Track XIII - Tu t'e scurdat' e me


Elena mi aveva scavato nell'anima la ferita più profonda della mia vita.

Neanche tutti i miei casini familiari, la droga, l'IPM o la lunga storia disastrata con Erica mi avevano mai fatto tanto male da sentirmi dilaniato da ogni respiro che il mio corpo si costringeva a fare per assicurarmi la sopravvivenza.

Mamma fece una serie interminabile di tentativi, totalmente vani, di consolarmi.

"Devo chiamare la Lacuna Inc.?" mi scrisse su WhatsApp un grigio pomeriggio, nonostante fosse seduta sul divano del salotto e solo la cucina (più la sbilenca porta della mia camera) la separava dal mio cadavere abbandonato sul letto, come un inutile relitto.

Era un suo goffo tentativo di tastare il terreno con una battuta, che trovai di pessimo gusto, sul suo film preferito. Avevo sempre pensato che rivedesse sé stessa in Kirsten Dunst innamorata del vecchio professore, o quello che era, poi costretta a cancellarlo dalla sua memoria per salvargli il matrimonio. Ma io mi ero sempre interrogato, piuttosto, su quale follia spingesse tutti quei personaggi a voler dimenticare proprio le storie d'amore più travolgenti che avevano vissuto. Se è tanto doloroso quando finisce, è perché era stato bello prima.

Per quale motivo avrei mai dovuto desiderare di dimenticare Elena? Dimenticare la gioia incredibile di dirmi il suo ragazzo? Di svegliarmi la mattina accanto ai suoi occhioni blu? Delle battute scorrette, le nottate in bianco, le riflessioni pesantone, i battibecchi sulla politica, le gite fuori porta. Del sesso stratosferico che mi riusciva di fare con lei, e lei sola?

Che importava se "tanto non te ne rendi conto quando te la scordi"? Mica mi volevo fare scemo io stesso. Per quanto devastante, trovavo comunque molto meglio poter viaggiare con la mente a quei momenti, piuttosto che eliminare del tutto la coscienza di averli vissuti.

La consapevolezza che Elena mi avesse amato e avesse scelto di essere mia prima che di qualunque altro uomo, per me rappresentava l'unico indelebile appiglio a quello che eravamo stati, che nessuno avrebbe mai potuto togliermi.

Il solo pensiero della possibilità di scordarmelo mi faceva stare ancora peggio.

Rimasi chiuso in camera a piangere, e ripudiai ogni contatto col mondo esterno per molti dei giorni successivi. Almeno finché le incombenze di studio e lavoro non si fecero troppo grandi per poter essere trascurate oltre. Quando ebbi la possibilità di essere distratto da tutta la roba che avevo da fare, mi buttai negli impegni come se fossero la mia unica ragione di vita. Faticai notte e giorno.

In quel periodo dovetti comporre anche molte delle musiche per i testi che avevo scritto durante la storia con Elena, ispirati da lei, che mi disintegravano il cuore in petto ogni volta che li vedevo impilati nelle cartelline dentro al cassetto della mia scrivania. Mosso da puro masochismo li presentai perfino ad Andrea e al resto del team, sempre più fiduciosi e impazienti di sparare la mia carriera musicale nell'iperuranio.

In particolare, Andrea decise che proprio l'ultimo pezzo che avevo scritto, Tu t'e scurdat'e me, dovesse essere il mio secondo singolo. Lo intese come la naturale continuazione della storia di Nove Maggio nonostante, nella realtà, fossero stati scritti in due momenti completamente scorrelati e distanti l'uno dall'altro, nonché ispirati da due ragazze diverse. Ma non mi opposi, perché non me ne fregava niente dell'ordine con cui decidevano di far uscire la roba.

Fui sorpreso e spaventato dal fatto che, sebbene ancora dovessimo lanciare il primo video, Andrea e Francesco stavano già a programmare il budget e le riprese per quello successivo.

Quella cosa mi mise molta più ansia di quanto potessi mai ammettere. La scommessa su di me era già stata fatta, bella grossa, con il primo pezzo e tutti i soldi che se n'erano andati per produrlo (che Andrea mi assicurò non essere affatto tanti, ma a me lo sembravano). Iniziare a lavorare sul secondo singolo prima ancora di rilasciare il primo mi pareva una follia.

Comunque, per mia fortuna, servì a tenermi ulteriormente occupato e scacciare, di tanto in tanto, il pensiero onnipresente della perdita di Elena dalla mia esistenza.

Il giorno precedente a quello di San Valentino 2017 ero un fascio di nervi.

Stavamo lavorando come i pazzi per assicurarci che tutto funzionasse al meglio per il lancio su YouTube: qualità audio e video adeguata, i contatti dei giornalisti pronti per girare la notizia il minuto dopo la pubblicazione online, i canali social aggiornati e lesti per pompare reazioni e commenti (ma quali "reazioni e commenti" poi?, mi chiedevo).

Alla mezzanotte del 14 febbraio 2017 la mia voce era lì, 'ncopp a YouTube e ripostata su Facebook, come il segreto di Pulcinella più scemo che potesse esistere.

Non dormii tutta la notte. Ma non volli neanche stare come un ossesso davanti al pc, ad aggiornare la pagina ogni due secondi per contare le prime views che arrivavano sotto al video. Stetti, invece, steso sul letto come un morto, con lo sguardo fisso sul soffitto e lo stomaco spappolato dalla tensione. Il cervello bloccato sul pensiero di come sarebbe potuta cambiare la mia vita a partire dal giorno seguente, se quello che Andrea mi aveva promesso fosse successo davvero.

In mattinata mi arrivò un link su WhatsApp da parte di Natalia: un brevissimo articolo della rivista Rolling Stone che riportava l'ermetica presentazione sotto al mio primo post, "Liberato è nato a Napoli e canta", accompagnato solo dal collegamento al video di Nove Maggio e dei complimenti estemporanei per il mio profilo su Tumblr.

Restai a guardare fisso quella pagina web di due righe per un tempo interminabile, come se fosse un trattato di pace (o di guerra?) dalle cui clausole dipendesse il mio futuro.

Seguirono a ruota link di altri giornali, soprattutto regionali, che ripetevano lo stesso pattern di "notizia".

Era successo veramente, alla fine.

Non solo il video stava pubblicato sull'internet, ma la gente addirittura ne discuteva con coinvolgimento. Iniziarono ad arrivare, con sempre maggior frequenza, pure le notifiche dei commenti ai post su Facebook e YouTube, che mi affrettai a disattivare.

Non volevo sapere niente.

Tutto il mese di febbraio fu un turbinio di chiacchiera senza fine su LIBERATO, ovunque, a Napoli e non. I giornali e gli utenti online si domandavano febbricitanti: chi è? Chi non è? Uscirono ipotesi allucinate e allucinanti che, ammetto, mi strapparono diversi sorrisi.

Ivan Granatino e Frankie Hi-NRG avevano ripostato entusiasticamente il mio pezzo sul loro Facebook.

Io avrei voluto sprofondare e invece, spronato da Natalia, li ringraziai con dei brevi commenti a cuore aperto, con il tono da scugnizzo che avevamo appioppato a LIBERATO.

Lei era al settimo cielo. In tutta la sua carriera, quella era stata la mossa PR più di successo che avesse mai orchestrato. Faceva sorridere il pensiero che non fosse pensata per essere una fine "mossa strategica" manco per il cazzo ma che, piuttosto, erano state la mia sindrome dell'impostore e la misantropia recondita a spingermi all'anonimato e creare tutto quel ridicolo hype.

La settimana dopo l'uscita del video, Francesco mi chiamò al telefono e annunciò con tono solenne: – Quelli di Rolling Stone ti vogliono intervistare – proposta che mi fece scoppiare in una fortissima risata isterica.

– Ah, sì? E che c'aggia ricere? – sbottai incredulo, e anche un po' divertito dal fatto che i giornalisti avessero ancora voglia di tirare annanz' quel carro.

– Hanno mandato le domande scritte, puoi rispondere via email – spiegò lui, serissimo.

Ci pensai per un momento. Poi domandai, quasi speranzoso: – Potete far rispondere Gennaro?

Sentii Francesco mettere il vivavoce alla chiamata per facilitare l'intrusione di Natalia.

– Lillù, perché non ti vuoi divertire insieme a noi? Sei nel pieno del tuo momento di gloria – irruppe lei, con tono di lieve supplica.

Alzai gli occhi al cielo, anche se non potevano vedermi.

Era veramente il "mio" momento di gloria? Ero davvero io LIBERATO? Più lui diventava famoso, più io mi sentivo altro rispetto al suo prodotto. Era un personaggio a cui prestavo la voce? Un ologramma che strillava i miei pensieri e le mie delusioni, come un'enorme cassa di risonanza mascherata da artista enigmatico e inafferrabile?

Quel 14 febbraio era nato LIBERATO ed era morto Filippo? O una parte di Filippo, zitta zitta, nell'ombra del mio subconscio, era veramente diventata LIBERATO? Quanto c'era di lui in me, e quanto di me in lui, ora che 'sto "misterioso artista" aveva preso forma e vita propria in digitale, del tutto estraneo alla mia banale quotidianità?

Già che nella mia stessa testa ne parlassi in terza persona era indicativo del mio stato d'animo al riguardo.

– No – sbuffai – Scusa, Lina, ma io proprio nun tengo genio – e riattaccai senza ammettere repliche.

Non l'avessi mai fatto.

Quella sera Andrea venne a prelevarmi forzosamente da camera mia, e non volle sentire ragioni neppure quando gli urlai bestemmie dalla finestra, sfasteriato.

Salì fino a dentro casa grazie all'ingerenza su mia madre (che gli aveva aperto la porta, confusa da tutto quel bordello, dato che si era attaccato come un forsennato al citofono) per costringermi ad andare con lui chissà dove.

Borbottando, e senza neanche cambiarmi la tuta che tenevo addosso da giorni come pigiama, lo seguii con poca energia e la sensazione di essere un burattino nelle sue mani.

Passammo da Santa Lucia, su per le rampe di Pizzofalcone, fino a sopra alla caserma Bixio, dove ci fermammo a sedere sul muretto che dava sul panorama sud-ovest della città. Tirò fuori dallo zaino una bottiglia intera di Amaro del Capo.

– Festeggeremo come si deve più avanti, insieme a tutti gli altri – intimò – Ma ora voglio bere, per una sera, soli io e te – e mi passò un bicchierino di plastica dura colorata, in cui aveva versato il primo shottino.

Dopo averlo buttato giù in una botta, cominciai finalmente a rilassarmi.

– Non mi convincerai a fare l'intervista col Rolling Stone – affermai in una risata, anche se molto rigido nelle intenzioni.

– Ha già risposto Gennaro, non ti preoccupare. Ma mo t'aggia ricere 'na cosa 'ncopp a 'stu fatto – rispose, le mani a grattarsi gli angoli della bocca come a frenare il tono severo.

Mi guardò serio, dritto negli occhi: – Il successo si raggiunge sempre e solo in teamwork. Ma quest'anima bella di LIBERATO sei tu, Lillo, questo non te lo devi dimenticare.

Io non capii subito cosa intendesse. In quei giorni non è che il cervello mi camminasse proprio al suo meglio.

Feci spallucce e rimasi a fissarlo con lo sguardo stanco e vuoto, finché non continuò da solo per approfondire: – Quando ti ho chiesto di firmare con noi non ho mai pensato di fare di te qualcosa che non sei o di nasconderti dietro a un personaggio inventato. Questo sei stato tu stesso a farlo, per paura o non so cosa, ma sicuramente senza pensare a fondo a quello che avrebbe potuto comportare.

Era vero, e lo riconoscevo con molta serenità. E non me ne pentivo neanche: senza dubbio era stata la cosa giusta da fare per me stesso, al di là di quanto risultasse una brillante strategia di marketing agli occhi di qualcuno.

– Sento che sta per arrivare un "ma" in questo tuo discorso – insinuai, poiché era evidente che ci fosse molto altro che gli premeva di dirmi.

Lui rise e versò un altro giro di shots: – Il "ma" sarebbe che va pure bene che vuoi essere anonimo e che ti fai aiutare dal team, ma vorrei che non facessi più questa cosa di far rispondere altri al posto tuo – eccolo lì, il sassolino che voleva togliersi dalla scarpa – Perché così corri il rischio di "esternalizzare" LIBERATO, come se potesse essere chiunque di noi. Invece no, Lillù, LIBERATO sei tu e puoi essere solo tu.

Mi raccolsi un attimo a metabolizzare le sue parole, lo sguardo vagò sulla sagoma nera del Vesuvio e mi parve di non vederlo da secoli. Si finisce col dare per scontate le cose che si hanno sempre davanti agli occhi, fino a non notarle più.

Avevo scelto l'anonimato per evitarmi tutti i fardelli che derivano dalla fama, specie in una città come Napoli in cui essere una celebrità diventa ancora più una croce che in altre parti del mondo; ma, forse, dietro a quella scelta avevo nascosto anche la mia paura di inadeguatezza sempre latente, nonché la voglia di scaricare e spalmare questo gravame anche su altre persone.

Volevo esserne responsabile il meno possibile, ecco.

Forse perché, in cuor mio, speravo di potermi nascondere dietro quel dito e lamentare, di fronte al fallimento che mi aspettavo sempre dietro l'angolo: "Non sono stato io, è colpa vostra! È stato LIBERATO e la vostra ridicola fiducia in lui!"

Buttai giù il terzo cicchetto e annuii, anche se non del tutto convinto di volermi addossare davvero quell'accollo.

Ma glielo dovevo.

Ad Andrea dovevo tutto.

– Hai ragione, scusami.

Lui parve soddisfatto dalla mia ammenda, doveva essergli sembrata sincera e perfino ragionata. Allora tornò a parlare con il tono gioviale e scherzoso di sempre: – Sei sulla bocca di tutti! C'è già gente che ha imparato il testo di Nove Maggio a memoria! – esclamò.

Io mi strinsi di nuovo nelle spalle. Il solito fuoco di paglia, pensai, ma non ebbi il coraggio di proferirlo ad alta voce per paura di ferire Andrea e, forse, anche LIBERATO.

Alla mia evidente mancanza di entusiasmo e fiducia, lui rincarò la dose: – Tu c'hai il vizio di sottovalutarti, Lilluccio. Invece io, che per fortuna vedo ben oltre le tue seghe mentali, qui lo dico e qui lo nego, hai già fatto entrare questa data nel cuore dei napoletani. E lì resterà, per sempre, nella storia della musica di questa città.

***

Non so se quella di Andrea fosse follia, fortuna o profezia ma, di sicuro, quando si pronunciava su qualcosa sapeva vedere molto più in là nel tempo di qualsiasi altro essere umano. Era l'unica persona che conoscessi alimentata solo da ferree e disarmanti certezze che il 99% delle volte si rivelavano, a noi poveri mortali, come ineluttabile realtà.

Cominciammo praticamente subito con l'arrangiamento e la registrazione di Tu t'e scurdat'e me con Gennaro, che era tornato dalla Spagna o dalla Francia, non ricordo, e stava preso benissimo. Era ispirato come non mai, a detta sua, perché si divertiva come un pazzo a vedere come si stava evolvendo questo "fenomeno LIBERATO" sul web.

Almeno uno di noi due si divertiva.

Una sera lo portai a bere per ringraziarlo di avermi coperto con la storia dell'intervista e finimmo a parlare tutta la notte delle nostre delusioni d'amore, stravaccati sotto la fontana di Monteoliveto, ubriachi marci.

A fine marzo iniziammo a mettere mano al nuovo video con Francesco. Partì lanciatissimo con uno storyboard, già tutto scritto di suo pugno, accompagnato da una serie di foto di angoli costieri e di ragazzi che, anche stavolta, aveva trovato nei meandri di Facebook. Io passai a rassegna tutto il materiale, un giorno che eravamo in riunione anche con Andrea e Natalia, finché non mi sovvenne un pensiero estemporaneo: – France', ma non è Tre metri sopra il cielo? – osservai quasi con stupore, senza tono critico.

Tutti risero.

– No, Lì, è Tre metri sopra il cielo che è uguale a tutte le storie adolescenziali del mondo – corresse Francesco, facendo spallucce – E poi, scusa, non eri tu stesso che stavi con una chiattilla di via Manzoni?

Nel tentativo di sviare l'argomento, mi cadde l'occhio su una delle foto del casting che aveva condotto online.

– Uà, fratm, me crir'? La chiattilla mia era proprio tale e quale a 'sta guagliona – notai, con una punta di shock, che l'attrice protagonista che aveva scelto sarebbe potuta essere il clone di Erica. A mente fredda, lo ricondussi al fatto che le ragazze che si rifanno le labbra finiscono con il sembrare tutte uguali.

– Non ti va bene? La vuoi cambiare? – si informò, quasi con apprensione.

Ci pensai un attimo.

Nella realtà quella canzone non era stata scritta per Erica e, comunque, di lei non me ne fregava manco più un cazzo di niente. Se la scelta di Francesco era ricaduta su quell'attrice, un motivo ci sarà stato. Non mi sembrava il caso di farne un dramma.

Scossi la testa: – Nah! Non mi interessa. Per me hai completo via libera 'ncopp a 'sto video, fanne quello che vuoi.

Da lì in poi, non sarei mai più andato sul set a seguire le riprese. Complice, tra le altre, la facilità con cui sviluppavo manie di persecuzione: ogni volta che, in giro per Napoli, partiva Nove Maggio da qualche parte, sentivo l'impellenza di correre a nascondermi. Ma, soprattutto, perché fu deciso di avere degli interpreti di LIBERATO che comparissero proprio dentro ai video, vestiti con un bomber nero ricamato col mio nome. Cioè non il mio, ovviamente, quello di LIBERATO.

Non mi sembrava il caso di comparire nei paraggi col rischio che la gente, presenti o passanti, potessero fantasticare qualche collegamento. C'erano già troppi azzeccati che non si davano pace per capire chi si nascondesse dietro al progetto.

Aprile fu un mese pieno ed estenuante, ma per fortuna passò in fretta.

Poi però venne maggio.

E fu il delirio.

Prima che il video uscisse su YouTube lo guardai e lo riguardai così tante volte che, se fosse stata una VHS, avrei consumato il nastro.

Avevo sentimenti contrastanti.

Era un lavoro eccelso e ineccepibile, come ci si poteva sempre ampiamente aspettare da Francesco. Anzi, forse quella volta aveva addirittura superato sé stesso.

Eppure, d'altro canto, raccontava una storia che temevo dicesse davvero troppo di me.

Natalia fece di tutto per rasserenarmi su quel punto: – Lillo, a te sembra che tutto parli di te perché tu sai che è così, sono cose tue quelle di cui canti. Ma lì fuori chi vuoi che ci pensi? Non ti conosce nessuno! – spergiurò convintamente, con tono anche un po' divertito – E poi le storie e le delusioni d'amore come ce l'hai avute tu, ce le ha avute anche tutto il resto della popolazione mondiale. Quando le viviamo ci sembra siano solo roba nostra, ma la verità è che passiamo tutti per le stesse identiche cose.

Aiutava molto che lei fosse vicina in età con mia madre. Aveva dei modi di fare simili ai suoi, con cui riusciva a calmarmi e riportarmi coi piedi per terra, saggia e discreta, sempre nei momenti giusti quando ce n'era più bisogno.

Natalia era forse la persona che aveva capito meglio, applicandolo con naturalezza e maestria, il tone of voice di LIBERATO. Quando lei mi aiutava a scrivere la roba da pubblicare sui social erano i momenti in cui sentivo più che mai LIBERATO come il prodotto di un'operazione collettiva, molto oltre me medesimo. Ma si arrabbiava se glielo dicevo.

Per smuovere altro hype attorno al secondo pezzo che avremmo pubblicato da lì a poco, Lina preparò un post speciale su Facebook: un video corto e buio, incredibilmente amatoriale, che ritraeva sua sorella minore mentre fumava sdraiata sul letto con il sottofondo del mio nuovo pezzo.

È proprio una cosa da LIBERATO, giudicai appena me lo mostrò, e subito dovetti chiedermi allora perché non ci avessi pensato io.

Il video di Nove Maggio era ancora in Top Ten delle tendenze su YouTube Italia quando droppammo anche Tu t'e scurdat'e me sul canale, il 9 maggio 2017. Quello, forse, fu il vero momento topico della consacrazione di LIBERATO nel firmamento della storia della musica moderna napoletana.

Il pezzo fu subito scelto per entrare nella colonna sonora di un docufilm sui napoletani espatriati che sarebbe uscito in anteprima il mese successivo.

Persino Roberto Saviano prese a tempestare i social di post in cui diceva di ascoltare i miei pezzi in loop.

La mia voce stava 'ncopp a tutte le grosse radio nazionali e, ciononostante, non avevo ancora ricevuto neanche un singolo messaggio dalle persone che mi conoscevano da tutta la vita. Nessuno che si fosse anche solo lontanamente accorto che quel timbro gli suonasse familiare.

Un giorno che mi trovavo in un negozio a fare delle compere con mamma, gli altoparlanti sintonizzati su Kiss Kiss spararono Nove Maggio a mille per tutto il locale e il mio petto sprofondò nel disagio cosmico.

Lei non fece una piega. Canticchiò il motivetto, dimostrando persino di conoscerlo già, e continuò a mettere roba nel carrello come se niente fosse.

Io volevo morire e lei niente, neanche un commento.

La mia percezione divenne sempre più falsata da quei piccoli dettagli, le incongruenze della mia nuova vita. Tutta l'Italia parlava di me, ma solo io e uno sparuto gruppo di collaboratori (più o meno anonimi anche loro) sapevamo che stessero parlando di me.

Mia madre, Teresa, Carmine, sembravano tutti caduti vittime dell'"effetto Clark Kent": nessuno può riconoscermi se indosso gli occhiali. Ma i miei "occhiali" erano... l'autotune?

Eppure la mia vita era davvero finita inglobata e arrevotata da LIBERATO, anche se nessuno attorno a me se n'era accorto.

Mi licenziai dalla fatica al bar perché, oltre a non avere più il tempo materiale di andarci, in quel paio di mesi passati dal debutto di LIBERATO avevo già guadagnato più di quanto avessi mai preso dal sangue buttato dietro a quel bancone.

Bar o non bar, riuscivo nell'impresa di preparare un esame per il conservatorio solo ogni morte di Papa. Ma non c'era fretta per quello.

La vera impellenza era spiegare a mia madre in che modo quel nuovo lavoro da "consulente" per Andrea portasse a casa tutti quei soldi.

Infatti, quando glielo menzionai io, non mi credette.

Si fece venire gli occhi lucidi e le crisi isteriche, quasi autoconvincendosi che fossi tornato di nuovo a spacciare. Solo dopo che Andrea venne a parlarle, cuore a cuore, una sera che lo invitai apposta a mangiare a casa nostra, si tranquillizzò e fece sempre meno domande.

Di certo aiutò che lui avesse un fascino e un carisma tali da poter vendere ghiaccio ai lapponi, senza il minimo sforzo di negoziazione. Mamma si informò sulla sua età dopo averlo accompagnato alla porta, forse c'aveva fatto un pensierino.

I veri pericoli per l'anonimato di LIBERATO, invero, venivano dagli sconosciuti, in particolar modo dagli sfaccimmi di giornalisti. Almeno un paio di azzeccatoni tra questi, infatti, presero ad aggrapparsi in maniera ossessiva a qualsiasi cosa pensassero fosse utile a sgamare l'identità dell'artista misterioso. Primo fra tutti un tale Gianni di La Repubblica che, già dalla settimana dopo l'uscita di Nove Maggio, aveva iniziato a mettere in croce Francesco quotidianamente, tempestandolo di chiamate e messaggi per convincerlo a chiedermi di concedergli un'intervista.

Più quei kitemmuorti si imponevano con quell'atteggiamento del cazzo, più io mi mettevo paura e sulla difensiva. Non avevo accettato neanche di rispondere via email a delle domande scritte, figuriamoci se mi sarei mai piazzato davanti a una webcam su Skype a farmi fare la pelle da quella piattola.

Su questo, per fortuna, riuscii ad avere l'appoggio immediato di Andrea e Natalia, che liquidarono la questione senza che dovessi giustificare ancora una volta la mia scelta.

Poi però, con soli due pezzi all'attivo, qualcuno mise in mezzo la fatidica possibilità di fare dei live.

Ne discutemmo una sera, raccolti a cena in casa di Andrea, come la prima volta che assemblammo il team. Era arrivata una proposta per farmi cantare addirittura in un festival a Milano.

– No, guagliù – negai subito, secco e senza ammissione di replica – Nun se po' fa'.

– Vabbuò, Lì, ma pecchè sì accussì difficile, 'o frat? – si esasperò Andrea – O vuò fa' o cantante oppure no?

Non l'avevo mai pensata in quei termini.

Io? Volevo fare il cantante? E da quando?

– No – proclamai con un largo gesto delle braccia – Voglio fa' musica... Chest'è.

Natalia scosse la testa con severità, le braccia incrociate sotto i seni prosperosi e lo sguardo basso a contemplare le macchie sugli stivaletti, pur di non finire a lanciarmi bestemmie contro.

Andrea tornò subito all'attacco: – Quando hai firmato sapevi che prima o poi si sarebbero fatti degli spettacoli anche live, mi sembra ovvio.

Mi agitai, la voce pitchata quasi in falsetto: – Eh, fra', ma più poi che prima! Che cazzo vado a cantare se abbiamo pubblicato solo due pezzi? – mi sentii messo alle strette.

Ok, ci poteva anche stare che in futuro sarei dovuto salire su un palco, ma quello che mi metteva ansia era farlo così presto. Mi sembrava di cavalcare troppo un'onda che pareva alta e poderosa ma che, in realtà, era fatta di fumo.

– Sì, però farti vedere in carne e ossa aiuterebbe a spingere una certa narrazione di te sui giornali – intervenne Natalia, gli occhialoni di plastica di nuovo fissi su di me – Non dico che devi uscire a volto scoperto, per quello le soluzioni sono tante, ma almeno fare un'apparizione così... a sorpresa. Non guasterebbe al progetto, in termini di marketing.

Il suo cazzo di chiodo fisso del marketing.

Ero accerchiato, in minoranza, non conoscevo strategie per difendermi da quell'assedio.

Con un tempismo eccezionale, venne in mio aiuto quel cervellone di Francesco, che una ne pensava e cento ne faceva. E aveva anche tanti amici.

– Calcutta mi ha detto che gli piaci molto – ci riferì, così, di punto in bianco.

Gli puntammo tutti gli occhi addosso, in attesa che chiarisse dove volesse andare a parare con quell'informazione improvvisa e del tutto decontestualizzata.

Lui si strinse nelle spalle: – Guagliù, gli chiediamo nu favore. Alla fine, nel contesto, ci sta. Gli facciamo fare la cover dei pezzi tuoi, zitti zitti, all'ultimo a tutto. Così non succede niente, anche se sono pochi, perché non è quello il punto.

– Cioè, suggerisci di annunciare in via ufficiale che ci va Lillo e poi, invece, facciamo salire sul palco Calcutta? – ricapitolò Natalia stralunata, una lunga unghia finta glitterata impegnata a grattarsi via dalla fronte i sudori freddi.

Francesco annuì e non aggiunse altro, come se quanto riassunto da Natalia avesse già perfettamente senso.

Gennaro irruppe in una fragorosa risata e gli schiaffò un rumorosissimo cinque in aria, osannando il suo genio.

Devo ammetterlo, anche a me l'idea piacque moltissimo. Significava ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Non solo perché Calcutta era molto più famoso di me e ben piazzato nel settore, ma anche perché di una presa per il culo gigantesca come quella se ne sarebbe parlato per sempre.

Così, nel giro di un paio di giorni, i contatti con gli organizzatori del festival furono attivati, Calcutta iniziò a progettare la sceneggiata e il primo palco di LIBERATO fu annunciato in pompa magna.

Il 24 maggio partimmo alla volta di Milano.




Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top