capitolo 15
"But I'm so scared of my guitar
'Cause it cuts right through to the heart
Yeah, it knows me too well so I got no excuse"
luglio 2008
"Guarda che onda!" gridò ridacchiando tra la corrente un bambino dai capelli biondi, socchiudendo gli occhi nel mettersi di fronte al sole violento della mattina. Scese dalla tavola sulla quale era seduto per calare la testa sott'acqua, in modo da evitare la massa che stava arrivandogli incontro. Una risata arrivò da poco lontano, rivelando una seconda figura. Un altro ragazzino, sempre sui sei anni, a bocca aperta indicava la riva, su cui ormai era rimasta solo bianca schiuma. "La prossima volta proviamo a prenderla." commentò quest'ultimo annuendo a sé stesso. "Sì! Avrei preso anche questa se non ce ne fossimo accorti così tardi- commentò il biondino ammiccandogli, nuotando verso la costa- Ma ora devo tornare a casa o la mamma andrà di nuovo su tutte le furie."
Elaine Maybank non era mai stata pronta, né adatta, a diventare madre. La dolce peste dagli occhi azzurri era stato uno stupido sbaglio da parte di due tossicodipendenti poco zelanti riguardo le precauzioni, innamorati si, ma mai desiderosi di prole. E dire lei ci aveva provato, a donare amore, seppur da parte sua non ne riuscisse a provare. Non sentì mai l'attaccamento verso il figlio, né da neonato, né quando crebbe e sviluppò una personalità piuttosto difficile da gestire. Per cui si espanse all'interno di sé una sorta di disgusto nei suoi confronti, che cercò di non incanalare sull'interessato, buttandosi dunque nuovamente su un territorio ostile, quello degli alcolici.
Il dramma si acuì quando l'altro genitore iniziò ad accusare il peso di un'esistenza a lui troppo stretta, e seguendo i passi della moglie tornò a lasciare bottiglie sul tavolo, lì dove si sarebbe dovuto lasciare il posto per infantili gingilli. Fu questione di poco, e casa Maybank si trasformò in una buia e profonda spirale di soprusi perpetuati verso la moglie fisicamente, e verso il piccolo verbalmente. Com'era spaventato nel vedere la mamma sbattuta contro i muri, sapendo di non poter reagire, e non capendo realmente ciò che gli accadesse intorno. Dopo i brutti episodi Elaine era solita trascinarlo via dal complesso di grida, per prendere un gelato e guardare il mare, sognando un posto sicuro e lontano da quell'orrida realtà.
Big John frenò l'auto di fronte la cadente abitazione dell'amico del figlio, guardandolo con occhio d'apprensione per cercare di percepire una qualche richiesta di aiuto. Conosceva parte della situazione attraverso i racconti narrati sotto le coperte, ma non sapeva come comportarsi se non tenendo il bambino lontano dal luogo il più possibile. "A domani John B, grazie Big J!" saltellò via, lasciando la tavola accanto l'ingresso mentre la vettura si allontanava. Si ripulì dalla sabbia rimastogli addosso, entrando poi di soppiatto in casa. Un sinistro silenzio vegliava, che lo mise immediatamente in allarme. "Mamma! Lo sai che stavo per prendere un'onda gigante oggi?" gridò al vuoto nel tentativo di richiamare l'attenzione della donna, prendendo una macchinina dalla camera nel mentre.
Un inquietante passeggiare frenò immediatamente la smania di JJ, rivelando allo stipite della porta Luke, il padre, in tutta la sua stazza e con la solita, ineluttabile, birra in una mano. "Vuoi la mamma eh? Le vuoi bene vero? Beh ragazzino, sappi che quella troia se ne è andata. Ha fatto una valigia e ha deciso di andarsene, lasciandomi qui incatenato con te per sempre." concluse lanciando brutalmente la bottiglia contro il pavimento, frantumandola. Il bambino strabuzzò gli occhi, dopo averli stretti per il forte fragore dell'impatto, riflettendo sulle parole dell'uomo. Si alzò per seguirlo.
"Papà! Papà aspetta cosa intendi? Dov'è la mamma?" chiese ciancicando. In risposta, una spalla gli venne afferrata con fermezza. "Tua madre se ne è andata, via dall'isola, per colpa tua. Se non ci fossi tu sarebbe ancora tutto come prima, ci hai rovinato la vita." sbraitò Luke, mollando la presa tanto di prepotenza da spingere il ragazzino sul suolo. Suolo, sul quale erano sparsi pezzi di vetro che gli si insinuarono sotto la pelle, causando una rapida fuoriuscita di sangue caldo. Tentando di reprimere le lacrime di dolore, JJ aprì la porta e corse via, senza replicare. Corse per l'unico tragitto dell'isola che conosceva a memoria, quello verso casa dei Routledge.
Quando l'adulto lo vide con le mani sanguinanti, lo prese immediatamente in braccio per portarlo all'interno e disinfettare le ferite. Domandò reiteratamente cosa fosse successo ma senza ottenere alcuna risposta, il bambino giaceva in un tale stato di shock da non riuscire a proferire parola. Il padre non aveva mai azzardato sfogarsi fisicamente nei suoi confronti, rendendosi conto di avere effettivamente un marmocchio di un metro e venti di fronte; si limitava ad urlargli addosso parole d'odio. Per lo meno, fino a quel pomeriggio.
Lo meritava? Elaine era fuggita a causa del troppo impegno che lui richiedeva? Per questo non lo aveva portato con sé?
La sua realtà da lì in poi si sarebbe concretizzata in sbraitate e sommaria mancanza di amore? Che poi, di amore, non ne aveva sentito mai.
𖠃
C'è un certo impulso all'interno di ogni uomo, indipendentemente dall'età che possiede, che ossessivo gli ricorda dell'esistenza di un piccolo sé all'interno dell'inconscio, giudicante. Ciò che ognuno tenta di realizzare alla fine sono i remoti desideri di un bambino che guarda le stelle sperando di diventare qualcuno, no? Motivo per cui, quando qualsiasi concezione relativa al proprio futuro inizia a sgretolarsi, il dolore che si avverte è sempre un po' più violento degli altri.
La ragione per cui Victoria ne uscì tanto ferita dalle parole dell'altro era esattamente il risveglio istantaneo della creatura dagli occhi azzurri, da cui percepiva forte delusione.
Era convinta di aver sentito una premonizione riguardo ciò che le sarebbe spettato a qualche anno da allora. Oh, di certo non si era mai fatta strane idee dopo la riabilitazione. Sapeva che avendo distrutto il sogno della danza la vita non avesse più tanto altro da offrirle, quindi non riponeva più grandi aspettative per sé stessa. Ma sentirlo dire ad alta voce aveva tutto un altro effetto. E prendendo il coltello dalla parte del manico durante la discussione sapeva benissimo di aver colpito nel punto più amaro anche dall'altra parte.
"Victoria ma ti rendi conto della gravità di quello che hai fatto? Sei forse andata completamente fuori di testa? Forse si è anche rotto una costola a causa della tua disumanità. Non ho parole, davvero. Certe volte non ti riconosco." sbottò Sarah con le mani tra i capelli, girando stizzita intorno ad un tavolo. Aveva le gote arrossate, data la rabbia e la fretta in cui aveva assimilato diverse informazioni tutte insieme. Victoria sbuffò, alzando gli occhi al cielo mentre batteva nervosamente un piede a terra, guardando l'altra dal basso verso l'alto. "Mi ha provocata. Ha detto cose davvero orribili sul mio conto e mi sono vendicata, fine della storia. Se imparasse a stare zitto eviterebbe guai." asserì.
La bionda strabuzzò gli occhi, sconvolta. "Ma ti ascolti davvero quando parli? La violenza non è mai una risposta, mai! Gesù, non so che ti succeda stasera ma forse è meglio che torni a casa a schiarirti le idee, prima di causare altri guai. Ed aspetta, prima vai a chiedere scusa, chiaramente." L'adolescente seduta ridacchiò di gusto. "Ma non ci penso nemmeno, che si scusi lui." borbottò. "Se non ti alzi immediatamente dico ad Atlas che ti sei scolata tre calici di champagne. Non credo ne sarebbe felice.". Victoria sbattè il calice sul tavolo e lasciò la veranda a passo svelto, sussurrando imprecazioni verso l'amica, il ragazzo, e Dio solo sa cos'altro.
JJ stringeva i denti ad occhi chiusi, sibilando dal dolore mentre Kiara disinfettava i tagli sulla pelle calda. Appena sentirono i passi pesanti ed appositamente marcati, dato il fragore esagerato per i tacchi bassi che la ragazza indossava, alzarono subito lo sguardo, in allerta. Il biondo sorrise beffardo. "Ti precedo, nessuno vuole le tue scuse principessina del cazzo, torna pure dagli animali che frequenti." disse. Victoria prese un gran respiro. "Non sono venuta a scusarmi. Hai colpe anche tu e comunque ti avrebbero malmenato lo stesso, con o senza il mio aiuto. Smetti di fare la vittima che frigna di fronte agli amichetti e prenditi le tue responsabilità" sentenziò incrociando le braccia, aspettando una degna risposta.
Kiara inarcò le sopracciglia. "Basta così. Siete entrambi due teste troppo calde per poter avere alcun tipo di contatto. Buono a sapersi, cercheremo di evitarli in futuro. E Victoria, sappiamo tutti e tre quanto tu sia mortificata, scuse accettate." concluse, lasciando intendere il desiderio di non ricevere repliche. I due la accontentarono, finendo per guardarsi in cagnesco senza proferire parola. Si alzarono dopo cinque minuti, raggiungendo in silenzio il gazebo principale. La kook prese la strada verso la famiglia, girandosi soltanto un secondo, per osservare chi si lasciava alle spalle. L'espressione dolorante sul viso malconcio del ragazzo biondo le fece improvvisamente, senza alcun preavviso, arrivare una coltellata nel petto.
Era diventata questo? Un concentrato di rabbia e frustrazione che avrebbe sfogato su chi se la passava peggio di lei? Un conato di vomito le salì in gola, costringendola a correre in bagno. Rigettò qualunque cosa avesse in corpo, e con ciò la negatività che si portava dentro. Rimase seduta sul candido pavimento per cinque minuti silenziosi, con una mano a reggerle la fronte. Si riprese dallo stato di sonnolenza soltanto quando sentì bussare alla porta dietro di sé. "Hai deciso di ucciderti nel cesso di un bagno stavolta? Non so, fossi in te cercherei modi un po' più chic." disse seria una voce maschile, ridacchiando sul finale. A lei sembrò cadere un peso dal petto.
"Che ci fai qui? Dico davvero. Sono stata una merda, stasera in particolare ma anche generalmente parlando. Io non ti piaccio e tu non mi piaci, quindi, che cazzo ci fai qui fuori?" chiese rendendo il tono sempre più aggressivo, graffiante tra le lacrime. JJ sospirò, poggiandosi anch'egli per terra, poggiando la schiena alla porta. "Non lo so. È che forse dispiace anche a me. Anche tu sei in cerca di disperato aiuto e non ci ho pensato due volte prima di affossarti. Perché non stabiliamo una tregua tra questa faida inutile che va avanti da anni? E non te ne uscire con stronzate varie, lo sai anche tu che se parlassimo civilmente per quindici secondi troveremmo qualcosa di cui parlare."
Victoria rise. "Sei uno stronzo." mormorò, sbloccando la serratura. Il biondo annuì sospirando. "E comunque io con te non ci parlo. Non mi piaci, ed io non piaccio a te- ripeté lei scuotendo la testa e cambiando tono, alzandosi in piedi per sciacquarsi la bocca ed il viso nel lavandino, riprendendo lentamente colorito- Smetti di cercare di far nascere qualcosa che non nascerà mai." Affermò ciò definitiva, in modo grave, causando riso genuino da parte di lui. "Ferma ferma ferma. Hai un ego smisurato cara principessina. Non c'è niente da parte mia verso di te, non sei il mio tipo. Solo qualcuno del tuo rango potrebbe reggere una ragazzina spocchiosa come te. Un paio di occhi azzurri non ti rendono Adriana Lima, McClair. Il mio era semplicemente un civile tentativo di rendere le due vite più semplici, e di aprirti una strada verso qualche persona nuova, visto che in questo periodo sembrano scarseggiare quelle intorno a te, non credi?" disse lui beffardo, mentre i due passeggiavano verso l'ingresso.
Lei deglutì. Lo guardò nuovamente con uno sguardo colmo di disprezzo. "Ripeto, sei uno stronzo. Ed io non ho bisogno né di te, né dei tuoi stupidi amici. Vedrai." sussurrò torva, segretamente ferita dalle parole taglienti del ragazzo. Lo lasciò solo, scivolando via inviperita, raggiungendo sorella e fratello. "Vic!...Che è successo? Hai una faccia..." commentò Naomi, ridacchiando. Victoria alzò gli occhi al cielo. "Non è il momento Mimi. Andiamo a casa, odio questo posto." sbuffò la più piccola, accendendosi una sigaretta. Il fratello si girò a guardarla, stropicciandosi un occhio con la mano. "Cazzo ma devi fumare adesso? Sta arrivando papà." si lamentò. "Non scassare Atlas." borbottò lei in risposta.
"Mio Dio! Riuscirete mai a stare insieme senza battibeccare!" commentò la più grande. "Parla Miss ultima parola." Il silenzio tra i tre calò, dopo l'ultima considerazione, che placò gli animi riportando una leggera tranquillità. Nick si diresse verso loro con passo lento, evidentemente intento a rimuginare su qualcosa. Atlas e Victoria si scambiarono immediatamente uno sguardo. "Papà è tutto ok?" domandò lui. L'uomo sembrò ridestarsi improvvisamente dai suoi pensieri, facendo un sussulto. "Oh! Si, si certo va tutto bene, non vi trovavo e mi sono preoccupato un attimo. Victoria mi dai una sigaretta?" Quest'ultima fece una smorfia, inarcando le sopracciglia, aspettandosi in alternativa una ramanzina. I fratelli osservarono la scena con un'espressione semi sdegnata.
Gliela porse insieme all'accendino, e la famiglia tornò in silenzio verso l'auto. Victoria si torturava le unghie, rimuginando ancora sulle parole colme di astio scambiate con JJ, pensando a come effettivamente nel periodo precedente ed immediatamente successivo alla riabilitazione avesse allontanato pressappoco tutte le amicizie costruite nel corso dell'adolescenza. Poggiò la testa sulla spalla della sorella maggiore, socchiudendo gli occhi nel sentire una pulsante fitta dal petto, dato l'acuto dolore consapevole di essere stata lei stessa l'artefice di ogni suo male.
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