capitolo 10
"Choose life... But why would I want to do a thing like that? I chose not to choose life. I chose somethin' else. And the reasons? There are no reasons."
tw: dca
Victoria non ricordava di preciso il momento in cui sentire la fame era diventato qualcosa di appagante. Semplicemente, era riuscita a sviluppare la singolare abilità di riuscire a saziarsi alla vista del cibo mangiato da qualcun altro, dividendo in parti minuscole i pochi grammi che aveva riservato per sé. Era tutto partito con il maniacale desiderio di controllo che aveva per tutte le cose, sfociando poi in qualcosa di più grande ed infido.
A quindici anni pesava quasi quanto una piuma. Nonostante la ragazza fosse stata particolarmente meticolosa nel nascondere il cibo che buttava e le braccia esili grazie ad un vestiario di qualche taglia superiore alla sua, logicamente la famiglia si era accorta della situazione. Era un pomeriggio di maggio, quando Josephine entrò nella cameretta della figlia e la riconobbe a stento. Victoria non avrebbe mai dimenticato l'istante in cui la madre si era portata una mano davanti alla bocca e l'aveva guardata con un terrore cieco negli occhi. Da quel giorno aveva iniziato un estenuante percorso terapeutico in un centro di cura, conclusosi con la ripresa dei chili di troppo perduti e la consapevolezza di essere diventata eccezionalmente brava a mentire anche a sé stessa.
Non era guarita. In generale, guarire da un disturbo dell'alimentazione è qualcosa che appare come utopistico a chiunque ne soffra, e Victoria era perfettamente convinta che non si sarebbe mai liberata dei pensieri nocivi legati ad un piatto di pasta. Ma era diventata più brava a nasconderlo. Era chiaro che perdere troppo peso tutto insieme avrebbe reso evidente la condizione mentale in cui giaceva, quindi iniziò a controllare con precisione anche i singoli grammi sulla bilancia che precipitavano ancora troppo in fretta.
Aveva imparato a confondere gli altri parlando in continuazione durante i pasti e sminuzzando il contenuto dei piatti in parti sempre più piccole. Sapeva che non avrebbe mai più avuto la gioia di assaporare una pizza al tramonto per via degli inevitabili sensi di colpa che sarebbero tornati a galla, quindi tanto valeva essere come desiderava. E non è difficile prendere qualcuno come esempio quando si frequenta un ambiente competitivo come quello dell'accademia dove passava tutti i pomeriggi.
Negli anni aveva imparato a gestirlo, ma non era mai salita sopra il peso che si era prefissata. Ogni tanto perdeva qualcosa, riacquistando fino all'ultimo grammo quando captava gli sguardi indagatori del fratello a tavola, ed erano ormai passati quasi tre anni da quando aveva mangiato un dolce diverso da un quadrato di cioccolato fondente senza rigettarlo pochi minuti dopo. Forse, se qualcuno si fosse reso conto che questa situazione le stesse causando più sofferenza di quanto già provava, il desiderio di provare qualcosa che colmasse l'ennesimo vuoto che sentiva sarebbe stato affievolito.
Prima di assumere cocaina aveva ingerito per qualche tempo una serie di anfetamine, consapevole di come eliminassero l'appetito e rendessero la sua personalità più spigliata, facendola sentire finalmente meno insignificante rispetto a tutte quelle formiche che le passavano attorno durante il giorno. Poi era passata al livello successivo, dove dopo aver tirato una striscia diventava facile guardarsi allo specchio senza vedere l'orrido che la sua mente era solita proiettare. Si piaceva molto di più da quando sniffava.
Oh, di certo non aveva smesso dopo lo scambio di battute strappalacrime con il fratello, se fosse così facile non esisterebbero i tossicodipendenti. Èlias le regalava dosi in cambio di mille baci sul suo sofà rosso cremisi, dove passava molto tempo a crogiolarsi tra le braccia di colui che la stava aiutando nel suo lento percorso di autodistruzione, e Rafe cedeva con facilità con una mano posata nel punto giusto o qualche flirt portato avanti con naturalezza. Atlas era convinto di averla portata a trovare un equilibrio, ma non si fidava completamente, come era giusto che fosse. Si credeva più furbo di lei, facendole test tossicologici a sorpresa e frugando in punti nascosti degli armadi alla ricerca di qualche sinistra sorpresa, non capendo che Victoria fosse sempre e comunque un passo avanti a lui.
L'adolescente fissava il tacchino e la misera porzione di piselli sistemati dentro un contenitore di plastica da ormai cinque minuti, riflettendo su come la sua vita fosse costruita su privazioni sistemate una sopra l'altra, che iniziavano a schiacciarla sotto il loro peso diventato eccessivo. Èlias parlava ininterrottamente da quando si erano seduti, e nonostante Victoria non avesse ascoltato una singola sillaba uscita dalle sue labbra, osservava con cura il modo in cui gli occhi gli brillavano mentre le pronunciava. Era tremendamente affascinante quando si esprimeva su qualcosa a cui era particolarmente interessato, mordendosi il labbro inferiore alla parte del discorso più eccitante.
"Ci facciamo un buco?" chiese di getto lei, senza effettivamente riflettere sulle sue parole. Il ragazzo rischiò di strozzarsi con il pezzo di pollo che stava masticando, dandosi un paio di colpi sul petto per riprendere il controllo sul respiro. Impallidì.
"Sei forse impazzita? Credevo fossimo d'accordo sul fatto che l'eroina non si tocca."
Il punto era che a Victoria non bastava più la misera e breve eccitazione a cui si era ormai abituata. Si era abituata all'effetto che le dava la dose di cocaina, ma era così terrificante da realizzare che aveva deciso di accantonare quella preoccupazione per focalizzarsi sul nuovo desiderio.
Victoria era un'esempio lampante del fatto che i giovani si avvicinano molto raramente alla droga perché costretti da qualcuno. Inizialmente, soprattutto tra i ricchi ragazzi annoiati, è una cosa da sabato sera. Già, per noia, cominciano.
Poi, li porta a sentirsi così bene che diventa una cosa da venerdì, e da giovedì, fino a quando non si riesce più a liberarsi dal cappio stretto con le proprie mani. Tutti coloro che cominciano sono convinti di essere l'eccezione, lei stessa si ripeteva che non le sarebbe mai accaduto, eppure, era successo. Il problema principale della ragazza era il totale disinteresse verso sé stessa e la propria salute mentale e fisica, condizione che la portò allo sbaraglio senza neanche darle il tempo di accorgersene.
"Va bene, Gesù che noia. Ma ho bisogno di una dose oggi, stasera vengo da te." sbuffò lei, richiudendo il contenitore di plastica dura con il cibo quasi neanche sfiorato, sentendosi addosso uno sguardo penetrante pieno di giudizi contrastanti.
Èlias era stato dipendente dall'eroina, qualche tempo addietro. Non ne aveva mai realmente parlato con Victoria, considerato cercasse di dimenticare con tutto sé stesso quel periodo speso nei sobborghi parigini a rischiare la vita ogni giorno chiedendo soldi a vecchi viscidi corrotti da un bel viso. A quante volte avesse cercato di disintossicarsi senza successo, la debolezza di fronte a quel mostro che appariva tanto allettante la prima volta.
Il pollice di Victoria iniziò a sanguinare, portandola ad imprecare quando se ne accorse.
Aveva mordicchiato l'unghia smaltata di blu fino a quando si era consumata mostrando la carne, nel tempo passato a far tremare le ginocchia seduta a gambe incrociate sul sedile del guidatore. Guardava con disprezzo l'abitazione diroccata, circondata da uomini di mezza età spaparanzati su vecchie sedie sdraio, intenti a ridere di faccende probabilmente divertenti solo da ubriachi.
Si era davvero spinta a tanto? Comprare droga da uno spacciatore con i soldi diligentemente sfilati dal portafoglio del padre era un'immagine talmente lontana dalla sua realtà di pochi mesi prima da sembrare una follia febbrile. Ma era tutto reale. E la responsabilità ricadeva solo su di lei e la serie di azioni sconsiderate che aveva compiuto.
Scese dall'auto, sistemandosi i capelli davanti le orecchie nel tentativo di nascondere i costosi orecchini pendenti, nonostante chiunque l'avrebbe riconosciuta come kook anche con abiti meno appariscenti. Erano il trucco semi sbavato, il viso scarno e la costante agitazione a rendere palese il motivo della sua venuta nello Sprofondo. Fece un lungo respiro e si incamminò verso quel cerchio di leoni pronti a sbranarla con lo sguardo, come si aspettava. Quello che non si aspettava era di ricevere evidenti proposte in ambito sessuale, che la costrinsero ad aumentare il passo per evitare qualche crisi di frustrazione. Vide con la coda dell'occhio Luke Maybank, semi sdraiato, intento a tracannare una birra con tranquillità, mentre seguiva con lo sguardo il corpo della minorenne.
L'interno della casa era forse peggiore del cortile esterno. Era evidente che chi vi abitasse non fosse un pogue come gli altri, ma era comunque curioso vedere tutta quella gente radunata in un luogo dove la realtà da sobri non esisteva, in cui essere ubriachi o fatti alle cinque del pomeriggio era normalità. Gli sguardi dei presenti si spostarono sulla figura esile di Victoria appena varcò l'ingresso, stuzzicati dalla novità. Un ragazzo sulla ventina si districò dalla stretta di una bionda ossigenata, avvicinandosi alla kook con un sogghigno.
"Buonasera Country Club, come posso aiutarla?"
"Ciao Barry, sono Victoria, un'amica di Rafe, so che lui solitamente compra da te. Voglio un quartino di ero."
Il moro strabuzzò gli occhi, apparentemente sorpreso dalla schiettezza della kook presentatogli davanti.
"Quanti anni hai ragazzina?"
"Venti, hai quello che mi serve o no?" mentì spudoratamente lei senza scomporsi, abituata ad alzarsi sempre un po' l'età quando andava a comprare sigarette nella sua tabaccheria di fiducia.
Barry le fece segno con la testa di seguirlo in un'altra stanza, avendo forse captato la menzogna, ma senza darlo minimamente a vedere. Aprì l'anta di un armadio posto affianco ad un letto matrimoniale, tirandone fuori una busta contenente ciò che Victoria aveva chiesto.
Questa prese un paio di banconote dalla tasca della gonna di jeans, scambiandole con la dose che tanto aveva agognato nell'ultima settimana.
Se ne vergognava? Si. Aveva fatto i conti con la propria testa riguardo ciò che stava per fare? Certo che no.
Si assicurò che nessuno fosse in casa, prima di andare in cucina per tagliare a metà un limone e recuperare un laccio emostatico dal cassetto delle emergenze. Preparò tutto con una tranquillità paralizzante, del tutto consapevole del fatto che da lì a poco si sarebbe rovinata la vita per sempre. Il cuore sembrava voler scappare dalla gabbia all'interno della quale era rinchiuso, tanto batteva contro le sbarre. Sapeva che con un buco l'effetto della dose arrivava come una martellata, senza poterle dare neanche un secondo di tempo per riflettere sul prossimo passo verso la merda totale.
Salì in camera sua, richiudendo la porta nonostante fosse da sola, e posò davanti a sé l'armamentario, cucchiaio e limone dalla busta in cui li aveva infilati. Mise la roba sul cucchiaio e lasciò gocciolare sopra dell'acqua insieme al succo di limone, in modo tale da diluire la polvere, che sapeva non essere mai del tutto pura. Scaldò con l'accendino e aspirò con una siringa appena scartata, prima di sentire un rumore forte provenire dal piano di sotto.
Una sensazione di panico iniziò a diffondersi nella ragazza, che rimase impalata sul posto senza riuscire a muovere un muscolo, pensando per lo meno di nascondere le prove più evidenti.
La porta si spalancò un secondo dopo, rivelando la figura di un ragazzo in bermuda e canottiera nonostante la temperatura esterna non fosse già così torrida. Il biondo boccheggiò nel tentativo di riprendere fiato, togliendo la mano stretta attorno alla maniglia argento. Aveva sentito dal padre, tornato a casa qualche minuto prima, della ricca ragazzina tossica che si era avventurata nel Cut, accendendo la moto senza neanche rifletterci su.
"Per favore, non giudicarmi. Non lo sopporterei." sussurrò l'adolescente, più fragile che mai, posando sul comodino la siringa con le mani che tremavano tanto da rischiare di farla cadere. Era spaventata a morte da sé stessa e dalla sua incapacità di pensare razionalmente.
JJ sospirò, rilassando le braccia tese e scrollandosi di dosso la paura cieca che lo aveva pervaso appena entrato nella stanza. Non l'avrebbe mai più guardata allo stesso modo.
Si sedette accanto a lei, a bordo del letto, sul parquet caldo che dava una sensazione di sicurezza.
"Iniettarti quella roba è un punto di non ritorno, game over. Faresti prima a tagliarti le vene, e probabilmente soffriresti molto meno. Sono cresciuto in un ambiente circondato da sostanze di questo tipo, cocaina sul tavolo della cucina quando facevo colazione a sette anni. Ed è stato una bella merda. Non voglio dover assistere alla tua morte, Victoria. Farò qualsiasi cosa in mio potere per evitare di guardarti scomparire nel cesso di un bagno con troppi buchi in corpo."
L'aveva chiamata per nome.
La bionda iniziò a piangere istericamente, lanciando contro le pareti qualsiasi cosa le capitasse tra le mani, per poi fermarsi e, inaspettatamente, stringere le braccia attorno al busto del ragazzo. Questo rimase impietrito per un secondo, prima di ricambiare lo slancio di affetto. Quando si accorse di cosa fosse appena effettivamente accaduto, Victoria si ritrasse immediatamente, asciugandosi le lacrime con la manica della camicetta e tirando su con il naso.
"Prima cosa, che cazzo ci fai in casa mia? Allontanati subito e vedi di uscire in fretta prima che chiami la polizia, e, Maybank, se quello che è appena successo dovesse mai uscire da queste quattro mura sei morto, hai capito?"
JJ scosse la testa.
"Hai bisogno di aiuto. Ma deve partire da te, vuoi veramente buttare via la tua vita in questo modo? Hai tutto quello che si possa desiderare cazzo. I tuoi ti hanno regalato una vita perfetta senza che tu debba alzare un dito, sei bellissima ed intelligente e sveglia e senti la necessità di iniettarti eroina? Ti odio da morire, non ti meriti niente di tutto questo."
Victoria si alzò dal pavimento e tirò un ceffone in pieno viso al ragazzo nella stanza, già rosso a causa dell'euforia usata per criticare lei.
"Mia madre si è suicidata, stronzo. E l'ultima cosa che le ho detto è stata la dimostrazione di quanto fosse insignificante. Sei la madre peggiore che mi potesse capitare, le ho detto. Chi credi di essere per venire a giudicare la mia vita senza sapere niente di ciò che accade qui dentro eh? Vaffanculo. Esci da qui. Anzi, spiegami perché ti importa così tanto di me, perché ti do uno scoop, se a te accadesse qualcosa non piangerei." gridò lei con assoluta indignazione, puntandogli un dito sul petto fino a trascinarlo contro la parete.
"Credo tu abbia bisogno di essere ascoltata. E non ti sto aiutando perché sei in qualche modo speciale, ma perché avrei voluto che qualche anno fa qualcuno aiutasse me. Lo farei con chiunque altro, anche per Rafe Cameron probabilmente." rifletté JJ, gesticolando nel tentativo di spiegarsi in maniera migliore. Forse, provando a convincere anche sé stesso di non tenere in alcun modo a lei.
Victoria lo guardò intensamente, per poi scoppiare a ridere, mostrando con chiarezza l'arcata superiore, fino alle gengive, e posandosi una mano sul fianco per placare il dolore provocato dalle risa.
"Rafe? Non ci crederei neanche se lo vedessi."
"Ok, magari non Rafe, ma hai capito il concetto McClair, sforzati un po' dai." la provocò il ragazzo, tornando al solito tono spavaldo nel notare la riacquisizione di una certa tranquillità nella voce della kook. Ne era grato. Lei alzò gli occhi al cielo, facendo un'ultima risatina prima di uscire dalla camera piena soltanto di grottesche riflessioni.
Silenziosamente, passarono i venti minuti successivi a liberarsi delle prove che avrebbero potuto incriminarla, rispettando i silenzi ed i singhiozzi di Victoria, che non si era ancora completamente tranquillizzata. Lo guardò andarsene al calar del sole, segretamente felice del fatto che a qualcuno importasse salvarla.
Ma era davvero ciò che desiderava, essere salvata?
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