Anima sanguinante - Olly e Dylan, Misha

Misha's point of view

I miei genitori vengono a trovarmi tutti i giorni, mentre sono in osservazione all'ospedale. Anche il professore viene a farmi un rapido saluto, e perfino lo zio Rei e Akira, il quale è quanto di più vicino ad un amico che abbia mai avuto. Solo che Akira è sempre con suo fratello, e suo fratello ha così tanti amici, e io sono nessuno.

Oggi posso finalmente tornare a casa. Papà mi chiede se sono contento, ma io non rispondo. Non voglio parlare. Mio padre gli lancia un'occhiata e si stringe nelle spalle.

Durante il viaggio verso casa percepisco i loro sguardi su di me, di tanto in tanto, mi sbirciano attraverso lo specchietto retrovisore. Io guardo fuori dal finestrino.

A casa Angel mi corre incontro, pazza di gioia, so che non vede l'ora di dirmi a modo suo quanto gli sono mancato ma, non appena percepisce il mio umore, il suo entusiasmo scema e si limita a darmi dei colpetti affettuosi col naso, a leccarmi le mani, quasi volesse guarire le ferite sui miei polsi.

Angel, quelle non sono niente. Sono solo superficiali. 

Vado in camera mia, e lei mi segue. Va bene, non mi dà fastidio. Mi siedo sul letto, lasciandole poggiare il muso sulle mie gambe.

I miei genitori mi osservano dall'uscio della porta. So che mi staranno appiccicati, d'ora in poi. Non li allontanerò, perché non voglio che si sentano in colpa. Non è assolutamente colpa loro. Sono delle persone meravigliose e so che mi amano. Mi dispiace di averli delusi, di aver spezzato loro il cuore. Non voglio deluderli un'altra volta. Non se lo meritano.

Ma non voglio neanche essere qua, né in un altro posto. Semplicemente vorrei... non esistere.

~~~

- Come stai?

Alzo lo sguardo, incrociando gli occhi della psicologa. Mi studia come se fossi un animale selvatico.

Come sto? Non provo più niente da quel giorno. Vuoto. Grigio. Non ho lacrime né parole. Sono stanco.

Resto in silenzio. Non voglio parlare, ma anche se volessi non saprei cosa dire.

- Non me lo vuoi dire? Va bene. C'è qualcosa di cui vorresti parlare? - chiede gentilmente. Lei, il mio fisioterapista, lo zio Rei, i miei genitori... tutti mi trattano come un oggetto fragile. Il problema è che sono già in pezzi. Ho bisogno che qualcuno mi rimetta insieme, non che cerchi di non distruggermi ulteriormente.

Scuoto la testa. In verità, ci sono tante cose che potrei dire.

Quando sono stato adottato, non parlavo. Come adesso. Avevo paura. Ma non riesco a ricordare di cosa. I miei ricordi sono sfocati.

Abbasso lo sguardo sulle mie cicatrici. Sono orrende. Un dettaglio in più che odio.

Non lo so, forse sono nato con questo odio per me stesso. Non me lo ricordo. O l'ho assorbito? È possibile assorbire l'odio degli altri?

M'infilo la giacca per nasconderle e per annunciare che me ne vado. La psicologa ripone i fogli e la penna che teneva sulle gambe sul tavolo accanto alla sua poltrona e mi sorride con compassione.

- Va bene. Quando ti sentirai pronto a parlare, io sono qui. Ciao, Misha, buona giornata.

Le faccio un cenno col capo ed esco, dal suo studio e poi dall'edificio. I miei genitori mi aspettano in macchina.

- Hai fatto in fretta, tesoro - osserva mio padre, in apprensione.

Tiro fuori il cellulare e apro i memo.

Non voglio più andarci.

- Perché no? - chiede papà, accarezzandomi i capelli.

Perché non voglio parlare. Non voglio parlare delle cose che mi fanno male. Non con lei. Né con nessuno. Se non ne parlo, posso fingere che non sia successo. Che i miei ricordi sfocati non siano ricordi.

Scuoto la testa, prima di iniziare a piangere. Come posso pensare di fingere che non sia successo, se questo dolore continua a consumarmi?

- Shh, tesoro - dice immediatamente mio padre, abbracciandomi. - Va tutto bene. Non devi andarci, se non vuoi.

~~~

È sera. I miei genitori sono andati a dormire, dopo avermi augurato la buonanotte. Io spero di addormentarmi presto. In questi giorni dormo tantissimo. Dormo per non pensare, e perché non ho nulla da fare. Non tornerò a scuola per un bel po'.

Odo dei passi. Qualcuno si siede sul bordo del mio letto.

- Ehi, piccolo.

È mio padre. Mi giro verso di lui per comunicargli che sono sveglio.

- So che non ti va di parlare... ma spero non ti dispiaccia ascoltare.

Non lo so... dipende da cosa mi vuol dire.

- Probabilmente vorresti restare da solo, lo so. Ma, tesoro, non riesco a lasciarti solo. Non una seconda volta. Non come tutte le volte che avevi bisogno di me e papà e non sapevi come dircelo.

Allunga una mano e la posa sul mio viso, facendomi una carezza traboccante di tenerezza.

Chiudo gli occhi. E mi addormento.

~~~

Ogni sera, dopo che papà è andato a letto, mio padre viene in camera mia a parlarmi. Io non gli rispondo mai, ma le sue parole penetrano lo stesso nella mia anima sanguinante.

Non è colpa tua.

Ti voglio bene.

Non vuoi essere qui, vero? Ma ti prego, resta per me e papà.

Sei la nostra gioia, piccolo. 

Sei così forte.

Sei al sicuro, adesso. 

Anche stasera, come sempre, è qui. E io voglio andare avanti. Non per me, ma per loro.

- Papà - bisbiglio. È passato così tanto tempo dall'ultima volta che ho pronunciato questa parola. Credo di aver dimenticato il suono della mia voce. - Ti voglio bene...

Mi abbraccia, piangendo.

- Oh tesoro, anch'io ti voglio bene. Papà ed io ti vogliamo un bene dell'anima.

Nascondo il volto nel suo petto. Mi sento così piccolo.

Gli racconto tutto. Tutto ciò che riesco. Del perché. Di come mi sento, sebbene mi manchino le parole. Non è facile. Però lo faccio. Lo faccio, lottando con lacrime e singhiozzi che m'interrompono, con la paura che i miei problemi e i miei sentimenti vengano sminuiti.

Papà mi ascolta, tenendomi avvolto tra le sue braccia forti e rassicuranti. Le sue braccia che mi tengono insieme.

- Sei così coraggioso e forte, sei un guerriero - dice, cullandomi. È buffo, perché da piccolo mi piaceva fare la parte della principessa e lui era il mio guerriero.

- Pa', no, non è vero - ribatto, singhiozzando. - Sono un disastro, un disastro...

Ma lui ripete che sono un guerriero, e io cedo, taccio e mi lascio coccolare, sia fisicamente sia dalle sue dolci parole.

Gli prometto che andrò avanti. È una promessa silenziosa, ma la manterrò.

-

Note dell'autrice:
buon pomeriggio, pasticcini. Forse avrei dovuto avvertirvi che anche questo capitolo sarebbe stato doloroso (per me lo è stato, almeno). Scusatemi. Domani non so se posterò, in quanto sarò a Milano con i miei amici. I prossimi capitoli saranno dedicati ai gemelli... e altro non aggiungo. Un abbraccio

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