Il viaggio


La vegetazione della radura che contorna il mio villaggio è cresciuta a dismisura negli ultimi anni: il terreno è quasi totalmente ricoperto da edera e resti di alberi morti in via di estinzione. Di animali non c'è traccia, naturalmente. La luce è abbastanza forte, quasi accecante, anche perché non ci sono le chiome delle piante che ne filtrano il passaggio. Gli unici rumori che si possono udire sono gli scricchiolii di ramoscelli calpestati da noi. 

Io sono davanti a tutti tre, Sabina è a meno di un metro dietro di me. Alcamne se ne sta in disparte, senza proferire nemmeno una parola. C'è troppo silenzio e questa cosa mi mette a disagio. Se cerco di parlare con la mia amica, lei liquida il discorso alla sua nascita, impedendone lo sviluppo. Ma credo sia una cosa normale: l'ansia si fa sentire. Non siamo i primi che proviamo a fuggire e tutti quelli che ci hanno provato prima di noi sono morti. Non è di certo rassicurante, ma sono passanti molti anni, troppi, da quando la maledizione è scoppiata. Per buona parte del primo periodo di tempo, quando il nostro villaggio era da poco diventato territorio di morte e di estrema velenosità, dei soldati erano stati mandati da Pravus intorno al confine del nostro territorio, per sbarazzarsi di chiunque avrebbe provato a evadere dalla terribile realtà che lui stesso ci aveva imposto di vivere. Nessuno sa se se ce ne siano ancora e, forse, è proprio per questo che c'è molta tensione nell'aria. 

Ad un tratto sento un tonfo dietro di me, seguito da un fruscio di piante. Mi giro e vedo Sabina per terra.

«Stai bene?» le domando avvicinandomi a lei che intanto si mette a sedere.

«Sì, sono inciampata.» risponde lei massaggiandosi la coscia. «Credo di aver messo male la gamba. Mi fa male qui» continua poi indicando il punto che prima si stava massaggiando. Alcamne, che quando la mia migliore amica è caduta non ha velocizzato il passo per raggiungerci, arriva e, prendendo Sabina da sotto le braccia la solleva.

«Troviamo un posto dove farla sedere, così potrò controllare quanto si sia fatta male.» Comincia a incamminarsi portando il braccio di lei intorno alle sue spalle. «Aiutami» dice poi guardandomi. Senza indugiare faccio come lui. 

Dopo un po' di tempo, troviamo una grosso macigno, con la superfice liscia. Strappiamo l'edera cresciuta sopra a esso e facciamo accomodare Sabina. 

«Posso controllare?» chiede Alcamne. Sabina annuisce e scopre il lembo di pelle dolorante. Il ragazzo comincia a massaggiare e, successivamente, tira fuori dalla sua sacca una piccola borraccia. «Bevi, ha un'azione antidolorifica»

La mia amica la prende e la beve. «Che cos'è?»

«Un composto fatto con delle erbe medicinali, tra cui l'artiglio del diavolo.» I Mĕdens, famiglia di grandi medici, ha coltivato piante e erbe di tutti i tipi, fino a che Pravus, ha reso l'aria irrespirabile. Fortunatamente sono riusciti a salvare alcune piantine e alcuni semi e, aiutati dai Fabricātor, hanno costruito una piccola serra con dei marchingegni per depurare l'aria. 

Le dita di Alcamne passano sulla pelle di Sabina, soffermandosi per di più nella parte che le provoca più dolore. Le è intenta a bere, ma, comunque, ha lo sguardo fisso sul giovane medico. 

«Guardate là!» urla a un certo punto Sabina, la quale finisce di bere in fretta la medicina gentilmente offerta da Alcamne. Si alza di scatto e punta il dito esattamente davanti a lei. Seguiamo con gli occhi la traiettoria da lei indicata. «In quel punto là, non c'è edera!»



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