Capitolo 65
C A P I T O L O 65
« Non mi meraviglio se il signor Jackson non ci abbia ancora dato sue notizie. »
« Non ti aspettare molto da lui, Leticia. Sai com'è fatto. Non ha tempo per noi, quando parte. »
Glenda, Leticia e un paio dello staff erano intente a conversare in argomenti che riguardavano Michael e il più delle volte, Glenda, si limitava a prenderlo in giro, quasi sparlandogli alle spalle.
Mi sembrava di impazzire a restare in silenzio ed ascoltare le polemiche di lei che sembrava farlo apposta.
Mi lanciava occhiate del tutto strane e profonde, quasi a studiare le mie reazioni e le mie espressioni ad ogni sua parola.
Sapevo perfettamente ciò che provavo per Jackson e mi infastidiva letteralmente l'idea che potesse mettermi alla prova in presenza dei nostri altri colleghi.
Erano questioni private, forse anche troppo.
Michael era partito ormai da un mese e più il tempo passava, più mi mancava.
Neverland non aveva più ospitato bambini nell'arco degli ultimi due mesi e Angie e i bambini non si erano fatti più sentire.
Sembrava che quel lavoro mi portasse via gran parte del mio tempo e anche se non me ne accorgevo, non volevo accettare l'idea di lasciare tutto e andare via.
Non potevo deluderlo.
« Non esagerare, Glenda. Il signor Jackson non è poi così cattivo » parlò una donna dai capelli biondi.
Aveva una quarantina d'anni e i suoi lunghi capelli erano raccolti in una crocchia leggermente disordinata.
Puliva i piatti della cena appena terminata ed io ero intenta a spazzare via le ultime briciole di pane dal pavimento di marmo giallo.
« Forse perché non lo conosci ancora, Sara » rispose quella.
Sara, così si chiamava, le rivolse uno sguardo divertito.
« Solo perché non ti ha più voluto, non dovresti serbargli rancore. Dopotutto, l'hai voluto tu » mormorò.
Glenda si alzò immediatamente dalla sedia, rivolgendole un'occhiata seria.
Era arrabbiata e potevo notarlo dalla mascella leggermente contratta e i pugni stretti lungo i fianchi esili.
« Parlare della nostra relazione, ti è proibito. Lavora. »
Mi guardò per brevi secondi e prima che potessi rivolgerle la parola, si allontanò dalla nostra presenza, seguita da Leticia che le pregava di ritornare indietro.
Rivolsi la mia attenzione sulla donna bionda intenta ad asciugarsi le mani con un panno asciutto ed ella ricambiò, sorridendomi lievemente.
« Dovrebbero essere grati al signor Jackson. Se non fosse per lui, saremo di sicuro una di quelle povere disgraziate in mezzo alla strada » parlò.
Povere disgraziate in mezzo alla strada.
Mia sorella faceva era una di loro.
Mi sentii terribilmente ferita, all'udire quella frase, ma lei non poteva saperlo.
Non la conoscevo abbastanza e lei non conosceva me.
Non sapevo nemmeno il suo nome, fino a quella sera.
Mi limitai a guardarla, riprendendo infine a finire il mio lavoro.
Non sapevo cosa risponderle, in realtà.
Ero sorpresa dalla sua risposta, ma non potevo di certo biasimarla.
Jackson pagava bene i suoi dipendenti e noi svolgevamo il nostro lavoro nei migliori dei modi, senza nessun pericolo.
Noi eravamo al sicuro.
« Mamma, come stai? »
« Kara, piccola mia, sto bene, tu come stai? »
Era da tempo che non conversavo con la mia famiglia e quasi mi sembrò di non sentirli da un'eternità.
« Sto bene, mamma. Papà come sta? »
La percepii sospirare e subito dopo rispose: « Sta bene amore. È solo stanco per via delle medicine, ma il dottore ha detto che è tutto sotto controllo. »
Mi sentii sollevata nell'udire quella frase.
Dopo all'accaduto, avevo sempre avuto il terrore di ricevere una chiamata del tutto negativa per via di mio padre.
Ricordavo perfettamente le parole del suo medico curante.
Era stabile, ma con il passare del tempo e se non avrebbe assunto i farmaci nei modi migliori, la sua salute sarebbe potuta precipitare.
Quasi mi sembrò di crollare.
« Hai mangiato, tesoro? Come vanno le cose lì? Michael come sta? »
Michael.
Quanto mi mancava.
« Michael sta bene. Non è qui adesso. »
« Mi è giunta voce che è in Italia. Vi sentite? »
Mi sedetti sul letto, percependo il materasso affondare sotto al mio peso.
« Ci siamo sentiti qualche settimana fa. È davvero occupato mamma e non vorrei
disturbarlo » risposi.
« Cosa vuol dire che non vuoi disturbarlo? Non ti manca? »
Mancarmi?
Stavo impazzendo, senza di lui.
« E se non fosse raggiungibile? Oppure se non fosse mai da
solo? » chiesi, sospirando infine.
Ero esausta quel giorno.
Avevo lavorato le stesse ore di sempre, ma stranamente quella sera mi sentivo fiacca.
« Tu chiamalo e basta. Sarà più che felice di sentirti » mormorò ella.
Annuii, come se potesse vedermi e risposi con un flebile "sì" che mia madre riuscì ad intercettare.
Avrei dovuto chiamarlo.
Non sapevo se stesse bene, se stesse mangiando e se si stesse riposando abbastanza.
L'unico modo in cui riuscivo ad avere sue notizie era tramite i telegiornali di vari canali.
Anche il mondo stava impazzendo.
Tutte le trasmissioni parlavano di lui, portavano il suo nome e il suo viso angelico era il protagonista di quell'argomento.
Aveva visitato vari orfanotrofi ed ospedali e nonostante fosse passato un mese, egli aveva avuto anche il tempo di visitare una scuola per poi donare metà dei suoi ricavati all'istituto.
Mi sembrava di assistere ad una favola dove il cavaliere genuino salvava la vita e il futuro di molte persone.
Era una persona meravigliosa, forse anche troppo per camminare al mio fianco.
« Posso parlare con papà? » domandai.
« Tuo padre si sta riposando adesso. Domani sarà lui a chiamarti. Riposati bambina mia, sei parecchio stanca » mi disse.
« Salutamelo e non stancarti tanto, mamma. Se avrai bisogno di qualcosa, chiamami » proferì.
« Lo farò, Kara. Buonanotte, piccola. »
La salutai per un'ultima volta, chiudendo infine la chiamata.
Mi guardai attorno, poggiando il cellulare sul materasso, di fronte a me.
Giocherellai con le mie proprie dita, domandandomi se chiamarlo sarebbe stata la scelta giusta.
Mi mancava. Mi mancava da morire.
Accarezzai il braccialetto che mi regalò, ovvero il gioiello che mi aveva reso la sua promessa sposa.
Sarebbe presto diventato mio marito e ancora la nostra relazione era nascosta dal mondo intero.
Afferrai il cellulare, digitai il suo numero e portai l'oggetto al mio orecchio, attendendo che rispondesse.
Il cuore mi batteva forte e le mani avevano cominciato a tremare per l'emozione.
Volevo sentire la sua voce.
Uno, due e tre squilli ed infine percepii un lieve sospiro.
« Kara »
Il mio cuore fece un salto.
« Michael! » esclamai.
Percepii una dolce risata e subito avvampai.
« Piccola, non sapevo di esserti mancato così tanto » enfatizzò.
« Perché non mi hai chiamato? Pensavo ti fossi dimenticato di me » sussurrai.
La sua voce roca mi invase le orecchie.
« Scusami, non ho avuto molto tempo. Quando sono libero, tu dormi già. Non volevo disturbarti » replicò.
« E invece avresti dovuto farlo. Non sai quanto sia difficile senza di te. »
Ci fu un minuto di silenzio in cui nessuno dei due parlò.
Il mio cuore non voleva cessare di correre.
Lo udii respirare profondamente e subito dopo parlò con voce bassa.
« Dimmi che ti manco. »
Sorrisi lievemente, abbassando lo sguardo.
« Mi manchi, Michael. »
« Quanto ti manco, Kara?
Tanto? » domandò.
« Mi manchi da morire, Michael. Mi sembra di impazzire, senza di te. Ti prego, ritorna subito » sussurrai.
Stavo quasi per piangere e non sapevo l'esatto motivo.
Sarei potuta apparire ridicola e paragonata a una di quelle tante ragazzine che non ne potevano senza il loro ragazzo, ma io stavo veramente impazzendo.
« Sei da sola? Dove sei? » mi chiese, aumentando leggermente la voce.
Presi un respiro, tirando su col naso.
« Sono in camera. Da sola » mormorai.
« No, tesoro. Non sei da sola. Sono con te, adesso » rispose.
« E cosa ne sarà quando riattaccherò? Anche tu sei da solo? » domandai a mia volta.
« Sono terribilmente da solo, qui. Non vedo l'ora di ritornare da
te. »
« Quando ritornerai? »
Egli si schiarì la voce.
« Non lo so. Forse il prossimo mese. Ho ancora molto da fare, prima di fare ritorno » replicò.
Il prossimo mese.
Non sarei riuscita a resistere.
« Passerà in fretta, piccola. Ma posso venire anche prima. Non vog- »
« Nono, ti prego, Michael. Finisci ciò che hai iniziato. Io ti aspetterò » mi affrettai a dire.
Non volevo che lasciasse tutto, soltanto per correre da una donna che non riusciva a smettere di piangere.
Lui doveva lavorare ed io stavo lavorando.
« Roma è davvero bella » disse all'improvviso.
Avevo sentito parlare di quella città come una meta preferita di turisti che si recavano in quel paese e più volte avevo sfogliato riviste che non mancavano di parlare di quella città ricca di monumenti antiche.
Sarebbe davvero stata una bella città, vista dal vivo.
« Sul serio? Com'è la cucina italiana? »
« L'adoro. Ho imparato una nuova ricetta. Quando verrò, te la preparerò » disse.
Sorrisi emozionata, sporgendomi leggermente in avanti con il busto per sedermi a gambe incrociate.
« Davvero? È davvero buona? »
« È buonissima. Ho conosciuto un cuoco davvero eccezionale, se non gentile. Avresti dovuto sentire il profumo delle sue pietanze! » esclamò.
Ridacchiai leggermente, portandomi una ciocca di capelli dietro all'orecchio.
« Sono felice che ti senta bene, lì. Sai, ero davvero in pensiero » affermai, ritornando del tutto seria.
« In pensiero? Per cosa? »
« Avevo paura che ti saresti sentito fuori posto. E l'idea di lasciarti da solo, mi spaventava » sussurrai.
« Mi piace quando ti preoccupi per me » mormorò.
« Perché mai dovrebbe piacerle, signor Jackson? Per colpa sua non riesco a dormire di notte » risposi.
Egli rise e la sua risata cristallina ribombò nelle mie orecchie.
« Kara Jones, sei davvero fantastica! »
Risi appena anch'io, avvampando leggermente.
« Cosa ti piacerebbe avere? » mi domandò all'improvviso.
Aggrottai di poco la fronte, mordicchiandomi il labbro inferiore.
Te, Michael. Volevo avere te.
« Di cosa stai parlando? » risposi.
« Dimmi cosa vorresti ricevere al mio ritorno. Ti posso comprare qualcosa? Passeggiando per la città, ho intravisto un bellissimo abito. Saresti magnifica con quello addosso » disse.
Magnifica.
Era la prima volta che qualcuno mi rivolgeva un complimento di quel genere.
Percepii le mie goti riscaldarsi e mi maledii mentalmente.
Com'era possibile che ogni sua frase, sguardo o gesto fosse in grado di scatenarmi forte emozioni?
Io volevo soltanto lui.
Sapevo benissimo che se gli avrei permesso di comprarmi l'abito, avrebbe di sicuro speso una fortuna, pur di accontentarmi.
Non potevo accettarlo.
« Mi piacerebbe tanto avere una tavoletta di cioccolato. »
« Sul serio? Soltanto quello? Quante ne vuoi? »
« Una. Soltanto una » replicai.
Lo udii ridere, poi sospirò.
« D'accordo. Al mio ritorno avrai la tavoletta che ti spetta » mormorò.
Sorrisi divertita, quasi emozionata per una ragione a me del tutto sconosciuta.
Ci furono vari minuti di silenzio in cui potevo perfettamente udire il tichettio dell'orologio da parati e il suo respiro che pareva una dolce e sincera melodia.
Era musica per le mie orecchie, così come la sua voce: genuina ma roca al contempo.
« Kara? »
« Sì? »
Un'altro profondo respiro e poi la sua bassa voce risuonò nel mio orecchio.
« Ti amo. »
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