ᴄαᴘɪᴛᴏƖᴏ 11

C A P I T O L O 11

Mi svegliai molto presto quella mattina.
La luce debole di quel sole ormai nascosto dalle grandi nubi che minacciavano la città, filtrava attraverso le veneziane ancora chiuse per riflettersi nella pavimentazione in legno.
Ancora sotto le coperte, allungai tutti i miei muscoli per stiracchiarmi e, solo dopo aver emesso uno sbadiglio e rivolto un'occhiata all'orologio da parati posta sopra alla porta, decisi ad alzarmi.

Poggiai i piedi nudi sul legno freddo, dato il calo notevole della temperatura e, al contatto con la mia pelle, mi causò piccoli brividi che percorsero la mia colonna vertebrale.
Indossavo un semplice abito notturno abbastanza largo e in grado di nascondere le mie piccole curve.
Avevo da sempre preferito gli abiti alle comode tute, perché fin da bambina avevo il vizio di rigirarmi continuamente da una parte all'altra del materasso, e i pantaloni mi sono sempre stati d'intralcio.

Con passi felpati ed in punta di piedi, raggiunsi il bagno e spalancai la porta.
Accesi la luce e, con gli occhi ancora appannati dal sonno, camminai verso al grande lavandino in marmo azzurro.
Non mi guardai allo specchio perché sapevo la sorpresa che mi sarei aspettata, ovvero il volto di una giovane donna che - con le occhiaie e le labbra screpolate - ne dimostrava il contrario
Odiavo osservare il mio riflesso al mattino, quindi mi apprestavo a farlo solo dopo essermi lavata e sistemata.

Aprii il rubinetto e subito le mie mani vennero travolte da un getto d'acqua fredda.
Le congiunsi in modo da formare una coppa e dopo aver sbadigliato un'ultima volta, mi sciacquai il viso per poi iniziare a pulirmi i denti.
Quella mattina passai meno tempo in bagno.
Subito dopo essermi sistemata, uscii dal bagno quasi di corsa, temendo di presentarmi in ritardo già al secondo giorno di lavoro.
Spalancai il grande armadio e afferrai la buffa divisa da domestica che da quel momento avrei cominciato ad indossare per tutto il tempo in cui avrei lavorato al servizio di Jackson.
Le stoffe erano di due colori che andavano in perfetto contrasto fra di loro: viola e bianco.

Dovevo ammetterlo: era ridicola, ma mi piaceva.
Non avevo mai avuto l'occasione di indossare una veste di quel tipo e, spesso, passando nei negozi che vendevano indumenti da lavoro, mi soffermavo a domandarmi come si sentissero le donne che, per ragioni sconosciute,  erano costrette a indossare quell uniforme leggero ma soffocante.
Scelsi accuratamente la biancheria interna e, dopo essermi privata di ogni indumento, cominciai a vestirmi con mosse veloci.
Dopo aver chiuso la cerniera con tanta fatica, mi diressi di corsa allo specchio.
Sistemai i lunghi capelli in una crocchia alta e leggermente disordinata, lasciando qualche ciuffo ribelle fuori posto.
Indossai le mie calze bianche e cercai celermente le mie pantofole calde che trovai subito dopo, infilandomele.
Poi, con maggiore lentezza e cautela, socchiusi la porta di legno e affacciai.

Il lungo corridoio tappezzato di quadri era vuoto, completamente privo di persone.
Solo la luce proveniente da una stanza la cui porta era semiaperta, illuminava di poco quel andito oscuro.
Mi domandai cosa ci fosse dall'altra parte.
Forse la sua stanza?
Camminai lentamente lungo la corsia e cominciai a scendere furtiva le scale.
Poi, dopo essere entrata in cucina, spostai le grandi veneziane gialle e  osservai stupita quel paesaggio che dal primo giorno mi aveva letteralmente conquistata.

Era tutto così tranquillo, quasi idilliaco e, nonostante la quiete attorno a me, non mi accorsi di una figura molto alta che sovrastò la mia bassa.
Notai un'ombra abbracciare la mia e mi voltai di scatto, sentendomi colta di sprovvista.
Notai la figura di Michael vicina alla mia.
Indossava una camicia di cotone semplice, ma in grado di regalargli un aspetto virile e mascolino.
I suoi capelli erano legati in una coda bassa con alcuni ciuffi ribelli fuori posto.

Osservava fuori dalla finestra con attenzione, scrutando l'opera che lui aveva contribuito a rendere tale, come qualcosa di tanto atteso.
Aveva le labbra screpolate, ma la sua lingua si affrettò a bagnarle leggermente, per poi incresparle.
Portò le mani dietro la schiena coperta da quella stoffa blu.
Una sottile cintura marrone gli fasciava elegantemente la vita, mettendo in risalto i suoi jeans neri e leggermente attillati.
Sembrava non essersene accorto della mia presenza.
Continuava ad osservare il panorama che si estendeva sotto al suo sguardo stanco in religioso silenzio, e io ritornai a fare lo stesso.
Non mi aveva salutata come d'abitudine e non si era nemmeno degnato di regalarmi una delle sue tante occhiate che erano in grado di scatenare brividi insistenti per tutto il mio corpo.
Era fermo, immobile ad osservare le foglie ormai ricoperte di brina e quegli alberi leggermente spogli.

Dal suo sguardo assente dedussi che fosse avvolto nei suoi più profondi pensieri.
Volevo allontanarmi dalla sua figura, lasciarlo a riflettere senza disturbarlo, ma una parte di me cercava di mettere a tacere quel pensiero quasi azzardato.
Ero stata assunta per lavorare, ma senza volere anch'io mi ero persa ad osservare il giardino quasi surreale che si estendeva dietro a quelle grandi finestre.
O meglio, non potevo stare a lungo in sua compagnia.
Avrei dovuto eseguire le mie mansioni, ovvero pulire, preparargli la colazione e portarglielo in camera. Ma perché lui era qui e non sul suo comodo letto?
Dopotutto era ancora presto.

Sorrisi debolmente e abbassai per brevi secondi la testa, poi mi voltai pronta a fare un passo, ma la sua voce rauca mi bloccò.

« Te ne vai di già, Kara? »

Al solo pronunciare del mio nome, il mio basso ventre si era svegliato, scatenando in me un turbine di emozioni.
Avrei voluto reprimerli, dato la mia ancora vicinanza al suo corpo e il forte profumo di colonia aveva cominciato a inebriarmi i sensi.

« Io stavo per prepararle qualcosa da mangiare » risposi intimidita, mentre portavo entrambe le mani davanti al mio grembo coperto dal grembiule bianco.

Lui spostò lo sguardo sulla mia figura e sorrise divertito.
I suoi occhi color pece brillavano sotto alla luce del sole e il suo viso privo di trucco, mise allo scoperto le sue due fossette e i suoi lineamenti dolci ma marcati.

« Così presto? Sono le sei e
mezza » mormorò con tono pacato ma ancora dilettato.

« Mi è stato detto di farle consumare la colazione presto » replicai.

Lui intascò le mani e ritornò a guardare dinanzi a lui.

« Che giorno è oggi? » domandò.

Sospirò leggermente.

« Domenica » risposi.

Mi avvicinai leggermente alla sua figura alta e lo guardai dal basso.
Sorrise nuovamente e ritornò a guardarmi.

Il suo sorriso. Lo avevo amato già dal primo giorno in cui lo vidi.
Così dolce, genuino ma elegante al contempo.
Non avevo mai visto tale bellezza in nessun altro uomo.
Lui era il primo.

« Perfetto! La domenica si dorme un po' di più e si consuma la colazione in famiglia, cosa che non riusciamo mai a fare in settimana. Quindi, cara Jones, perché sei già sveglia? » chiese mettendo allo scoperto le proprie mani dalle lunghe dita affusolate.

« Vorrei tanto farti la stessa
domanda » sussurrai, per poi rivolgergli un dolce sorriso.

Ero curiosa.
Michael che prima a poco fa aveva un sorriso ammaliante dipinto sulle labbra, in quel momento sembrava imbarazzato.
Non era di mia intenzione, ma quella frase mi era sfuggita di bocca.

« Beh, io sono un mattiniero. Non dormo fino a tardi, anzi, mi è difficile farlo » replicò, smorzando una risata buffa.

Sorrisi e appoggiai lentamente la schiena contro al pianale da cucina per osservarlo meglio.
Il suo viso aveva un'espressione allegra e quando rideva, le sue due fossette saltavano fuori all'improvviso, quasi volessero farsi notare.

« E tu cara? Perché non riesci a dormire? » chiese, imitandomi.

Si era avvicinato maggiormente a me per poi abbandonarsi completamente al pianale dietro di noi.
Incrociò le braccia al petto.
La stoffa della sua camicia e del mio abito, si sfioravano leggermente, mentre il suo profumo ormai divenuto sussistente, non aveva abbandonato le mie narici.
Mi guardò dall'alto e io feci il contrario, alzando leggermente la testa.
Il suo comportamento mi lasciò leggermente sorpresa.
Era la prima volta che qualcuno si interessava del mio stato di insonnia.
Nessuno lo aveva mai fatto prima ad ora.

« Vedi Michael, una donna pensa molto di notte » risposi con tono di voce pacato.

Lui non rispose. Rimase in silenzio ad ascoltare e l'unica cosa che in quel momento spezzava quella quiete quasi imbarazzante, era la mia bassa voce.
Mi osservò per brevi secondi e tutto quello che notai furono le sue iridi scure brillare al riflesso della luce.

« Non lo fa di giorno, ma lo fa di notte, perché nessuno la può notare » sussurrai.

Egli si inumidì le labbra inferiori e infine le schiuse appena.

« E cosa può pensare una giovanne donna come te, Kara? » chiese in un mormorio.

Oh, se solo lo sapessi, Michael.
Avrei tanto voluto parlargli della mia situazione, di mia sorella, dei miei problemi e dei miei timori.
Ma avevo abbastanza paura ad aprirmi a lui in quel momento.
Avevo da sempre cercato di mantenere private le faccende che mi riguardavano, perché temevo di essere giudicata o incompresa.
Ma non mi ero resa conto che, agendo in quel modo, non mi sarei mai liberata di quel peso che ormai da anni mi portavo sulle spalle.
Avrei ostacolato l'aiuto che avrei potuto ricevere dalla persona che - forse - capiva realmente come mi sentivo.
Se solo sapesse che anche lui faceva parte dei miei pensieri, ormai.

{Revisionato il 23.11.21}

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