capitolo 3


"And while our blood's still young
It's so young, it runs
And won't stop 'til it's over"


Victoria ricordava bene l'ultima volta in cui aveva provato la tanto bramata sensazione di appagamento chiamata felicità.

Felicità.
Che parola importante.

Era un pomeriggio di primavera, quando le giornate sono più lunghe di quelle invernali ma ancora non abbastanza per sentire l'estate vicina.

Quando le notti iniziano a diventare più calde rispetto a quelle primaverili, ma ancora non abbastanza per accendere il condizionatore, ed i negozietti sulle coste cominciano ad attirare i clienti grazie ai materassini a forma di animali di colori sgargianti, che nascondono buchi tappati alla buona con pezzi di scotch.

Quando si inizia a sentire la leggera brezza che sfiora il viso e porta quel dolce profumo di mare che avvolge e costringe anche i più desolati a sorridere di fronte alla speranza riposta nei mesi estivi di un prossimo futuro più roseo.

Il sole stava iniziando a calare, ma la spiaggia era ancora colma di teli colorati e bambini sorridenti senza pensieri che si divertivano come matti a rincorrere e scappare dalle onde.

Victoria stava iniziando a notare il suo colorito farsi più scuro di quello invernale ed il segno del costume farsi un minimo evidente.
I capelli partecipavano a quest'esplosione di vita passando dall'essere di un noioso castano chiaro ad un biondo cenere, che faceva risaltare i malinconici occhi cerulei dell'adolescente.

Sentiva un forte dolore all'addome, quel dolore piacevole dato dalle risate fatte di gusto.

Amava il contatto fisico.
Amava gli abbracci ed i baci e il tenersi la mano mentre si camminava vicini.
Aveva abbracciato le sue amiche una dozzina di volte quel giorno.
Quando era particolarmente felice le piaceva mostrarlo apertamente a tutti.

La sua testa era libera da qualsiasi pensiero che non comprendesse l'assolo di fine anno ed il ricordarsi di comprare un vestito per la festa del giorno successivo.
Erano ore che girava una ciocca di capelli intorno al dito pensando e ripensando a quale colore avrebbe fatto notare agli altri la nascente abbronzatura.

Il dolce profumo di primavera le inebriava le narici.
È noto, come l'olfatto aiuti a riportare le più remote memorie alla luce, ed a Victoria quel sentore di gelsomino, crema solare e cioccolato in cui intingere le fragole più rosse del cestino ricordava un periodo particolarmente felice della sua vita.

Era tremendamente serena.
Sentiva quella sensazione di tranquillità che si prova durante il dolce far niente, quei piccoli attimi di totale spensieratezza che fanno pregare di rimanere giovani per sempre.

Ecco, questa sensazione non l'aveva più sentita da allora.
Da quel pomeriggio di fine aprile nessun sentimento così forte l'aveva avvolta e fatta sentire al sicuro.

Ed è difficile svegliarsi tutte le mattine con la consapevolezza di vedere il tempo scorrere davanti ai propri occhi, sentendosi come un osservatore della propria vita che aspetta sul sedile del passeggero che la giornata finisca e ne ricominci un'altra esattamente uguale alla precedente.



Victoria spese quaranta interminabili minuti per scegliere il giusto ombretto tra le diverse tonalità di blu che possedeva, bruciando metà del tempo a sua disposizione nel canticchiare qualche canzone degli Oasis nella sua cameretta illuminata da una calda luce gialla.

Ed essendo soddisfatta di ciò che si era spalmata sul viso, si apprestò a prendere la macchina e dirigersi verso l'indirizzo datole dal ragazzo francese, Élias.

Lui era agitato.
Quel tipo di agitazione che si ha quando appena trasferiti si inizia a fare i conti con le prime impressioni.
Le mani gli sudavano freddo ed aveva avuto difficoltà ad allacciare la zip del jeans per via della tremarella incessante.

Quando vide la bionda parcheggiare sotto la sua abitazione temporanea, rimase attonito.
Il suo candore, che avrebbe dovuto contrastare con l'abito scuro che indossava, la portava a somigliare ad un angelo.
Uno di quegli angeli che si vedono sullo sfondo dei dipinti rinascimentali, con un'aria di innocenza tale da incantare qualsiasi osservatore.

Victoria sapeva di essere bella.
Non era una di quelle adolescenti che fingono di non essere a conoscenza delle proprie qualità, enfatizzando i propri difetti in pubblico per ricevere attenzioni.
Che comunque, lei ricercava in qualsiasi altro modo.

Le piaceva essere guardata.
Le piacevano gli occhi che le venivano puntati addosso anche quando usciva malvestita per adocchiare il suo viso perfettamente simmetrico.

E lei ci sapeva fare.
Sapeva sempre come comportarsi, come sbattere le ciglia, dove mettere le mani e che risposte dare quando parlava con uomini di qualsiasi età.
Era un caratteristica ereditata da suo padre.

"Stai...bene." mormorò lui grattandosi la nuca ed accennando un sorriso.

"E tu sembra ti sia appena svegliato- rispose lei ridacchiando, passandogli una mano tra i capelli per dargli un minimo di movimento, per poi risalire in auto e fargli segno di seguirla- Scusami se ti faccio scappare così ma vorrei riuscire ad arrivare prima che Shoupe faccia sgomberare."

"Shoupe?"

"Vedrai..." gli disse lei, sorridendo allo specchietto, togliendo un filo di matita eccessiva dalla palpebra.



Quando hai diciassette anni e fai parte dei kook, la tua vita è già tutta programmata.
La strada verso il tuo futuro è già stata spianata grazie ai soldi di papà, e non c'è possibilità di scelta.

A Victoria questo concetto stava molto stretto, ma quando varcava la soglia delle immacolate ville di Figure Eight per entrare in un mondo nascosto composto da soldi arrotolati e bustine che girano, i suoi pensieri si fermavano, e si limitava a seguire il flusso.

"Non credo di aver mai visto una casa così grande prima d'ora." constatò Élias, estasiato dalle colonne ioniche piazzate in mezzo al salone accanto al tavolo degli alcolici.

La bionda ridacchiò, prendendolo per una delle mani dalle dita affusolate e trascinandolo all'interno di una rete di persone che si stringeva man mano che il volume della musica aumentava.

Sembravano conoscerla tutti.
Chiunque la vedesse si soffermava a stringerla nelle spalle o lanciarle un saluto con la testa.
Inizialmente per il francese sembrava inspiegabile, ma guardando meglio il suo viso, e la confidenza con cui gli aveva stretto il palmo, pensò di avere davanti a sé una personalità particolare.

Lei buttò giù due shot di tequila in un nano secondo, per poi passare a lui un drink di provenienza sconosciuta in un bicchiere di plastica rossa.

Victoria lo vide sfilare dalla tasca del cappotto una bustina trasparente contenente una serie di pillole colorate, per poi tirarne fuori una e poggiarla sulla lingua, ingoiandola grazie ad un sorso del gin tonic.
Seguì attentamente con lo sguardo qualunque movimento il ragazzo facesse.

Non aveva mai provato qualcosa che andasse oltre uno spinello, era perfettamente consapevole di non avere il controllo su sé stessa, e non aveva mai avuto la reale intenzione di toccare il fondo.
Le bastava la sensazione di distacco dalla realtà che le dava la tanto temuta "marijuana", come la definiva Atlas.

Ma in quel momento, l'unico pensiero che le passava per la testa era di prendere una di quelle dannate pillole.
Una volta sola.
Solo per provare la sensazione.

Cercava disperatamente un solo secondo di tranquillità nella sua testa, un singolo attimo in cui sarebbe riuscita ad uscire dall'acqua e prendere un respiro, per poi ritornare ad affogare.

Tentò di sovrastare la musica chiaramente di un volume troppo alto per chiedergliene una, ma senza risultato, quindi indicò le pasticche facendogli intendere di voler provare.

"Andiamo in un posto più appartato." le disse in un orecchio, sfiorandole la punta con le labbra semiumide.

Si spostarono dietro un corridoio lungo quanto un'abitazione per quattro nel Cut, e lui ridusse la distanza tra i due, prendendo una pillola in mano e facendola rotolare tra le dita.

"Non mi piace essere il guastafeste di turno, non è proprio il mio lavoro, ma credo di doverti mettere in guardia. Ho iniziato con una di queste, e mi sono rovinato la vita."

Sospirò sonoramente dopo l'ultima frase.
Sembrava profondamente deluso da sé stesso, i lati della bocca erano inarcati verso il basso e non era riuscito a mantenere il contatto visivo con la ragazza.
E sembrava che la pasticca non gli avesse fatto alcun effetto.

"Conosco i rischi, dammela e basta. Non vorrai davvero rovinarmi la festa..." sussurrò Victoria, accarezzando il colletto della camicia che indossava ed avvicinandolo lentamente a sé.

Se solo Élias avesse saputo a cosa quest'evento avrebbe portato, non le avrebbe mai dato la pasticca.
Avrebbe cambiato discorso, le avrebbe allungato un altro drink e la serata si sarebbe conclusa con un bacio sotto il portone di casa sua.

Invece, rimase ammaliato dal tono supplicante, e pensò di avere davanti a sé qualcuno capace di comprendere le conseguenze delle proprie azioni.
Lei sembrava così piena di risposte da non poterlo biasimare.

"Se la vuoi, vieni a prenderla." disse il ragazzo con le gote arrossate dalla temperatura che sembrava essersi improvvisamente alzata, posizionando l'allucinogeno sulla sua lingua e poggiando la mano sinistra dietro la nuca di lei, annullando la distanza tra i due volti.

Victoria aveva a lungo definito quel bacio come uno dei più belli della sua vita.
Lui ci sapeva fare, senza dubbio.

La particolare attenzione con cui aveva permesso alle due lingue di sfiorarsi indicava una certa esperienza in quel campo.
Così come la cura nel non lasciar strisciare subito le mani verso il basso, mantenendole ad una certa altezza di sicurezza per non creare disagio.

I battiti di entrambi erano accelerati, ed i respiri si erano mescolati tanto da far assumere alle labbra dei due lo stesso sapore.

Lui tentò di spostare una mano al di sotto delle spalline del vestito, e ci sarebbe riuscito con successo, se lei non lo avesse allontanato, mettendogli un dito sul mento.

"Perché non mi fa effetto?" chiese con un luccichio negli occhi, ansimando.

"Sono passati cinque minuti, aspetta un altro po'." le rispose, cercando di riavvicinarla nuovamente, ma venendo respinto un'altra volta quando lei lo prese per una mano e lo trascinò all'interno del salone.

Baci ed ancora ed ancora baci.
Corpi sudati ammassati fino a creare una bolla asfissiante in cui era diventato difficile anche solo prendere una boccata d'aria.

E poi, nell'attimo infinito compreso tra un secondo e quello successivo, l'inizio del viaggio.

Wow.
Wow.

Il mondo si capovolse a testa in giù.
Victoria sentiva di poter ascoltare i colori e vedere i suoni.

Il rumore assordante della musica le pareva un tintinnio di due ciondoli stremati di sbattere l'uno contro l'altro in continuazione.
I visi delle persone intorno a lei iniziarono ad allungarsi per creare maschere di cera piangenti per il troppo calore che le portava a sciogliersi.

Wow.

Improvvisamente Élias era diventato la persona più bella del mondo e sentiva di volerlo baciare per sempre e desiderava intrecciarsi a lui per creare un'infinita armonia perfetta.

Ed il bianco delle pareti diventò panna densa che iniziò a girare su sé stessa per creare un buco nero che avrebbe risucchiato lei come tutti presenti nella stanza e nel mondo intero.
Il soffitto iniziò ad abbassarsi, Vittoria sentì il respiro mancare ed il battito accelerare e le guance farsi così rosse da rischiare di bruciarsi.

Corse fuori dall'abitazione cercando di prendere fiato e le sembrò di essere la protagonista girata di spalle di un dipinto di Magritte.
Un po' come quei personaggi senza volto dei cartoni per adulti che cercano di dare una risposta alle domande sul senso dell'esistenza.

La luce dei lampioni sembrava il sole di mezzogiorno così come gli alberi sembravano delle palme così come il grigio dell'asfalto poteva trasformarsi nel giallo sporco della sabbia di una spiaggia spagnola.

E lei poteva ballare in mezzo a queste strade con i capelli dispersi nel vento e girare girare girare finché il mondo non avrebbe smesso di farlo.

Le ombre si allungavano come uomini furibondi che cercavano di andare di fretta senza però riuscire a staccare i piedi da terra.

Si stese sulla prima striscia libera di prato che trovò, lanciando le scarpe da qualche parte ed ammirando le stelle che adesso le sembravano tante piccole lucine pronte a spegnersi quando lei lo avesse chiesto.

Poi qualcuno oscurò la sua visuale.

"Victoria?" chiese una voce familiare.

Atlas era fuori di sé.

"Hai le pupille come due ventose. Stai scherzando? Acidi? Siamo passati agli acidi adesso?" le urlò in faccia.

Non ricevendo risposta, la riportò all'interno, data la bassa temperatura e le sue spalle scoperte.
Victoria non vide la lacrima che gli solcò il viso, così come non sapeva che lui fosse consapevole quello fosse solo l'inizio della fine.

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