ᴄαᴘɪᴛᴏƖᴏ 12

C A P I T O L O 12

Quel giorno avevo iniziato a lavorare tardi, dopo aver consumato una ricca e abbondante colazione insieme a tutti i membri e i bodyguards.

Era stata una sensazione bellissima quella di riunirsi a tavola insieme.
E per tutto il tempo, Michael non aveva fatto altro se non osservarmi di nascosto, cambiando direzione ogni volta che lo beccavo in pieno.
Eravamo stati interrotti da Glenda che aveva fatto il suo ingresso molto allegra, facendo sussultare sia me e Michael, colti alla sprovvista.

Non ero riuscita a terminare un vero e proprio discorso, e ciò mi faceva frustrare parecchio.
Avrei tanto voluto parlargli di me, delle mie passioni per il giardinaggio e dei bambini, ma a quanto pare, con lui era impossibile.
Ogni volta che cercavo di avvicinarmi a lui, veniva sempre scortato fuori dal suo fedele bodyguard, per entrare in quella grande auto nera che scompariva poi fuori dai cancelli di Neverland.

E in quel momento, mi ritrovavo da sola a sistemare la grande cucina ormai in disordine.
Leticia non faceva altro se non parlottare di Michael e delle sue strane abitudini, ovvero quello di arrampicarsi sul suo albero preferito e passare giornate intere in cerca d'ispirazione.

« È un tipo strano ma apposto » diceva, intenta a sistemare alcune posate che mi ero preoccupata di lavare.

La guardai, aggrottando leggermente la fronte.

« Strano? Soltanto perché si arrampica sugli alberi? » domandai, mentre spazzavo il pavimento.

Lei ricambiò il mio sguardo e sbuffò leggermente.
Le sue labbra dipinte di rosso si contorsero in una smorfia stramba.

« No, cara. Restando qui, imparerai a conoscerlo » si limitò a rispondere.

Sospirai leggermente e ripresi a finire ciò che avevo iniziato.
Avrei tanto voluto domandarle sulla sua vita sentimentale, ma dopo mi sarei solo sentita in colpa.
Non volevo invadere la sua vita privata, ma mi sentivo in dovere di chiedere, per restare tranquilla.

Non sapevo nemmeno io il perché.

Tuttavia ogni volta che mi avvicinavo a porle quella fatidica domanda, il mio cervello si rifiutava di convincermi che fosse una buona idea.
Quindi, avevo passato il resto della giornata a pulire con quel pensiero fisso su di lui.

E se fosse già impegnato?
Se avesse avuto una ragazza o se si stesse frequentando con qualcuna?
Non volevo essere invadente, o magari avvicinarmi alla persona sbagliata, ma quel suo atteggiamento innocente e premuroso, aveva richiamato la mia attenzione, scaturando nel mio basso ventre, emozioni che neanch'io sapevo decifrare.

Era come una calamita, in grado di attirare tutte le persone che lo circondavano.
E io era caduta nel suo stesso cerchio, soffermandomi a fissarlo ogni volta che mi passava davanti e mi rivolgeva un dolce e sincero sorriso.

« Kara, cara. A cosa stai pensando? »

Sussultai alla voce di Leticia che mi affiancò, poggiando una mano sulla mia schiena.
Scossi leggermente la testa, guardandola con un largo sorriso.
Lei aveva un'espressione sfasata, mentre mi osservava negli occhi attentamente.

« Sto bene. Scusami. Stavi per caso parlando con me? » domandai.

Solo a quella frase, ricambiò il sorriso.
Ritrasse la mano dal mio corpo vittima di quell'abito ormai divenuto soffocante.

« Stavo dicendo se ti andava di aiutarmi fuori, in giardino » disse.

La guardai confusa.

« Dobbiamo pulire il giardino? » chiesi con aria interrogativa, portando una ciocca dei miei capelli fuori posto dietro all'orecchio.

« Solo a sistemare tutte quelle foglie cadute all'entrata. Davanti al portone » replicò, sempre con quel sorriso dipinto sulle labbra.

Annuii all'istante e appoggiai la pezza con cui stavo pulendo i grandi vetri sul tavolino in legno.
Asciugai le mani leggermente bagnate sul mio grembiule ormai consumato dalla polvere e dallo sporco.

Lei mi invitò a indossare il cappotto e io ubbidii, senza esitare.
Sapevo quanto freddo facesse fuori e non mi meravigliavo quando quella mattina vidi Michael uscire con un cappotto lungo e pesante, il suo solito cappello nero e dei stivaletti con il tacco.
Era molto elegante e mi domandai subito dove stesse andando.

E ancora una volta, i miei pensieri si soffermarono su di lui.
Non sapevo cosa stesse facendo in quel momento, ma ero sicura che, forse, si trovava a un incontro con tante altre celebrità.

« Sai se Michael cenerá a casa, stasera? » domandai a voce bassa.

Leticia si chiuse il largo cappotto colorato e poi mi regalòun'occhiata.

« No. Michael cenerá fuori. È un tipo molto occupato, quindi risulta difficile per noi, cenare insieme a lui, anche nel fine settimana. Le poche volte che ne abbiamo l'occasione, c'è sempre qualcuno pronto a disturbare » replicò seria, ma con un velo di malinconia negli occhi.

La guardai in silenzio. Già dal primo incontro, avevo capito quanto lei ci tenesse a Michael e a quanto si fosse affezionata al suo modo di essere, nonostante lo definisse 'strambo'.

Il modo in cui parlava di lui, mi faceva capire l'affetto che provava nei suoi confronti e, infondo, non mi meravigliavo.
Michael era una persona solare, comprensiva e in grado di influenzarti in ogni cosa faccia, almeno era quello che gran parte dei dipendenti dicevano.

Io non lo conoscevo ancora bene, ma infondo, non potevo negare che quelle descrizioni, rispecchiavano molto ciò che in quei pochi giorni avevo visto e notato.
Ma mi sorgeva ancora un dubbio in testa.
Perché si comportava in modo tale? Aveva comprato una grandissima dimora, rendendolo infine un parco giochi per bambini malati ed orfani.

Cosa lo spingeva a fare tutto ciò?

Lanciai uno sguardo al grande cancello dinanzi a me, stringendo contro al mio corpo esile, il mio cappotto ben abbottonato, respirando l'aria fresca di quella giornata alquanto noiosa.
Non ero abituata a quel tipo di vita quotidiana e forse farci l'abitudine, per me, sarebbe stata un'impresa difficile, dal momento che Michael non era mai a casa.
Avrei tanto voluto poter passare una giornata con lui, camminare su quel prato immenso e magari domandargli la possibilità di aprire nuovamente i cancelli ai miei amati bambini.

Oh Angie, spero tu stia bene.

« Michael odia vedere queste cose. Dice sempre che potrebbe essere pericoloso per noi e per i bambini. Ha paura che qualcuno ci scivoli su, sopratutto nelle giornate piovose » spiegò, passandomi un rastrello nuovo di zecca.

Le sorrisi divertita e lo presi.
Il suo modo di muoversi la rendeva buffa e gobba, ma non potevo negare che era una donna molto solare e gentile.
Si preoccupava sempre di riempirmi il piatto di cibo anche quando le pregavo che ero piena come un sasso.

« Quante volte Neverland viene visitata dai bambini? » chiesi, cominciando a rastrellare via le foglie ormai prosciugate dal freddo.

« Ogni qualvolta che Jackson visita un ospedale o un orfanotrofio. Dice che per i bambini è molto importante non perdere la propria infanzia. Dice che vederli qui, felici, lo renda alquanto allegro e soddisfatto » replicò, imitandomi.

Altruista. Quella parola fu ciò che invase subito la mia mente, strappandomi un dolce sorriso dalle labbra.
Era così premuroso a rendere felici anche a persone a lui sconosciute, aprendo loro le porte. Condivideva con loro una parte di ciò che possedeva e lui ne era fiero, orgoglioso.

Un modo per renderlo felice, ecco cos'era.

Nutriva affetto nei confronti dei bambini, tanto da passare giornate intere con loro, condividendo ciò che aveva fatto costruire, privo di egoismo.

Un angelo. Ecco cos'era.

« E tu Kara? I tuoi genitori dove sono? » chiese con una punta di curiosità.

Le sorrisi, puntando lo sguardo sull'ammasso di foglie che stavo creando in una piccola parte, vicino a un grande pilastro bianco.

« Vivono a Brooklyn. Hanno deciso di restare là, per motivi di
lavoro » risposi.

Leticia mormorò un leggero "oh" prima di lanciarmi uno sguardo comprensivo, che venne ricambiato dal mio.

« Anch'io ho una sorella lontana. Siamo soltanto in due. I nostri genitori ci hanno lasciate orfane all'età di sei anni e siamo cresciute in un orfanotrofio ormai demolito. Lei è un'insegnante all'asilo, io una povera domestica » mormorò, con un sorriso malinconico.

A quella frase alzai lo sguardo, incrociando subito i suoi occhi tristi e il suo sguardo cupo.
Aveva cambiato umore in poco tempo, come se parlare del suo passato le facesse del male.
Domandarle dei suoi genitori sarebbe stata una pessima idea, dato la gravità in cui la sua voce ormai mesta, si era trasformata.
Non mi piaceva fare salti nel passato, sopratutto se questo era uno triste, malinconico.
Avevo sempre preferito stare sul presente, cercando di obliare e di far dimenticare il passato.

Tuttavia, non potevo scappare per sempre.

« Midispiace » sussurrai.

Non potevo immaginare la scena di due bambine piccole, lasciate davanti ad un orfanotrofio.
Un'età in cui l'affetto dei genitori era la parte più indispensabile ed importante.
Dove l'infanzia e crescere sarebbero dovuti essere il loro più bel ricordo.
Lei mi sorrise, cambiando umore all'immprovviso.

« È tutto apposto. Mia sorella ed io abbiamo imparato a cavarcela anche da sole. Guarda, siamo delle donne forti e pieno di allegria. È questo ciò che conta, giusto? » esclamò leggermente.

Annuii, sorridendole affettuosa.

« Giusto » mormorai.

Se solo fosse facile anche per me.
Se solo avessi avuto la possibilità di poter riabbracciare mia sorella ormai persa.
Se solo avessi avuto una prospettiva per cambiare il mio passato, avrei riportato ciò che era perduto al proprio posto.

Avrei riportato mia sorella a casa.



{Revisionato il 24.07.22}

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