capitolo 6



"You've got to believe in the poetry because everything else in your life will fail you.
Even yourself."


C'è qualcosa di maledettamente poetico nel trascrivere i propri pensieri sotto forma di un romanzo alle sette del mattino, seduta a gambe incrociate sulla veranda di uno sconosciuto. Questo era ciò che Victoria pensava mentre osservava gli uccellini cantare ai lati della laguna illuminata dalla calda luce dell'alba appena sorta, con una tazzina di caffé in una mano ed una sigaretta quasi finita nell'altra.

Prendeva ogni tiro assaporando il fumo che sapeva la stesse uccidendo piano piano. Quando ci rifletteva sapeva di avere il controllo sulla sua morte, e provava un singolare sollievo.

Era sempre stata, o almeno, sin da quando ne aveva memoria, un'assidua frequentatrice della biblioteca dell'isola, luogo magnifico dove aveva la possibilità di scrivere centinaia di storie brevi riguardanti gli eventi della sua vita sotto un gazebo e senza che nessuno la disturbasse.
Aveva sempre tenuto quest'abitudine segreta, eccetto che a sua madre.

I kook che la ragazza si era sempre ritrovata a frequentare erano tutti degli adulti in miniatura che trovavano piacere nel parlare di faccende che non li riguardavano tanto nel presente quanto una decina di anni più in là. Lèggevano saggi ed articoli di politica, ma mai che spuntasse fuori qualche frivolezza come domande sul senso della vita e qualsiasi cosa che fosse di stampo filosofico.

Consideravano tutto ciò che fosse oltre la bolla costruitogli attorno come effimero, non rendendosi conto che conoscere il proprio futuro a sedici anni è una trappola fatta di aspettative allontanate con continue superficialità.
Non che Victoria fosse una paladina della giustizia, ma aveva sempre guardato il mondo con occhio più critico, come le aveva insegnato la madre.

Josephine era stata una donna estremamente indecifrabile. Non si riusciva mai a percepire quello che stesse pensando o se ciò che diceva fosse effettivamente vero o frutto di una maschera che portava agli eventi sociali.
Il legame speciale che aveva con Victoria era dato dal fatto che quest'ultima, essendo l'ultimogenita, non era desiderata, e Nick McClair non aveva mai neanche provato a nasconderlo.

Quindi la bambina sentiva un profondo attaccamento alla madre, che considerava la sua migliore amica. Passavano tanto di quel tempo insieme da essere entrate in simbiosi.
Josephine, da attenta osservatrice quale era, aveva insegnato all'altra gli aspetti nascosti dietro la bella facciata che caratterizzava la loro piccola società. E così, le due donne vestite di bianco tramavano la conquista del mondo dietro le tende dei saloni con un calice di champagne ed uno di succo di frutta.

La donna viveva effettivamente in un mondo creato dalla sua testa, costituito da psicofarmaci e poesie abbozzate su tovaglioli di stoffa, ma la figlia la ammirava terribilmente, vivendo anch'essa con la leggerezza di non pensare alla prigione di un futuro già scritto.

Victoria sospirò. Le si stringeva il cuore ogni volta che la mente tornava a pensare alla sua dolce mamma, e come le fosse stata strappata via troppo presto. Era ingiusto.
Ed Atlas e Naomi non soffrivano quanto lei. Erano ipocriti nel credere di poter capire ciò che stesse provando da ormai un mese a quella parte.
Oh, quanto era inebriante la consapevolezza di avere un modo per scappare dal dolore.

Una figura le prese posto accanto, tirando fuori dal taschino della camicia cartine tabacco e filtri, canticchiando mentre teneva uno di questi in bocca, e non prestando alcuna attenzione alla sua presenza. Accese il drum avvicinandosi alle sue labbra e facendone toccare la punta con quella della sigaretta già accesa.

"C'è qualcosa che ti passa per la testa di cui Sarah è preoccupata. Sta soffrendo." disse John B con tono risoluto, poggiando la testa sullo schienale e guardandola di sbieco, cercando di andare oltre quell'aria di superiorità che la caratterizzava.

"Sarebbe gradito che voi sconosciuti la smetteste di giudicare quello che faccio." rispose la kook mostrando la volontà di sfidarlo, controllando l'orario sullo schermo del telefono per verificare che non si fosse fatto troppo tardi.

"Hai ragione, colpa mia. Ma io so cosa si prova a perdere un genitore, e ti assicuro che ci sono altri mille modi di affrontare il dolore che non comportano per forza farsi di acidi." rispose con tono stranamente dolce il ragazzo, prendendo un tiro ed osservando l'orizzonte quasi a chiedersi se non avesse torto e stesse soltanto provando ad aggirare il problema.

La storia della scomparsa in mare di Big John era stato, insieme alla morte di Josephine, il caso con più risonanza mediatica negli ultimi dieci anni di noiosa tranquillità.
Un uomo scomparso in mare durante una mattinata di mare piatto? Qualcosa non andava. Ma quando, sei mesi dopo, nessuna notizia uscì fuori, venne dichiarato ufficialmente deceduto, generando mormorii di sorpresa tra i pogues che lo conoscevano come un bizzarro pescatore.

Victoria quindi conosceva il ragazzo per sentito dire, sapeva di come avesse agito sconsideratamente finendo dietro le sbarre un paio di notti autunnali.
Ma continuava a credere fermamente che le due situazioni fossero diverse, nonostante fosse segretamente grata del supporto evidentemente di cuore.

"È stata una volta sola! Cristo. Sto bene, ho sempre passato serate ad ubriacarmi random, sei un adolescente anche tu, dovresti saperlo. Sono stufa delle paternali." ribatté quindi alzandosi e resistendo alla tentazione di gridare a pieni polmoni di quanto fosse stanca di sentirsi ripetere come la colpa di tutto fosse la sua.

Se gli altri soffrivano a vederla giù di morale non era di certo una responsabilità che la riguardava in qualche modo. Non riusciva a vedere questa smania altrui di proteggerla come qualcosa che le avrebbe mai giovato, voleva solo essere lasciata in pace. Scrivere le sue memorie e gettarle da uno strapiombo insieme alla sua anima.
Ci pensava spesso. Ma non voleva morire davvero.



Figure Eight aveva un non so che di intimidatorio anche per i kook stessi. Aleggiava in qualsiasi angolo un'aria di soldi sporchi ed abiti firmati che sembravano scrutare chiunque dall'alto in basso.
Victoria ci mise più del solito a rientrare a casa, a causa del freddo lancinante che colpiva lo spazio tra il maglione troppo corto ed i pantaloni a vita troppo bassa che le mozzava il respiro, e quando al suo arrivo trovò un maestoso silenzio che la avvolse con dolcezza, sorrise.

"Dove sei stata stanotte?". La voce di Nick McClair risuonò per la cucina, rivelando la sua figura in vestaglia e ciabatte, uniforme che ridicolizzò in qualche modo la sua autorità, senza però rendere il tono di voce meno fermo di quanto fosse.

"Con Sarah, ho dimenticato di avvisare. Ma non devi fingere che la mia presenza o assenza qui ti importi, non preoccuparti." sbadigliò distrattamente la ragazza, poco sorpresa dal finto interessamento del genitore riguardo ad i suoi vari vagabondaggi notturni.

Aveva sempre tentato di essere un buon padre, questo era da riconoscerglielo, ma non ci era mai riuscito effettivamente. Era ben capace di imporre regole e comprare articoli costosi, il problema si presentava quando doveva far rispettare le parole mandate al vento e donare un minimo di affetto ai figli.
Victoria non ricordava di aver mai ricevuto un abbraccio, una pacca sulla spalla o un bacio sulla testa da lui.

Inoltre, da quando la moglie era venuta a mancare, nonostante l'avesse tradita copiosamente e l'amore vero per lei fosse scemato anni addietro, qualcosa sembrava essersi spento nell'affascinante uomo di affari. Naomi l'aveva beccato a piangere sul balcone della sua camera, qualche sera dopo lo straziante evento. Forse per la consapevolezza che se fosse stato un marito dignitoso la donna avrebbe avuto un motivo per non gettarsi dalla scogliera? Nessuno lo seppe mai con certezza.

"Non rispondermi più in questo modo, non sono tuo fratello. Se a diciassette anni pensi di poterti comportare come se non vivessi sotto il mio tetto stai sbagliando strada Victoria- asserì con sicurezza passandosi una mano tra i capelli biondi- E non pensare di saltare scuola solo perché stanotte non hai dormito, ho sborsato una smisurata quantità di soldi per quest'accademia."

L'adolescente alzò gli occhi al cielo, ma sotto sotto era estremamente felice della ramanzina. Significava che forse avesse iniziato a preoccuparsi della sua incolumità lasciandosi alle spalle tutti gli anni di incoraggiamenti forzati e sorrisi falsamente fieri.

Atlas le passò accanto sbattendole contro senza scusarsi, gesto che apparve come un chiaro modo per attirarne l'attenzione senza tradire la drastica guerra sancita. I due erano senza dubbio sempre stati i più orgogliosi della famiglia, ci volevano sempre giorni interi di silenzi prima di arrivare ad una tregua, e stavolta la faccenda era più seria del solito.



Essendo Victoria una ragazza intelligente, non aveva mai avuto gravi problemi in ambito scolastico. Era sempre stata interessata alle materie che faceva e le piaceva la consapevolezza del potere che le dava l'assimilazione di tutte quelle conoscenze. Sapeva che per muoversi autonomamente nel mondo bisognava essere sempre un gradino sopra agli altri, e la cosa le era sempre riuscita.
Fino a quando i suoi voti calarono drasticamente in poche settimane, quell'inverno.

Perse completamente la voglia di fare qualsiasi cosa che andasse oltre gli argomenti di suo interesse, che rimasero la filosofia, la letteratura, e le equazioni trigonometriche del corso avanzato di matematica.
I professori comprendevano perfettamente lo stato mentale della studentessa, ma se avesse continuato per un paio di mesi con quell'andamento, probabilmente non sarebbe riuscita a passare all'anno successivo.

Ma l'adolescente sembrava essere completamente a proprio agio riguardo quella situazione, tanto che decise di saltare la prima ora di lezione per rifugiarsi nel bagno del primo piano a sonnecchiare sul termosifone.
Infilò una mano nella borsa sperando di trovare un accendino dimenticato, ma la sua attenzione si soffermò su una piccola bustina di plastica, contenente una minuscola pillola azzurra.

Riconosceva bene quell'aspetto invitante. Probabilmente era stato un pensiero da parte di Èlias, e gli fu estremamente grata in quell'istante.
Non rifletté neanche un attimo prima di ingerirla. Rimase con tranquillità ad aspettare gli effetti, sola, in un bagno silenzioso che aspettava invano di sentire i suoi rimorsi.




premetto che questi capitoli sono quasi puramente introduttivi come potete vedere dalla carenza di dialoghi!! credo sia molto importante conoscere il contesto senza buttare lì una storia di dipendenze, credo sarebbe parecchio irrispettoso.
vvb se leggete votate e lasciate commentini (i lettori silenziosi mi stanno antipatici)!
-ali

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