Track VII - Intostreet
– Ma sei pazzo?! – scattai in piedi con un urlo davvero troppo veemente – La Ferrante scrive solo, mica canta!
Andrea si mise a ridere e mi intimò di abbassare la voce: – Ti abboffiamo la voce di effetti e autotune, come si porta oggi. Chi vuoi che ci pensi? – rispose con molta calma – Dici che semmai qualcuno si potrebbe mai pensare ca ti metti a fa' o' neomelodico di professione, tu? – alzò un sopracciglio di scherno.
Poi si voltò verso Natalia, con l'espressione esaltata ed entusiasta di chi aveva appena provato una nuova droga. Lei ancora non si era espressa a riguardo, anzi, sembrava raccolta in una specie di trance meditativa.
– Ja', Lina, che dici? Non è un'idea geniale? – ribadì mentre le smuoveva la spalla con una mano come a tentare di convincerla con la forza.
Lei rimase ancora un attimo pensierosa, poi osservò: – Eh, ma aggia itt' mo mo che tiene la voce bella, e tu gliela vuoi modificare? E poi come li fa i live? Chi ci meniamo sul palco?
Tutte domande molto pertinenti. Annuii, convinto anch'io che non potesse esserci soluzione.
– Ma non sarebbe mica l'unico! I Daft Punk, i Gorillaz, pure Myss Keta... ci hanno fatto una carriera che resterà nella storia così. "Esserci senza apparire" è praticamente un classico dell'elettronica e dell'indie – insistette Andrea.
Mi tirò le mani per tenerle tra le sue come se volesse votarsi in preghiera: – Lillù, se tu lo vuoi fare un modo si trova, basta che mi dici di sì. Io voglio produrre tutto quello che ti passa per questa testolina scoppiata che tieni.
Forse non mi convincerò mai del tutto del fatto che Andrea ci avesse visto giusto su di me.
Non riuscivo proprio a comprendere l'origine di quella sua smisurata e cieca fiducia, riposta nelle mani di un ragazzino squattrinato e appena uscito di galera. Quel fare carte false per persuadere quello stesso ragazzino di essere una persona su cui qualcuno avrebbe addirittura voluto investire, aspettandosi un ritorno economico che valesse il rischio; decantandone le capacità, come se ai quartieri non ci fosse la fila di guaglioncelli dai mille talenti frenati da famiglie disastrate e tuttavia pieni di sogni di grandezza e riscatto.
E io, che fino a un secondo prima ero convintissimo di non poterlo fare, che la mia vita era già abbastanza un casino così com'era e che, tutto sommato, quel gran talento non credevo neanche di averlo... mi trovai di fronte gli occhi imploranti e speranzosi di un uomo che mi era stato più padre di quello biologico, e che mi stava solo spronando a provare a credere in me stesso.
Allora, influenzato da quel momento di follia, dissi di sì.
***
Ma, ovviamente, nei giorni seguenti non ebbi l'impressione che la mia vita fosse cambiata in alcun modo.
Non conoscevo nulla di come funzionasse quel mondo, non sapevo bene come e quando mi sarei dovuto muovere e per fare cosa. Loro dissero solo che ci saremmo rivisti presto per discutere tutto più nel dettaglio, stabilire certe cose tecniche e di immagine, nonché per firmare le carte.
Ricordo ancora come se fosse ieri il lunghissimo abbraccio in cui mi avvolse Andrea prima di salutarci, quella sera. Mi guardò dritto negli occhi e ribadì quanto fosse orgoglioso di me, col calore paterno di cui raramente avevo fatto esperienza diretta. Anzi, come il mio vero padre non aveva mai fatto. E gioii in cuor mio che quella fosse una cosa che proprio lui, mio padre, non avrebbe mai saputo e di cui non si sarebbe mai potuto vantare con nessuno.
Il resto di quella settimana lo passai schiattato al bar la mattina, e a preparare quello che dovevo suonare per Teresa la sera. Rividi Elena solo quando venne a mangiare a casa mia in una calda serata infrasettimanale, su pressione di mamma che scalpitava per conoscerla, e cogliemmo l'occasione di invitarla alla festa di Teresa come quest'ultima ci aveva raccomandato.
Lenuccia fu felicissima dell'opportunità di conoscere la mia famiglia e i miei migliori amici. Inscenò monologhi infiniti sullo sport e sul cinema per tutta la cena (una vera fortuna, io avevo il cervello troppo all'altro mondo per fare un qualsiasi sforzo di intrattenimento), e mia madre la prese subito in simpatia. Prima di andare a letto, poi, commentò che con quei begli occhi chiari parlava addirittura più che con la bocca.
Erano giornate di incredibile frenesia, stanchezza e confusione emotiva. Solo il tempo speso con Elena riusciva sempre ad appaciarmi col mondo, per quanto brevemente.
Finché non arrivò il venerdì sera del fatidico compleanno di Teresa.
La festa si tenne nel giardino di un locale al Vomero che aveva la bellavista aperta sul golfo. Come prospettato, suo padre non badò a spese per celebrare la tanto adorata figlia.
Il cielo era sgombro e di uno straordinario blu elettrico, pareva sciogliersi dentro al mare come caramello. Era povero di stelle, però, forse per via dell'abbagliante inquinamento luminoso della città.
Di fatto ci pensava già Teresa a brillare di luce propria, elegante come l'avevo vista solo in poche altre occasioni in precedenza, poiché di rado mollava il suo consueto look da ribelle bohemien un po' punkabbestia.
Invece, per la sua notte da protagonista, aveva indossato un lungo abito blu scintillante con dei drappi di velo che le pendevano sulla schiena tipo ali di farfalla, e un firmamento di perline bianche tra i lucenti capelli neri.
Tuttavia, mi diede l'impressione di essere altrove con la testa, impegnata a sbrogliare una matassa di pensieri che le appannavano la felicità che ci si sarebbe aspettati di vedere sul viso della festeggiata. Si guardava intorno di continuo, alla ricerca di questa o quell'altra persona, con lo sguardo meccanico tipo laser scansionatore di folla.
Rinvenne dalle mille distrazioni solo quando conobbe Elena, e ne rimase subito folgorata. Iniziarono a parlottare come se avessero chissà quante conversazioni arretrate da recuperare, e io mi ritrovai tanto escluso dal loro flusso che non mi restò che chiedermi se esserne felice, sorpreso o sconcertato.
Dopo venti minuti sembrava già che si conoscessero da sempre. Terry le raccontò delle sue aspirazioni da avvocato per i diritti degli underdogs ed Elena menzionò con orgoglio il suo Servizio Civile alla bottega equosolidale, nonché l'attività di volontariato che prestava alla palestra popolare all'ex-OPG di Materdei. Quando persi il filo di tutte quelle chiacchiere me ne andai a cercare la band e gli strumenti sul palco ai margini del giardino.
In mezzo al prato incrociai Carmine che si era agghindato da vero guappo, raffinato come non l'avevo mai visto.
Mi venne incontro con un ghignetto, passandomi un braccio attorno alle spalle: – Lillù, e comm' staje frisc'! Mo mi innamoro pure io di te come quella bella bambolina con gli occhi azzurri – indicò Elena, ancora impegnata a discutere con Teresa in fondo al locale.
Ci raggiunse anche Ciccio, con passo furtivo e la solita faccia da cazzo, che aveva origliato tutto e non voleva perdere l'occasione di dire la sua: – Ma dove l'hai trovata una come quella, Filì? – chiese beffardo, forse per insinuare che non me la meritassi. Eppure non mi sembrò che ci fosse cattiveria nel suo tono. Un pizzico di invidia, più che altro.
In effetti, Elena stava facendo strage non solo del mio cuore, quella sera. Ogni stretta curva del suo corpo era avvolta da un vestito color lavanda che faceva risaltare la tonicità dei suoi muscoli scolpiti dal nuoto, e un tocco sbarazzino era fornito alle larghe spalle da voluminose maniche a palloncino.
Non feci in tempo a controbattere ai commenti allusivi dei miei amici sulla mia nuova ragazza che lo staff richiamò l'attenzione di tutti per iniziare la cena. Corsi a raccattare Elena, distogliendola dal suo fiume di parole interminabile, per farci strada in mezzo ai tavoli alla ricerca del nostro nome sui bigliettini.
Alla tavola insieme a noi erano assegnati anche Carmine, Yousef e un'amica di Teresa dagli enormi occhiali tondi, di nome Angelica. Mi ricordavo vagamente di averla incrociata altre volte poiché studiavano spesso insieme a casa di Teresa, ma non ci eravamo mai scambiati più di qualche saluto. Prese a raccontarci dell'afosa estate passata a prepararsi per il test d'ingresso a Giurisprudenza con Terry, e di come avesse faticato a trovare il tempo di farsi almeno un bagno in costiera a Ferragosto.
La cena volò via tra le classiche freddure di Yousef a sporadica interruzione del fiume di dibattiti tra Carmine, Elena e Angelica mentre, più loro parlavano, più io mi sentivo sollevato di potermi defilare e trovare un po' di pace mentale.
Poco dopo che fu servita l'ultima portata di pesce venne il padre di Teresa a chiamarmi e portarmi dai musicisti per prepararmi all'esibizione. Avevo pensato a un medley di alcuni pezzi che sapevo essere tra i suoi preferiti: Sunrise di Allevi, Sure Thing di Miguel e Tempesta di Malika Ayane.
Ma, mentre suonavo e lanciavo occhiate in mezzo alla folla che si era raccolta tutta intorno, mi accorsi di una certa tensione che si era creata tra Francesco e Teresa.
Quando avevo iniziato a suonare Allevi erano arrivati sotto al palco abbracciati però, via via che procedevo con la performance, si erano fatti sempre più lontani l'uno dall'altra e lei lo cercava con lo sguardo ansioso senza essere ricambiata.
Lasciata andare l'ultima nota fui investito da un fragoroso applauso (le più rumorose furono Elena e mia madre), e i genitori di Teresa vennero ad abbracciarmi e ringraziarmi.
Ma lei non lo fece, perché era sparita dalla circolazione.
Senza darmi il tempo di riprendere fiato, appena sceso dal palco, Francesco mi afferrò un braccio per spingermi violentemente in un angolo appartato del giardino. Iniziò a urlarmi addosso illazioni sul perché avessi cantato quei pezzi, voleva sapere da quant'era che mi scopavo la sua ragazza e altre follie di quel genere.
Io, sconvolto, non riuscivo proprio a capire da dove stesse tirando fuori delle accuse così fantasiose e incredibili.
–France' – mi difesi con sorprendente autocontrollo – Sono le canzoni preferite di Teresa, le ho scelte apposta per lei.
Lui sembrava inconsolabile. Faceva un passo avanti e uno indietro verso di me come intrappolato in un loop, poi batté un pugno sul muro alla nostra destra e quasi sentii il crack di qualche osso.
– "Love you like a brother, treat you like a friend, respect you like a lover" – recitò la canzone di Miguel che avevo appena cantato – Non sono parole per lei queste?
– Ma quando mai, France', sono le parole della canzone che le piace, mica le ho scritte io. Non l'ho cantata per quello! – spiegai ancora, sinceramente interdetto e allibito dal dover spiegare robe tanto ovvie – Ma perché stai facendo così?
– Perché l'ho vista che si baciava con qualcuno prima, dietro a quegli alberi – indicò gli arbusti che coronavano l'ingresso del locale con gli occhi e un breve cenno del capo – Ma non sono riuscito a capire chi fosse l'altra persona. Poi è tornata da me come se niente fosse, non sapeva che l'avessi vista.
Abbassò lo sguardo con un sospiro sconfitto mentre ancora guardavo gli alberi che mi aveva indicato e, stavolta, fui io a scorgere Teresa lì dietro alle fronde.
Presi Francesco per un braccio e, col dito davanti al naso, gli feci segno di fare silenzio e seguirmi, per acquistare terreno verso l'anfratto dei misteri. Lì, dietro a tutto, scorgemmo Teresa con quella che sembrava essere la sua amica Angelica. Si tenevano per mano e stavano in piedi l'una di fronte all'altra, bisbigliandosi qualcosa con fare molto intimo.
Proprio quando stavo per tirare un sospiro di sollievo nel constatare che non c'era di mezzo nessun altro misterioso ragazzo, e saltar fuori dall'albero dietro cui ci eravamo nascosti, le vedemmo chiaramente scambiarsi un bacio in bocca.
Sentii Francesco irrigidirsi di fianco a me e, per caso, con la coda dell'occhio, vidi che anche Carmine si era appostato all'angolo opposto al nostro.
Ciccio uscì allo scoperto con irruenza, come un gladiatore nell'arena di combattimento, prima ancora che io potessi fare mente locale su cosa cazzo stesse succedendo. Teresa e Angelica lo guardarono immobili e sbiancate in volto, con le mani ancora intrecciate l'una nell'altra.
Senza proferire parola, Ciccio corse verso Teresa e le mollò un ceffone dallo schioppo così potente che temetti l'avessero sentito pure gli invitati dalla parte opposta del ristorante.
Scattai in avanti per fermarlo e vidi che Carmine fece lo stesso, ma fu la stessa Teresa a batterci sul tempo e spingerlo via con una forza di cui non la sapevo capace.
Lui barcollò all'indietro, sotto shock, ma trovò le energie di urlarle contro con tono oltraggiato: – Cioè tu non solo mi hai tradito, ma mi hai pure nascosto di essere lesbica per tutto questo tempo?
Lei scoppiò in lacrime, ma i suoi occhi erano più animati da rabbia che da tristezza: – Ma tu sei proprio tutto scemo! Io non sono lesbica, mi sono solo innamorata di entrambi! – esplose, con il colorito pallido che iniziava a virare sul paonazzo – E c'hai proprio una bella faccia come il culo a recitare la parte del Dio violato e farmi la predica, considerato che ti sei scopato Veronica Ricci tre settimane fa, e poi hai avuto l'ardire di dirmi che eri stato da tua nonna che si era sentita male.
Si morse il labbro, come a frenarsi dallo sputargli addosso per disgusto.
Io e Carmine ci lanciammo un'occhiata sconvolta.
Si stavano scoprendo troppi altarini tutti in una volta, di gente di cui credevamo di sapere tutto e, invece, evidentemente non sapevamo un cazzo; senza neanche più riuscire a star dietro alla cascata impetuosa di dramma che stava inondando quel pezzo di cortile.
Francesco farfugliò parole disordinate per negare, ma lei lo interruppe ancor prima che riuscisse a essere convincente: – Ti abbiamo visto coi nostri occhi, io e Margherita, mentre uscivi da casa di Veronica, quel giorno che ci aveva detto che era sola perché i suoi genitori stavano a Roma, e tu mi avevi detto che stavi da tua nonna – spiegò, con dovizia di ulteriori particolari e prove schiaccianti che non ricordo, ma che coinvolgevano pure una storia su Instagram. Non avevo neanche idea di chi fosse quella Veronica di cui parlavano.
Allora Ciccio fece l'unica cosa che nessun uomo con le palle dovrebbe mai fare in una situazione del genere. Avrebbe potuto reagire, financo aggressivamente; scusarsi, giustificarsi, persino mentire per cercare di salvare quel poco di rapporto che poteva ancora essere salvato. Invece girò i tacchi e abbandonò la festa, in una nuvola scura di bestemmie da pazzo e brandelli di cravatta lanciati per aria.
Teresa scappò a piangere nella direzione opposta e Angelica la seguì a ruota.
Io, come un coglione, rimasi fermo sul posto per un lasso di tempo un po' troppo lungo. Quando ritrovai il filo dei pensieri e mi voltai verso Carmine, vidi che anche lui era rimasto lì impalato. Una lacrima gli scendeva lenta lungo la guancia sinistra.
– M'ha sfunnat' – dichiarò con la voce rotta – Mo veramente non tengo più nessuna possibilità con lei, se devo competere con tutta la popolazione del mondo, sia maschi che femmine.
Io gli diedi un'affettuosa pacca sulla spalla, ben consapevole che il suo amore per Teresa fosse nato già spacciato. Non era certo una novità, femmine o non femmine.
Il resto della festa fu una messinscena se possibile ancor peggiore di quella a cui avevo appena assistito: Teresa si aggirava tra gli invitati come uno zombie, gli occhi gonfi e rossi, ma nessuno se ne curava (scambiato per un effetto dell'alcol, forse), mentre Carmine era fuggito in motorino piangendo e rifiutando di sfogarsi persino con me. Angelica si era smaterializzata chissà dove.
Io presi un attimo da parte Elena, che nel frattempo aveva fatto amicizia con tutte le ex compagne di classe di Teresa e sembrava essere rimasta l'unica persona a godersi davvero quella festa. Le raccontai la tragedia greca appena consumatasi sotto gli aranci, per esporle il mio piano di rimanere accanto a Teresa il più possibile per il resto della serata. Avevo in mente qualcosa per cui non sarei tornato a dormire a casa.
La sua reazione fu molto dolce e comprensiva: – Serve una mano? Mia mamma è già per strada... Dici che non è il caso di andare a salutare Terry in questo momento?
Ma la festeggiata era svanita già da un po' e io ero diviso tra la preoccupazione per lei e il pensiero cupo di non poter scivolare quel bel vestitino color lavanda giù fino ai piedi di Elena quella notte. Capita l'antifona, la mia ragazza si coordinò per telefono con la madre e mi diede un bacio appassionato prima di andare via.
Un quarto d'ora dopo rientrarono in sala i genitori di Teresa, quest'ultima trascinata di peso come un manichino. Finse un malore per qualcosa che aveva mangiato e rivolse a tutti una valanga di finti sorrisi di circostanza durante lo scartamento dei regali, impilati sul tavolo al centro del salone.
Quando ormai tutti i pacchetti erano stati aperti e la gente aveva iniziato ad andarsene, mi decisi a prenderla da parte e chiederle se le andasse di venire via con me.
Lei annuì senza pensarci troppo, gli occhi ancora lucidi e sconvolti, e io corsi da mamma a farmi dare le chiavi della macchina che ci aveva prestato papà per l'occasione.
Caricai Teresa sul sedile anteriore come un sacco di patate, messa completamente al tappeto dalla combo di pianto, sceneggiata e alcol. Il che mi fece riflettere su quanto io, invece, avessi bevuto pochissimo, nonostante le intenzioni iniziali di ridurmi come la merda per festeggiare tra me e me l'ingresso al conservatorio e il contratto che stavo per firmare con Andrea.
Andai spedito in direzione di Sorrento, dove avevo prenotato al volo la camera più economica che avevo trovato su Booking.
Quando eravamo piccoli e le nostre madri ci volevano portare al mare in gita fuori porta la domenica, la destinazione era sempre Sorrento. Era una specie di nostro happy place d'infanzia.
Per tutto il tempo del tragitto in auto, Teresa non proferì neanche una parola. Pure io mantenni un religioso silenzio, in attesa che fosse lei a decidere quando, se e cosa dirmi.
Nel frattempo avevo anche tanti altri pensieri che mi rimbalzavano in testa come piccole palle pazze. Primo tra tutti, mi chiesi quante cose come quella avrei potuto fare per i miei amici in futuro, se le prospettive di lavoro avessero iniziato a girare come andava profetizzando Andrea.
Il Filippo senza la più pallida aspettativa di una fatica ben pagata, che esisteva fino a soli due giorni prima, non avrebbe mai potuto permettersi di prenotare la notte di fuga last minute a Sorrento per la sua migliore amica. Forse neppure di mettere la benzina all'energivoro e pomposo ammasso di lamiera prestato che stava guidando.
Non avevo neanche uno straccio di risparmio dai tempi in cui spacciavo. Un po' perché avevo le mani bucate, in quanto convinto che sarebbe stata una situazione di guadagno a lungo termine, ma anche perché mamma sequestrò tutto quello che mi era rimasto per poter coprire le spese dei guai che avevo combinato prima di finire a Nisida.
Mi sembrava una vita fa.
Senza neanche accorgermene, quel guaglioncello che imitava goffamente Sangueblu si era trasformato in uno che avrebbe voluto diventare, piuttosto, lo Zerocalcare del quartiere Porto.
Solo quando spensi la macchina nel posteggio sul retro dell'ostello e mi voltai verso il posto del passeggero, il mio flusso di pensieri tornò a focalizzarsi su Teresa. Che, a sua volta, parve risvegliarsi dallo stato di trance che l'aveva ammutolita per quell'abbondante mezz'ora.
– Uà, Filì, ma sei serio? – esclamò, quando il rendersi conto di dove fossimo le disegnò un largo sorriso sorpreso che le illuminò perfino gli occhi pulsanti e arrossati.
– È il tuo diciottesimo, Terè. Non può essere una giornata che finisce male – sorrisi a mia volta, al pensiero di aver finalmente ingarrato una cosa giusta al momento giusto.
Raccolte le chiavi da un giovane inserviente che lanciò qualche occhiata di troppo alla mia amica, salimmo di corsa al terzo piano del palazzo. La fortuna ci consegnò una camera vista mare, anche se microscopica e con il bagno in comune nel corridoio.
Teresa si affacciò subito fuori al balconcino angusto, per guardare il riflesso sporco e tondo della luna sulla distesa di onde scure sotto di noi. Quel rumore familiare ci calmò entrambi.
– Stong' ancora tutt'accunciata, che scomodità! – sbuffò, i tacchi volarono via dai suoi piedi fino al centro della stanza.
Mi fece segno di trascinare sul balcone le sedie che stavano ai lati dei letti. Obbedii e mi sedetti di fronte a lei, con la testa poggiata stancamente sulla ringhiera.
Iniziò a togliersi una per una tutte le perline innestate ai folti ricci dello stesso colore della notte, buttandole a casaccio in giro. Mi scappò una risata: – Sembri una scimmietta che si spulcia!
Lei fece una smorfia indispettita e mi tirò un buffetto sulla spalla. Poi abbassò gli occhi e si incupì: – Pensavo che ti saresti arrabbiato perché non ti ho detto niente.
Io feci spallucce con noncuranza: – Mi arrabbio se la gente non mi dice le cose in cui sono coinvolto, mica se si tratta dei cazzi loro – chiarii – I fatti tuoi lo decidi tu quando, e se, me li vuoi dire.
Mi sembrava la cosa più naturale del mondo.
Due lacrime parallele corsero veloci a inumidirle gli angoli della bocca: – Grazie – sussurrò – Adesso ho veramente bisogno di dirlo a qualcuno.
E solo allora iniziò a raccontare di come aveva scoperto che Francesco si vedeva con tale Veronica, dalla fine di luglio, perché un'amica comune aveva sentito la ragazza vantarsene con qualcuno a una festa. Poi se ne era assicurata in vari modi, incrociando i contatti sui social e le chiamate che Ciccio riceveva ogni tanto, inaspettatamente.
Mentre si occupava di tutto questo doveva anche studiare, ed erano mesi che faceva delle sessioni intensive con Angelica per prepararsi alla prova d'ingresso all'università.
Angelica, come ricordavo già, era una sua compagna del Genovesi. Avevano iniziato a legare da matricole, dopo aver partecipato insieme a un contest di poesia della scuola e, da allora, collaboravano assiduamente all'organizzazione di scioperi, occupazioni ed eventi scolastici. Dopo la maturità avevano deciso di coordinarsi nello studio per entrare alla Suor Orsola, dato che era obiettivo comune a entrambe di studiare Legge lì.
– Io te lo volevo dire, Lillo, quella volta che sono venuta al bar a pigliarmi il caffè – giurò – Ma poi me ne andai proprio per beccare in flagrante Ciccio che usciva da casa di Veronica – aggiunse, e riportai alla memoria la scena del messaggio e di come era corsa via in fretta quel pomeriggio.
– Il giorno prima di quello, io e Angelica stavamo a casa mia da sole e alternavamo momenti di studio disperato a pause caffè lunghissime – raccontò. Per pazziare avevano preso a giocare all'impiccato sull'angolo del quaderno degli appunti di Angelica, e questa aveva tratteggiato sul foglio le cinque lettere da far investigare a Teresa. Era una frase proprio corta, infatti non ci mise troppo a scoprire le prime vocali, e poi...
Teresa sorrise al ricordo di quel momento mentre me lo narrava in stile fiabesco, con palpabile batticuore: – La frase da indovinare era "Ti amo" – le sfuggì una rapida risata imbarazzata – Buffo come abbia deciso di dirmelo così.
Nel momento in cui Terry pronunciò la risposta all'enigma, come sospesa a metà tra sogno e veglia, improvvisamente, Angelica l'aveva baciata.
– Era proprio un bacio morbido e dolce, Lillo, così come Francy non me ne dava da anni – riconobbe – E io mi sono sentita sciogliere. Senza neanche accorgermene, non solo la stavo ricambiando, ma avevo pure iniziato a stringerla forte come se non volessi lasciarla andare mai più.
Si era ritrovata a pensare a quanto fosse bella Angelica, di una bellezza che non pensava di aver mai visto in lei o in nessun'altra ragazza prima di quel momento; ma che si era materializzata chiara e diretta bell'e buono, come un messaggio divino.
– Mi sono sentita come quell'attrice del tuo film preferito, quando dice "capii che non avrei mai voluto baciare altre labbra"... – simulò le virgolette con le mani a mezz'aria, e io suggerii che il film era V per Vendetta – Ecco, anche io ho pensato la stessa cosa in quel momento – concluse.
Mi rollai una canna e la ascoltai esaltare Angelica e tutte quelle sue nuove emozioni in perfetto, intenerito, silenzio. In fondo ero cosciente di usare anch'io quello stesso trasporto quando parlavo di Elena.
Sono belle le storie di come nascono gli amori. E lei aveva gli occhi più brillanti che mai mentre tesseva le lodi della sua nuova innamorata.
– Non lo abbiamo ancora fatto – sottolineò, con un pizzico di malizia nello sguardo – Anche se vorrei. Non riesco a immaginare come potrebbe essere... devo imparare tante cose nuove. Sai, Oscar Wilde diceva che "nel mondo tutto si basa sul sesso, tranne il sesso. Il sesso si basa sul potere", e ho sempre pensato che fosse vero. Ma magari tra donne è diverso...
Mi fissai su quella frase per qualche secondo nel tentativo di imprimere bene nel mio cervello il senso della riflessione. Ma l'effetto dell'erba fresca non permise ai miei neuroni di correre alla velocità necessaria per processare qualcosa di tanto complesso.
– Il problema è che, in tutto questo, Francesco non aveva smesso di piacermi – tirò un lungo sospiro – O forse era diventata solo abitudine, non lo so. Di sicuro non mi aspettavo che avrebbe mai potuto tradirmi, e neanche il modo assurdo in cui ha reagito stasera.
Le feci notare che, in fondo, per quanto fosse amico mio, Ciccio era sempre stato un montato e uno scimmione.
Lei rise, ma tradì qualche nota amara nel tono: – Alle bambine viene sempre detto che si troveranno un uomo tale e quale al loro padre. Ma Francesco non c'entra un cazzo con papà.
– Se è per questo neanche Angelica – rincarai, mimando con entrambe le mani il gesto tondo delle tette all'altezza del mio petto.
Lei mi rivolse uno sguardo severo di rimprovero, ma poi esclamò con una risata: – Sì proprio 'nu cafunciello!
Ammise che il primo a cui lo aveva detto era stato proprio suo padre, perché le aveva sorprese a baciarsi in camera da pranzo mentre studiavano.
Lì per lì, la cosa mi impensierì.
Conoscevo bene il padre di Teresa e sapevo quanto la adorasse come una santa, ma giravano certe brutte storie sui ragazzi gay buttati fuori di casa da genitori che prima erano tanto amorevoli.
Lei mi tranquillizzò, riportandomi anche la discussione core a core che ebbe con sua madre.
– A quanto pare non sono l'unica in famiglia! – rivelò.
Rimasi per molto tempo ad ascoltarla rimuginare su tutti i dubbi del suo amore per Angelica, a quello che c'era stato per Francesco, alle difficoltà di scoprire una cosa del genere su sé stessi così all'improvviso, e non capire come sia possibile non accorgersi prima di qualcosa che è sempre stato nella tua testa.
– Si è portati a pensare che le cose che si "scoprono" sono quelle che non ci appartengono, quelle esterne a noi stessi. Invece, Lillù, ti stupiresti di sapere quante cose di te stesso non conosci e devi ancora scoprire – mi avvertì, con tono quasi mistico da sibilla cumana.
Non riuscivo mai a capacitarmi di come Teresa passasse da prolungati periodi in cui non si apriva su nulla, a improvvisi momenti in cui mi riversava addosso la carica imponente di un torrente di patemi interiori, tutto in una volta.
Solo quando le prime luci dell'alba iniziarono a colorare di pastello l'orizzonte oltre la costiera, lei terminò con tono deciso: – Con Francesco è finita, ora lo so per certo. Però avrei tanto voluto che non succedesse in questo modo.
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NdA - Ebbene, ebbene... Ora sappiamo un po' di più anche su questa birbantella di Teresa!
Che ne dite, due torti fanno una ragione? Pensate che sia stato scorretto da parte sua, ricambiare il tradimento di Francesco "con la stessa moneta"? O le due situazioni possono essere lette in modo molto diverso? 😁
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