Grigio - Olly e Dylan, Misha
Dylan's point of view
Ci sono giornate che iniziano bene e proseguono meglio: placide, che infondono pace al cuore. Ed è proprio in queste giornate che a volte, per fortuna solo a volte, una cattiva sensazione sbuca fuori dal nulla, come un presagio, e niente si può fare per scacciarla. È in giornate come queste che accadono brutte cose e tu rimani annientato, perché... non doveva essere una bella giornata?
È successo una sera dopo un'ottima giornata; mentre stavo cenando con Rei, dopo tante ore di prove andate alla grande, Olly mi ha chiamato per dirmi che Damon ci stava lasciando. Il mio amato cane stava morendo e io stavo rilassandomi con il mio migliore amico umano. È stato improvviso e devastante.
Come posso, come possiamo immaginare che oggi sarà altrettanto devastante? È un tranquillo giovedì mattina: Misha è a scuola, Olly è in camera a guardare l'ultimo episodio uscito di una nuova serie televisiva e io, dopo aver fatto una passeggiata con Angel, sto oziando con lei sul divano.
Suona il telefono. Mi alzo e controllo il numero, è un numero sconosciuto.
Ed eccola: la cattiva sensazione.
- Pronto?
- Buongiorno. Lei è il signor Dylan...?
- Sì, sono io. Con chi parlo?
- Sono il professore di Misha.
Il professore di Misha? Forse è stato male, mi starà chiamando perché lo venga a prendere, mi dico. Ma la cattiva sensazione non si ridimensiona.
- Mi dica.
- Ecco... - esita, e basta quella pausa a farmi salire il cuore in gola.
- Mi dica - ripeto. Ti prego, fa' che non gli sia successo niente di grave, penso.
Il professore si schiarisce debolmente la gola.
- Suo figlio è stato portato d'emergenza all'ospedale perché ha tentato il suicidio nei bagni.
No.
Credo che il mio cuore si sia fermato, per un istante. Tutto si è fermato: la mia bocca si rifiuta di parlare e le mie orecchie di sentire.
Nella mia testa si ripetono le parole del professore: ha tentato il suicidio ha tentato il suicidio ha tentato il suicidio ha tentato il suicidio.
- Come sta adesso? - chiedo con un filo di voce. La mano con cui sto reggendo il telefono trema, come il resto del mio corpo.
No, no, no.
- Non si sa ancora. Stanno facendo tutto il possibile...
- Arrivo - dico in un bisbiglio. Per poco non mi cade il telefono di mano.
Devo andare a chiamare Olly. Il mio corpo si muove meccanicamente.
- Olly - lo chiamo. La mia voce è roca e più salda di quanto mi aspetti. - Dobbiamo uscire. Subito.
Mi lancia un'occhiata interrogativa.
- Eh? Perché?
- Te lo spiego dopo - mormoro. - Ti prego, andiamo.
Mi segue fuori di casa, perplesso. Saliamo in macchina. Poggio le mani sul volante. Non vogliono smettere di tremare.
- Dylan, cosa c'è? È successo qualcosa? - domanda, preoccupato. - Vuoi che guidi io?
Scuoto la testa.
- Olly... Olly si tratta... era... - abbasso lo sguardo, non sapendo come mascherare la disperazione. - Era uno dei docenti di Misha. Ha... ha... ha tentato... ha tentato il suicidio.
Impallidisce. Quasi riesco a sentire il suo cuore spezzarsi. Gli occhi gli si riempiono di lacrime.
- Non è vero. No. No - dice con voce strozzata. Qualunque altra cosa voglia dire, si perde in rumorosi singhiozzi.
Ancor prima di incontrare Olly sapevo che, se avessi trovato qualcuno con cui passare la mia vita, volevo sposarmi e avere una famiglia. Dopo che ci siamo sposati, ho detto a Olly che volevo una famiglia. Lui era assolutamente contrario; anche se poi, a seguito di un litigio, ha ammesso di essere contrario perché estremamente insicuro.
Le sue insicurezze sono svanite quando abbiamo adottato Misha. È stato amore a prima vista.
Deglutisco.
- Non si sa ancora nulla - riesco a dire, inutilmente. Olly piange per tutta la durata del viaggio.
Una volta arrivati all'ospedale il professore di Misha ci viene incontro.
- Allora? - chiedo.
- Ancora niente - risponde, sconsolato.
Entriamo e ci sediamo sulle prime sedie che troviamo.
- Verrò ad avvisarvi non appena si sa qualcosa - promette il professore, lasciandoci soli.
Olly riprende a piangere e io cedo finalmente alle lacrime. Nella mia mente regna il caos. Perché l'ha fatto? È colpa nostra? Dio, se me lo riportano indietro farò qualunque cosa per rimediare, perché non accada mai più. O forse ha problemi a scuola? Ma ha sempre detto che non era niente... qualcuno gli ha fatto del male? Se qualcuno ha fatto del male al mio bambino non rispondo di me.
- Questo è il giorno più brutto della mia vita! - singhiozza Olly. Vederlo in questo stato è straziante. - Dylan, ti prego! Se lui non... io non lo so cosa farò!
Non rispondo, non ci voglio neanche pensare. Misha è la nostra gioia; senza di lui non credo che riuscirò mai più ad essere davvero felice.
Questo fa la morte: si prende una parte di te, grande o piccola che sia, e in cambio ti dà solo grigio, un peso soffocante di cui non ti liberi mai.
Abbraccio mio marito e lui affonda il viso nel mio petto, mentre io appoggio il mento sulla sua spalla. Vorrei tanto confortarlo, ma come faccio? Sto così male, potrei piangere per sempre.
L'attesa uccide lentamente la speranza.
E poi, quando mi sembra di aver esaurito le lacrime, arriva il professore.
- Il dottore vuole parlare con voi - dice. Dalla sua espressione non traspare nulla: né sollievo né tristezza.
Olly ed io ci alziamo e lo seguiamo lungo il corridoio come due zombie, sorreggendoci a vicenda. Mi sento tutto indolenzito, come se avessi dormito male.
Quanto vorrei che questo fosse solo un incubo.
Entriamo nell'ufficio del dottore. Il professore resta fuori.
- Buongiorno. Voi siete i genitori di Mikhail, vero? Accomodatevi.
Ci sediamo di nuovo. Né io né Olly osiamo chiedere nulla.
Il dottore ci rivolge un sorriso pieno di compassione.
- Ci sono alcune cose che devo dirvi, prima di portarvi da vostro figlio - esordisce. Alcune cose? Tipo cosa? Condoglianze? Non voglio sentirlo. Non voglio crederci. Non posso crederci. Il mio bambino. Il nostro bambino. - Ma prima di tutto la cosa più importante: ce l'ha fatta.
Olly ed io alziamo lo sguardo di scatto. Il dottore sorride ulteriormente.
Ricominciamo a piangere, stavolta di sollievo.
Il dottore prosegue col dirci che non possiamo riportarlo subito a casa, dovrà restare per un po' in osservazione, e poi dovrà far fisioterapia e vedere uno psicologo. Io cerco di ascoltarlo il più attentamente possibile perché voglio fare le cose per bene, ma è così difficile, nella mia mente c'è spazio solo per il pensiero che Misha starà bene.
- Vi porto da lui, adesso. Si sveglierà presto.
Usciamo dall'ufficio e ci facciamo condurre nella stanza di Misha.
- Tornerò più tardi. Lasciategli un po' di respiro, mi raccomando - dice il dottore, congedandosi.
Nostro figlio dorme. I suoi lunghi capelli chiari sono sparsi sul cuscino. Gli accarezzo una guancia.
Sembra un angelo.
- Non ci posso credere - mormora Olly, scuotendo la testa. - Sono così... arrabbiato.
- Con lui?
Annuisce. Lo afferro per le spalle, costringendolo a guardarmi.
- No, no, Olly. Sei solo spaventato. Per favore, cerca di pensare ai suoi sentimenti. Solo una sofferenza insopportabile porta a un gesto così estremo.
Singhiozza, nascondendo il viso nel mio petto. Adesso che il peggio è passato, posso cercare di consolarlo.
- Pa... pà?
Ci irrigidiamo. Si è svegliato.
- Misha...
- Io...
Lo abbracciamo, anche se il dottore ha detto di lasciargli spazio. Ma come possiamo trattenerci? Sentirlo chiamarci papà e poter dire il suo nome mi provoca una gioia immensa, una gioia che mi fa venire le lacrime agli occhi per l'ennesima volta.
Pur non dicendolo ad alta voce, gli prometto che farò tutto il possibile perché ciò che è accaduto oggi non succeda mai più, perché possa trovare la pace e la felicità che merita.
Ci sono giornate che iniziano bene e proseguono meglio, ma terminano in tragedia. E non so se c'è qualcuno, lassù, però se c'è voglio ringraziarlo per aver ascoltato le mie preghiere. Per aver salvato la giornata.
-
Note dell'autrice:
buongiorno, pasticcini. Se siete arrivati fino alle NDA... spero di non avervi fatto stare troppo male. Io, dopo aver scritto i primi tre-quattro paragrafi, sono stata assalita da una nausea tremenda. Quando son riuscita a riprendere a scrivere, non nego di aver pianto parecchio. Se conoscete qualcuno che ha questo genere di pensieri o voi ne avete, chiedete aiuto. Chiedere aiuto è un segno di forza, non di debolezza. E ricordate: non siete mai soli. C'è sempre qualcuno che ci tiene, che vi vuole bene. E se pensate che non ci sia nessuno, be'... io vi voglio bene. E so quanto possa essere difficile chiedere aiuto quindi, se avete bisogno, potete sempre mandarmi un messaggio, su EFP o su Wattpad o sui miei altri social. Un abbraccio
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top