Track III - Nun'a voglio 'ncuntrà
Andai dritto dritto da Carmine, subito dopo, che ero un fascio di nervi. Non per forza in senso negativo. Era una freva frutto della consapevolezza di essere un coglione capace di farla fuori dal vaso in qualsiasi momento e, quindi, dovevo stare doppiamente attento a quello che facevo.
Perché all'improvviso, e del tutto inaspettatamente, c'era qualcosa di nuovo nella mia vita che avevo già una paura fottuta di perdere.
Il modo in cui quella ragazza mi faceva sentire era fuori dall'ordinario (o comunque da quello a cui io ero abituato).
In passato, l'attrazione fisica era l'imperativo dominante. Lo stare insieme perché caratterialmente affini non era in nessun modo un fattore che tenessi in conto né, tantomeno, a cui dessi una qualche priorità. Invece con Elena era nato tutto dal fatto che lei fosse una persona divertente e interessante, al di là di quanto fosse anche bella.
Schiattai la testa di chiacchiere al mio amico fino a tarda notte, seduti in un angolo di piazzale Tecchio con l'unica compagnia di una busta di birre. Lui mi ascoltò per lo più annuendo in religioso silenzio o, talvolta, facendomi qualche esempio di come anche lui ricordasse di essersi innamorato di Teresa in quel modo. In verità, avevo memoria che per lui fosse stata una cosa molto più graduale, visto che ci conoscevamo tutti da quando eravamo neonati e il suo amore per Terry non si era mai manifestato prima della fine delle scuole medie. Per tanto tempo mi ero anche convinto che, magari, si sentisse coinvolto da lei solo perché era l'unica ragazza con cui eravamo in confidenza. Ma poi, quando fu chiaro che la sbandata non andava via nonostante gli anni passassero, gli diedi atto della serietà del suo sentimento.
Ebbi la sensazione che fosse curioso di incontrare Elena, questa misteriosa ragazza che mi aveva fatto perdere la testa dopo averla vista appena due volte, però io non me la sentivo ancora di portarla in comitiva. Volevo stare da solo con lei molte altre volte prima di poterla introdurre ai compagni; un po' per becero protezionismo della mia nuova conoscenza, ma pure perché ero ansioso di entrare meglio in intimità e parlare occhi negli occhi per ore e ore senza che il resto del mondo ci disturbasse.
Ed era quella la cosa che mi suonava più strana. Il fatto che nella mia testa ci immaginavo a parlare... A parlare!
Chiaro che non vorrei neanche passare per il santo che non sono, millantando che non immaginassi anche che tutte quelle ciance non finissero con il mio corpo spalmato sul suo... ma il succo è che ero interessato con lo stesso trasporto a entrambe le cose come mai prima di allora.
Dopo aver sfogliato gli album di foto di Elena su Facebook per il resto della serata, Carmine mi riaccompagnò a casa intorno alle 3. Prima di salutarci davanti al portone accennò a una cosa che aveva sentito dire in una delle millemila serie TV americane coi protagonisti dottori: – Pare che porti bene riuscire a dare il primo bacio a una ragazza entro quarantotto ore da quando ci sei uscito per la prima volta.
Cristo santo, quella cazzata mi fece andare in paranoia over 9000.
Non l'avesse mai detto.
Passai il resto della notte a pensare a come rendere possibile quella stupida profezia.
***
Il giorno dopo stavo con le occhiaie a terra e la testa tra le nuvole, facevo caffè a riflesso condizionato e pulivo il bancone meccanicamente come l'ubbidiente automa che avrebbe molto compiaciuto il proprietario.
Lui, del resto, non poteva essere meno interessato al mio stato di salute. Rimase a farsi i cazzi suoi dietro alla cassa nell'attesa che venisse il figlio a portargli il nipote, che quella notte doveva dormire a casa dei nonni.
Ogni tanto buttavo uno sguardo dall'altra parte della strada, al negozio Carpisa, nella speranza che Elena passasse da lì. Invece, l'intera mattinata trascorse senza neanche un suo cenno sul cellulare.
In realtà mi ero ripromesso di dover essere io a ricontattarla, ma volevo trovare qualcosa di eccitante da fare prima di proporle di incontrarci di nuovo. E, di certo, non potevo aspettarmi che mi venissero idee brillanti con due ore di sonno e cinque di lavoro a quaranta gradi all'ombra.
Dentro al bar si scoppiava di caldo e ciò non faceva che spegnermi ulteriormente il cervello perché, tra l'altro, nonostante avessimo i condizionatori accesi a sedici gradi, tenevamo le porte d'ingresso spalancate per la persuasione del padrone che fosse una geniale idea di marketing.
A un certo punto del tardo pomeriggio, mentre svacantavo un nuovo sacco di chicchi di caffè dentro alla macchinetta, entrò un gruppetto di una decina che più rumorosi non avrebbero potuto essere. Mi faceva già male la testa per quanti caffè avevo bevuto e per il sonno perso durante la notte, quindi mi voltai ingrippatissimo per inveire malamente contro gli scostumati appena entrati.
Ma individuai subito tra di loro una faccia conosciuta.
Erica.
D'istinto mi nascosi dietro l'angolo della porta del bagno. Buttai un rapido occhio indietro e sembrò che nessuno mi avesse visto.
La mandria si dispose in diligente ordine lungo il bancone continuando a chiacchierare a voce altissima; notai che erano tutti vestiti da cerimonia. Erica era ingioiellata dalla testa ai piedi e portava una scollatura e un rossetto esagerati, come suo solito.
Dopo un po' che li vidi aspettare e che anche il proprietario iniziò a guardarsi intorno perplesso, mi resi conto di essere l'unico fottuto barista del locale e che quella trovata del nascondiglio non mi sarebbe servita a non incrociare Erica.
Bestemmiai interiormente.
Finsi di uscire dal bagno e tornai con fare distratto nei pressi della macchina del caffè. Poi incrociai di proposito lo sguardo solo con una tipa del gruppo che non avevo idea di chi fosse, per domandare l'ordinazione.
Ma, come mi aspettavo, Erica non si fece scappare l'occasione d'oro di fare la capera.
– Filì! Ma che ci fai qua? – abbaiò sguaiata, come se fosse la cosa più assurda del mondo trovarmi a faticare in un bar.
– Eh, sto lavorando – feci spallucce, nel tentativo di far trasparire il più possibile quanto poco mi importasse di averla rincontrata.
Mi ferì il modo in cui mi aveva salutato, come se fossi un vecchio amico con cui aveva perso i contatti per caso. Anche se l'ultima volta che ci eravamo visti, solo un paio di mesi prima, avevo tentato di trasferirle nel modo più chiaro possibile tutto il mio disprezzo.
Nessuno dei suoi amici sembrò curarsi neanche per sbaglio del nostro ridicolo abbozzo di conversazione. Iniziarono a subissarmi di richieste con gli occhi ancora sul menù appeso alle mie spalle, e io colsi la palla al balzo per tagliare corto.
Lo sguardo di lei sfondò il limite dei cinque sensi per avvinghiarsi su di me come un polpo, tradotto in un'indicibile pesantezza che prese a premere sulla mia schiena e su ogni movimento che facevo con la testa e con le mani. Mi sentii come un'orca intrappolata dietro al vetro di un acquario.
Mi resi conto che fosse la stessa maniera in cui mi aveva fatto sentire per tutto il tempo che eravamo stati insieme. Mi possedeva come un bel bambolotto, maneggiandomi con modalità disgustose e io, all'epoca, ero stato così imbecille da trovare la cosa arrapante.
Mentre fissavo il filo di caffè tuffarsi nelle tazzine come se fosse il fenomeno fisico più entusiasmante del mondo, qualcuno della cricca le chiese come ci conoscessimo e lei rispose subito, tronfia, che ero il suo ex. La cosa scatenò una serie di risatine civettuole tra le sue amiche vrenzole ed Erica, intenta a rincarare la dose dopo aver lodato le mie spalle larghe, aggiunse: – Poi ha dei capelli troppo morbidi, raga, glieli volete toccare?
Cioè va', manco fossi stato 'na fottuta Barbie. Buttai d'istinto la tazzina appena riempita sul piattino di fronte a lei, così forte che il contenuto fumante le si rovesciò quasi tutto sulla scollatura. Lei, invece che prenderla male, per qualche insano motivo mi rivolse uno sguardo allupatissimo.
– Ma guarda che hai combinato... Noi stiamo andando a un matrimonio a Palazzo San Giacomo! – lamentò mentre si tingeva di rosso dappertutto, ma senza neanche un poco di risentimento nel tono.
Il proprietario iniziò a imprecare e scusarsi in tutti i modi possibili. Lei, però, non vi badò neanche e continuò: – Mi aiuti a pulirmi? Andiamo in bagno?
Ebbi un brivido di vera paura.
Erica, cazzo, scinnm 'a cuoll.
Quella era capace di mettermi le mani addosso senza pudore nel bagno di un luogo pubblico, davanti a tutti. Ricordavo che fosse sempre stata un pelo al limite della ninfomania, ma solo allora mi resi conto di quanto fosse molesta. Un muccusiello di quindici anni, con gli ormoni oltre la luna, crede di aver vinto la lotteria della vita se becca una così.
– Tu me faje ascì pazz' – sbottai, senza farmi sfuggire la seconda provvidenziale chance che avevo di sfogarle il mio risentimento contro – Faje sempre accussì, nun cambi maje... M'e rutt prop'o cazz – le buttai addosso dei fazzoletti e uscii in fretta su via Toledo, lasciandomi dietro il silenzio gelido che era calato su tutto l'ambiente.
Però non feci neanche in tempo a riprendere il fiato e le idee che, con la coda dell'occhio, scorsi una figura familiare appoggiata al muro di fianco all'ingresso del locale.
Elena.
Sorrideva, con uno sguardo che era un condensato turchese di malizia e divertito sospetto.
Mi si spense il cervello.
Da quanto tempo stava lì? Aveva la faccia di chi aveva assistito a tutta la sceneggiata, come si fa al cinema coi popcorn in mano. Ma nessun altro l'aveva notata dall'interno del bar perché era rimasta dietro alla cornice della porta, ben coperta dalla pianta dell'aiuola che adornava l'entrata.
Fece segno di fare silenzio con un dito premuto sulla punta del naso. Io diedi un'occhiata dentro per controllare cosa stesse accadendo e vidi che pure lì, ancora vicino al bancone, tutti erano voltati verso di me sul marciapiede.
Sentii strisciare una mano morbida e fresca dietro la mia nuca, il flessuoso corpo di Elena mi aderì addosso e, in un attimo, mi ritrovai piegato sul suo viso. Mi diede un bacio da film che manco Tobey Maguire sul set di Spider-Man.
Pensai che fosse strano baciarci per la prima volta in quella circostanza, però era anche eccitante farlo con cotanta passione davanti a una platea decisamente particolare. E non era quel trasporto finto che si tira fuori per far ingelosire qualcuno, sebbene lo temetti in un primo momento, piuttosto mi avvolse con il calore di chi infiamma un bacio perché non vedeva l'ora di farlo. E, Dio... Pure io non vedevo l'ora di farlo!
Quando le nostre labbra si staccarono ebbi quasi una brutta sensazione di abbandono. La strinsi forte a me con le mani sui suoi fianchi e lei mi scivolò una carezza dalla guancia al collo. Coi begli occhi pieni di tenerezza, annunciò: – Vado a portare una cosa a mamma al negozio, e poi ti aspetto per quando chiudi – mi baciò di nuovo, stavolta a stampo – A dopo!
E sparì dentro al negozio di Carpisa, due passi più in là.
Affrontai tutto ciò che successe dopo con la leggerezza nel cuore e la testa somewhere over the rainbow.
Gli amici di Erica pagarono velocemente il conto e cercarono di andarsene via il prima possibile, mentre lei provava a riprendersi dall'umiliazione appena subita. Finse di ignorarmi, anche se mi lanciava occhiate scurissime quando pensava che non la vedessi.
Il proprietario mi fece una uallera alla pizzaiola senza precedenti. Mi rinfacciò che, se non mi licenziava in tronco, era solo per la brava persona che era mia madre e per quanto ci sapevo fare con le lingue dei turisti stranieri.
A me non fregava più un cazzo di niente.
La ragazza più figa della storia del mondo mi aveva appena dato il bacio più spettacolare mai visto, e io stavo tutto I love you come non mi ero mai sentito prima. Ero già proiettato a cosa avremmo fatto dopo e chissà fin dove ci saremmo spinti, presi dalla foga e dall'appagamento per aver creato insieme una scena epica delle nostre vite.
Lui, imbestialito, chiamò anche mamma per sfogare con lei la frustrazione di avere a che fare con "un ragazzo così problematico", che comunque "ormai per quest'estate è andata così", però avevo troppi drammi addosso e poverina lei che mi doveva crescere da sola. Secondo me cercava solo una scusa per non pagarmi la mesata, ma mamma doveva avergli detto qualcosa che lo aveva addolcito man mano che si era evoluto lo sproloquio al telefono.
Io, per tutto il resto del turno, non feci altro che ripensare alle labbra morbide di Elena, al suo burrocacao alla vaniglia, e sbirciare verso Carpisa per scorgere la sua figura atletica mentre pulivo il caffè che era colato dal bancone.
Finita la giornata, la ritrovai seduta su un'aiuola di Piazzetta Duca D'Aosta davanti alla funicolare, mentre si divertiva a scorrere i meme di Napoli VHS su Facebook. Appena presi posto accanto a lei ripose il cellulare in tasca, rapida, e mi riagganciò la testa per darmi un altro bacio fenomenale.
A quel punto, ormai, volavo a duecento metri da terra.
– Ma che hai passato con quella, o' sce'! – mi derise, come se non se la fosse mai spassata tanto in vita sua.
Io la guardai fisso, incredulo e sognante, sempre più convinto che la ragazza che avevo di fronte fosse la cosa più bella che mi era mai capitata.
La collina del Vomero ci parve la destinazione migliore per pareggiare l'altitudine sul livello del mare dei nostri corpi con quella dei nostri cuori. Prendemmo del meritato junk food da asporto per portarcelo in Floridiana e spendemmo lì il resto del pomeriggio, celati tra i fazzoletti di verde transennati per le interminabili manutenzioni, fino a tarda notte. L'erba alta dei prati trascurati attutiva, e quasi partecipava, al nostro rotolarci e baciarci incessante e affannato.
Lei si strusciava, sinuosa e impenitente, sul cavallo del jeans che mi si ingrossava tanto da farmi male, e finii ipnotizzato da quello stato di eccitazione e felicità indescrivibili. Mi tuffai tra le morbide onde castane profumate di shampoo alle mandorle, mentre ci raccontavamo ogni cosa delle nostre vecchie storie. Fu incredibilmente comprensiva e amorevole nel confortarmi dalle disavventure inflittemi da Erica; il suo tono suonava protettivo e dolce come un rassicurante "ora ci sono io con te", fatto trapelare tra i silenzi e i non detti, ed io pregai tutti gli Dèi che non mentisse o che non mi stessi ingannando. Perché la possibilità di perderla mi sembrava già un'ingiustizia insopportabile.
Mordicchiai il suo collo e il seno piccolo e turgido come se fossero parte dell'Happy Meal appena consumato. La volevo da morire ma, al tempo stesso, non volevo "rovinare" tutto subito con il sesso. Non sapevo neanche perché mi ritrovai a pensarla così, eppure mi venne naturale non spingere oltre quello che ci stavamo dando spontaneamente, nonostante avessi il cazzo duro e dolorante. Tuttavia erano fitte che mi galvanizzavano, perché mi spingevano a fantasticare sul momento in cui avremmo finalmente scopato e saremmo stati ancora più un tutt'uno di quanto già non stessimo facendo quella sera.
Un infantile stupore ci pervase, come fosse la prima volta che lo ammiravamo dalla balconata panoramica, per il pallido riflesso della luna crescente sul mare che imbiancava i contorni della sagoma di Capri: la fanciulla dormiente coricata sull'orizzonte. Una giovane bellissima, dai lunghi capelli e dal viso tondo, proprio come quella che avevo di fianco e che mi aveva fatto prigionieri lo sguardo e la mente.
Al ritorno verso casa mi informò che sarebbe partita il weekend successivo per farsi le ferie con la madre, ma che sarebbe tornata prima della fine di agosto. Si raccomandò che mantenessi l'impegno di studiare tanto per il conservatorio e io colsi la palla al balzo per invitarla a casa e suonare qualcosa per lei.
Incredibile che stessi invitando una ragazza in casa mia. Non mi era mai passato neanche dall'anticamera del cervello di farlo con nessun'altra prima.
La promessa di un ultimo appuntamento prima delle vacanze fu l'ultimo augurio languido con cui ci salutammo quando ormai eravamo sulla soglia del suo cancello. Dopo un altro quarto d'ora di limone, i suoi occhi di cristallo che si chiudevano da soli ormai, per la stanchezza, la lasciai andare a dormire e me ne tornai a casa fischiettando.
Felice come non ricordavo di essere mai stato nella mia breve vita.
Avevo ricevuto l'agognato bacio dalla ragazza dei miei sogni prima delle quarantotto ore della profezia di Carmine, e stavo col cuore nello zucchero.
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