ᴄαᴘɪᴛᴏƖᴏ 9

C A P I T O L O 9

« Conosci già la casa, quindi non penso debba mostrartela di nuovo, ma vorrei solo guidarti in
camera tua. »

Il modo pacato in cui Michael mi parlava, mi faceva sentire tranquilla.
Il suo tono di voce leggermente emozionato e le parole appena dettate da quelle candide labbra, erano del tutto genuine.
Mi condusse per le scale di quella grandissima dimora, di cui presto avrei dovuto farci l'abitudine e si soffermò davanti a una porta in legno scuro ed elegante.
Estrasse dalla tasca dei pantaloni una chiave piccola e argentata e me la porse con un largo sorriso sulle labbra.

Mi ero soffermata a osservare ogni particolare di quel lungo corridoio, le cui pareti - tappezzate di quadri di diverso genere - regalavano all'ambiente un posto quasi idillico.
Dedussi subito che fosse un'amante dell'arte e per poco lo trovai attraente.
Quando mi accorsi della chiave penzolante davanti al mio viso, all'altezza del mio mento, scossi leggermente la testa e la presi.
Ero emozionata.

« Grazie » sussurrai con voce flebile.

Lui non mi rispose, ma si limitò a sorridermi per poi allontanarsi leggermente con il corpo così da permettermi di avvicinarmi alla porta.
Infilai la chiave nella serratura e la roteai.
Ero cosciente che - una volta varcata la soglia di quella camera - avrei detto addio alla mia monotona vita, per immergermi in una del tutto nuova.
Avrei abbracciato un nuovo modo di vivere tutto, di vedere le cose e di lavorare.
Speravo che tutto quello - un giorno - mi avrebbe fruttato qualcosa di totalmente diverso.
Speravo in un cambiamento; qualcosa di bello e reale.
Quando socchiusi la porta, la vista che si presentò davanti, mi lasciò a bocca aperta.
Era una grande camera, con al centro un bellissimo letto a baldacchino dalle coperte rosse e bianche e una piccola poltrona vicino alla finestra, sopra a un tappeto opaco.

Tutto era in perfetto ordine e quell'enorme armadio a cinque ante, si trovava dall'altra parte della stanza.
Una scrivania di legno pregiato, era posta proprio vicino alla porta e sopra vi era una piccola lampadina da tavolo bianca.
Quella stanza rappresentava il perfetto quadro di un sogno divenuto realtà, nonostante l'orfanotrofio e il mio piccolo spazio mi mancassero.
Varcai la soglia seguita da Michael che aveva intascato le mani, guardandosi pure lui attorno.

« Se non ti piace qualcosa, puoi dirmelo. Provvederò a
cambiare » si affrettò a dire, sporgendosi in avanti per osservare una piccola cornice di fiori appesa al muro, sopra alla scrivania ancora vuota.

Lo guardai e gli sorrisi allegra.

« Michael, questa camera è
fantastica » esclamai, spalancando leggermente le braccia.

Egli mi regalò un sorriso a trentadue denti e si rilassò.
Si avvicinò per poco alla mia figura e mi guardò.

« Sei sicura che ti piaccia? Se c'è qualcosa che non vuoi, puoi dirmelo senza problemi, Kara » disse, passandosi l'indice sul labbro inferiore.

Quel gesto scatenò in me un brivido che percorse tutta la mia schiena, arrivando dritto al collo.
Cercai di non darlo a vedere nel voltarmi nuovamente verso al letto che adocchiai divertita.

« Quel letto mi piace » mormorai, ripuntando l'attenzione sulla sua figura che sovrastava la mia.

Nonostante indossassi dei stivali alti, raggiungerlo mi era ancora impossibile.
Rise leggermente e si grattò la nuca, imbarazzato.

« Ho fatto la scelta giusta » sussurrò.

Farsi sentire non era di sua intenzione, ma fallì miserabilmente e, quando si accorse del mio dolce sguardo, si mordicchiò il labbro inferiore, fissando le proprie scarpe nere tirate a lucido.

« Beh, Kara. Allora sistemati e riposati un po'. A destra, dopo a quella porta c'è il bagno. Uno personale. Quando avrai finito e sarai pronta, raggiungimi pure in cucina. Voglio presentarti il resto della famiglia » disse.

Il resto della famiglia? Viveva con i suoi genitori?
Non avevo voglia di porgergli altre domande, perché non volevo sembrare invadente, quindi, mi limitai ad annuire e gli sorrisi.
Prima che uscisse dalla camera, lo avevo ringraziato un'ultima volta e quando si chiuse la porta alle spalle, mi ritrovai da sola.

Avevo da sempre fantasticato di poter dormire in un posto del genere, con un bellissimo panorama dalla finestra che dava su un salice piangente non troppo lontano dall'edificio.
Presi la mia grossa valigia e la poggiai sul letto a due piazze e - dopo averlo aperto - estrassi fuori della biancheria nuova e il mio asciugamano.
Mi diressi verso alla porta ancora chiusa e con cautela abbassai la maniglia, aprendola.
Allungai una mano per cercare l'interruttore della luce e una volta trovato, lo accesi e subito la grande lampada attaccata al soffitto si illuminò, colorando la stanza di un giallo chiaro.
Mi osservai attorno, studiando ogni singolo dettaglio della piccola ma confortevole stanza.
Vi era un gabinetto bianco, il solito lavandino con un grande specchio e, in fondo, vicino al riscaldamento, una bellissima vasca di marmo marrone con una boccetta di bagnodoccia femminile aromatico.

Era tutto ben sistemato e in perfetto ordine, per non parlare di quel buonissimo profumo di lavanda, segno che tutto era stato pulito e preparato per il mio arrivo.
Dopo essermi chiusa a chiave la porta alle spalle, mi avvicinai alla vasca e aprii il rubinetto.
Subito un getto d'acqua freddo mi bagnò la mano, facendomi rabbrividire.
Non avevo intenzione di farmi un bagno caldo, rilassarmi e godermi quel momento, bensì una doccia veloce.
Odiavo far aspettare le persone.
Mi assicurai che l'acqua fosse abbastanza calda prima di privarmi di ogni mio indumento ed entrarci dentro.
Mi immersi sotto all'acqua divenuta ormai bollente e mi massaggiai le braccia.
Ero stanca. Il viaggio aveva consumato le ultime forze che avevo cercato di riservare.
Passai ai capelli, frizionandoli con cautela, sentendo subito i soliti tremolii al basso ventre, dovuti al piacere che il mio corpo in quel momento provava.
Era la prima volta che mi sentivo così bene, sotto la doccia, eppure dovevo ancora farci l'abitudine.
Il mio non era un problema del 'sentirsi al proprio agio' ma bensì quello di 'adattarsi a un nuovo ambiente e vita quotidiana'.
Dopo aver sospirato leggermente, mi abbandonai completamente sotto a quel getto d'acqua rilassante, godendomi - per breve tempo - quel momento di tranquillità.

**

Mi specchiai alla grande vetrata di camera mia e osservai attentamente ogni dettaglio di quell'abito che consisteva in una lunga gonna nera fino alle caviglie e una maglia rossa leggermente attillata e incastrata sotto ad una sottile cintura marrone.

Le mie guance avevano preso un colorito acceso e i miei capelli ormai asciutti, ricadevano morbidi lungo le spalle.
Non volevo apparire elegante e speravo tanto che quel abbigliamento rispecchiasse il mio volere.
Così, dopo varie esitazioni, mi legai i capelli in una crocchia alta, con qualche ciuffo fuori posto.
Indossai le mie comode pantofole e, dopo aver lanciato un'ultima occhiata allo specchio, uscii dalla camera e camminai con passi incerti e felpati lungo al corridoio illuminato dalla poca luce che proveniva dalla finestra in fondo a quel andito.

Scesi le scale furtiva e mi osservai attorno con interesse.
I quadri non mancavano mai.
Scesi gli ultimi gradini e subito udii delle voci provenire da una stanza ben illuminata.
Affacciandomi, scorsi l'ombra di una figura femminile molto alta e robusta, poi, un viso spuntò all'improvviso da dietro l'uscio, facendomi sussultare per la sorpresa.
Sembravo una bambina colta alla sprovvista nel mentre origliava su argomenti che gli adulti ritenevano 'non adatti ai bambini'.

« Ohw, cara, perdonami. Non era mia intenzione farti spaventare » esclamò desolata, aprendo maggiormente la porta.

Subito potei incontrare la figura alta di Michael, intento a conversare con un'altra donna della mia stessa età.
Stavo per risponderle, ma lei non mi diede il tempo di parlare e - con una felicità incredibile - mi afferrò saldamente per le spalle per poi trascinarmi dentro, facendo attenzione a non farmi urtare con nessun pianale.

« Michael, non sapevo avessi assunto un'adorabile ragazza. Come ti chiami cara? » domandò, sorridendomi con un sorriso simpatico.

Indossava un ridicolo completo azzurro e bianco, notevolmente attillato e stretto in vita.
Le sue guance erano paffute e colorate di un rosso acceso, mentre le sue labbra carnose erano dipinte da un rossetto rosso lucido.
Era una donna buffa ma graziosa al contempo.
Mi fermai di fronte a Michael il quale smise immediatamente di parlare per poggiare gli occhi sulla mia figura esile e minuta.
Possibile che erano tutti così alti in quella casa?
Gli sorrisi impacciata e guardai poi la ragazza di fianco a lui.
Anche lei adesso mi fissava con un sorriso divertito sul viso.

« Kara Jones, hai fatto in
fretta » mormorò, osservandomi da capo a piedi.

Avevo esagerato con l'abbigliamento? Eppure nessuna delle due era vestita come me; indossavano entrambe delle divise colorate.
Annuii piano e incrociai le mani davanti al mio ventre, mentre fissavo imbarazzata il pavimento di legno.

« Ragazze, questa è Kara Jones. Kara, questa è Leticia, mentre lei è Glenda. »

Michael mi aveva presentato allegro le due donne, poggiando una mano sulla schiena di Glenda, la ragazza dai capelli neri e il viso leggermente abbronzato.
Era molto bella e i suoi occhi grigi risplendevano sotto ai raggi di quel sole che attraversavano la finestra.
Leticia era la donna paffutella che stava al mio fianco.
Entrambe mi rivolsero un dolce sorriso, porgendomi la mano.

« Piacere, sono Kara Jones » dissi, stringendo le loro mani.

« Da oggi in poi, lavorerete insieme, quindi, cercate di farla sentire a
casa » continuò Jackson, sorridendomi dolcemente.

Ai lati della sua bocca, le famose fossette fecero il loro ingresso, rendendolo molto più affascinante.
Lo ringraziai con una voce bassa e mi scrutai subito attorno, poi, una figura alta mi sovrastò.
Ritornai a guardare dinanzi a me e mi accorsi che Michael si era avvicinato maggiormente al mio corpo, osservandomi con una strana luce negli occhi.
Mi sentii all'improvviso fragile di fronte al suo sguardo e mille brividi percorsero la mia schiena, soffermandosi lungo la colonna vertebrale.

« Se hai bisogno di qualcosa, puoi trovarmi nel mio ufficio » mormorò.

Annuii immediatamente e gli rivolsi un sorriso di gratitudine.
Lui ricambiò e - dopo aver rivolto un'ultima occhiata al mio abbigliamento - guardò Leticia.

« Potresti per favore darle la
sua divisa? »

Quest'ultima annuì col capo e dopo essersi allontanata, Michael mi sorrise, oltrepassando il mio corpo ormai scosso da emozioni che cercai di alienare con un lungo e grande sospiro.
Uscì dalla cucina e camminò con maestosa eleganza, chiudendo di poco la porta alle sue spalle e solo allora Glenda si avvicinò a me.

« Michael richiede la massima perfezione, quindi sarebbe cortese da parte tua, se mi aiutassi a pulire la sua camera, da domani in poi. Leticia non ne vuole sapere di entrare in
quel posto » spiegò.

Sapevo che Michael fosse un perfezionista, ma pensavo richiedesse la perfezione solo sul palco, non a casa.

« Certo, sarà un piacere
aiutarti » replicai.

Ella scialò un bel sorriso e, dopo essersi aggiustata il grembiule che indossava, si allontanò da me, dirigendosi a passi spediti verso alla sala da pranzo.
Sospirai rumorosamente, mordicchiandomi il labbro inferiore.
Perfezione? Sarei stata in grado di lavorare in tal modo?

{Revisionato il 24.05.21}

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