ᴄαᴘɪᴛᴏƖᴏ 8

C A P I T O L O 8

Osservavo i passanti correre da una parte all'altra della stradina ormai colma di persone.
Quella mattina il sole non splendeva alto nel cielo, il quale minacciava un temporale che avrei voluto evitare.
Quello era il grande giorno.
Avevo dato la notizia ai bambini di punto in bianco, non avendo modo di spiegare la situazione, anche perché non l'avrebbero capita.

« Andare a lavorare da Michael non mi allontanerà da voi » avevo detto quella mattina, mentre davo loro la notizia.

Pensavo che avrebbero avuto una reazione diversa, ma invece furono felici della 'sorpresa', supplicandomi di chiedere a Michael un'altra possibilità per visitare il suo parco giochi.
Come me, anche loro di erano innamorati di quel posto, e l'idea di andare ad abitare in quella grande dimora, con un cambiamento di vita improvviso e drastico, mi terrorizzava.
Non che odiassi il fatto di convivere con la più grande celebrità del pianeta, bensì per gli ostacoli che la vita mi avrebbe riservato.
Avrei dovuto affrontare facce nuove, luoghi a me del tutto sconosciuti e avrei avuto un cambiamento di vita quotidiana drastica.
Volevo vivere in un modo indipendente, ma allo stesso tempo volevo avere una vita migliore.
Per me, per la mia famiglia, per Angie e per i bambini.

« Kara, tesoro, sei pronta? »

La voce di Angie mi fece sussultare, costringendomi a voltarmi nella sua direzione. Incontrai il suo viso dai lineamenti dolci e perfetti.
Mi sorrideva, anche se i suoi occhi erano mascherati da un velo di tristezza.
Aveva paura di perdermi e lo sapevo benissimo.
Quella era anche la mia paura: perdere una persona che amavo.
Il nostro legame - con il passare del tempo - era diventato solido.
La guardai e le sorrisi lievemente, mentre lei si soffermò a osservare il mio abito.

« Sei perfetta, Kara. Il signor Jackson è stato attento ai
dettagli » scherzò, avvicinandosi a me per aggiustarmi il colletto bianco del mio abito color turchese.

Risi leggermente e scossi la testa.
Poi, ritornando seria, la guardai e lei ricambiò, osservandomi negli occhi.

« Non ti deluderò, madre » le sussurrai.

Mi regalò uno sguardo carico di emozione e, dopo aver tirato su col naso, mi avvolse in un dolce abbraccio. Poggiò la testa sulla mia spalla e mi strinse maggiormente.

« Non lo hai mai fatto, Kara. Non lo hai mai fatto » mormorò.

Ricambiai la stretta e chiusi gli occhi mentre mi lasciavo cullare dalle sue braccia in cui spesso cercavo conforto.
Ci furono vari minuti di puro silenzio.
"Calmati Kara, non è un addio" mi ripetevo in testa, ma quella vocina era molto lieve e lontana per essere ascoltata.

Angie si allontanò dalla mia figura e mi porse il cappotto, la sciarpa e il mio inseparabile cappello.

« È ora che tu vada, se non vuoi arrivare in ritardo il primo giorno » disse, asciugandosi subito dopo le guance rigate da calde lacrime.

Sollevai la mano e raccolsi una lacrima con l'indice, per poi stamparle un dolce bacio sulla tempia.

« Ti voglio bene, madre » dissi.

Angie mi sorrise.
Poi, dopo averla salutata per un'ultima volta, afferrai la mia valigia grigia e uscì dalla stanza per dirigermi al piano di sotto, dove intravidi subito tutti i bambini in preda alle lacrime.
Nonostante avessi ripetuto che presto avrei fatto loro visita, continuavano s credere che quello fosse un addio.
Sorrisi e cercai di reprimere quel nodo alla gola e allo stomaco che si formò quando Lily fece un passo in avanti, stringendo fra le sue esili braccia la bambola che le regalai.
I bambini erano troppo genuini.

« Kara, ritornerai? » mi domandò.

Annuì e infine, dopo essermi messa in ginocchio, allargai le braccia, lasciando che i bambini mi venissero incontro, per poi stringerli in un dolce e caloroso abbraccio.
Il nostro abbraccio.

« Ritornerò da voi, promesso. E dirò pure a Michael di farvi visitare un'altra volta Neverland. Credo che sarà più che felice di ospitare dei bambini bravi come voi » parlai.

Era una promessa.
I bambini annuirono e si asciugarono gli occhi con la manica delle loro felpe, poi, Timmy prese per mano Lily e mi fecero spazio per passare, lasciandomi attraversare il lungo corridoio prima di arrivare alla porta principale semichiusa.
Udii un clacson e subito capii che l'autista era già arrivato.

Lanciai uno sguardo dietro di me, osservando le espressioni malinconici dei piccoli e quello di Angie, che si era fermata a metà scala.
Li sorrisi per un ultima volta e poi, dopo aver afferrato saldamente la mia valigia colma di vestiti e robe varie, uscii dalla porta, percorrendo il tratto di strada roccioso prima di varcare i grandi cancelli che si aprirono automaticamente.
Alzai lo sguardo e quasi sussultai quando mi accorsi che, il veicolo davanti a me era una di quelle rare e costose.
Era nera e laccata, quasi tirato a lucido e una figura maschile in giacca e cravatta, stava in piedi di fianco alla portiera.
Era alto, robusto e trasudava sicurezza.

« Buongiorno signorina Jones. La prego, si accomodi pure. Alla sua valigia ci penserà il mio collega » disse mentre mi apriva il portello con fare gentile.

Li ringraziai con un leggero sorriso e un inchino con il busto, poi, stringendo il mio lungo cappotto contro al petto, entrai dentro all'auto e presi posto sui sedili in pelle nera.
Voltai lo sguardo a sinistra e incrociai per l'ultima volta gli sguardi malinconici dei bambini.
Angie piangeva.
Chiusi gli occhi e sospirai, cercando di cacciare indietro le lacrime, ma il mio tentativo fu invano.

Tirai su col naso e singhiozzai in silenzio, mentre stringevo la piccola borsa marrone che avevo appoggiato sulle mie gambe.
Le portiere anteriori si aprirono, e i due uomini in giacca e cravatta entrarono dentro, allacciandosi la cintura.

« Signorina Jones, ci dispiace tanto. Ma siamo sicuri che il signor Jackson non la deluderà » mi confortò uno di loro, guardandomi dallo specchietto retrovisore.

Annuii e basta e asciugai con il fazzoletto, il naso che colava, poi le calde lacrime che avevano rigato le mie guance divenute ormai rosee.
Erano anni che attendevo questo momento.
Mesi e giorni passati a domandarmi se mai un giorno, anche la mia vita avrebbe avuto una svolta migliore e quel giorno era arrivato all'improvviso, cogliendomi alla sprovvista.
Era come una sorpresa ricevuta di prima mattina.
Sei ancora sonnambula ma la adori, nonostante debba abituarti ad essa.

L'auto partì e io salutai con la mano i bambini e Angie.
Quando la vettura voltò all'angolo, uscendo da quella stradina tortuosa e abbandonata, poggiai la testa sul finestrino e sospirai lievemente.
Avrei dovuto sopportare un paio di ore, prima di poter incrociare nuovamente quelle iridi scure e profonde.
Chiusi gli occhi e strinsi contro le gambe la mia borsa marrone, sperando che, una volta arrivata sul posto, avrei potuto concedermi un breve riposo.

**

« L'avete svegliata? Cosa le è successo? È svenuta? »

Udii una mano posarsi leggera sulla mia spalla, per poi scuotermi dolcemente.
Mi svegliai di scatto che mi provocò un leggero e breve giramento di testa.
L'aria fredda mi colpì in pieno viso e il vento mi sfiorò leggermente i capelli, solleticandomi il collo che si riempì di piccoli brividi.
Quando alzai lo sguardo, con la bocca impastata leggermente dal sonno e gli occhi ancora pesanti, incrociai tre figure alte e ferme di fronte alla mia piccola ed esile.
Solo allora mi accorsi che l'auto non marciava più e che il mio sportello era aperto.

Cercai di mettere a fuoco l'immagine, e il mio cuore perse un battito quando, per mia grande sorpresa, la persona dinanzi a me era Michael con dietro le due guardie del corpo.
Mi alzai velocemente e uscì dalla macchina con rapidità, rischiando di inciampare, per poi soffermarmi davanti alla sua alta figura.
Lo guardai imbarazzata e per un breve lasso di tempo pensai di avergli già regalato una brutta impressione.
Di sicuro non era così che volevo presentarmi al primo giorno.
Temevo si sarebbe arrabbiato oppure mi avrebbe dato della maleducata, ma mi rilassai notevolmente quando, sul suo viso, lessi un'espressione dilettante e dolce al contempo.

« Kara, pensavamo fossi svenuta. Ti senti bene? » domandò, mentre instascava le mani.

Osservai il suo abbigliamento e ciò che catturò la mia attenzione, fu una striscia rossa sul tessuto della sua camicia nera abbottonata.
Il colletto era del medesimo colore di essa, mentre nella parte inferiore indossava dei semplici pantaloni neri, accompagnati da delle calze rosse e i suoi inseparabili mocassini neri.
Quel giorno però, non indossava il cappello, e la sua capigliatura scura e riccia gli incorniciavano quel viso dai lineamenti perfetti, nonostante la mancanza di trucco.

Rimasi a studiarlo con maggiore interesse, non accorgendomi del suo cambio di espressione.
Aveva la fronte aggrottata e le sopracciglia leggermente alzate, come a domandarmi che cosa stessi facendo.
Mi ricomposi subito e presi la borsa che lasciai cadere sui sedili e - dopo averla stretta tra le mani - mi inchinai con il busto, desolata.

« Scusami tanto. Non era mia intenzione presentarmi in questo stato. Spero possa capirmi » mormorai, cercando in tutti i modi di evitare le sue iridi scure che cercavano di catturare le mie chiare.

Si fece nuovamente divertito e, dopo essersi inumidito le labbra, portò entrambe le mani sui fianchi.
Lanciò uno sguardo alle guardie del corpo che, per tutto il tempo, erano rimasti in nostra presenza.

« Bill, Javon, potreste per favore pensare alla sua valigia? Lei verrà con me, non vi preoccupate » disse, sorridendo loro gentilmente.

Loro si limitarono ad annuire e, dopo avermi oltrepassata, presero con rapidità, la mia grossa valigia.
Michael li ringraziò e quando quest'ultimi si furono allontanati, posò nuovamente la sua attenzione sulla mia figura.

« Ti ringrazio per aver accettato. So benissimo quanto per te possa essere stato difficile, ma spero che qui ti troverai a tuo agio, come lì » mormorò.

Gli sorrisi in modo rassicurante e mi strinsi nel mio cappotto, divenuto ormai il mio compagno di sostegno.

« Non ti devi preoccupare. Spero che possa essere all'altezza di questo lavoro. Sarei ben lieta di poter lavorare per te » replicai, inchinandomi in avanti con il busto.

Michael mi sfoggiò un largo e simpatico sorriso e infine mi porse una mano.

« Benvenuta a Neverland,
Kara » esclamò.

Ricambiai il sorriso e strinsi dolcemente la sua mano calda e priva di calli.

« È un onore per me. »

{Revisionato il 12.05.21}

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