ᴄαᴘɪᴛᴏƖᴏ 1

C A P I T O L O 1


Erano passati anni quando incrociai per l'ultima volta lo sguardo di mia sorella.

Non ero sicura se stesse bene o se avesse dei problemi, se si era finalmente sposata o se fossero soltanto bugie.
Tuttavia con il passare dei giorni e del tempo, avevo sempre cercato di pensare positivo, lasciando le mie preoccupazioni riguardante la sua vita privata in disparte.
Erano da giorni che non riuscivo a prendere sonno e più il tempo passava, più mi accorgevo che, forse, qualcosa di sbagliato in me c'era.

Avevo bisogno di qualcuno con cui parlarne, una spalla su cui fossi in grado di appoggiarmi, ma sembrava che tutto ciò che cercavo cambiasse strada, prendendone una diversa dalla mia.
Come nei film romantici che ero solita guardare di notte, cercavo qualcuno che fosse stato in grado di prendersi cura di me, un giorno.
Ma forse dovevo imparare ad aspettare.

Come tutte le mattine uscii di casa presto e con la massima allegria di sempre, mi immersi nel traffico di quella caotica città: Houston.
Quella giornata prometteva qualcosa di diverso, dalle solite monotone.
La città era ormai in piedi e il traffico cittadino e i passanti, che correvano da una parte all'altra di quelle strade ormai affollate, rendevano il tutto più movimentato.
Non sapevo se quella mattina avrei avuto l'occasione di fare qualcosa di diverso dal solito, ma sapevo - come sempre - che il lavoro mi attendeva e nonostante avessi cercato di cambiare la lista dei compiti che avrei dovuto svolgere una volta sul posto, mi ritrovavo sempre al punto di partenza.

Mi fermai dinanzi ad una vetrina di un negozio di antiquariato, quando scorsi in un angolo, una piccola bambola di pezza.
Sapevo quanto la più piccola e timida dei bambini di cui mi prendevo cura aveva tanto desiderato avere qualcosa per distrarsi dai suoi soliti pensieri, ma mai ero riuscita a trovarle un oggetto in grado di renderla felice.
Era come se tutto ciò che facevo non bastasse a tirarla su di morale e spesso mi rendeva triste.
Entrai nel negozio e subito una donna anziana mi venne incontro sorridendo, aggiustandosi gli occhiali su quel naso ad aquilino.
Aveva una cinquantina d'anni, se non di più.

« Buongiorno signorina. Come potrei esserle d'aiuto? » domandò.

La sua voce era roca e profonda.
I suoi capelli bianchi le incorniciavano il viso finito, mentre le sue mani decorate con vari anelli e gioielli elaborati, le mettevano in risalto la carnagione chiara.
Ricambiai il sorriso, stringendo fra le mani la mia borsa ormai consumata dal tempo.
Mi guardai attorno e osservai ogni piccolo particolare di quel posto.
Non vi erano solo giocattoli di vario genere, ma anche decorazioni casalinghe e abiti cuciti a mano.

Era tutto in perfetto ordine, sistemato quasi in modo maniacale e la cosa che catturò subito dopo il mio sguardo, fu uno specchio in fondo alla stanza.
Era bellissimo, ogni particolare e ricamo era al posto giusto e non sembrava così tanto vecchia.
Spostai lo sguardo, puntandolo sulla figura bassa della signora dinanzi a me, che, sempre con quel sorriso sul volto, attendeva paziente una mia risposta.

« Buongiorno. Sì, la ringrazio. Vorrei sapere il prezzo della bambola esposta in vetrina » risposi, accennandole un sorriso.

Ella mi scrutò per vari secondi negli occhi, poi, camminò velocemente verso a uno scaffale dove vi erano esposte una fila di bambole usate.
Eppure sembravano nuove.
I suoi tacchi picchiettarono sul pavimento di legno, echeggiando tra le quattro mura e quando ella si fermò, di nuovo, quel silenzio imbarazzante, fece il suo ritorno, riempiendo la grande stanza.
Si mise in punta di piedi, e, dopo aver lanciato velocemente uno sguardo all'angolo vicino alla vetrina, afferrò una bambola identica a quella che vidi esposta. Eppure mi sembrò strano.
Non potevano esserci due copie.

« Questa è un'altra bambola identica a quella che ha visto. Erano due sorelle che avevano deciso di lasciare qui i loro giocattoli, prima di cambiare città » spiegò, avanzandomi incontro.

Annuii e basta, incerta. Cosa avrebbe dovuto aver spinto due sorelle a lasciare due bambole così preziose, in un posto dove non avrebbero mai avuto l'occasione di riaverli indietro?
Domande che nessuno avrebbe potuto rispondere, se non loro stessi.

« Potrei farle uno sconto. Mi sembra una ragazza giovane. È sposata? »

Sposata? Non avevo ancora trovato la persona che avrebbe potuto condividere con me il resto della propria vita e non sapevo neanche quando ne avrei trovato uno.
Era una domanda che in quel momento avrei potuto rispondere, negando; ma la domanda che mi sorgeva in testa era: ancora per quanto?
Sorrisi, scuotendo lievemente la testa.

« Non sono sposata. È per una bambina. Una bambina speciale. Crede che le piacerà? » chiesi, guardandola con una punta di speranza negli occhi.

Se anche questo non le avrebbe tirato su il morale, non sapevo cos'altro avrei dovuto fare.
Eppure, sapevo che prima o poi, quelle sue piccole labbra si sarebbero piegate in un sorriso.
Ma quando?
L'anziana signora sorrise, scrutando attentamente la bambola, come per studiare ogni suo singolo particolare.

« Non ho conosciuto una bambina a cui le bambole non potessero piacerle » si limitò a rispondere.

Sorrisi, restando in silenzio.

« Crede che sarebbe capace di pagarla a quindici euro? »

Annuii, aprendo la borsa per prendere i soldi, poi, dopo aver pagato, la ringraziai, uscendo per proseguire il mio cammino.

**

« Kara è arrivata! Kara è qui! »

I grandi cancelli si aprirono e subito, la solita massa di bambini, mi corsero incontro a urlare il mio nome o domandandomi se avessi portato loro un regalo.
Erano cose che spesso i bambini piccoli chiedevano ai propri genitori, al loro rientro a casa e ora sarei dovuta essere io e la squadra che si occupava di loro a renderli felici.

Abbracciai ognuno di loro, domandando se stessero bene e loro continuavano ad urlare, saltellare per la gioia da una parte all'altra del grande giardino, mostrandomi quanto fossero felici nel rivedermi, nonostante fossero passate un paio di ore dall'ultima volta che li vidi.
Erano dei bambini speciali e con il passare del tempo, mi ero affezionata a loro.

« Kara non si dimentica mai di prendervi qualcosa » risposi, estraendo dalla borsa, un paio di piccoli sacchetti colmi di caramelle e dolcetti vari.

Essi ripresero ad esclamare parole che non riuscii a comprendere e dopo aver alzato lo sguardo ed incontrato quello di Angie, la mia superiore, cominciai a distribuire a ciascuno di essi, i sacchettini colorati.
Ma all'appello mancava Lily.
Conservai il suo sacchettino, insieme alla sua bambola e, non appena i bambini si allontanarono leggermente per gustarsi i dolcetti, camminai verso alla piccole scale, soffermandomi dinanzi ad Angie.

Mi sorrideva allegra, come sempre d'altronde.
Sapevo quanto la mia compagnia le facesse del bene e spesso me lo ripeteva di continuo in una sola giornata.
Era una bellissima donna, anche se era leggermente in età. Aveva trentasette anni, ma se li portava bene, nonostante alcuni tratti stanchi sul suo viso pallido.
I suoi capelli erano biondi e lunghi fino alle spalle, incorniciandole quel viso finito e privo di imperfezioni.
I suoi occhi erano di un azzurro acceso, mentre le sue sottili labbra, erano dipinte da quel rossetto rosso.
Mi tese una mano e io la presi, avvicinandomi a lei dopo aver salito i pochi gradini, fino a quando ella mi strinse in un suo caloroso abbraccio di benvenuto.
Avevo sempre cercato conforto fra le sue braccia, da quando venni a vivere in Texas.

I miei genitori non riuscivano a raggiungermi, spesso per motivi di lavoro.
Mi lasciai cullare fra le sue calde braccia, chiudendo per brevi lassi di tempo le mie iridi scure.
Nonostante quel giorno il sole splendeva alto nel cielo, l'inverno era rientrato da poco, e il clima si era abbassato notevolmente e in quel momento furono le sue braccia a riscaldare il mio corpo esile, trasmettendomi tutto l'affetto che era in grado di darmi.

« Come stai, Kara? » mi domandò, una volta staccatosi dal mio corpo.

La guardai negli occhi, sorridendole.

« Sto bene. Lei come sta,
madre? »

Mi aveva dato lei il permesso di chiamarla in quel modo. Diceva che si sentiva bene quando qualcuno lo faceva e nonostante ella si fosse presa cura di me, in quei anni, avevo avuto un motivo in più di darle quell'appellativo.
Mi aveva aiutata come solo una madre sarebbe stato in grado di fare con la propria figlia, tutto qui.

« Benissimo. Lily non è voluta uscire dalla sua camera, questa mattina » rispose.

Incrociai le sue iridi chiare e subito scorsi il solito velo di preoccupazione che vi aleggiava.
Era fin da sempre stata premurosa verso tutti i bambini e non voleva saperne di lasciare un solo bambino soffrire.
Il suo compito era quello di renderli felici, proprio come il mio.

« Non ti preoccupare. Vado a
cercarla. »

Poggiai una mano sulla sua spalla, pronta ad oltrepassarla, ma ella mi fermò, portando una sua mano sul mio braccio.

« Kara? » mi chiamò.

La guardai, spostando la mia attenzione sulla sua figura.

« Grazie » mormorò subito dopo, sorridendomi.

Ricambiai il sorriso, e dopo essermi inchinata leggermente con il busto, mi allontanai, entrando nel maestoso ma povero edificio.
Inutile dire che le pareti fossero state riverniciate.
Purtroppo non avevamo nessuno capace di finanziarci le spese e avevamo abbandonato l'aspetto dell'edificio, portando soltanto la nostra massima attenzione sui pargoli ormai cresciuti.
Non avevamo molto infatti.
Le sedie erano molto vecchie e bastava muoverli soltanto di un centimetro per poterli sentire scricchiolare mentre le porte, ormai arrugginite, emettevano dei rumori assordanti.
Se solo ci fosse stato qualcuno in grado di aiutarci.

Salii le grandi scale e i tacchi delle mie scarpe ormai leggermente consumate, riecheggiarono tra le quattro mura spoglie.
Il legno sotto al peso del mio corpo, cominciò a scricchiolare e per un po' temetti di sprofondare da un momento all'altro.
La stanza di Lily non era molto lontana. Avevamo scelto proprio quella vicino alla stanza dove vi dormivo nel fine settimana, con l'intento di passare il week-end in loro compagnia.
Dopo essermi fermata dinanzi alla sua porta socchiusa, la osservai in silenzio.

Era una bambina bellissima, ma il suo sorriso non lo vedevo spesso.
Aveva dei lunghi capelli bruni e boccolosi, mentre le sue guance leggermente paffute erano ricoperte di piccoli e sottili lentiggini.
I suoi occhi erano di un verde spento, ma ciò non faceva altro se non renderla una bambina diversa dalle altre.
Era molto piccola e minuta e spesso, quando di notte, prima di andare a dormire loro correvano su per le scale, io ed Angie temevamo sempre che la calpestassero, fin dal primo giorno in cui mise i suoi piedini in questo posto orribile.

La osservai attentamente, studiando ogni suo movimento.
Era seduta sul suo letto a una piazza, forse un po' più stretto, e guardava fuori dalla finestra, muovendo la testa a sinistra e poi di nuovo a destra.
Le sue piccole braccia erano appoggiate sul davanzale della grande vetrata e facevano da supporto al suo piccolo mento.

« Lily? Posso entrare? »

Alla mia domanda, ella sussultò, voltandosi verso di me.
Incrociai subito i suoi piccoli occhi e notai subito la tristezza che essi mostravano.
Annuì con il capo, sedendosi per bene sul materasso, portando entrambe le mani sotto alle gambe.
Feci il mio ingresso, avanzandole incontro con un dolce sorriso sulle labbra.

« Non vuoi giocare oggi? » chiesi, prendendo posto vicino a lei, portandole una ciocca di boccoli dietro al suo minuto orecchio.

Ella scosse la testa, continuando a fissare il pavimento.

« D'accordo. Sai cos'ho portato
per te? »

Ora alzò lo sguardo, guardandomi negli occhi, e solo allora mi resi conto di quanto ella fosse bella.
I raggi di quel sole che attraversavano la finestra, riflettevano nei colore dei suoi occhi, rendendoli più accesi.
Mi inchinai in avanti con il busto, afferrando il sacchetto dove vi erano la bambola e il pacchetto di dolcetti, porgendogliele.

« Sono per te. Spero che ti piacciano » dissi.

Lily tese le sue manine in avanti, prendendo il sacchetto che per le sue piccole braccia parve pesante e lo poggiò sulle proprie gambe, cominciando a guardare al suo interno.
E questa volta, riuscii a scorgere quel sorriso timido che da vari giorni era sparito.

« Queste sono per me? » domandò, leggermente felice.

Annuii, sorridendole altrettanto.

« Certo! Ti piacciono? » domandai, incrociando le mani, poggiando i gomiti sulle mie gambe esili.

La piccola prese fra le sue manine la bambola di pezza, studiandola attentamente.
Le sue iridi chiare si spostarono da un dettaglio all'altro, osservandola con una punta di felicità.

« Mi piace! » esclamò infine con un largo sorriso, abbracciandola.

Risi leggermente, portandomi una ciocca di capelli dietro all'orecchio e infine ella mi guardò, ritornando pian piano seria e lì temetti che potesse scoppiare in lacrime.
I suoi grandi occhioni vispi divennero lucidi e le sue piccole labbra si contrassero in una smorfia che era solita fare quando voleva piangere.

« Ho visto un bambino, ieri. Teneva per mano la sua
mamma » mormorò, giocherellando con i capelli del pupazzo.

La guardai e rimasi per brevi lassi di tempo in silenzio, non sapendo cosa dirle.
Non volevo parlare, sapevo che quello era una via per sfogarsi e anche se non lo dava a vedere, lo capii al volo.
Ci fu un breve tempo di silenzio, dove nessuno dei due parlò, infine, ella, alzando lo sguardo, incrociò i miei occhi e con un'espressione malinconica dipinta sul viso, mi fece una domanda a cui nemmeno io seppi rispondere.

« Mamma verrà a prendermi? »



{Revisionato il 30.04.21}


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