Track XXII - Capri Rendez-vous pt.2
La mattina dopo mi svegliai tardissimo, nonostante non avessimo fatto le ore piccole come mio standard perché il collasso da overdose di emozioni aveva messo KO Gianpaglia già intorno alle 2. In una sola serata, aveva fatto esperienza di tre cose che non gli erano mai state permesse prima: uscire con dei coetanei, andare in discoteca e ballare con una femmina.
Eppure quella mattina ero io a sentirmi incredibilmente stanco e, allungando la mano verso il comodino per controllare l'ora sul cellulare, mi resi conto di non ricordare nemmeno a che ora fosse l'appuntamento con l'uomo con gli occhialini.
Non saprei dire se per pigrizia o cosa, ma iniziai a dubitare persino di averlo visto davvero, quel vecchio. Intanto, però, il display del telefono segnava le 11 passate ed era molto probabile che fossi già in ritardo.
Con poca voglia indossai in fretta i primi panni spiegazzati che trovai abbandonati sulla panca ai piedi del letto, senza neanche sapere dove fossimo diretti. Mi catapultai a forza nella hall a pian terreno con gli occhi ancora incollati dal sonno e i piedi sciolti nelle ciabatte di plastica.
Con sorpresa constatai che il misterioso omone capelluto era davvero ancora lì ad aspettarmi e mi sorrise, abbagliandomi col riflesso di quelle sue immancabili lenti da sole che, a quel punto, mi convinsi che fossero un tutt'uno con la sua faccia.
Non commentò né il mio aspetto sciatto né il mio tremendo ritardo. Mi tese la mano con cortesia e finalmente riuscì a presentarsi: – Buongiorno, guaglio', comunque io sono Enrico.
Sibilai il mio nome quasi con vergogna, stringendogli l'enorme mano rugosa e abbronzata.
Fuori c'era un taxi ad attenderci. Ci sedemmo entrambi sui sedili posteriori e l'auto partì, senza che nessuno nominasse la destinazione e mi svelasse dove fossimo diretti.
– Mo che arriviamo capirai come mai m'aggia 'zzccat cu' te – assicurò lui, forse in risposta alla mia faccia perplessa, con una breve risata che suonò più come uno spasmo involontario.
Non ci mettemmo molto a giungere alla destinazione dei segreti. In poco più di una decina di minuti, il tassista ci mollò sulla curva di un vicoletto stretto e lungo in salita.
Un sottile cancello di un pallido azzurro fresco di riverniciatura era aperto sulla strada e spezzava la continuità del basso e candido muro in pietra che circondava il camposanto.
– Il cimitero?! – esclamai incredulo. Schermai con la mano un raggio di sole che era sfuggito alle fronde degli alberi del parco, mosse dal vento, per venire ad accecarmi.
Il vecchio annuì con l'accenno di un breve sorriso malinconico; mi fece segno di entrare e seguirlo.
Per quanto confuso e stupito, non potei trattenermi dal pensiero che non potesse esserci luogo migliore al mondo dove cercare l'eterno riposo. Lo sguardo vagò negli anfratti da cui faceva capolino l'immensità del mare, quasi a manifestazione fisica di ciò che attende noi tutti, mentre ci addentravamo nei tortuosi pendii tra le tombe monumentali.
– Ancora oggi, Capri è nota per essere una meta estiva ineguagliabile – osservò Enrico – Ma voi giovani non avete idea di com'era qui nel dopoguerra. Le persone più importanti del mondo si riversavano su quest'isola quasi fosse stata il centro dell'universo, e sconvolgevano la vita di noi poveri isolani... – pronunciò "poveri" con prolungata enfasi, forse intendendo tanto nelle tasche quanto nelle esperienze – Ci sembravano tutti degli Dèi...
Si fermò di fronte a una tomba imponente, elaborata col chiaro proposito di far trasparire l'importanza della persona che ospitava a primo acchito, adornata da una massa esagerata di corone di fiori colorati e freschissimi: – ... o dei fantasmi – concluse in un sospiro.
Mi piegai a leggere la grossa targa di marmo che riportava un nome e cognome stranieri poi, gli occhi strabuzzati per mettere a fuoco la fotografia, ebbi la vaga impressione che si trattasse di una faccia conosciuta anche se non riuscivo a ricollegarla al nome.
L'uomo notò la mia difficoltà e la cosa lo divertì: – Sei troppo giovane per conoscerla. Ma, quando io avevo poco più della tua età, era una delle attrici più belle e adorate del mondo – biascicò sognante – Magari ti sorprenderà sentire che il motivo per cui è sepolta qui a Capri sia legato a mio fratello minore. Anche se nessuno lo sa.
Feci viaggiare il mio sconcerto da lui allo scorcio di blu al di là del promontorio, fino a soffermarmi sull'immagine in bianco e nero dell'attrice morta. Probabilmente si aspettava che dicessi qualcosa o che facessi domande, ma mi era tutto così oscuro da rendermi difficile anche il semplice pensare a cosa chiedere.
Mi strinsi nelle spalle e affondai le mani nelle tasche del pantaloncino, tirando su col naso un po' di aria di mare nella speranza che lo iodio mi aiutasse a darmi una svegliata.
Lui spezzò quel silenzio surreale cacciando fuori dalla tasca della camicia a fitta trama scozzese, una vecchia foto dai toni seppia con i margini tutti rotti e sbiaditi. La parte bianca sul retro riportava una data del 1966.
Con il grosso dito nodoso mi indicò due persone al centro del gruppone protagonista dello scatto, che aveva l'aria di essere una troupe cinematografica o qualcosa del genere.
Il ragazzo con il sorriso timido che svettava sotto al suo indice sarebbe potuto essere il mio gemello (o un cosplayer di me stesso, se fossi un tipo da bretelle e coppolella in testa), per quanto straordinariamente mi assomigliava.
Il vecchio rise, deliziato dall'espressione di shock che si impadronì della mia faccia: – Eh, quando ti ho visto seduto su quei divanetti ho avuto la stessa reazione! – puntualizzò – Mi sembrava di aver viaggiato nel tempo.
Mosse la mano sulla figura minuta e accattivante a fianco al ragazzo della foto: – E questa era lei – aggiunse, e con un veloce gesto del mento segnalò la lapide di fianco a noi – Belli, non è vero?
Annuii d'istinto, completamente rapito dalla scoperta di aver avuto un mio clone in un passato remoto e scintillante, dalla cui raffigurazione non riuscivo più a staccare gli occhi.
– Lei è morta due settimane fa. I giornali hanno riportato che i funerali si sono tenuti a Capri, secondo le sue ultime volontà, perché è qui che ha girato i suoi film più famosi. Ma io so che non è solo per quello. Lei voleva tornare a stare vicino al mio fratellino, magari per potersi rincontrare nell'aldilà – ipotizzò, rivolgendo un affettuoso sguardo alla bellissima donna nella foto tra le ghirlande.
– Se posso chiedere – sussurrai, con un filo di voce – dov'è ora vostro fratello?
Lui stese il braccio e indicò un loculo incastrato in fondo a un fabbricato poco distante, alla nostra sinistra: – Sta lì.
I miei occhi balzarono nuovamente da lui alla nicchia nel muro, per poi tornare a inchiodarsi sulle dita dei miei piedi serrate per lo scuorno. Fui incerto su cosa dire per non risultare insensibile, balbettai solo un imbarazzato: – Oh, mi dispiace... condoglianze.
Ma Enrico sbuffò gioviale, per sdrammatizzare, e mi schiaffò una pacca sulla spalla: – Mio fratello è morto vent'anni fa! Purtroppo se l'è portato via la leucemia anzitempo.
Dunque proprio vent'anni prima, mentre io nascevo, quell'uomo identico a me si stava spegnendo ancora giovane.
– Forse è questo che lei non è mai riuscita a perdonarsi... e a perdonargli – insinuò, additando la patinata effigie dell'attrice – Il fatto che lui abbia avuto una vita così breve e non siano riusciti a passarla insieme.
Ancora non sapevo nulla di loro, ma già sentivo il cuore creparsi sotto al peso dell'appocundria che mi spalmò addosso Enrico con quelle parole.
– Ma cos'è successo? – sbottai con voce strozzata.
Agitato da una bizzarra scaramanzia, iniziai a convincermi che Enrico fosse un messaggero del fato venuto a mettermi in guardia da un futuro funesto che avrebbe potuto ripetersi ancora, se mi fossi comportato come il mio sfortunato gemello del secolo scorso. Dovevo assolutamente sapere, quindi, cosa avesse passato quell'uomo e come dovevo comportarmi per evitare di ripetere gli stessi errori già commessi da lui.
L'omone dall'occhialino perenne fece per parlare ma si accorse che le ginocchia non lo reggevano più, per vecchiaia o per emozione. Barcollò un istante e si tenne alla mia spalla finché, con la coda dell'occhio, vide una panchina a pochi passi da noi e la raggiunse. Batté la mano sulla seduta rimasta libera accanto a lui per invitarmi ad affiancarlo.
Si schiarì la voce e iniziò a raccontare: – Casa nostra era nel cuore di Anacapri. Nostro padre era un artista artigiano molto stimato nel paese, ma eravamo una famiglia umile. Nostra madre morì di parto quando nacque mio fratello, così papà si risposò poco dopo con una donna qualche anno più giovane.
Fece per tirare qualcos'altro fuori dalla tasca, ma bloccò la mano a mezz'aria; scosse la testa e lasciò perdere. Io mi accesi una sigaretta, lo sguardo incatenato sul suo faccione affinché continuasse.
– Non eravamo ricchi, dicevo, ma papà riuscì a sostenermi fino agli studi universitari poiché ero sempre stato il cervellone della famiglia. Sai, al contrario del mio fratellino che era una capa fresca...
Ah, vedi, altre similitudini!, appurai.
Lui rise tra sé e sé al ricordo del fratello da giovane o, forse, perché mi lesse in volto quella constatazione.
– Papà provò a fargli fare un po' di tutto: una volta il pescatore, un'altra il calzolaio... Finché non gli venne in mente di sfruttare la Dolce Vita e il ricco business che aveva portato a Capri, per inserirlo come tuttofare nelle produzioni cinematografiche che in quegli anni facevano la fila per venire a girare qui.
Mi strizzò l'occhio con malizia: – Ne abbiamo viste di bellezze intramontabili! – si vantò con orgoglio, quasi fosse un suo merito personale – Lei era la più celebre tra quelle, e mio fratello perse la testa a prima vista. Però era un garzone, anche molto discreto, non si sarebbe mai azzardato a provarci neanche per scherzo – assicurò.
Mi sfiorò il mento per un secondo, con un sorriso ammiccante e affettuoso: – Ma, con questa bella faccia che teneva, fu lei stessa a non riuscire a resistergli.
Mi mostrò di nuovo la fotografia. Ogni volta che mi cadeva l'occhio sul viso del suo fratello morto, immortalato ventenne per sempre, mi riusciva sempre più difficile deglutire.
– All'epoca, e anche oggi, io ero l'unico a saperlo. E lì per lì il mio pensiero fu "è così facile innamorarsi a Capri, di questi tempi!" – sembrò dirlo con lo stesso tono usato anche cinquant'anni prima – I nostri vicoli erano costantemente colmi di persone belle, giovani e ricche, che parlavano mille lingue diverse e che non vedevano l'ora di amarsi tra loro così come amavano le coste, le grotte e i panorami di quest'isola – indicò l'orizzonte di un turchese che più intenso non poteva essere.
– Tu sei giovane, ma i segni sul tuo braccio indicano che hai già una storia, un vissuto. Forse puoi immaginare come doveva sentirsi mio fratello.
Allora provai davvero a fantasticare, ma il cervello riuscì solo a inviarmi impulsi e fotogrammi lenti, in bianco e nero, come la cenere della mia sigaretta che volava via col vento.
Frammenti di scene che forse avevo intravisto in chissà quale film di repertorio, in onda la domenica pomeriggio su Telecapri.
Scoprii di provare una forte invidia per chi aveva vissuto quell'epoca d'oro, entrata per sempre nella leggenda e nelle pagine dei libri nostalgici sui "bei tempi andati" di un'Italia che non esisteva più. Sarà che gli esseri umani non riescono a viversi bene il presente, eppure mi infastidì oltremodo il pensiero dei tempi pigri, mortificanti, che stavamo vivendo in quel bollente e caotico 2018, comparati a quelli di rivoluzione e poesia del 1968.
Mi sentii anche mortalmente incazzato con chi aveva consumato tutta quella bellezza fino all'osso, così in fretta, tanto da lasciare a noi, miserabili arrivati tardi all'incosciente banchetto, nient'altro che scombinate briciole secche.
Tornai a fissare Enrico, stavolta con un po' di quel risentimento per la sua generazione negli occhi. Ma non credo che se ne accorse; i vecchi come lui non sentono il peso di quella colpa.
– Fatto sta che io la ritenni una pazziella, invece loro si amavano veramente. Nonostante il colpo di fulmine e la giovane età, crebbe in loro un amore sempre più forte man mano che gli anni passavano; anche quando erano lontani – all'ascolto di quelle ultime parole la saliva mi si strozzò in gola. I neuroni infami macchinarono subito un aspro parallelismo con la mia situazione con Elena.
– Lei tornò tante volte a Capri, spesso per lavoro, altre volte "per svago", come faceva credere. E, ogni volta, cadeva ai piedi di mio fratello per implorarlo di andare via con lei, a godersi la sua sfarzosa vita oltreoceano insieme – si fece cupo in volto mentre lo diceva – Ma noi eravamo gente modesta. Così tanto che lui un simile salto di qualità non lo avrebbe mai fatto in quel modo, avrebbe temuto tutta la vita di non esserselo meritato. Non era uno che credeva nella mobilità sociale, nel riscatto. Anzi, non credo ci abbia neanche mai pensato in questi termini. Non gliene fregava niente di certi discorsi – ridacchiò facendo trasparire del disappunto, con gli occhi tristi e la voce abbattuta – Non si sarebbe mai sentito a posto né con il contesto patinato né con la sua coscienza.
Puntò un dito verso l'angolo da cui si riuscivano a vedere, in prospettiva, entrambe le tombe una dietro l'altra: – Mio fratello finì col trovarsi una brava ragazza del paese nostro, e la sposò nel giro di un paio d'anni. Invece lei, malgrado la schiera di corteggiatori che ebbe in ogni angolo del mondo, non volle sposarsi mai.
Mi si strinse lo stomaco.
Non era così che volevo finire io.
Non era quella la maniera in cui sarebbe dovuta finire una storia d'amore costante e sincera come quella.
– Io non mi sono mai trovato d'accordo con le decisioni del mio fratellino – dichiarò Enrico facendo spallucce ed espellendo l'amarezza in un grosso sospiro – Anzi, io scappai da Capri, da Napoli e dall'Italia non appena me ne fu data l'occasione. Per decenni ho insegnato in Inghilterra e mi sono costruito una vita in un posto che non mi è mai neanche piaciuto ma che, comunque, mi ha dato tanto di cui essere riconoscente – annuì con energia per convincersene – Mentre lui teneva le radici su questo sputo di terra come il più infestante degli alberi, solide e profondissime.
Riflettendoci, sotto quell'aspetto non ritenevo di somigliare né all'uno né all'altro fratello. Mi incuriosivano la conoscenza e l'esplorazione del mondo, non volevo farmi mancare l'esperienza di vivere altrove come avevo fatto a Istanbul anche se, dentro di me, c'era la sedimentata sicurezza che alla fine sarei sempre tornato a Napoli. Non sarei mai riuscito a chiamare "casa" nessun altro posto.
– Una delle volte che lei tornò per cercare di portarselo via, ero a Capri anch'io. Al suo ennesimo rifiuto raccolsi il coraggio di chiederglielo, quasi con frustrazione, il perché non si decidesse a seguire quello che evidentemente era l'amore della sua vita – Enrico tossì ed io spensi la sigaretta sotto al mio piede, in trepidante attesa della risposta che ricevette.
– Ma lui disse solo che "l'amore non è quello che capita, ma quello che si sceglie". E aveva scelto Mariarosa.
Per un attimo rimasi deluso e mi mancarono le parole per chiedergli di approfondire.
Che cazzo di risposta era? Perché liquidare in quel modo un amore così duraturo e coinvolgente?
Enrico intercettò la mia delusione e la condivise, poiché anche lui si trovava in disaccordo col modo di ragionare di suo fratello: – Non mi è ancora del tutto chiaro cosa intendesse. Lui era un ragazzo così bello e di buon cuore che avrebbe potuto avere qualsiasi donna, e non solo, persino una delle più ammirate star del mondo avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui. Inoltre anche lui l'amava tanto quanto, te lo posso assicurare. L'ha amata per tutta la vita, al punto da chiedermi il favore di compiere ciò per cui siamo venuti qui oggi.
Mi fece cenno di aiutarlo ad alzarsi e io lo tirai su di peso, a fatica, con entrambe le braccia. Tirò fuori, dalla grossa sacca scura che si era portato, la bottiglia che gli avevo visto riempire sul bagnasciuga a Torre Saracena la notte precedente.
Fu allora che ricollegai: lo sfondo della vecchia foto che mi aveva mostrato poco prima era quella stessa spiaggia.
– Vedi, Filippo, gli anni della malattia furono molto duri per mio fratello – gracchiò con la voce spezzata dallo sforzo di trattenere il pianto durante la camminata verso il loculo a muro.
Ebbi un po' paura di andare troppo vicino a quella lapide, col rischio di vedere il riflesso di me stesso da adulto di fianco al nome di un altro.
– Quando scoprì di essere malato non si diede pace per molto tempo. Era un uomo semplice e incredibilmente attaccato alla vita, ai suoi piccoli rituali quotidiani, ai tramonti sul golfo. Non so come finì col rifugiarsi, per sconforto e paura, in strane forme di spiritualità e esoterismo – inarcai un sopracciglio quando lo vidi aprire la bottiglia e svuotare metà del contenuto sulla pietra della tomba di fronte a noi. Distolsi rapidamente lo sguardo, per evitare di trovarmi di fronte la foto dell'uomo sepolto lì dentro.
Poi mi segnalò l'intenzione di tornare indietro verso il profumato mausoleo circondato dai fiori freschi, e versò il resto dell'acqua anche lì sopra.
Infine spiegò quanto aveva appena celebrato, con qualche sfumatura di incertezza e perplessità nel tono: – Mi pregò, se mi fosse capitato di sopravvivere a entrambi, di bagnare le loro tombe con l'acqua di quello stesso mare dove si erano conosciuti e innamorati. In qualche angolo del suo cervello, plagiato da chissà quale strana religione esotica, credeva fermamente che questo li avrebbe fatti ricongiungere per sempre su quella spiaggia nell'oltretomba.
Quella rivelazione la presi proprio male. Peggio di quanto potessi mai prevedere. Doveva già esserci dentro me, sedimentata da qualche parte nel mio inconscio, una frustrazione latente per le vite buttate di quel tipo.
Capita troppo spesso di avvertirle e somatizzarle.
Mi infuriai.
– M'aggia rutt' prop'o cazz' della gente che campa male e si schiatta in corpo fino alla fine dei suoi giorni, nella speranza che la morte dia loro qualcosa di meglio di quest'unica vita che abbiamo! – a quel punto non sapevo più con certezza se mi stessi davvero riferendo al fratello di Enrico o a chissà cos'altro di molto più personale – Perché mai dovremmo aspettare e sperare in qualcosa che non sappiamo neanche se arriverà mai?
Infatti, mi uscì più come un rimprovero a me stesso.
Mi tornarono in mente, come in un carosello, la sera in cui Elena mi aveva lasciato, il bacio d'addio di Gulê, la mia arrendevolezza di fronte alle donne della mia vita che mi abbandonavano inesorabilmente.
Ero quello che era capitato loro, senza essere scelto?
Oppure ero io a non aver mai scelto niente?
Teresa aveva detto che l'anima gemella potrebbe non esistere oppure che, addirittura, il corso di una stessa esistenza potrebbe essere costellato da più d'una. Magari era così che la pensava anche il fratello di Enrico: l'attrice e Mariarosa erano, entrambe, le sue anime gemelle.
Quindi lui aveva semplicemente fatto la scelta di spendere la vita con l'una piuttosto che con l'altra. Se fosse stato così, la sua decisione suonava molto meno come un "sacrificio" di quanto non sembrasse, in prima battuta, agli occhi miei e di Enrico.
Eppure, allora, cosa voleva dire quel rituale con l'acqua di mare? Che fosse il tentativo di un'equa divisione del suo tempo tra i suoi due grandi amori: quello in vita con Mariarosa e quello in morte con la stella del cinema?
Se non fosse stata una vicenda degli anni '60, con tutti i limiti morali e borghesi che scandivano la vita delle persone in quel periodo, si sarebbe potuto apparare in altro modo come avevano cercato di fare Carmine e Angelica a Roma?
La mia unica certezza, che ancora una volta mi sovrastava, era di non saperne un cazzo dell'amore e, a dispetto di ciò, intenderlo come un elemento imprescindibile della mia vita; che mai avrei sacrificato sull'altare di quello che è bene o che è giusto fare.
La verità era che, se non avevo inseguito Elena, era perché avevo avuto paura, troppa paura, di combinare una stronzata ancora più grossa di quelle che avevo già collezionato e che l'avevano fatta scappare via. Le volevo dimostrare che potevo essere buono e ubbidiente. Però, alla fine, lei non era tornata da me lo stesso.
Una lacrima sfuggì al mio occhio destro per solcarmi la guancia alla stessa velocità di come corre qualcuno appena evaso di prigione.
Mi guardai intorno stordito, provando a fare mente locale su dove cazzo fossi e perché.
Quella doveva essere una vacanza leggera, di sole, relax e sfizi da ricchi. Invece ero finito con un vecchio sconosciuto al cimitero, a piangere sulla tomba di un'attrice morta e innaffiata con acqua salata.
E l'umore più scamazzato di quando ero partito.
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