un elemento di deduzione; non sarei mai riuscito ad estorcergli informazioni su quanto effettivamente avesse scoperto di ciò che stava succedendo nell'aula di Incantesimi, un attimo prima che si intromettesse. Meglio il depistaggio.
«Non aveva un messaggio per me?»
Mi lanciò un'ultima occhiata indecifrabile, per poi prendere un lungo, silenzioso respiro.
«È proprio per questo che ci troviamo qui.»
«E allora cosa aspetta a parlare?»
Iniziavo a spazientirmi sul serio.
«Ti resta un mese. Non un giorno di più.»
Un mese.
Sembrò subito che quelle parole riecheggiassero tutt'intorno, quasi a volersi prendere gioco di me, maligne, crudeli.
Pochi erano i pensieri che si fecero strada in quel fango di sensazioni, pensieri fulminei, constatazioni pure e devastanti.
Un mese.
Un inutile, misero, fottuto mese.
Impossibile.
Fallirò.
Severus Piton mi scrutava, impassibile, forse cercando di cogliere un segno di cedimento, un tentativo di rifiuto da parte mia, di cercare inutilmente di sottrarmi a quello che era il mio tragico destino. D'altronde era proprio ciò a cui aspirava, la serpe, chissà quanto intimamente godeva nel vedermi sconfitto, nel sapersi consapevole di essere il prossimo a cui il Signore Oscuro si sarebbe rivolto per portare a termine la missione... Piton aveva sempre aspirato a prendere il mio posto, ed probabilmente ci sarebbe riuscito, visto come si stavano mettendo le cose. Ma io non ero certo disposto a fornirgli l'occasione sul piatto d'argento, soprattutto non avevo intenzione di mostrarmi debole di fronte a lui e confermare così tutte le sue previsioni. No, avrei fatto l'impossibile pur di non sottopormi ad una tale umiliazione. Perciò indossai la migliore maschera di freddezza e indifferenza che conoscevo, e puntai arrogantemente i miei occhi nei suoi.
Grigio contro nero.
«Un mese. Perfetto.»
Percepii soddisfatto il suo smarrimento, nonostante non fosse stato tanto ingenuo da mostrarlo apertamente.
«Dalla tua reazione immagino che il piano che hai architettato stia procedendo senza intoppi.»
«Infatti è così, signore.»
Lo sguardo indagatore di Severus mi lasciò intendere quanto fosse restio a credermi sulla parola, e non potevo neppure biasimarlo: non sarei riuscito a convincerlo tanto facilmente, un altro forse sì, ma non lui, non il mio padrino Occlumante...
«Ne sono lieto. Ti serve un aiuto, Draco?»
Mi trattenni a fatica dal ridergli in faccia: non si rassegnava, non si capacitava di non aver ricevuto lui un compito tanto importante, e voleva in qualche modo la sua parte.
«Grazie per l'offerta, ma ho tutto sotto controllo, non ho bisogno di nulla.» lo liquidai con un gesto annoiato della mano.
«Ho promesso a tua madre che ti avrei protetto.» insistette, cocciuto.
«Devo dedurne che non mi riteniate all'altezza.»
«Assolutamente no, Draco. Ma ti consiglio di non sottovalutare il potere che il nostro Signore è capace di esercitare sui Mangiamorte... E sulle loro famiglie.»
Suonava proprio come una minaccia.
«Bene.»
Seguirono alcuni secondi di silenzio ostinato, che servirono a Piton per tentare ancora una volta di penetrare nella mia mente: inutile, neppure l'agitazione e la paura di quel momento avrebbero potuto abbattere le mie barriere protettive...
«Posso andare ora? Avrei delle cose da fare.»
Mi dispiace Granger, dovrai aspettare.
«Certamente, va' pure. E, Draco?» mi fermò, proprio mentre stavo per abbassare la maniglia della porta. Mi voltai lentamente, seccato, cercando di capire cos'altro potesse volere da me.
«Mi dica.»
«Gradirei che non ti facessi più sorprendere in compagnia della signorina Granger, in futuro.»
Questa aveva tutta l'aria di essere una proibizione.
Fantastico. Io amavo tutto ciò che era proibito.
«Quello che faccio con la signorina Granger non è affar suo.»
Senza attendere una replica, mi sbattei poco educatamente la porta alle spalle, ed iniziai a camminare in direzione del settimo piano, turbato.
Perché doveva essere tutto così difficile? Perché non potevo avere indietro la mia vecchia vita da ricco Purosangue?
Niente ormai corrispondeva ai piani che avevo fatto, niente andava come avrebbe dovuto; il mondo pareva essersi capovolto. Solo così si spiegava il fascino che quella Mezzosangue, ormai non più tanto bruttina, insopportabile e fastidiosa, esercitava su di me...
«Io non riesco a credere che siamo qui, adesso, a fare quello che stiamo facendo... Dev'essere un'illusione.»
«Se è così, stiamo facendo lo stesso sogno.»
Quando mai mi era capitato di sognare? Gli incubi, quelli sapevo bene cosa fossero, mentre i sogni non erano mai esistiti, per me. E invece adesso la Granger...
Ma come facevo a pensare a lei anche in un momento simile?
Mi restava solo un mese di vita prima che Voldemort mi uccidesse, l'Armadio Svanitore era rimasto tale e quale a come l'avevo trovato all'inizio dell'anno, ed ero vicino a ripararlo tanto quanto lo ero dal fare amicizia con lo Sfregiato.
Eppure, nonostante la situazione mi fosse completamente sfuggita di mano, nonostante fossi solo a sostenere sulle spalle il peso della mia stirpe, nonostante tutto, era lei ad occupare la mia mente. Era come un richiamo, un canto armonioso al quale non era possibile resistere, la morbidezza e il calore delle sue labbra erano l'unico antidoto per quel veleno mortale, e desideravo saziarmene il più possibile, prima che anche quel piacere mi venisse strappato via.
Quando l'avevo lasciata andare non era neanche al massimo delle sue energie, per colpa di quel Weasley, ancora un po' di tempo passato in mia compagnia e ci avrei pensato io a toglierglielo definitivamente dalla testa...
Ero preoccupato, non potevo fare a meno di esserlo, e non per me stesso, come era logico che fosse.
Per lei, per la Mezzosangue.
Non volevo che nessuno le si avvicinasse, per nessuna ragione, sentivo il bisogno di vegliare su di lei e di fare in modo che non soffrisse mai. E sicuramente avrebbe trovato il modo di ricambiare il favore. Sarei andato subito a cercarla, se il senso del dovere e della fedeltà nei confronti della mia famiglia non mi avesse oppresso tanto; non potevo tirarmi indietro, ormai, e condannare così la nobile casata dei Malfoy. Soprattutto, avrei deluso oltre ogni limite le aspettative dei miei genitori, avrei dimostrato che veramente quello scemo di Potter era migliore di me... Non potevo accettarlo.
Mi serviva un piano, l'ennesimo.
Infilai una mano in tasca, pensieroso, e ne estrassi un galeone; aggrottai la fronte, mentre il mio cervello lavorava febbrile.
Quello non era un galeone come gli altri, era speciale, e ne ero entrato in possesso sempre grazie all'acuta intelligenza di quella Nata Babbana così fuori dal comune. Si trattava di una moneta stregata, attraverso la quale contattavo la mia alleata di Hogsmeade, Madama Rosmerta: mi ero già servito della barista dei Tre Manici di Scopa, ovviamente sotto Imperio, in occasione della consegna della collana stregata. In quel caso il tentativo non era andato a buon fine, ma forse potevo riprovarci. Era rischioso, l'ultima volta una Grifondoro ci aveva quasi lasciato la pelle, ma non avevo molte altre possibilità, del resto. Avevo già concordato un piano di riserva con Madama Rosmerta, mi bastava pronunciare un incantesimo affinché il suo galeone iniziasse a bruciare, e nel giro di poche ore la trappola sarebbe scattata.
Afferrai la bacchetta e la puntai contro il dischetto d'oro che tenevo nel palmo sinistro. Per un attimo fugace immaginai la piccola ruga che di certo si sarebbe formata sulla fronte della Granger, come tutte le volte in cui era arrabbiata o irritata, se solo avesse saputo cosa erano chiamate a fare quelle stesse mani che sempre più spesso la sfioravano... Mi avrebbe odiato, prima o poi, mille volte più di quanto mi aveva detestato in passato, e lo strano rapporto che stavamo costruendo presto sarebbe andato distrutto.
Restava un mese soltanto.
Ed io volevo sopravvivere.
Repressi a forza tutti quei ragionamenti privi di logica e mi concentrai sulla formula, cercando di ignorare la debole resistenza opposta da un luogo non identificato, all'altezza del petto. Alla Mezzosangue avrei pensato più tardi.
♥
Quando mi svegliai la mattina seguente, ero stranamente sereno: non avevo avuto incubi, il che considerando la mia posizione precaria era già un grande traguardo; inoltre avevo la certezza che il nuovo piano stesse procedendo più o meno senza intoppi. Madama Rosmerta aveva ricevuto il segnale e si era dimostrata assai efficiente nell'eseguire gli ordini che le erano stati precedentemente impartiti. Non solo, era anche riuscita a farmi arrivare delle notizie certe sul quando e sul come sarebbe avvenuto all'incirca l'avvelenamento.
Perché stavolta si trattava di vero e proprio veleno, disciolto in una bottiglia del più prelibato Idromele Barricato che il pub di Hogsmeade offrisse. Un sorso di quel miscuglio sarebbe bastato ad uccidere chiunque nel giro di pochi secondi, anche un mago potentissimo come Silente, perciò non avevo di che preoccuparmi. Bisognava solo che Lumacorno, al quale Madama Rosmerta aveva affidato la bottiglia, si affrettasse a donarla al preside, e speravo che fosse il prima possibile.
Mi rendevo perfettamente conto di quanto rischioso e sconsiderato fosse quel tentativo, c'erano molte cose che avrebbero potuto andare storte, eppure non avevo resistito all'impulso di provarci.
L'idea di dover morire entro un mese mi terrorizzava sul serio.
Quel sabato mattina, se non altro, non c'era nessuna stupida lezione che mi impedisse di fare quel che volevo, avevo tutto il tempo per tornare nella Stanza delle Necessità e ritentare con l'Armadio, sperando di avere un successo maggiore.
C'era soltanto un pensiero che mi rendeva cupo.
La Granger.
Non avevo più avuto modo di incontrarla dal pomeriggio precedente, e la cosa mi mandava in bestia, oltre che a rendermi incredibilmente nervoso e a far svanire ogni traccia di calma da quella giornata. La colpa non era sua, certo, non era lei a doversi preoccupare di vecchi mobili distrutti e di veleni mortali, però la rabbia c'era ugualmente. Non mi ero presentato a cena, e l'appartenere a due case diverse, nemiche tra loro, non rendeva possibili eventuali appuntamenti nei corridoi che non sfociassero in duelli all'ultimo sangue.
E contribuiva in maniera considerevole anche il fatto che lei fosse l'eroina del mondo magico, io un Mangiamorte.
Non capivo tutta quell'urgenza di vederla, e neppure mi sforzavo più di tanto, ormai. Nulla aveva senso, perché cercarne uno ad ogni costo?
Ora però c'era la colazione, ed ero determinato a non perdere quell'opportunità di osservarla da lontano per nulla al mondo; ovviamente avrei preferito studiare ogni minima parte del suo corpo da vicino, da molto vicino, ma per il momento dovevo tenere a freno i miei istinti. Di sicuro non potevo metterle le mani addosso di fronte a tutti gli studenti e ai professori compresi, o no?
Dovevo accontentarmi.
Ma quando scesi in Sala Grande, passai in rassegna il tavolo dei Grifondoro un paio di volte, senza che i miei occhi incrociassero mai i suoi.
Lei non c'era.
Non c'è.
Perché non c'è?
«Draco!»
Quella piaga di Pansy invece c'era eccome, e si era appena agganciata al mio braccio, fortunatamente il destro, nonostante sapesse benissimo quanto lo detestassi.
«Che vuoi, Parkinson?»
«Adesso mi chiami anche per cognome?» piagnucolò con voce irritante. Se non mi mollava immediatamente sarei stato costretto a cacciarla con la magia, anche se ci trovavamo in Sala Grande, non mi importava. Ero talmente arrabbiato con la Mezzosangue per non essersi presentata da ignorare tutto il resto.
«Se hai qualcosa da dire dilla e basta, altrimenti lasciami andare.»
«Sei così sgarbato ultimamente, non capisco proprio cosa ti succeda... Va bene, va bene, ho capito, taglio corto. Pensavo solo che ti interessasse sapere quello che è successo stamattina...»
«Perché? Cosa dovrebbe essere successo di tanto importante?» le domandai annoiato, preparandomi ad ascoltare interminabili racconti su un'unghia di Daphne Greengrass che si era spezzata o sull'orrenda barba che pareva stesse crescendo sul volto di Millicent Bulstrode.
«Girano voci per tutta la scuola, possibile che tu non abbia sentito proprio nulla? Ad ogni modo, pare che uno degli studenti sia stato avvelenato nell'ufficio di Lumacorno, e che l'abbiano salvato appena in tempo. Peccato, sarebbe stato un Grifondoro di meno...»
Per poco non mi strozzai con il succo di zucca che stavo bevendo.
«Che cosa?!» urlai, meritandomi un'occhiataccia da parte della professoressa Sprite, una dei pochi ad essere seduta al tavolo dei docenti. Possibile che Pansy stesse dicendo la verità?
Un attimo, l'ufficio di Lumacorno probabilmente era pieno di pozioni e intrugli vari, magari si trattava di una semplice coincidenza...
«E si sa come sia stato avvelenato?»
«Dicono che abbia bevuto dell'Idromele Barricato, probabilmente il veleno era nella bottiglia...»
Merda.
«Aspetta un momento, era un Grifondoro?»
Un sospetto atroce si fece strada nelle mie viscere.
«Ovvio, sono sempre in mezzo, quelli. Il Trio dei Miracoli ha un talento innato per cacciarsi nei guai, soprattutto quel visionario di Potter...» aggiunse, forse sperando di compiacermi con quel commento. Peccato che la mia mente fosse occupata da ben altri problemi. Le parole "Grifondoro" e "Trio dei Miracoli" vorticavano ripetutamente nell'aria, ad ogni giro più pesanti.
«Sai chi era?»
Salazar, fa che non sia lei, ti prego...
«Weasley, oppure la Mezzosangue, questo non sono riuscita a scoprirlo. Personalmente spero sia lei, ma... Aspetta, dove stai andando? Draco!»
Alzandomi, rovesciai l'intera caraffa di succo di zucca sulla tavola imbandita, suscitando le imprecazioni di un paio di Serpeverde del settimo anno, gli unici che avessero il coraggio di mettersi contro di me. Incurante del disastro che avevo appena combinato, mi lanciai verso il portone e presi a correre in direzione dell'Infermeria, sperando di non star girando a vuoto e di trovare lì quello che cercavo. L'unico posto in cui altrimenti potevano aver portato la vittima era il San Mungo, l'Ospedale per Malattie e Ferite Magiche, ma in tal caso avrebbe voluto dire che le sue condizioni erano davvero gravi...
Non era possibile, non avrei accettato che fra tutti gli studenti che studiavano entro le mura di Hogwarts il mio veleno avesse accidentalmente colpito proprio lei... Non era giusto, non lo meritava, ed io sentivo di non essere ancora pronto per perderla.
Per essere il suo assassino.
Pansy aveva detto che la vittima era stata salvata appena in tempo, quindi chiunque fosse non si trovava in pericolo di vita. Non più, almeno.
La Granger aveva davvero rischiato di morire per colpa mia? Stavo per scoprirlo.
Mentre con il cuore in gola mi avvicinavo sempre di più all'Infermeria, sentii delle voci provenire dal fondo del corridoio. Mi appostai dietro un arazzo, sperando di riuscire a capire un po' di più di quanto era realmente accaduto.
«Pensi che si riprenderà?»
«Ne sono convinto. È forte.»
A sussurrare erano Potter e la ragazza Weasley. Mi augurai di ricavare da quella conversazione il dettaglio più importante di tutti: chi era stato avvelenato? L'Idiota Numero Uno, oppure...
«Spero che facciano pace...»
«Anch'io, Ginny. Sono sempre stato abituato a vederli insieme, sono i miei migliori amici, e dovermi dividere continuamente fra di loro è davvero stressante.»
Credevo di avere una mezza idea di chi fossero i due interessati. Ben più di mezza, a dire il vero.
«Hermione ha sofferto molto, sai? Mio fratello si è comportato da vero imbecille.»
Finalmente qualcuno che usa il cervello...
«Ma stamattina, quando le ho proposto di venire con me a fargli gli auguri, - proseguì la Weasley – l'ho trovata, come dire... diversa. Ha pianto molto, mi ha parlato di uno strano sogno di cui non ricordava nulla... E poi si era dimenticata del compleanno di Ron, capisci? Questo non è da lei, per quanto possa essere arrabbiata non trascurerebbe mai i suoi amici in questo modo... Deve esserci qualcosa che ci sfugge. Lei è cambiata, non è più l'Hermione di una volta.»
Quel discorso, pronunciato con un tono triste e desolato, mi spiazzò.
La Granger ha pianto ancora? Perché? E che significa che è cambiata?
Potter diede voce ai miei pensieri.
«Harry, penso che qualcosa la stia turbando profondamente.
O qualcuno.»
«Qualcuno? Ma se è così allora perché non si confida con noi? Perché ci tiene all'oscuro?»
«Magari è convinta che non potremmo capirla, forse lei stessa non capisce, è spaventata, preoccupata... Forse c'è qualcuno che la minaccia, o che fa sì che Hermione non voglia parlarci...»
«E tu come ti sei accorta di tutte queste cose?»
«Intuito femminile, Harry.»
«Voi ragazze siete così complicate, per Merlino...»
«Siete voi maschi che avete la sfera emotiva di un bradipo...»
«D'accordo. Cosa proponi di fare?»
«Aspettiamo di vedere cosa succede con Ron. Potrebbe anche darsi che questo cambiamento sia dovuto a lui, ed ora che è quasi morto i loro rapporti potrebbero tornare alla normalità... In caso contrario, se dovessimo accorgerci che mio fratello non c'entra, decideremo come intervenire.»
«Non sono affatto tranquillo, ma per ora facciamo come hai detto tu.»
Si allontanarono in fretta, sempre bisbigliando sommessamente, e lasciando me più confuso di quanto non lo fossi appena ero arrivato. La rossa diceva la verità? Lei stava davvero tanto male? Strano, quando era con me non sembrava affatto... Cioè, l'avevo vista un po' triste, ma mentre ci trovavamo insieme, insieme per davvero, il suo corpo esprimeva tutto meno che sofferenza. Ora, a detta dei suoi amici, qualcosa la turbava, ed io mi rifiutavo di credere che si trattasse di Lenticchia, era troppo intelligente da lasciarsi sopraffare da uno come lui. E allora cosa? Dovevo parlarle, scoprire prima dei suoi amici quale fosse il problema.
Non aveva bisogno di loro, se poteva avere me.
Ero comunque sollevato nell'aver appreso che non era la Granger ad aver bevuto l'Idromele, ma altrettanto incazzato di saperla chiusa in Infermeria con l'Idiota. Meglio interromperli subito, qualsiasi cosa stessero facendo.
Mi accostai alla porta semichiusa, ma una voce sottile mi trattenne dallo spalancarla.
«Mi dispiace, Ron. Davvero. Non avrei dovuto comportarmi in questo modo. In fondo tu non hai fatto niente di sbagliato, non potevo certo obbligarti ad amarmi... Era una tua scelta, ed io non l'ho capito subito. Ma ora non mi importa, voglio che torniamo ad essere amici come prima, anche se io... penso di essere ancora innamorata di te.»
L'ha detto.
L'ha detto davvero.
Indietreggiai di qualche passo, rifiutandomi di sentire altro.
È innamorata di lui.
Mi voltai di scatto per ripercorrere la strada che avevo appena fatto di corsa, volevo solo allontanarmi da quel luogo il più presto possibile, allontanarmi dal disgusto e dall'odio che provavo. Non mi fermai neppure per raccogliere la sciarpa verde-argento che era scivolata dalla tasca laterale della mia veste, non mi importava un accidente.
La Granger è innamorata di Weasley.
Ed io che addirittura mi preoccupavo, che mi chiedevo quale potesse essere il male che l'affliggeva, convinto che si trattasse di qualcosa di oscuro. Io che avevo trascurato completamente il mio incarico, che rischiavo di rimanere ucciso, solo per pensare a lei, sperando che magari...
Sei uno stupido. Lei è innamorata di Lenticchia.
Come avevo potuto essere tanto ingenuo? Avrei dovuto servirmi di quella stupida Mezzosangue per l'Armadio Svanitore, e poi una volta ottenuto quel che mi serviva assegnarle la punizione che meritava. Avrei dovuto saperlo, che era come tutte le altre. Avrei dovuto immaginare che mi stesse solo usando come rimpiazzo, nell'attesa che lui, il suo amore, la ricambiasse.
Avrei dovuto.
Piton aveva ragione.
Ma allora... Perché?
«La senti? Questa è emozione.»
Basta.
Non mi importava più.
La Granger è innamorata di Weasley, e non... di te.
Non mi importava niente di niente.
♥
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