Capitolo 77
C A P I T O L O 77
« Perché non posso restare con te? »
« Perché non voglio vederti soffrire. Col passare del tempo, ho capito quanto le emozioni possano sopraffarti e non voglio che ciò accada. Hai la tua carriera, la tua vita. Non posso permetterlo. »
Ero seduta sul mio letto, Michael era di fronte a me.
Il suo sguardo spento vagava da una parte all'altra del mio viso, e nonostante esso non fosse poi così profondo e acceso come era solito essere, mi sentivo lo stesso vulnerabile.
I suoi occhi incrociarono i miei per brevi secondi, perché fui io a virare lo sguardo altrove.
« Perché sei così distante, Kara? È successo tutto così in fretta e non riesco a capirne il motivo. È per il fatto che sono una star? » mi domandò.
Il suo tono di voce si abbassò notevolmente e quasi temetti volesse piangere.
« No, Michael. Non è per quello. È per il fatto che... Ho preso una decisione, ma non è come pensi » mi affrettai a replicare.
Come glielo avrei detto?
Non volevo ferirlo.
Non lui.
« Cosa? Parla con me, Kara. »
« Ti ferirei. »
« Non succederà. Te lo prometto. »
« Come puoi farlo se non sai di cosa si tratta? » chiesi.
Egli mi scrutò per brevi secondi negli occhi.
Inasprò le labbra, sospirando lieve infine.
« Perché ci sono altre cose che fanno più male. »
Ricordai ancora la prima volta che me lo disse.
Era una serata come quella, io e lui, da soli in mezzo a mille domande di cui le risposte non le conoscevo.
Allungai una mano per cercare la sua che subito trovai, stringendola dolcemente.
Egli seguì silenzioso il mio movimento, affrettandosi ad intrecciare le nostre dita.
« Mi piacerebbe avere un po' di più tempo con mamma » gli sussurrai.
La sua attenzione che fino a poco fa erano sulle nostre mani, si spostò sul mio viso.
Spalancò lievemente gli occhi, socchiudendo di poco le labbra.
« Vuoi dire che hai intenzione di lasciare Neverland? »
Annuii piano, avvicinandomi maggiormente alla sua figura il cui busto era stretto nella sua solita camicia di seta.
Mi rivolse un lieve sorriso, sciogliendo la presa che feci, per sfiorarmi il viso.
« Perché hai bisogno del mio permesso, Kara Jones? Ho sempre messo la mia carriera al primo posto, anche nelle mie relazioni. Non commettere il mio stesso errore » mormorò.
Ne fui meravigliata.
Pensavo non avrebbe accettato l'idea di avermi lontana.
Speravo che mi pregasse di restare.
« Perché non lo fai? Perché non mi chiedi di restare? »
« Perché se lo facessi, sarei soltanto un egoista » replicò.
Rimasi ad osservarlo in silenzio, percependo il battito del mio cuore danzare in un ritmo costante.
Egli non si mosse di un centimetro.
Mi guardava con sguardo che non seppi decifrare e ciò mi rese alquanto nervosa.
Volevo sapere cosa stesse pensando in quel momento.
Volevo una risposta che mi avrebbe, in un certo senso, tenuta accanto a lui. Perché era anche quello, ciò che desideravo.
Essergli vicina.
Lo promisi a me stessa.
Lo promisi a lui.
I suoi capelli gli incorniciavano il viso dai lineamenti marcati e il mento leggermente rigido, gli donava un'aria severa.
« Non hai paura di perdermi? » gli domandai.
La mia domanda gli arrivò dritto alle orecchie come una leggera nota d'allarme che riuscì a leggere nella sua espressione a dir poco lancinante.
I suoi occhi si fecero cupi e lucidi e prima che potessi riprendere a parlare, egli mi abbracciò, avvicinando maggiormente il suo corpo contro al mio.
La sua grande mano mi accarezzava la spalla esile e il suo alito caldo soffiò sul mio collo scoperto.
Rabbrividii.
« Sto morendo. Al solo pensiero di averti lontana, mi sta uccidendo. Come potrei andare avanti, se non ci sei al mio fianco? Vuoi la verità? Non voglio che te ne vada. »
Solo allora cominciai a piangere silenziosamente.
Ricambiai l'abbraccio, aggrappandomi alle sue spalle come una disperata.
Lo strinsi forte contro al mio corpo, tanto da percepire il battito del suo cuore accelerato contro quello mio.
Il suo dolce profumo mi invase le narici e il calore che tanto mi mancò, riuscì a ritrovarlo in quello stesso momento.
Era impossibile.
Stargli lontana sarebbe come una guerra persa ormai all'inizio.
« Perché non vieni via con me? Possiamo stare insieme, Michael e quando arriverà il momento giusto, allora scapperemo. Come abbiamo sempre detto che faremo » singhiozzai.
Michael mi accarezzò la testa, i capelli ed infine la nuca.
« Per quanto volessi, non posso farlo. Ti trascinerei nel baratro in cui mi trovo. Almeno non ancora » sussurrò.
Nascosi il mio viso nell'incavo del suo collo, chiudendo gli occhi per poi abbandonarmi ad un pianto liberatorio.
Non era un addio.
Ma in un certo senso, era come se lo fosse.
Michael era uscito ormai da un paio di ore e nonostante avessi cercato di contattarlo, egli non si decideva a rispondere alle mie chiamate.
Avevo paura di averlo ferito, di averlo in un certo senso offeso.
Sapevo che ero stata un'egoista, ma non potevo nemmeno sopprimere l'idea che, il bisogno di avere mamma al mio fianco, era vitale.
Non si fece accompagnare quella mattina e si fece prestare la macchina di Javon.
Ero in pensiero per lui.
E se lo avrebbero scoperto?
« Javon, non risponde alle mie chiamate. Forse è arrabbiato con me? Potresti provare tu? »
L'uomo dalla divisa scura annuì.
Estrasse fuori dalla tasca del suo completo opaco il cellulare da lavoro che era solito usare e senza esitare, compose il numero di Jackson.
Si portò l'oggetto all'orecchio, attendendo che squillasse.
Mamma era al mio fianco, intenta a sminuzzare una cipolla rossa che avrebbe usato poi per preparare il pranzo.
Il sole splendeva alto nel cielo, quel giorno.
« Perché se n'è andato così, Kara? » mi domandò ella ad un certo punto.
La guardai, restando per brevi secondi in silenzio.
« Gli ho detto di volere più tempo con te. Ieri non sembrava starci male, mamma. Lui mi ha detto di restare » replicai.
Javon mi guardò sorpreso, abbassando il cellulare per chiudere la chiamata.
« Non risponde. Vuoi dire che non starai più a Neverland? » chiese.
Annuii.
« Sarà una cosa temporanea. Almeno fino a quando papà non si sentirà meglio. »
« Te l'ho detto che non sarebbe stata una buona idea. Se ti ha lasciato andare è perché ti ama tantissimo. Ma prova a metterti nei suoi panni, figlia mia. Ora sta soffrendo. »
« Non avevo altra scelta mamma. Come puoi pretendere che vada tutto bene, quando in realtà stai male? Sono tua figlia. Non puoi mentirmi » esclamai.
Javon si schiarì la voce, visibilmente imbarazzato dalla situazione.
Potevo leggergli nell'espressione che si sentiva fuori luogo.
« Se permettete, signora Jones, Kara ha ragione. Per quanto Michael possa soffrire in questo momento, se ne farà una ragione. Lo capirà. »
Gli rivolsi un'occhiata di gratitudine e lui ricambiò con un sorriso.
Avevo stretto un bel rapporto di amicizia con lui, tant'è che Michael a volte ne era geloso.
« Conosci benissimo Michael, non è così? Avere lontano una persona che si ama, fa male » parlò mia madre.
Non replicai, anzi, rimasi in silenzio, lo sguardo basso verso le mie mani.
Allontanarmi da lui mi tormentava.
Mamma si allontanò, raggiungendo camera sua per poi chiudersi dentro.
Nei pochi attimi in cui mi passò davanti, lessi la sua espressione malinconica e sapevo che in situazioni come quelle, voleva restarsene per conto suo.
Non la seguii.
« Perché hai deciso di diventare una guardia del corpo? » domandai a Javon.
Egli mi rivolse un lieve sorriso, aggiustandosi la camicia bianca che indossava.
« Il mio sogno era quello di diventare un musicista. Mio padre lo era. Restavo sveglio ogni sera pur di vederlo suonare con la sua band. Era un uomo fantastico, proprio come Michael. Un giorno si ammalò ed io ero fuori città. Ero uno studente universitario, allora. Quando mia madre mi chiamò e mi disse che mio padre si era ammalato, non ho potuto fare niente. Mi disse che non sarei dovuto venire e che si sarebbe ripreso quello stesso giorno. Passarono giorni e poi una settimana. Lei per tutto quel tempo rimase da sola. I miei mi dissero sempre di mettere lo studio al primo posto, in ogni caso. Io li obbedii. Il ventiquattro novembre, mia madre mi chiamò. Papà non ce l'aveva fatta e quando la raggiunsi era ormai troppo tardi anche per lei. Quei mesi da sola la resero vittima di una solitudine che nemmeno con il mio arrivo riuscì a cancellare. Divenne depressa e, dopo anni, persi anche lei. Non l'aveva protetta abbastanza. Avevo lasciato che il male la divorasse, fino al punto di perdere anche lei. Fu allora che decisi che avrei protetto di chi mi stava a cuore. Avrei protetto ogni persona dal male e Michael fu il primo ad aver avuto veramente bisogno del mio aiuto. Ora proteggo anche te, Kara. Ma non perché è il mio lavoro. Ma perché a te ci tengo. »
Rimasi completamente spiazzata dalle sue parole.
Pensavo di essere stata l'unica a soffrire in quel modo, ma mai avrei pensato che un amico a me caro, avesse sofferto più di me.
Io avevo perso una sorella, ma lei aveva deciso di allontanarsi.
Lui aveva perso la sua famiglia.
Percepii gli occhi pizzicarmi e pian piano l'immagine del suo volto cominciò a farsi scialbo.
Mi avvicinai maggiormente alla sua figura e senza esitare lo strinsi in un dolce e forte abbraccio.
« Midispiace, Javon. Midispiace
tanto » sussurrai.
Egli sembrò sorpreso dalla mia reazione, poiché percepii il suo corpo irrigidirsi contro al mio, ma dopo si rilassò completamente, ricambiando la stretta.
« Non allontanarti mai dalle persone che ami, Kara. Mai. »
E aveva ragione.
Non potevo allontanarmi dai miei, ma ora avevo aperto il mio cuore anche ad un'altra persona.
Cosa avrei fatto?
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