Capitolo 70
C A P I T O L O 70
Distesa sul grande letto dalle fodere chiare, fissavo il soffitto in estremo silenzio, percependo il leggero fruscio degli alberi scossi dal vento.
Non riuscivo ad addormentarmi, quella sera. Forse per la schiena e i piedi intorpiditi o forse per il caldo che aveva cominciato ad abbracciare la grande e maestosa Los Angeles.
Sì. Los Angeles.
Ricordo come da bambina, seduta sulle gambe di mia sorella, fantasticavamo sul nostro futuro.
Lei aveva da sempre messo la carriera al primo posto, mentre io avevo sogni ben diversi dai suoi.
Le dicevo sempre, che una famiglia era ciò che più desideravo, prima della carriera. Che la felicità e l'amore sarebbero stati al primo posto, nel mio futuro.
E lei rideva divertita, fantasticando sul marito che avrei avuto. Un uomo ricco, in giacca e cravatta e la solita mania di controllare ogni minuto il cellulare.
Un uomo elegante e generoso.
Era così che descriveva la persona con cui avrei poi passato il resto della mia vita.
E aveva ragione.
Avevo trovato un uomo elegante ed altruista al contempo. Uno ricco e da camicia.
Lo avevo trovato.
Ero riuscita a trovare un po' di felicità che da tempo mi era stata negata ed ero riuscita a trovare l'amore.
In un giorno qualsiasi.
Ma lei aveva davvero messo la carriera al primo posto? Aveva trovato ciò che da piccola mi raccontava? Una bella casa, una carriera stabile e la felicità?
No. Lei non lo aveva trovato.
Lei no.
Percepii una morsa al petto e subito presi un bel respiro, chiudendo gli occhi.
Ero arrabbiata. Ero arrabbiata con Jane perché aveva permesso che tutto quello accadesse.
Non volevo il suo perdono, ma mi sarebbe piaciuto passare un po' di tempo in sua compagnia.
Mi sarebbe piaciuto sapere che stesse bene, che avesse una vita felice.
Mi sarebbe bastato solo sapere se io le mancavo.
Stupida Jane.
Socchiusi gli occhi e mi sollevai con il busto, sedendomi sul letto per avere una chiara visuale dell'enorme giardino illuminato.
Era un sogno.
Solo allora mi alzai completamente dal letto, avanzando lentamente verso alla grande vetrata che dava sul balcone e senza esitare uscii all'aperto, poggiando le mani sulla fredda ringhiera.
Venni subito pervasa da brividi di piacere quando il venticello notturno sfiorò il mio collo nudo.
Stavo bene.
Mi guardai attorno, scorgendo in lontananza il grande lago su cui potevo chiaramente notare il riflesso della luna.
Il carosello illuminato e la stradina ciottolata che tracciava il percorso lungo tutto il prato.
« Jane, dovresti vedere tutto questo. Te ne saresti
innamorata » sussurrai.
Sollevai la testa, osservando in silenzio il panorama che si estendeva sotto ai miei occhi.
Quasi mi mancò il fiato.
Ma proprio quando stavo per chiudere gli occhi, due braccia forti mi cinsero la vita, cogliendomi di sorpresa.
Percepii un peso sulla mia spalla destra e delle morbide labbra sfiorarmi il collo.
« Non riesci a dormire? »
Michael.
Sorrisi dolcemente, poggiando le mani sulle sue grandi.
« Ti stavo pensando » replicai, quasi mentendo.
Non volevo parlare di mia sorella, in quel momento.
Virai la testa di lato, per incrociare il suo viso dai lineamenti impeccabili.
Teneva gli occhi chiusi, mentre si lasciava sfuggire un dolce sorriso.
« Ah sì? E cosa stavi pensando? » domandò.
« A cosa avrei fatto, se non fossi arrivato quel giorno. Dove sarei stata adesso? »
Egli mi massaggiò lentamente il ventre, fermandosi subito dopo.
« Non lo so. Forse ti saresti innamorata di un altro uomo. Avresti continuato a lavorare lì e non avresti dovuto subire tutto questo » enfatizzò, ridacchiando infine.
Sorrisi divertita, abbassando lo sguardo per giocherellare con le sue lunghe dita affusolate.
« Non ci credo. Non avrei mai avuto la possibilità di sedermi a tavola con Michael Jackson » risposi dilettata.
« O dormire con Michael
Jackson » esordì, facendomi arrossire.
Mi mordicchiai il labbro inferiore, mentre continuavo a sorridere.
Ero innamorata.
« Perchè non riesci a dormire, Kara? » mi domandò nuovamente.
Risi, guardando dinanzi a me.
« Te l'ho già detto. Ti stavo pensando. »
Lui si allontanò dal mio corpo, poggiandosi di schiena alla ringhiera e mi guardò, accennandomi un sorriso genuino.
« È così bello stare qui, di notte » mormorai.
Egli in risposta annuì, inumidendosi il labbro inferiore con la lingua.
« Il momento che preferisco della giornata » rispose.
Gli sorrisi e lui ricambiò, allungando una mano per ricercare la mia che subito trovò, stringendola.
« Non abbiamo avuto del tempo per noi due, in queste ultime settimane » parlò, massaggiandomi la nocca della mano con il pollice.
Annuii.
« Hai avuto tanto da fare ed io altrettanto. Come stai, Michael? » domandai, inclinando lievemente la testa di lato.
« Sto bene. Sto davvero bene » rispose.
Continuava a sorridermi ed io non potei evitare le sue fossette ai lati della bocca.
Il contorno del suo viso era segnato da lineamenti quasi marcati, mentre le sue iridi scure, luccicavano sotto al chiarore della luna.
Indossava una semplice felpa verde leggera, quasi da sentire il contatto con la sua pelle calda.
Non portava la solita camicia notturna, anzi, era vestito come uno con l'intento di uscire.
Faceva caldo e non potevo biasimarlo.
« Come ti trovi qui a
Neverland? » mi chiese all'improvviso.
Sollevai lo sguardo che fino a poco fa era stata catturato dal suo abbigliamento quasi insolito, guardandolo negli occhi.
« Mi trovo bene. Forse anche un po' troppo » replicai.
Lui mi rivolse un'occhiata interrogativa, inarcando lievemente un sopracciglio.
« Di cosa stai parlando? »
« Da quando sono venuta qui, ho avuto la sensazione di star combinando un casino. Insomma, le incomprensioni con Glenda, io e te che ci nascondiamo e- »
« Non lo stiamo più facendo, lo sai » disse.
Lo osservai per brevi secondi in silenzio, trattenendo il fiato e lui osservava me, spostando il peso del suo corpo sul piede sinistro.
« Esatto. Non lo stiamo più facendo e dimmi cosa abbiamo ricevuto in cambio? Glenda ora mi detesta e ti guardano come se ti stessi prendendo in giro da solo » esordii.
Lui scoppiò in una fragorosa risata, voltandosi completamente verso al grande giardino.
Allontanò la sua mano dalla mia e andò ad appoggiarlo sulla ringhiera fredda di metallo.
« Glenda ti detesta? E mi guardano come se mi stessi prendendo in giro da solo? » esclamò, continuando a ridacchiare.
Lo guardai in silenzio, mantenendo un epressione seria.
« Cosa c'è di divertente, Michael? Non ti senti forse sotto pressione? »
Lui scosse la testa, sorridendo.
« No. No Kara. Affatto. Mi sento sotto pressione ogni volta che mi sveglio di mattina, prima di andare a dormire, mentre esco di casa o mentre sono in tour. Sono sempre sotto pressione. Anche mentre cerco di farmi un bagno rilassante. È così ormai. Questo è il mio mondo. Ogni giorno mi sveglio e so che dovrò affrontare la solita giornata stressante. Lavoro tutto il tempo, passo gran parte della mia giornata in studio e cerco di fare del bene anche quando non me lo chiedono. E cosa ricevo in cambio? Niente. Ma posso dire che a fine giornata, quando rientro a casa, mi sento soddisfatto. Felice di quello che ho fatto e non posso che gioire quando ti vedo. Tu non sei diversa da me. Siamo uguali » parlò.
Sapevo perfettamente quanto il suo lavoro prendesse gran parte del suo tempo, quanto esso lo facesse sentire solo, perché era solito ripetermelo.
Ma cosa potevo fare?
« E se non dovessi andare
bene? Se non dovessi piacere alla tua famiglia o ai tuoi amici? » domandai, mormorando.
Lui sospirò, accennando un sorriso divertito.
« Forse non piacerai a loro, ma a me tu piaci. Davvero tanto » replicò.
Voltai il capo nella sua direzione e lui fece lo stesso, mentre era intento a mordicchiarsi il labbro inferiore.
« Abbiamo parlato di tante cose, in questi mesi, signorina Jackson. Ma abbiamo dimenticato un piccolo particolare » disse ad un tratto.
Gli sorrisi, alzando le sopracciglia mentre portavo le braccia contro al petto, incrociandole.
Avevo iniziato a sentire freddo.
Lui tese la mano verso al mio corpo, cingendomi la schiena con il suo braccio poco muscoloso.
Mi avvicinò alla sua figura, facendo combaciare i nostri petti.
Il suo profumo di menta mi inebriò i sensi, quando egli mi sfiorò le labbra con le sue.
« Non abbiamo parlato del grande giorno. Non pensi che sia ora di farlo? »
Il grande giorno.
Proprio così. Michael mi aveva chiesto in sposa ed io avevo accettato. Avevo accettato di diventare sua, di renderlo parte della mia vita e lui aveva fatto lo stesso.
Sciolsi la presa, portando le mani sulle sue braccia coperte dal tessuto della sua felpa fine.
« Il grande giorno? Vorresti invitare tutta Los Angeles o ti basta una cerimonia privata in famiglia? » enfatizzai.
Egli ridacchiò, sollevando un braccio per portare una ciocca dei miei capelli dietro all'orecchio.
« Credo che inviterò tutta Los Angeles, per non parlare della mia famiglia, della tua, dei nostri amici, dei bambini, dei miei ballerini, i miei coll- »
Risi divertita, spingendolo lievemente all'indietro.
« Smettila, Jackson. Non essere stupido » esclamai.
Lui scoppiò a ridere, rivolgendomi un'espressione del tutto buffa.
« Sei stata tu a chiedermelo! » esclamò a sua volta.
Finsi di essere offesa e subito mi allontanai dal suo corpo, portando entrambe le mani sui fianchi.
Lui allungò un braccio pizzicandomi una guancia.
Allontanai la sua mano, rivolgendogli un'occhiata quasi seria mentre egli dilettato come un bambino, si avvicinò a me e senza preavviso mi afferrò per i fianchi, sollevandomi da terra per caricarmi sulla sua spalla destra.
Cacciai un urlo di sorpresa, ma divertita dalla situazione, scoppiai in una risata.
Avanzò verso al letto e mi lanciò completamente sopra, posizionandosi sopra di me.
Prima che potessi proferire parola, egli cominciò a solleticarmi la pancia, poi i fianchi.
Continuavo a ridere come una ragazzina allietata, contorcendomi per via del solletico.
« Michael, basta! » esclamavo, ma lui sembrava non darmi ascolto.
« Chi è lo stupido? Allora? » mi domandò.
Rideva spensierato e la sua risata cristallina era musica per le mie orecchie.
« Nessuno! Nessuno! » urlacchiai, piegando di poco le gambe.
Cominciai a tossire e subito percepii le mie guance accaldarsi.
Portai una mano sul mio viso, cercando di trattenere la risata ed egli si lentamente si fermò, guardandomi sempre con quel largo e dilettato sorriso sul volto.
Mi guardò, mentre io ora ero nell'imbarazzo.
« Avremo mai un giorno una famiglia? » mi chiese all'improvviso, affondando i gomiti ai lati del mio corpo.
Gli sorrisi dolcemente, sollevando una mano per spostargli alcuni ciuffi fuori posto.
« Sì, Michael » risposi.
« Presto? »
Assunsi un'espressione del tutto sorpresa, osservandolo attentamente.
Era serio. I suoi occhi vagavano da una parte all'altra del mio viso.
Sospirai, mordicchiandomi il labbro inferiore.
« Non lo so. Non- » - mi bloccai, prendendo un bel respiro e poi continuai - « Non mi sento ancora pronta per questo grande passo, Michael. »
Egli si limitò ad annuire più volte, sollevandosi dal mio corpo per sdraiarsi al mio fianco.
Mi voltai verso di lui, portando una mano sotto alla testa, mentre con l'altra andai a ricercare la sua, stringendogli dolcemente alcune dita.
« Avere una famiglia è uno dei miei grandi sogni, Michael. Ma non mi sento ancora pronta per questo » mormorai.
Lui si limitava ad osservare il soffitto, un'espressione del tutto incomprensibile sul viso e quasi temetti di averlo ferito o offeso.
« Muoio dalla voglia di diventare padre ormai da anni » si limitò a rispondere.
« Ed io di sposarti ormai da mesi. Come possiamo diventare genitori se non siamo ancora sposati? » domandai.
Ora voltò la testa verso di me, mantenendo la stessa posizione di prima.
« È questo il motivo? Perché non siamo ancora sposati? »
No, non era solo quello, Michael.
« Sì. Ho una famiglia che vedo a malapena con un padre che sta davvero male. E ho perso nuovamente mia sorella. Tu dovresti partire ancora ed io non voglio dover attraversare tutto questo da sola, Michael. Io ti amo. Ti amo davvero tanto, ma voglio essere sicura che quello che stiamo facendo sia giusto. Per entrambi. Dobbiamo aspettare il momento giusto. »
Lui si alzò di scatto, camminando nervoso da una parte all'altra della stanza.
Io mi limitai a sollevarmi di busto, sedendomi sul letto cui materasso affondò sotto al mio peso.
« Sai benissimo che non arriverà. Questo momento giusto che stiamo aspettando da mesi, ed io da anni. Dobbiamo farlo succedere noi, capisci? » disse.
Si stava innervosendo e lo potei notare dall'espressione corrucciata che cercava di evitare con movimenti rapidi delle mani, compiendo gesti del tutto incomprensibili.
« Michael » lo chiamai.
« Cosa c'è? » esclamò.
« Mi dispiace » sussurrai.
Non volevo dirgli la verità. Non volevo che sapesse che crescere un figlio non rientrava nei miei piani, in quel momento.
Volevo avere più tempo per noi, per la mia famiglia e per prima cosa, volevo riportare mia sorella a casa.
Sapevo che era ancora lì fuori e avrei dovuto trovarla.
Michael sembrava non capirmi in quel momento. Era come se l'argomento "bambino" lo avesse reso pazzo all'improvviso.
Voleva diventare padre, lo potevo capire.
Ma non potevo negare che anche lui non era pronto.
Come potevamo crescere un bambino, se non avevamo del tempo per noi stessi?
« No, scusami tu. Mi dispiace, Kara. Non...Non volevo » si scusò.
Mi alzai dal letto e avanzai verso alla sua direzione, fermandomi poco distante dal suo corpo alto.
« Ho promesso di renderti un uomo felice e non l'ho dimenticato. Lo farò, Michael. Ma devo essere sicura che compiendo quel passo, alla fine sarai realmente l'uomo felice che voglio tu sia » sussurrai.
Non mi rispose, si limitava a guardarmi con gli occhi leggermente lucidi e quasi temetti che stesse piangendo.
Mi misi in punta di piedi e senza esitare gli stampai un casto e lungo bacio all'angolo della bocca.
Non potevo ferirlo.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top