Capitolo 80 | Epilogo
C A P I T O L O 80
E P I L O G O
Passarono giorni, settimane e poi mesi, fino ai due anni successivi che portarono una svolta decisiva alla mia vita monotona.
A trovare Jane non ci ero riuscita e nonostante i miei parlassero di lei quasi tutte le sere, non ero stata abbastanza coraggiosa a dir loro di averla incontrata.
Peter Pan era ormai un sogno che avevo conservato in una parte di me, così come il bracciale che avrei dovuto regalare a Jackson.
Lo disposi nel comodino vicino al mio letto, come a proteggerlo.
Con il passare dl tempo, i bambini dell'orfanotrofio di Texas vennero adottati tutti, perfino Lily, la cui persona decise di farlo in modo anonimo.
In quei anni passati in compagnia dei miei genitori, imparai molte cose e riuscii a ritrovare momenti e pezzi del mio passato che pensai e credetti aver dimenticato.
Papà aveva cominciato a migliorare con la salute e mamma era uscita dal suo stato di depressione.
Eravamo come una famiglia rinata.
Leticia continuò a lavorare come domestica di Michael, mentre Glenda, da come mi fu detto, cambiò lavoro e si dedicò all'attività di famiglia aperta qualche mese fa, con sua madre.
Mi meravigliai quando quel giorno mi telefonò, scusandosi di essere stata così cattiva nei miei confronti ed io non seppi risponderle, quella volta.
Sapevo che era una donna ferita, sapevo che doveva accettate l'idea che la persona - una volta il suo amore - ormai era andato avanti.
Ma di Michael non seppi più niente.
Passarono mesi dall'ultima volta in cui lo sentii, forse sei o cinque.
L'unico modo di sapere di lui era attraverso i giornali e le riviste che mio padre era solito comprarmi ogni lunedì mattina.
Nonostante ciò però, decisi che quella volta avrei portato a termine ciò che avevo cominciato.
Avevo il disperato bisogno di vederlo, di poterlo stringere ancora per un'ultima volta fra le braccia.
Avevo bisogno di sentire la sua voce così genuina e il suo tocco così delicato.
Avevo bisogno di lui.
Due anni erano troppi per me.
Ero riuscita a fare ciò che avevo sempre sperato e pensato di fare e l'ultimo tastello mancante, portava il suo nome.
Così, dopo varie riflessioni, un martedì mattina presi l'aereo con i miei genitori che mi avrebbe condotta da lui.
Quando dissi loro della visita, mi pregarono di portarli con loro.
Ed io li accontentai.
E seduta in uno dei sedili comodi vicino alla finestra, osservavo dall'alto la grande città, giocherellando con l'anello che portavo al dito.
« Kara. Sei nervosa? » mi domandò mia madre.
La guardai con un dolce sorriso, allungando una mano per sfiorarle il viso.
« Non sono mai stata così nervosa in tutta la mia vita, mamma. Ma ora posso dire di essere pronta » replicai.
Ella ricambiò il mio sorriso, annuendo infine.
« Allora non ti resta che raggiungere il tuo grande amore. »
Il mio amore.
Come suonava bene.
Era ormai l'ora di pranzo quando l'aereo atterrò e pomeriggio quando ci avviammo verso l'uscita del grande aeroporto.
Avvisai Javon la settimana prima e lui, ancora prima che gli chiedessi il favore, con un'esclamazione di entusiasmo mi disse che sarebbe venuto a prendermi verso l'ora dettata.
Non tardò.
Avvistai in lontananza la grande auto nera, avvicinarsi alle nostre figure e subito il mio cuore cominciò a galoppare come una volta.
Si fermò proprio dinanzi a noi e prima ancora di realizzare che presto lo avrei incontrato, lo sportello anteriore della vettura si spalancò velocemente.
La figura alta di Javon uscire di fretta dalla macchina, catturò la mia attenzione.
Con passi veloci, si diresse verso di me e senza esitare mi strinse un forte e caloroso abbraccio.
Mi cinse la schiena con il suo braccio muscoloso, attirandomi verso di lui.
« Kara. Mi sei mancata. »
Ricambiai l'abbraccio, stringendogli le spalle larghe.
« Mi sei mancato anche tu, Javon. »
« Michael non sa nulla. Non si è nemmeno accorto che siamo usciti, dato che era impegnato. »
« Volevo fosse una sorpresa. Quindi è meglio così » parlai.
Portai la mia attenzione sullo specchietto retrovisore, notando gli occhi di Javon scorrere sulla mia figura prima di soffermarsi per brevi secondi sulla mano sinistra.
« Michael me ne ha parlato. Una volta ritornato a casa, ha pianto come un bambino disperato. Non l'ho mai visto in quello stato. Deve amarti davvero tanto » mormorò.
« Pensavo di non rivederlo più,
Javon. »
« Sono felice che tu sia qui. »
Gli sorrisi dolcemente e lui ricambiò prima di ripuntare la sua attenzione sull'asfalto.
Era da tanto tempo che non ripercorrevo le strade di quella famosa città e più tempo mi trovavo in quella vettura, più cominciavo a diventare nervosa.
Ero spaventata all'idea di rivederlo dopo così tanto tempo.
Nonostante fossero passati solo due anni, per me fu come un lungo lasso di tempo passata ad aspettare questo momento.
Non ci volle molto, prima che i grandi cancelli di Neverland apparissero sotto ai miei occhi.
L'auto si fermò per brevi minuti e poco dopo quelli si aprirono, emettendo il loro solito rumore di ferro battuto.
Lanciai un'occhiata fuori dal finestrino mentre la vettura avanzava a passi d'uomo nel cortile della grande dimora di Jackson.
Mi sembrò di ritornare indietro nel tempo, quando per la prima volta varcai la soglia di quell'immenso posto quasi fatato.
Da lì, successero molte cose.
« Kara. Come ti senti ritornare qui? » mi domandò ad un tratto Javon.
« Mi sembra un sogno » replicai a bassa voce.
La macchina si fermò e quasi bisognosa di sentire la terraferma sotto ai piedi, spalancai lo sportello, precedendo Bill che si era avvicinato per farlo al posto mio.
Mi guardai attorno con cuore a mille, notando che poi tanti cambiamenti non c'erano.
Era tutto rimasto come un tempo.
Tutto uguale.
Mamma e papà scesero dopo di me e ancor prima di proferire parola, mia madre avanzò verso di me.
« Jackson non è cambiato » mormorò.
Mi limitai a sorridere e quando Javon mi fece strada, camminai verso alla porta principale della grande dimora.
I miei passi si fecero sempre più veloci e nonostante le mie gambe avessero cominciato a tremare per l'emozione, ero decisa a varcare la soglia di quell'edificio.
Avevo bisogno di vederlo.
Una volt percorso i piccoli gradini, allungai una mano, premendo il tasto del campanello.
« Chi è? »
Una voce femminile dall'altra parte del muro, risuonò alle mie orecchie.
Quella voce la conoscevo.
Quando la grande porta in legno si socchiuse, la figura alta di Leticia apparve stretta nella sua solita divisa da domestica.
I suoi lunghi capelli erano legati in una crocchia alta e il suo sguardo allegro rimase quello di una volta.
Appena mi notò, spalancò gli occhi per la gioia e senza esitare mi strinse un forte abbraccio.
« Sono felice di rivederti! » esclamò.
Ricambiai la stretta, ma subito ella si allontanò.
« Vado a chiamare il signor Jackson. È nel suo studio! » urlacchiò.
Ridacchiai mente annuivo.
Portai le mani davanti al grembo, cominciando a giocherellare con le mie proprie dita.
Mio padre poggiò una mano sulla mia spalla e quando lo guardai, mi regalò un sorriso rassicurante.
Presi un bel respiro per poi ripuntare la mia attenzione dinanzi a me, nella grande sala da cui sentii provenire dei passi affrettati.
Quando i miei scontrarono la figura alta di Michael stretto nella sua camicia di seta rossa, il mio fiato si bloccò.
Egli si fermò immediatamente, osservandomi da lontano con un'espressione del tutto sorpreso.
La mia vista cominciò ad offuscarsi e le mie labbra iniziarono a fremere per l'agitazione.
Michael, dal canto suo, mi guardava come se non avesse ancora realizzato di vedermi lì.
Fece un passo in avanti e così ne feci uno anch'io.
Poi un altro e un altro ancora, fino a che non fossimo abbastanza vicini.
Lo guardai per bene.
I suoi lunghi capelli erano stati sostituiti da una semplice pettinatura maschile, tagliandoli quel che bastasse per regalargli un aspetto affascinante.
I suoi lineamenti marcati erano rimasti tali e i suoi occhi dallo sguardo stanco, vagarono per tutto il mio viso, poi sul collo, sul busto ed infine sulle mani.
Osservò l'anello che portavo al dito e un sorriso lasciò le sue labbra.
Si passò la lingua sul labbro inferiore e abbassò la testa per poi chiudere per brevi secondi gli occhi.
Si passò la mano sul viso e quando questa si abbassò, notai che stesse piangendo.
« Kara » sussurrò.
Sorrisi, cominciando a piangere pure io.
« Michael. Mi sei mancato
tantissimo. »
Annuì per ripetute volta e in uno scatto mi abbracciò, stringendomi talmente forte al suo corpo da poter percepire il battito del suo cuore accelerato danzare contro al mio.
Il suo dolce profumo alla vaniglia invasero le mie narici e la sua mano andò ad accarezzare la mia spalla.
Nascose il suo viso nell'incavo del mio collo per poi lasciarvi un bacio sopra.
« Temevo di non rivederti » mormorò.
« Ti ho pensato ogni giorno, Michael.»
« Sarei morto, se ora non fossi qui. »
Ricambiai la stretta, stringendolo maggiormente.
« Ti amo, Kara. Ti amo da morire e Dio se sono felice di potertelo dire. »
« Ti amo anch'io, Michael. Ti amo come la prima volta in cui ti vidi. »
Chiusi gli occhi ed ispirai il suo dolce profumo.
Poi udii dei passi leggeri ma affrettati.
« Chi è papà? »
Papà?
Aprii gli occhi e quello che vidi, mi fece spalancare gli occhi.
Una bella bambina se ne stava poco distante da noi, un pupazzo in mano e i capelli legati in una bellissima treccia.
Indossava un bell'abito azzurro e i suoi grandi occhi vispi vagavano sulla mia alta figura.
La riconobbi.
Lily.
Era stato Michael, colui che aveva deciso di fare l'adozione in modo anonimo.
Jackson si allontanò da me e voltandosi verso Lily sorrise.
« Kara! » urlò ella.
Mi abbassai velocemente, spalancando le braccia e la bambina non esitò a corrermi incontro allegra.
Piansi tantissimo quel giorno.
Passarono mesi da allora.
Mamma e papà si trasferirono da noi e Michael ed io uscimmo in pubblico.
I nostri nomi erano protagonisti di molti giornali e nonostante le difficoltà da superare, Michael rimase per tutto il tempo al mio fianco, presentandomi alla sua famiglia come sua moglie.
Capii moltissimo da quel momento.
Mia sorella non riuscii mai a trovarla, ma in compenso, realizzai che nonostante la perdita di ella, avevo ancora l'amore dei miei genitori e della persona a cui promisi amore e fedeltà.
Michael aveva ragione.
Non credetti nel destino, ma nell'amore che ci legava.
Nemmeno la distanza fu in grado di uccidere ciò che provavamo.
Perché le cose belle, accadono solo se ci credi.
FINE
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