Capitolo 69

C A P I T O L O 69

Quella mattina decisi di riprendere i lavori in cortile che l'altro giorno lasciai in sospeso.
Avevo ancora molto da fare, sradicare l'erba e i fiori appassiti e pulire le ultime tre finestre che davano nella grande e luminosa cucina.
I giardinieri erano indaffarati con le sistemazioni vicino al lago e ci avevano pregato di svolgere quel piccolo lavoro al posto loro.
Glenda e Leticia avevano finito la loro parte, ma io non avevo ancora cominciato.
Indossai un paio di guanti da giardino e mi tolsi il grembiule per avere più libertà di movimento.
Odiavo indossare divise o gonne molto lunghe, soprattutto se dovevo andare a contatto con la terra.
Non volevo che la divisa si sporcasse o ancora peggio.
Presi una piccola spatola e flettendo le gambe, mi abbassai completamente.
La giornata era tranquilla, solare.
Era una mattina perfetta per svolgere mansioni all'aperto e il fruscio delle foglie degli alberi scosse dalla leggera brezza fresca, facevano da sottofondo all'ambiente intorno.
Mi portai le solite ciocche ribelli dietro all'orecchio e senza attendere molto, cominciai a pulire, sradicando con le dita le piccole erbette incastrate in piccoli buchi della stradina ciottolata.

« Buongiorno, signorina Jones. »

Mi voltai, alzando lievemente la testa, per incontrare la figura alta e robusta di Javon incastrato dentro al suo solito completo elegante.
Non indossava gli occhiali e potei subito intravedere le sue iridi chiare.
Erano molto belle.

« Signor Beard. Come sta? » gli chiesi, accennandogli un sorriso.

Egli mi fece le spallucce, avanzando di un passo.

« Il signor Jackson non fa altro se non farci correre da una parte all'altra. A parte quello, potrei dire di sentirmi sano come un pesce » rispose, la voce dilettata.

Inclinai lievemente la testa di lato, continuando a guardarlo.

« È per la faccenda dell'altro giorno. Ormai tutto il mondo non fa altro se non chiedere della famosa donna. Lui vuole smentire » spiegò.

« Come ha intenzione di farlo? » chiesi.

Sapevo perfettamente il metodo che avrebbe usato, ma volevo esserne sicura.
Javon si guardò attorno ed io mi alzai completamente, restando in piedi dinanzi alla sua alta figura.
Si avvicinò al mio corpo e prima che potesse rispondermi, una voce alle sue spalle lo bloccò:
« Non credi che sia meglio parlarne con me, Kara Jones? »

Javon si spostò dalla mia visuale e quando i miei occhi incrociarono quelli di Michael, il familiare formicolio al basso ventre si presentò senza che me ne rendessi conto.
Lo guardai, percependo il mio cuore battere velocemente e subito venni invasa da una forte emozione che cercai di controllare, respirando a pieni polmoni.

« Non stavo parlando di niente, signor Jackson. Ritorno subito a lavorare » replicai.

Michael mi osservò con un'espressione del tutto diversa.
Mi fece un mezzo sorriso ed aggrottò di poco la fronte.

« Signor Jackson? Da quando ci diamo nuovamente del lei? » chiese.

Non gli risposi, ma mi limitai a guardarlo.
Era ben vestito e le sue gambe scolpite erano messe in risalto da un paio di jeans scuri.
Mi stavo incantando.
Percorsi con gli occhi la parte inferiore del suo corpo, risalendo pian piano, per poi soffermarmi sulle sue labbra leggermente socchiuse.
Egli se le inumidì sotto al mio sguardo e quando scontrai il suo viso finito, Michael sollevò leggermente un sopracciglio.

« Possiamo parlare? » chiese.

Scossi lievemente la testa.

« Non ho ancora finito di pulire » risposi.

Michael si portò una mano sul fianco, leggermente frustato.

« Puoi sempre farlo dopo. Vieni nel mio ufficio » esordì.

Si allontanò subito dopo, ed io guardai Javon, in piedi vicino a me.
Ricambiò lo sguardo e mi rivolse un tenero sorriso.

« Non farlo aspettare » sussurrò.

Gli sorrisi lievemente e congedandolo con un lieve inchino del busto, mi tolsi i guanti da giardino, intascandoli nella larga tasca del grembiule.
Mi incamminai verso all'ufficio di Jackson, sotto agli sguardi di alcuni colleghi che, seri, mi osservavano in silenzio.
Mi sentivo a disagio.
Attraversai il lungo corridoio cui pareti erano tappezzati di quadri di famosi artisti e una volta arrivata dinanzi alla grande porta in legno chiusa, presi un bel respiro.
Stirai con le mani l'abito e il grembiule lungo i fianchi e nervosa mi sistemai i capelli, sperando che fossi alquanto presentabile.
Sollevai una mano e bussai, attendendo una sua risposta che non tardò ad arrivare.

« Entra pure. »

Obbedii e quando socchiusi lentamente la porta, la prima cosa che notai fu Michael seduto alla sua scrivania, intento a compilare diversi fogli.
Entrai, richiudendomela alle spalle e facendo un passo in avanti, portai le mani davanti al mio grembo.

« Signor Ja- »

« Michael. Sono Michael, Kara » ribatté serio, sollevando la testa per guardarmi negli occhi.

Quasi persi un battito alla vista delle sue iridi scure.

« Michael. Volevi vedermi? » chiesi.

« Da quando sei amica di
Javon? » mi domandò.

« Non gli sono mai stata nemica, a differenza della tua ex fidanzata che non fa altro se non avercela con me » replicai, frustata.

« Ti ho fatto una domanda. »

Lo guardai, virando infine lo sguardo altrove.

« È stato dalla mia parte. Da sempre » replicai.

Michael poggiò la penna sulla superficie della sua scrivania, alzandosi subito dopo.

« Cos'hai fatto quando non ero qui? » domandò.

« Intendi dire in quei tre mesi, quando hai deciso di sparire per poi ritornare come se niente fosse? » risposi.

Egli sospirò pesantemente, massaggiandosi la nuca.

« Ho lavorato, Kara. Non ti ho lasciata per divertirmi » disse.

« Bravo » mi limitai a rispondere.

« Quella notte c'era anche Josh, con noi. Non ero da solo con lei, te lo giuro » parlò all'improvviso.

Lo guardai, attendendo che continuasse ed egli fece il giro della scrivania, fermandosi poi di fronte ad essa, distante da me.

« Ci siamo incontrati nel mio hotel, perché non sapevo dove altro andare. Non sono come te, Kara. Io non sono un uomo libero. Non posso incontrare gente al bar, uscire per una passeggiata o andare al mare come fanno tutti. Non posso nemmeno entrare nella mia propria auto, senza che si scateni l'inferno. Ma darei di tutto pur di esserlo » confessò.

Lo guardai, mordicchiandomi il labbro inferiore.

« Siete amici? »

Egli scosse la testa.

« Ci siamo conosciuti lì. Ho visitato un ospedale e volevo saperne di più a riguardo. Quella donna è la figlia dell'uomo che ha fondato l'ospedale, madre di tre figli meravigliosi. Josh è suo marito, un ingegnere. »

Mi sentii terribilmente stupida, dopo a quell'affermazione.
Avevo dubitato del suo amore per me e non mi ero accorta che ero stata così presa dalla gelosia da accusarlo inutilmente.
Non lo avevo ascoltato e me ne pentivo.

« È andata così..? » chiesi, sussurrando.

Michael si voltò verso alla sua scrivania, afferrò un paio di fogli macchiati di inchiostro e me li porse, avvicinandosi alla mia bassa figura.
Alzai le mani e li presi delicatamente, abbassando il capo per leggerne il contenuto.
Rimasi senza parole.

« Vuoi fare una donazione? » domandai, emozionata.

Egli mi sorrise, annuendo.

« Ho incontrato bambini fantastici che meritano di poter visitare uno zoo o andare al parco giochi, un giorno. Non posso negar loro un'infanzia meravigliosa » replicò.

Un grande senso di colpa mi pervase in pieno e la mia vista si fece improvvisamente offuscata.
Cominciai a piangere in silenzio e anche se non volevo farmi vedere, fingendo di leggere, Michael non se lo lasciò sfuggire.

« Mi dispiace » sussurrai.

Egli rise dolcemente e prese dolcemente i fogli dalle mie mani, appoggiandoli sulla scrivania ed infine si avvicinò maggiormente al mio corpo tremante, abbracciandomi di scatto.
Il mio cuore prese a galoppare e il suo dolce profumo invasero subito le mie narici.

« Non ti avrei mai fatto una cosa del genere, Kara. Non me lo sarei mai perdonato » mi sussurrò all'orecchio, lasciandomi infine sopra un casto bacio.

Ricambiai l'abbraccio, nascondendo il mio viso nel suo petto ed annuì, singhiozzando.

« Pensavo ti fossi stancato di me o che fossi soltanto un peso » esclamai.

Egli rise nuovamente, aumentando la stretta e con la sua grande mano dalle dita affusolate, mi accarezzò la testa.

« Ti mentirei se ti dicessi che non ci ho pensato. Sai, passare del tempo con te mi fa stare bene, ma sei una testarda » enfatizzò.

Scoppiai a ridere e lui fece altrettanto, affondando il suo viso nell'incavo del mio collo.





Non riuscivo ad addormentarmi, quella notte.
Nonostante avessi ripreso a parlare con Michael, continuavo a sentire un vuoto di cui ne ero a conoscenza e più il tempo passava, più mi sentivo in dovere di chiedergli scusa.
L'avevo già fatto, ma mi sembrava non bastasse.
Dopo quello che ha fatto per me e per la mia famiglia io ero stata in grado di dubitare del suo amore.
Lui, l'unica persona che voleva veramente salvare la nostra relazione.
Mi alzai dal letto, poggiando i piedi nudi per terra e il contatto della mia pelle con il pavimento freddo mi lasciò un lungo brivido lungo la schiena.
Erano le mezzanotte passata e non sapevo nemmeno se fosse ancora sveglio, ma non potevo fingere che fosse tutto apposto, quando non lo era.
Almeno per me.
Indossai una veste sopra al mio abito notturno, lasciando quest'ultima spalancata.
Socchiusi la grande finestra che dava sul balcone e allungando una mano, colsi una margherita che, con cura e dedizione, ero riuscita a far crescere.
Ero orgogliosa.
Misi le mie ciabatte e quasi in punta di piedi, uscii da camera mia, incamminandomi verso a quella di Michael.
Mi fermai dinanzi alla porta chiusa e prendendo un bel respiro, bussai timidamente.
Non udii nessuno rispondere e così provai nuovamente, ma anche quella volta non ricevetti nessuna replica.
Pensavo si fosse già addormentato, dopo alla lunga ed estenuante giornata di lavoro, ma quando feci per voltarmi, la porta si socchiuse e mi bloccai.
Alzai lo sguardo e percepii il solito formicolio al basso ventre, quando scontrai il suo corpo stretto in una camicia da notte spalancata da cui potevo scorgere la sua canottiera bianca.
I suoi capelli erano legati in una coda bassa e le sue iridi stanche percorsero il mio viso.
Era sorpreso di vedermi lì a quell'ora e fui felice di quella sua reazione.
Gli sorrisi timidamente e come ai primi tempi, nervosa ed impacciata, sollevai la mano dove tenevo il fiore e glielo porsi.
Michael mi guardò per brevi secondi in silenzio, poi puntò la sua attenzione sulla margherita profumata.
Rise nervosamente e si passò una mano sul viso, sospirando subito dopo.
Quando questa si abbassò, mi accorsi che stava piangendo.
Le sue iridi scure luciccavano sotto alla fioca luce che proveniva dalle grandi finestre.

« Kara Jones » biascicò sorridente, la voce tremante.

« Michael Jackson, mi dispiace averla accusata ingiustamente e senza averla prima ascoltata. Ritengo che non sono una donna perfetta e forse mai lo sarò, ma spero che in un nostro futuro, potrei essere la moglie e la persona giusta per lei. Spero di poter essere l'amore che cerca da ormai tanto tempo, perché nonostante non riesca a dimostrarle quanto io a lei ci tengo, mai potrò immaginarmi una vita senza la sua presenza. Perché Michael, io sono follemente innamorata di te. »

Egli si portò entrambe le mani sui fianchi e abbassando il capo per brevi secondi, lo rialzò subito dopo, ridendo nuovamente mentre continuava a piangere.
Allungò la mano e prese dolcemente la margherita che scivolò lentamente via dalle mie dita.
Ne baciò una volta i petali e mordicchiandosi il labbro inferiore, mi afferrò per la mano, trascinandomi dentro alla sua camera.
Chiuse la porta alle mie spalle e poggiando il fiore sulla sua scrivania gremita di fogli, si avvicinò a me.

« Pensavo di averti persa » mormorò.

Gli sorrisi e senza esitare gli asciugai le poche lacrime che rigavano il suo viso finito e dai lineamenti impeccabili.

« Questi tre mesi senza di te, sono stati un inferno » sussurrai a mia volta.

Egli chiuse gli occhi e poggiò la sua fronte sulla mia, cingendomi la schiena con un suo braccio poco muscoloso.
Mi attirò dolcemente contro al suo corpo ed io non opposi resistenza. Feci combaciare i nostri petti e gli circondai il collo con le mie braccia esili.
Il suo dolce profumo mi inebriò i sensi e il suo alito di menta mi invase le narici in un modo alquanto disarmante.

« Ti amo, Kara Jones » mormorò, socchiudendo gli occhi per guardarmi.

Le sue iridi color pece si incatenarono nelle mie e temetti di svenire.

« Ti amo anch'io, Michael » replicai.

Si avvicinò maggiormente al mio viso e senza esitare mi baciò con trasporto, portando entrambe le mani sul mio viso.
Ricambiai il bacio, percependo un senso di felicità invadermi il cuore e con le mani tremanti per l'emozione, andai a stringere il tessuto della sua camicia, nella parte dei fianchi.
Inclinò la testa di lato per avere maggior accesso alla mia bocca e avanzando mi guidò verso al suo letto, facendomi distendere subito dopo.
Mi bloccò, affondando le ginocchia ai lati del mio corpo e con estrema grazia si tolse la camicia di seta, lasciandola adagiare sul pavimento in legno freddo.
Si distese sulla mia figura, reggendosi con i gomiti ai lati della mia testa, per non fare pressione e in modo lascivo mi morse il labbro inferiore.
Stavo impazzendo.
Mi baciò quasi con foga e quando fui a corto di respiro, egli si staccò dalle mie labbra per osservarmi meglio.
Percorse con gli occhi tutto il mio corpo, soffermandosi infine sul mio petto che, sopraffatta dalle emozioni, andava su e giù velocemente.
Sorrise e con estrema lentezza mi tolse la vestaglia, lasciandomi con la veste notturna.

« Kara Jones, ho visitato tre paesi in questi tre mesi e incontrato ragazze e donne davvero ben fatte. Ma guardandole, non riuscivo a fare altro se non bramare il ritorno a casa, perché nessuna donna riusciva a sostituire la tua assenza. Loro non sono nulla in confronto a
te » - sussurrò, mi lasciò un casto bacio sulle labbra e allungandosi di lato, estrasse dalla cassetta del suo comodino, tre pacchetti colorati - « ed è per questo che tuo marito si è preoccupato di renderti felice. Dopo aver comprato il terzo e ultimo pacchetto, ho preso il primo volo e sono corso da te. »

Me li porse, intento a sedersi al mio fianco ed io, sollevandomi con il busto, li presi.
Ero sorpresa. Non mi aspettavo nulla da parte sua, solo il suo ritorno.

« Cosa sono? » domandai.

Lui mi sorrise, invitandomi ad aprirli e senza controbattere, cominciai a scartarli.
Restai stupita, quando dinanzi ai miei occhi, notai tre tavolette di cioccolato.
Si era ricordato del mio regalo.
Lo guardai con un largo sorriso, del tutto emozionata.

« Non avresti dovuto » esclamai.

Lui rise imbarazzato e si mordicchiò il labbro inferiore.

« Non ho potuto non prenderli. Dopotutto ti avevo promesso qualcosa, al mio ritorno » replicò.

Mi buttai completamente sul suo corpo e lo strinsi in un dolce e forte abbraccio, nascondendo il mio viso nell'incavo del suo collo.
La sua pelle nuda andò a contatto con le mie labbra e subito le mie narici vennero invase dal suo dolce profumo di vaniglia.

« Grazie » sussurrai.

Egli mi strinse contro al suo corpo, stampandomi un bacio fra i capelli.
Restammo in quella posizione per molto tempo, forse minuti.
Quando percepii le sue forti braccia attorno al mio busto, mi sentii protetta.
Ero al sicuro, perché ero con lui.
Ero a casa.

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