capitolo 4
"but it's just something we have no control over, and that's what destiny is"
La veranda, illuminata unicamente dal chiarore della luna, pullulava di ragazzini in camicie di lino e polo sgualcite, intenti a parlare del nulla insieme a qualcuno di insignificante.
Era questo che Victoria vedeva ovunque, occhi spenti ed espressioni stanche intrappolate in corpi mossi unicamente per inerzia.
Sentiva di essere trascinata per un braccio, spingeva nel tentativo di stare al passo, ma non era concentrata su quello che accadeva nel mondo reale.
Ciò che aveva creato la sua mente era un labirinto di colori accesi che si mescolavano nel tentativo di farle perdere il senno.
Ma sarebbe rimasta seduta in quel punto della stanza, sul parquet laminato di una tonalità di noce uguale ad altre centinaia di migliaia di pavimenti, fino a quando i colori sarebbero svaniti ed il suo viso fosse diventato colmo di rughe.
Se ne sarebbe accorta dando un'occhiata in giro, in quanto tutto sarebbe tornato del solito grigio spento.
Si accorse di non essere più in mezzo al caos della festa solo per la luce bianca della lampada di una camera da letto che le oscurò la visuale all'improvviso, facendola sentire come al centro della collisione tra due pianeti.
"Non accetto più comportamenti del genere da parte tua. Non puoi andare in giro ad ucciderti piano piano e pensare che nessuno ti fermerà.
Tu sei così...così-
Atlas girava per la stanza gesticolando nervosamente ed urlandole addosso tanto fomentato dalla rabbia com'era, pur sapendo che il suo interlocutore non gli stesse prestando alcuna attenzione.
Non riuscì neanche a completare il discorso.
Era terrorizzato.
Terrorizzato dalla consapevolezza che la vita della sorellina gli stesse scivolando lentamente tra le dita.
Sapeva che quel tunnel aveva un'unica uscita, e mentre lui era intento a scavarne una ulteriore, Victoria la ritappava.
"Non mi rovinare il trip." concluse lei con nonchalance, alzandosi dal letto dove non si ricordava di essersi seduta ed uscendo dalla fredda stanza.
Il ragazzo rimase impietrito, con le nocche strette che stavano lentamente diventando bianche ed una bruttissima sensazione nello stomaco.
Victoria si aggirava per i corridoi tastando le pareti, cercando di verificare che non vi ci si potesse cadere all'interno, e sentendosi una mosca nel guardare gli adolescenti muoversi così pigramente da sembrare rallentati.
Si imbatté in qualcuno, una figura imponente con indosso una camicia azzurra di un materiale decisamente pregiato, che per evitare di farla cadere la trattenne per un braccio facendole tintinnare i braccialetti argento, ormai arrugginiti e rovinati dal tempo.
"Rafe!" strillò lei avvinghiandoglisi al collo, per poi prendergli il viso e lasciargli un veloce bacio a stampo.
Successe tutto così velocemente che il ragazzo rimase boccheggiante sul posto, con le luci soffuse e colorate sparate dall'alto che gli passavano velocemente sul viso.
Appena un bagliore le illuminò gli occhi, lui capì subito il perché di tanta euforia.
"Adesso penso sia meglio andare a casa piccola combina guai- le disse sistemandole il vestito e prendendole dolcemente una mano- Se sai che tuo fratello non approva queste cose, perché le fai sempre quando c'è anche lui?"
Fu come se la domanda l'avesse posta a sé stesso, in quanto Victoria era concentrata nel cercare di rimanere sveglia e non cadere in un sogno popolato di creature sovrannaturali che stavano per prendere possesso della sua mente.
Sentiva la bocca secca, vedeva ciò che non poteva toccare e sentiva il respiro più veloce del battito, sintomo che la fece sentire pericolosamente vicina al bordo di un precipizio.
Il viaggio in macchina fu silenzioso, alla radio passava musica classica, i classici generalmente riprodotti nelle sale di attesa, ed il cielo era troppo buio per i gusti di Rafe, che iniziava ad avere difficoltà nel tenere gli occhi aperti.
La camera dell'adolescente era un'accurata rappresentazione della sua personalità.
Poster di film riguardanti soggetti psicologicamente instabili attaccati sulle pareti e scarpette distrutte legate alla buona su chiodi destinati a cadere.
I libri sovrapposti l'uno sull'altro per creare un paio di pile occupavano un angolo della stanza.
La considerava la sua libreria della vita.
Lo aveva sentito da qualche parte, probabilmente da un personaggio di un film di cui era appassionata durante la preadolescenza, e quello che sembrava un gesto insignificante le aveva dato un motivo per restare quando le cose si erano fatte un po' troppo ardue da digerire.
Il pensiero di dover finire quelle pile di romanzi ingialliti le aveva dato un motivo per invecchiare.
Il ragazzo la aiutò ad infilarsi il pigiama, probabilmente troppo leggero per quel periodo dell'anno, e le rimboccò con cura il piumone, prestando attenzione nel ficcarlo tra gli angoli del letto.
Rimase seduto sul bordo del materasso, aspettando di essere sicuro che il respiro di lei si regolarizzasse prima di lasciarla sola nel buio della notte ormai inoltrata.
Gli piaceva quella parvenza di innocenza che appariva sul suo viso quando si addormentava, tanto era dolce il modo in cui alzava gli angoli della bocca e tanto erano angelici seppur chiusi gli occhi da cerbiatto che possedeva.
Indietreggiò pericolosamente quando rifletté su ciò che gli stava passando per la testa in quel momento delicato.
Victoria McClair non era il prototipo di ragazza di cui ci si vorrebbe innamorare.
Quando entri nel circolo vizioso sei consapevole che se ne uscirai, lo farai ferito mortalmente, e non c'è possibilità di scampo per nessuno.
Perché lei era tanto misteriosa quanto folle, ma non lo siamo un po' tutti in fondo?
Al risveglio, la testa le pulsava come mai nella sua vita.
Sentiva ancora qualche voce di sottofondo che non le dava pace, ma il peggio era sapere di essere tornata nel terrificante mondo reale che le faceva così paura.
Si guardò allo specchio appeso al muro e tentò di sistemare alla buona quell'aspetto da signora di mezza età in riabilitazione dato dai ciuffi di capelli sbarazzini e le occhiaie che sembravano toccare il pavimento.
Atlas era in cucina, seduto sull'isola con una ciotola di avanzi che aveva probabilmente trascinato a casa con sé dalla sera precedente, e dall'espressione corrucciata non sembrava estremamente di buon umore.
Quando si accorse della sua presenza posò con violenza la ciotola nel lavabo, schizzando fino al pavimento il quantitativo di acqua che era rimasto dai piatti lavati la mattina.
"Scusami." sussurrò lei con gli occhi lucidi ed un peso nello stomaco dato dal crescente imbarazzo che provava.
Ricordava più o meno ciò che era successo.
"Scusami?" le domandò lui ironicamente, alzandosi da dov'era e fermandosi a pochi centimetri dal suo viso.
"Cosa vuoi che ti dica?"
"Non mi importa ciò che dici. So che non te ne importa niente e domani ti vedrò probabilmente con una bustina di cocaina nella borsa, non mi basta uno scusami Victoria."
"Non capisco perché te ne importi così tanto. Lasciami respirare un po' per favore, vivi la tua vita e fammi vivere la mia." rispose la bionda, riscaldandosi a seguito delle accuse taglienti.
Atlas sbuffò e chiuse gli occhi, nel tentativo di reprimere uno scatto di rabbia che avrebbe inevitabilmente scatenato un pesante litigio, evento che avrebbe volentieri evitato.
"Sono tuo fratello. Sei la persona a cui tengo di più al mondo, perché è così difficile rendertene conto?"
Una lacrima rigò il viso della ragazza.
"Non sto bene Atlas, e lo sai."
"Era anche mia madre Victoria!- urlò lui gesticolando furiosamente- Non sei l'unica che soffre, e sono mesi che ti comporti da egoista ignorando il fatto che anche io e Naomi stiamo passando attraverso la stessa cosa. Pensavo fossi più matura, ma evidentemente non è così. Non spenderò altro tempo a preoccuparmi per te, ho chiuso con il fare da genitore a qualcuno che non ha nessuna intenzione di ascoltare. Smetti di mangiare e finisci in mezzo ad una strada, a me non importa più."
Usò tutto il fiato che aveva in corpo per tentare di esternare ciò che si era tenuto dentro per qualche settimana di troppo, e, senza neanche guardarla in viso o aspettare una risposta, prese la giacca ed uscì, lasciando piena di silenzi una stanza troppo grande per essere vuota.
Victoria aveva sempre trovato qualcosa di particolarmente affascinante nel guardare il tramonto dal ponte che varcava il confine tra il Cut e Figure Eight.
In quel preciso punto poteva godere del riflesso del sole sulla laguna, che cambiava tonalità di arancione man mano che i minuti passavano, e si poteva notare con chiarezza la luna che iniziava a prendere posto facendosi più appariscente.
Trovava meraviglioso parlare di qualsiasi cosa riguardasse il cielo ed i migliaia di universi che esistevano oltre al suo.
Qualche anno prima il solo immaginare di essere così piccola ed insignificante rispetto a tutto il resto le avrebbe provocato difficoltà respiratorie, ma con tutta la valanga di dolore che le si era scaricata addosso in così poco tempo, aveva imparato a convivere con la consapevolezza che a nessuno sarebbe mai importato dei suoi errori e dei suoi traguardi, se non a sé stessa.
E le piaceva questa visione del mondo.
Quindi aveva iniziato a contare le stelle che riusciva a distinguere, cercare le costellazioni ed acquistare oggetti usati che avevano già vissuto la vita di qualcun altro.
Ciò la faceva sentire meno egoista.
Oh, perché era sicura da molto tempo che il discorso di Atlas sarebbe arrivato prima o poi.
Victoria non era di certo una ragazza poco sveglia.
Si sentiva amata dai fratelli, così come lei teneva a loro più di chiunque altro, e sapeva che vederla legarsi lentamente un cappio al collo gli stava causando atroci sofferenze, ma tentava di chiudere gli occhi e passarvi oltre.
Questa volta, però, il maggiore le aveva tolto la benda e l'aveva costretta a guardare.
Il rumore stridente di una sgommata la ridestò dai suoi pensieri insidiosi.
JJ Maybank, che per qualche coincidenza si era trovato a percorrere quella strada in quel preciso istante, si era sfilato il casco ed aveva abbassato gli occhiali da sole sul naso per osservare chi gli si fosse parato davanti in quel freddo pomeriggio di gennaio.
"McClair! Sono spiacevolmente sorpreso di trovarti qui. E poi, credevo passassi il tuo tempo ad ingoiare pillole dai Cameron a quanto ho sentito." asserì lui con tono sarcastico, avvicinandosi con passo leggero al corpo della bionda.
"Non è giornata Maybank." ribatté lei stizzita, tirando fuori una sigaretta tra le cinque che le erano rimaste nel pacchetto.
"Oh mi perdoni principessa, allora sarà per un'altra volta." rispose, riaccendendo la moto e procedendo verso la sua abitazione, con un groppo in gola sapendo cosa lo aspettava.
Non gli era mai piaciuto tornare a casa, ma sapeva che non fosse possibile scappare per sempre.
Quando entrò ebbe una sensazione di vuoto nello stomaco.
Il tavolo nella sala da pranzo era, come al solito, pieno di bottiglie di alcolici vuoti, pacchetti di sigarette semivuoti e qualche moneta sparsa tra questi.
Vide il padre disteso sul divano con gli occhi chiusi ed una birra tra le mani, alle cinque del pomeriggio.
Tirò un sospiro di sollievo.
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