Capitolo 72

C A P I T O L O 72

In piedi, di fronte alla grande libreria colma di libri, leggevo in silenzio i vari titoli, percorrendo con gli occhi tutti la fila che si estendeva sotto al mio sguardo curioso.
Era la prima volta che mi soffermavo per un lungo tempo in quella stanza, dimenticando infine il motivo per cui ero lì.
Javon non mentì, quando mi accennò del grande interesse di Michael per la storia.
Ciò che possedeva non erano solo romanzi o fiabe, bensì anche grandi libri che, a mia vista, superavano le trecento pagine.

« Sapevo di trovarla qui, signorina Jones. » 

Sussultai lievemente quando alla mia sinistra, percepii una profonda voce interpellarmi.
Mi voltai, scontrando il viso sorridente di Javon, allo stipite della porta.

« Signor Beard. È un piacere rivederla » parlai, ricambiando il sorriso.

Egli prese a camminare verso alla mia direzione, soffermandosi proprio dinanzi alla mia minuta figura.

« Non è la prima a fermarsi qui. Jackson sa proprio come attirare l'attenzione » enfatizzò.

Accennai una leggera risata, voltando lo sguardo altrove.

« Non sapevo fosse un amante della storia » dissi.

L'uomo di fianco a me sollevò un braccio, puntando con l'indice su un libro dalla copertina scura.

« Questo è il libro che gli comprai qualche anno fa. Lo lesse in due giorni » replicò.

Lo imitai, allungando una mano per sfiorarne la rilegatura.

« Che libro sarebbe? » domandai.

« Seconda guerra mondiale » replicò.

Lo guardai quasi sorpresa.
La seconda guerra mondiale, aveva affascinato anche me, durante l'epoca delle superiori, ma non avrei mai saputo che qualcun'altro lo trovasse così allettante da comprarne due grandi volumi.

« Come mai la seconda guerra mondiale? » chiesi, inclinando di poco la testa di lato.

Javon ridacchiò, aggiustandosi la divisa.

« Signorina Jones, sono la sua guardia del corpo. Michael è da sempre stato così riservato. Perché non lo chiede a lui? »

Gli rivolsi un lieve sorriso, annuendo infine.

« Ma » - esclamò allungando entrambe le mani per estrarre dallo scaffale un grande libro colorato - « nessun libro può battere questo. »

Me lo porse con un largo sorriso, quasi divertito e quando ne lessi il titolo, un tenero sorriso scappò dalle mie labbra.
Peter Pan.

« Michael non fa altro se leggerlo ad ogni bambino che viene a farci visita » disse.

E non si sbagliava.
Lo lesse anche ai miei bambini, ad Angie che cercava di non ridacchiare e una notte lo sorpresi nella sua piccola recita davanti al grande lago.
Era pazzo di quel racconto.

« Per me non l'ha ancora fatto » sussurrai, leggermente imbronciata.

Javon rise dolcemente e con una mano sfiorò il mio gomito.

« Perché non lo fa lei al suo posto? »

Sollevai lo sguardo, guardandolo.

« Io? Non riesco mai a trovarlo libero. È quasi tutto il giorno fuori e rincasa sempre tardi. Sarà difficile » replicai.

Egli intascò le mani.

« Te l'hanno mai letto una favola? » mi chiese ad un tratto.

Percepii la famosa morsa al basso ventre e subito allontanai il libro, riponendolo al suo posto.
Perché doveva far parte di ogni mia conversazione?

« Mia sorella. Ma ora non viviamo più insieme » risposi.

Egli sospirò leggermente, schiarendosi infine la voce.

« Conosco quella sensazione. Avere qualcuno e poi non più » - poi fece un cenno col capo in direzione del libro da poco riposto - « Ti consiglio di leggerlo. Le favole non sono solo per bambini. Almeno è quello che mi disse Michael. »

Mi limitai ad annuire ed infine egli mi congedò, si aggiustó il colletto della camicia e senza proferire parola uscì dalla stanza.
Le favole non sono solo per bambini.
Quanto avrei voluto ritornare bambina.







« Glenda si è arrabbiata. Non mi piace quando tiene il broncio. Non è più una ragazzina e dovrebbe imparare a crescere » aveva esclamato Leticia, intenta a stendere il bucato in mia compagnia.

Era una bella giornata ed ella non aveva esitato a lavare a mano le famose camicie di Michael.
Mi piaceva stare in sua compagnia, perché oltre ad essere una donna gentile, era anche molto sveglia, anche se a volte non lo dava a vedere.
Mi aveva sempre consigliato il meglio e nonostante la conoscessi da poco, avevamo già stretto un rapporto di fiducia.

« Non volevo ferirla » mormorai, afferrando una canottiera bianca per porgergliela.

Ella la prese e mettendosi lievemente in punta di piedi, lo stese sopra al filo bianco, bloccandolo con delle mollette colorate.

« Non hai torto, dopotutto. Deve farsene una ragione. Non può impedire due persone di amarsi, soltanto per capriccio. Le voglio un gran bene, ma non posso continuare a prendere la sua parte, quando si sbaglia » disse.

« Michael non voleva presentarla alla sua famiglia? » domandai.

Leticia scosse di poco la testa.

« La madre di lei continuava a metterlo sotto pressione e alla fine si è sentito costretto a farlo. Lui avrebbe voluto aspettare qualche mese prima di renderlo pubblico, ma come sempre, la sua famiglia non ha potuto aspettare » replicò.

« Ma non è colpa sua. Glenda non c'entra niente. È la madre ad aver sbagliato » proferii.

La donna al mio fianco mi guardò, inarcando un sopracciglio.

« Lei non è innocente. Ha fatto passare a Michael le pene dell'inferno, non difendendolo. Avevano perfino cominciato a litigare e il più delle volte lo sorprendevo in giro per la casa a tarda notte » mormorò.

Avevano davvero avuto quel tipo di rapporto?
Feci per continuare a parlare, ma la suoneria del mio cellulare mi interruppe.
Chiesi scusa e allontanandomi di poco dalla sua figura, estrassi l'apparecchio dalla grande tasca del grembiule ormai sporco.
Lessi il mittente sullo schermo illuminato e sorrisi allegra quando notai il nome di Angie.
Senza esitare accettai la chiamata e risposi con voce quasi stridula.

« Madre! Come sta? »

« Kara, piccola mia! Sto bene, tu come stai? »

« Sto bene anch'io, madre. I bambini come stanno? » chiesi.

Udii un silenzio assurdo dall'altra parte della cornetta e rimasi in attesa di una sua replica che arrivò dopo un po' di esitazione.

« Stanno bene. Sarah, Adam e Jeff sono stati adottati » sussurrò.

Spalancai gli occhi, sorpresa dall'affermazione.

« Quando? » esclamai.

Ero felice, ma una parte di me si sentiva addolorata.
Sapevo perfettamente che non li avrei mai più rivisti e non ebbi nemmeno la possibilità di salutarli.
Forse non avrei dovuto legarmi così tanto a loro.
Ma erano la mia seconda famiglia.

« Da chi? Tutti e tre insieme? » domandai.

« No, Jeff e Sarah sono stati adottati insieme. Adam da una giovane coppia di campagna. È successo tutto in due giorni. Scusami, non sono riuscita a dirtelo prima. Sapevo quanto ci tenevi e visto la distanza, temevo che ti saresti sentita in colpa » rispose.

In colpa.
Mi sentivo sempre in colpa. Avevo promesso loro un futuro migliore, e nonostante i miei mesi ormai a Neverland, non avevo ancora del tutto esaudito le loro richieste.
Ero felice all'idea che trovassero una bella famiglia.
Volevo che avessero un bel ricordo della loro infanzia, perché sarà ciò che racconteranno ai loro figli, ai loro nipoti.

« È una bella notizia » sussurrai.

Percepii una morsa al basso ventre e il famoso bruciore al naso e alla gola.
Non potevo piangere lì di fronte a Leticia.

« Kara, mi hanno detto di salutarti e di dirti grazie per tutto quello che hai fatto per loro. Hanno detto di salutare anche il signor Jackson » disse.

Sorrisi felice e subito una lacrima scivolò via, percorrendo le linee delle mie goti che andai subito ad asciugare.

« Grazie, madre. Questa notizia mi ha reso migliore la giornata » proferii.

« L'ha resa anche a me, piccola mia. »







La cena in casa Jackson era la parte che più preferivo della giornata.
Non solo avevo la consapevolezza di aver svolto ormai tutti i lavori quotidiani, ma mi riuniva spesso con la persona che ormai amavo.
Era un momento di tranquillità per me e per il resto dello staff, un momento per scambiare chiacchiere e ricordi che seppur lontani, ancora intatti.
Erano quelli i momenti in cui riuscivo a conoscere meglio i miei colleghi.
Ma quella sera, nonostante la soddisfazione della giornata e la bella notizia, non ero così entusiasta.
Non avevo fame, a dire la verità e malgrado continuavo a giocare con la forchetta, ripetendomi di non fare scena muta, mi sentivo nostalgica.

« Kara, tesoro, non mangi? » mi aveva sussurrato Leticia.

La guardai, accennandole un dolce sorriso.

« Sì. Stavo solo pensando da dove cominciare » mentii.

Ella si limitò ad annuire divertita, poi riprese a parlare con una sua coetanea, la cuoca.
Sollevai lo sguardo verso all'orologio da pendolo posta infondo alla stanza e mi meravigliai quando notai che le lancette segnavano le nove ormai passate.
Non era la prima volta che mi trovavo in quella situazione, e quasi mi infastidiva.
Non volevo ricevere le attenzioni del membro, né quelle di Michael.
Volevo soltanto avere un po' di tempo da sola.
Dopotutto, non ero obbligata a cenare in loro compagnia.

« Ti consiglio di cominciare dalla pasta, prima che si raffreddi. »

Sollevai lo sguardo e solo allora incrociai quello dolce e profondo di Michael.
Allungò una mano con cui teneva la forchetta e senza parlare afferrò un fungo dalla ciotolina in mezzo alla tavola bandita, per poi metterlo dentro al mio piatto.

« Sembra buono » disse infine.

Gli rivolsi un sorriso e lo ringraziai in un sussurrio.

« Lo è di certo. Ma oggi non ho per niente fame » sussurrai.

« Perché no? » mi domandò, sporgendosi lievemente in avanti con il busto.

« Credo che abbia mangiato un po' troppo durante alla giornata. Mi sento sazia. »

Egli ridacchiò e allungando nuovamente la mano, afferrò il fungo che poco prima si preoccupò di mettere nel mio piatto, e se lo portò alla bocca, mangiandolo.

« Allora prova con l'insalata. Il mais è davvero buono » parlò.

« Potrei alzarmi? » chiesi, sorridendogli lievemente.

Solo allora assunse un'espressione del tutto diversa.
Mi rivolse un'occhiata preoccupata e confusa.

« Sono stanca » aggiunsi infine.

Mi osservò per vari secondi in silenzio per poi annuire.

« Stai bene? »

« Sì. Sono solo stanca. Grazie. »

Mi alzai da tavola e senza volgere lo sguardo altrove, uscii dalla sala quasi di corsa, percorrendo a grandi passi la rampa di scala che conduceva al piano superiore.
Socchiusi la porta di camera mia e vi entrai dentro, dirigendomi alla finestra per abbassare le tapparelle.
Percepii il cuore battermi come impazzito nel petto, per una ragione di cui nemmeno io ero a conoscenza.
La testa cominciò a farmi male e un dolore insistente cominciò a farsi spazio al basso ventre.
Perché mi stavo agitando?

« Rilassati, Kara. Rilassati. »

Cominciai a camminare da una parte all'altra della grande stanza, respirando a pieni polmoni.
Le mie mani iniziarono a sudare e le asciugai più volte sulla stoffa del mio grembiule che subito dopo slacciai, poggiando quest'ultimo sulla poltrona di fronte al grande letto.
Gli serve qualcuno che sarebbe in grado di confortarlo ed è per questo che ha scelto te. Perché sei davvero brava con le parole.
Era per questo che stavo impazzendo? Per una frase dettata da una donna in collera?
Mi mordicchiai ripetutamente il labbro inferiore, fissando un punto indefinito della stanza.
Poi, un leggero bussare alla porta mi destò dai pensieri.

« Avanti » dissi.

Mi aggiustai velocemente i capelli e mi stirai la gonna lungo i fianchi, portando come rito, le mani di fronte al mio grembo piatto.
La porta si socchiuse lentamente e subito dopo scontrai la figura alta di Michael affacciarsi.

« Posso entrare? »

Annuii, guardandomi attorno per assicurarmi che fosse tutto apposto.
Non dovevo dimenticare che era anche il mio capo.

« Spero tu abbia finito di
cenare » sussurrai, osservando la sua figura avanzare verso alla mia.

« Ho mangiato come sempre. Sapevo che non mi sarei dovuto preoccupare » replicò.

Gli rivolsi un dolce sorriso che lui ricambiò subito.

« Vuoi parlare con me? » mi chiese, soffermandosi dinanzi al mio corpo per prendere le mie mani.

Intrecciò le nostre dita e facendo leggermente dondolare le braccia, mi guardò.

« Puoi sempre parlare con tuo marito » continuò.

Marito.
Ora ero più confusa.
Cosa mi stava succedendo?

« Io - » mi bloccai di colpo, avvertendo il familiare groppo alla gola.

Lo guardai con un'espressione del tutto sorpresa, quasi spaventata.
Non volevo mentirgli.
Perché continuare a farlo, sapendo che di lui potevo fidarmi? Perché non aprirsi con la persona che si ama?
Egli continuò ad osservarmi con sguardo tenero, attendendo che continuassi.

« Come potrei farlo? » sussurrai, quasi fosse una supplica.

Solo allora Michael annuì.

« D'accordo. Allora proviamo in questo modo » mormorò dolcemente.

Mi attirò con cautela contro al suo corpo stretto in una camicia di cotone verde e facendo un passo in avanti, avvolse le sue braccia attorno al mio collo.
Mi abbracciò in silenzio, facendomi appoggiare la testa contro al suo petto poco scolpito.
Udii il battito irregolare del suo cuore contro al mio orecchio e quasi mi sembrò una dolce melodia.
Ricambiai l'abbraccio, cingendogli i fianchi e chiusi gli occhi, ispirando il suo dolce profumo.

« Il tuo battito » sussurrai.

« Sono mesi che ci conosciamo, ma nonostante ciò, continuo ad innervosirmi in tua presenza » si limitò a rispondere.

Un dolce e allegro sorriso scappò via dalle mie labbra.
Aumentai la stretta attorno al suo corpo e rimanemmo in quella posizione per un lungo tempo.
Nessuno dei due disse più niente.
E mi piaceva così.
C'eravamo solo io e lui.
Era quello di cui avevo bisogno.

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