capitolo 14






"This dream isn't feeling sweet
We're reeling through the midnight streets
And I've never felt more alone
!!!It feels so scary getting old!!!"







Un sorriso mesto si stagliava sul volto di Victoria McClair quella sera d'estate, colmo di ricordi e languida nostalgia. Nostalgia. Crudele sentimento che designa un desiderio malinconico nei confronti del passato, del futuro, ed in generale di ciò che è lontano, ma che non dona forse un senso all'esistenza? Nutrendosi delle reminiscenze che plasmano il vissuto umano, non lo definisce come umano plasmando l'identità propria di ogni individuo? Dimenticare dunque, può essere definito un passo falso?

Pur consapevole delle premesse, Victoria avrebbe tanto desiderato dimenticare. Lasciarsi alle spalle tormenti ed afflizioni che continuavano a tormentarla senza sosta. Prese un piacevole ultimo tiro prima di buttare ciò che rimaneva della sigaretta dal balcone, rientrando nella stanza caldamente illuminata dalla luce del tramonto. Prima notte di mezza estate senza Josephine. Fu una giornata particolarmente difficile per la famiglia McClair, costretta ad ignorare l'atroce inganno creato dal fato che proiettava l'ombra della donna ridente, la quale si aggirava per casa spuntando fugace dietro gli angoli con i capelli scuri semi raccolti e fiori bianchi tra le mani.

Dimenticarla avrebbe permesso all'adolescente di riuscire a smettere di immaginare quei bordi sfocati, ancora peggiori di una riproduzione fedele, perché sintomo della crudezza del tempo.
I festeggiamenti che si sarebbero svolti quella notte avrebbero fatto risalire a galla ulteriori sgradevoli esperienze legate ai ricordi, rendendo l'occasione aspettata trepidantemente per lungo tempo un'immane tortura. Tentò di persuadere i fratelli a non presentarsi, mettendo l'accento sulla moltitudine di kook invadenti che avrebbero preso parte alla cerimonia, con gli occhi da avvoltoi puntati sui quattro membri della facoltosa famiglia rimasti.

Non ci fu niente da fare, comunque. La giovane fu costretta controvoglia ad indossare il candido vestito, prendere i gioielli di famiglia dalla cassaforte e sistemare roselline nell'acconciatura, sentendo i commenti sussurrati sulla sua riabilitazione ancora prima di uscire di casa.

Il tempo di chiudere la porta della camera per mettere piede in corridoio e venne bloccata da Atlas, che la placcò tenendole un braccio. "So che sarà difficile, stiamo vicini e passerà in fretta." mormorò. Alzando lo sguardo, Victoria si accorse del suo viso arrossato e degli occhi vitrei che nascondevano una serie di lacrime spese in silenzio. Si avvolsero in un abbraccio e lei sentì la spalla bagnarsi. "Oh Vic mi manca così tanto. Davvero tanto ed è tutta la mattina che provo a non pensarci ma torna sempre lì. Odiava così tanto questa festa perché si credeva tanto diversa, ma non lo era cazzo, non lo era." lamentò tra i singhiozzi. La ragazza lo strinse forte a sé.

Il luogo era allestito in modo tale da ricordare un giardino del secolo precedente piuttosto vasto, esageratamente, data l'esigua quantità di persone alla quale era stato riservato l'invito. Sconvolgente era l'assortimento di cibo posizionato su lunghe tavolate ai lati del perimetro, la cui metà sarebbe stata gettata prima della fine della serata. Consuetudine, per chi non era toccato dalla questione della fame nel resto del pianeta. Naomi McClair ed il fratello battibeccavano insistentemente, creando un fastidioso mormorio di sottofondo, cercando di decidere chi dei due avrebbe meritato di entrare per primo a fianco del padre. Quest'ultimo cercava un contatto con la figlia più piccola dalla mattina, che non sembrava propensa ad un confronto.

I due non parlavano da quella sera di maggio, se non per brevi scambi di circostanza. Lei non riusciva ad accettare l'assoluta assenza del genitore mentre si trovava nel bivio tra la vita e la morte, lui non aveva il coraggio di rivelare la verità. "Vorrei che Victoria entrasse vicino a me." proruppe all'improvviso l'uomo, zittendo la conversazione e facendo calare un silenzio generale. La più grande ed il ragazzo girarono la testa verso la sorella, che inarcò le sopracciglia e lo trascinò in uno stanzino. "Come ti permetti anche solo di domandarmelo? Non mi parli da due mesi, e non c'eri quando ero sull'orlo della morte, morte papà. Non ho alcun rispetto per te, e non ti umilierò standoti accanto." gli sputò in viso.

Nick si incupì. "Mi dispiace. Per non essere stato un padre e per non essere riuscito ad affrontarti quando avrei dovuto. Mi dispiace anche per la mamma. Davvero. Sono passato a trovarti quasi tutte le notti quando eri laggiù, ma non sarei mai riuscito a guardarti in faccia, sofferente com'eri anche per causa mia. Non so se riuscirai mai a perdonarmi, ma credo che renderebbe la vita di entrambi un po' più semplice se riuscissimo ad instaurare un rapporto, non lo pensi anche tu?" disse, con voce sorprendentemente ferma. Victoria alzò lo sguardo con il labbro inferiore tremolante e sfiorò con le dita una guancia del padre. "È troppo tardi. Troppo dolore."

L'ingresso della famiglia andò esattamente come questa si aspettava. Finti sguardi di approvazione formavano le maschere portate dagli individui loscamente coperti da abiti suntuosi, che anelavano ardentemente il potere in mano ad i quattro sfilanti. Potere, ricchezza, possibilità. È davvero questo ciò che conta quando ci si affaccia al mondo degli adulti? La domanda perseguitava, attanagliava la più piccola dei McClair, vedendo i volti affamati di chi la osservava. Sorrise solo alla vista dei pogues, straordinariamente vestiti di tutto punto, ma che continuavano a stridere con l'eleganza intorno a loro. Potevano essere definiti come abitanti di un minuscolo paese clandestino nascosto all'interno dell'isola, composto di discorsi assolutamente futili e birre scolate fino alle prime luci del mattino. Un paese proprio di libertà.

"Sei davvero molto carina stasera. Mi ricordi tanto tua madre vestita così, soprattutto per l'espressione strafottente. Sembrava sempre delusa da tutta questa fastosità." rivelò una voce maschile, adulta, che spuntò dalle sue spalle. Ward Cameron le rivolse un'espressione calorosa, accarezzandole un braccio. "Tutti parlano qui, mi giudicano e giudicano lei di conseguenza. Non che non me lo aspettassi eh, ma non credono sia stato già abbastanza difficile per me superare quella cazzo di dipendenza?" proruppe Victoria, prendendo un bicchiere di champagne da un vassoio. "Hai ragione. Completamente. Ma sai come funziona, le apparenze prima del resto. Josephine ha sempre cercato di combattere questa sentenza e guarda com'è andata...Sii forte." suggerì lui.

Il sangue di lei si raggelò improvvisamente. Non era esattamente ciò che si aspettava di sentire, quindi sorrise, annuì e si alzò per dileguarsi in un posto più appartato. Aveva davvero ragione l'uomo? Combattere dogmi imposti da secoli avrebbe portato alla follia, alla morte? Per qualche secondo le mancò il respiro, comprendendo per la prima volta che l'isola fosse molto più marcia di quanto pensasse.

Cercò qualche volto familiare con lo sguardo tenendosi una mano sul cuore a causa del battito in accelerazione, captando per sua fortuna il volto di Sarah, che danzava sorridente facendo svolazzare il vestito rosa pesca. Avvertì una punta di gelosia scorgendo come Kiara cercasse contatto fisico con l'altra, portandole a stringersi e scambiare smorfie divertite. Riuscì ad attirare la loro attenzione facendo intuire il desiderio di raggiungerle quando prima. Tuttavia, prima di socializzare, comprese il bisogno fisico di mettere in corpo qualsiasi cosa potesse tranquillizzarla, quindi gli ansiolitici che si era ben curata di portare.

Entrò nella villa per cercare dell'acqua e del silenzio, e mentre buttava giù una pillola grazie ad una bottiglia lì dimenticata, ondeggiando a ritmo della melodia che sentiva provenire dall'esterno, una figura irriconoscibile a primo impatto si fiondò dietro il tavolo cui si era appoggiata. E chi mai sarebbe potuto essere, se non JJ Maybank? Il ciuffo biondo spuntò dalla tovaglia, permettendole di scorgere un volto sofferente. Alla vista di evidenti contusioni sul labbro e sullo zigomo lei sussultò, inarcando le sopracciglia in evidente confusione. Ad ogni modo, l'arrivo improvviso di tre ragazzi in giacca e cravatta le permise di collegare i puntini sospesi.

"Vic! Sei splendida. Davvero splendida- mormorò Rafe quasi rimasto stordito dall'eterea apparizione davanti a sé- Hai visto mica qualcuno passare di qui? Abbiamo un paio di conti in sospeso, se capisci ciò che intendo." Lei scosse la testa sbuffando. "Cielo, non ho visto nessuno, ma non siete forse un po' grandi per continuare a perpetuare questi scontri da bambini?" Nessuno rispose alle comprensibili accuse, Topper Thornton si limitò a scrollare le spalle. "Comunque sia, mi piacerebbe berci un bicchiere di champagne dopo, mi raggiungi in veranda?" La ragazza annuì, aspettando che i tre se ne andassero prima di prendere l'altro per un braccio e trascinarlo sul retro.

"Che sia chiaro, non accadrà mai più. Ti ho coperto soltanto perché sono sconcertata dalla violenza che ha usato sul tuo viso. Non credevo fosse capace di tanta aggressività, più tardi stai sicuro che gli farò tornare la testa apposto." borbottò sdegnata, accendendosi una sigaretta. Lo guardò. Erano così diversi da rendere quasi comica la situazione. Lei, tanto elegante e spigliata quanto grigia e sfiduciata, attraeva per quell'aria esoterica, incomprensibile, che permetteva di contraddistinguerla. JJ, dall'altra parte, sembrava essere un libro aperto. Uno dei tanti adolescenti sventati che in quanto ad ambiente familiare non avevano trovato fortuna.
Piazzati uno di fronte all'altro, veniva quasi spontaneo l'impulso di prenderli e portarli in contesti a loro adatti.

"Non è stato Rafe. È un bastardo ma non diamogli colpe che non ha." mormorò lui squadrandola, incantato. Il vestito beige a contatto con la pelle abbronzata creava un'armonia tanto graziosa da provare sincero piacere nell'osservarla. "Chi è stato allora? Non dirmi che ti sei messo in qualche strano affare." disse con sufficienza, facendo intendere che non ne sarebbe rimasta sorpresa. JJ la guardò con un certo dispiacere nello sguardo, mortificato dalla scarsa considerazione che evidentemente la ragazza disponeva nei suoi confronti. "Non è importante chi sia stato. Potresti provare ad essere meno aspra comunque, sono sicuro che se ti impegnassi ad essere un tantino più affabile potresti anche piacere a chi ti sta intorno." suggerì, scontroso. Inizialmente sentì l'impulso di rivelarle che a lasciargli quei colpi era in realtà stato qualcuno che possedeva il suo stesso cognome, ma dopo l'osservazione di lei comprese che forse era ancora troppo bambina sotto certi punti di vista per comprendere la gravità del concetto di violenza sotto un tetto, quindi lo tenne per sé.

"Oh Dio, perdonami, davvero. Non credevo che la sincerità potesse urtare tanto i tuoi fragili sentimenti. Davvero pensi di poter avere un futuro diverso da quello del resto dei tuoi predecessori? Metti piede nel mondo reale Maybank." asserì profondamente infastidita, espirando l'ultimo tiro. Il biondo rimase interdetto. Una sorta di concreta ripugnanza verso Victoria aveva appena iniziato a pervaderlo, rendendogli le nocche bianche e le labbra tremule. "Lo vedi? È questo il tuo problema. Parli tanto degli altri con questa cazzo di aria di superiorità senza riflettere sul fatto che la prima a cadere nel baratro sei e sarai per sempre tu. Quest'anno hai avuto solo un assaggio di ciò che ti accadrà in futuro, quando la bolla accogliente che ti avvolge si farà così stretta da soffocarti. Potresti cercare di scoppiarla, certo, ma sei tanto abituata a vivere nelle grazie degli altri che non ci proverai nemmeno a fare uno sforzo, cedendo ancora una volta a tutte quelle droghe che ti hanno bruciato il cervello." le sbraitò contro.

Victoria gli tirò uno schiaffo sulla guancia sinistra con una violenza tale da lasciargli un segno visibile da lontano. Aveva gli occhi lucidi ed il volto arrossato, specificatamente sulle guance, che creavano un quadro piuttosto patetico legati alla piega mossa ormai rovinatosi. Gli afferrò il colletto della camicia dopo aver preso rapidamente il telefono dalla borsa che teneva poggiata sul davanzale. "Rafe? Ho trovato Maybank, è sul retro, immagino stessi cercando lui. Fai con calma, lo tengo d'occhio." comunicò compiaciuta, trattenendo a stento le lacrime di rabbia.

"Hai ragione, probabilmente tornerò ad essere una drogata sciagurata che stenta a sopravvivere, ma per lo meno io avrò la possibilità di esserlo in un'abitazione da milioni di dollari, consolandomi con l'abbiente ed affascinante partner che avrò sposato, organizzando un viaggio di disintossicazione in una qualche meta tropicale. Tu invece? La risposta la ho io, tranquillo. Rimarrai un bastardo miserabile nello stesso buco in cui vivi adesso, non riuscendo a spezzare il ciclo e tornando ubriaco alle dieci di mattina spaventando i marmocchi verso cui proverai una tale pena da non riuscire a contrastare la sofferenza, incanalandola in ulteriori birre. Ho proprio ragione vero JJ? E non ti sprecare a frignare adesso, aspetta che arrivino i miei amichetti a sistemare ciò che hai rotto. Oh, e per favore, pensami quando sentirai i tagli pulsare e quando ti inizierà a mancare il respiro, ne sarei felice." sostenne asettica, senza alcun principio di angoscia o percezione di sentimento. Lo lasciò andare, e da una serra in disparte osservò l'ingiustizia che veniva protratta grazie alla sua noncuranza, bevendo un bicchiere di champagne mentre sentiva amare lacrime sgorgare sul viso.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top