Capitolo 54
C A P I T O L O 54
« Lily, tesoro. Come mai sei sveglia? »
Ero alquanto sorpresa di ritrovarmela davanti, a dire la verità.
Era la prima volta che ella si svegliava così tardi senza nemmeno piangere e la prima volta che era riuscita a percorrere un tratto di strada senza la compagnia di nessuno.
Lily aveva paura del buio.
Eppure in quel momento era lì, con quello sguardo interrogativo e le labbra leggermente arricciate all'infuori.
Indossava il suo completo da notte e ai piedi portava soltanto le calze chiare che mi ero preoccupata di farle indossare, prima di addormentarsi.
Era ancora un po' ammalata e non volevo che le sue condizioni di salute si aggravassero di più.
Mi avvicinai a lei con passi leggeri, inchinandomi di fronte a lei per raggiungere la sua stessa altezza.
« Kara, vuoi sposarti? » mi domandò, la sua vocina stridula.
Chiusi per brevi secondi gli occhi, percependo il mio cuore martellarmi nel petto.
Non volevo mentirle e non volevo continuare a negare ciò che provavo per Michael, ma ella era una bambina e confidarle quel segreto, era leggermente pericoloso.
I bambini dicono sempre la verità, Kara.
« No, amore. Era soltanto il testo della canzone di Michael » replicai, sfiorandole il viso con due dita.
Nonostante le avessi mentito, Lily sembrava non essere sicura e d'accordo della mia risposta.
Dopotutto era una bambina sveglia.
Allungai le braccia in avanti e senza aspettare la presi dolcemente fra di esse, stringendomela contro al petto.
« Vado a metterla a letto » sussurrai, voltandomi verso Michael che aveva continuato ad osservarmi con una nota di disapprovazione.
« Perché continuare a nasconderlo? » chiese.
« Michael, non adesso » esclamai lievemente, guardandolo con aria poco severa.
Aveva ragione. Perché continuare a nasconderlo, quando amarsi non era poi un reato?
Sospirò rumorosamente, scrollando le spalle e dopo essersi inumidito le labbra si passò una mano sulla nuca.
« Almeno, posso venire con
voi? » chiese.
Stavo per rispondergli e dirgli che non era il momento adatto, ma Lily mi aveva preceduta.
Scalciò emozionata con i piedini e con la sua solita vocina stridula esclamò un 'sì' euforico, prima di appoggiare nuovamente la sua testolina sul mio petto.
Ero nervosa all'idea che egli camminasse al mio fianco.
Dopo a quella conversazione volevo solo richiudermi in un posto ben nascosto e privo di persone per poter realizzare mentalmente ciò che mi era appena successo.
Michael Jackson, la star più famosa al mondo mi aveva proposto di sposarlo.
Non ci credevo. Ero talmente emozionata e spaventata all'idea di diventare sua moglie, ma non potevo accettare.
Non in quel momento.
Mi limitai ad annuire, acconsentendo con Lily che mi aveva stretta maggiormente e Michael, senza esitare, mi aveva affiancata, sfiorandomi un fianco con la mano.
Mi guardò per brevi istanti ed io non riuscii ad evitare il suo sguardo profondo seppur velate da un pizzico di malinconia.
« Midispiace » sussurrò appena.
Perché si scusava? Lui non aveva fatto nulla di sbagliato.
Gli rivolsi un'occhiata interrogativa, ricevendo in risposta una colpevole.
Poi, prima che potessi parlargli, egli aveva già cominciato a camminare lentamente, intascando le mani.
« Mi piace il profumo della tua giacca, Kara. È nuova? »
Lily aveva parlato nuovamente e questa volta non le risposi.
Mi limitai a roteare gli occhi, prima di sistemarla per bene tra le mie braccia e stamparle un casto bacio sulla fronte.
La mattina seguente mi svegliai quasi di soprassalto.
Timmy aveva cominciato ad urlare allegro per tutta la stanza, arrivando pure a salire sul letto per saltarci sopra quasi con insistenza.
« Kara! Andiamo con Michael allo zoo! » esclamava.
Socchiusi di poco gli occhi, per poi chiuderli subito dopo.
Sabato. Quel giorno era sabato.
« Kara!! Alzati!! » urlò.
Farfugliai parole incomprensibili prima di alzarmi con il busto per sedermi sul grande materasso alquanto comodo.
Timmy era dinanzi a me con un largo sorriso sul volto da cui potevo scorgere perfettamente i suoi dentini da latte.
I suoi occhi scuri erano velate leggermente dagli occhiali da vista che portava, mentre i suoi capelli rossi gli contornavano il viso dalle guance paffute.
Era un bambino davvero grazioso e buffo al contempo.
« Kara! » esclamò, allargando le braccia per buttarsi completamente sul mio corpo.
Lo afferrai al volo, scoppiando a ridere divertita e senza nemmeno esitare, cominciai a fargli il solletico, stringendolo dolcemente fra le mie braccia.
Indossava ancora il pigiama e ciò significava che non aveva ancora consumato la colazione.
Egli cominciò a ridere ad alta voce, contorcendosi sotto alle mie dita che agivano con estremo trastullo.
« Ahaha no! Kara! Ahaha! »
Ridevo anch'io, continuando a fargli il solletico senza nemmeno preoccuparmi che stesse ridendo un po' troppo forte.
Ero felice che egli si stia divertendo.
« Kara non perdona! » esclamai.
Timmy cominciò a stringere le spalle, scalciare con i piedi e dimenarsi senza tregua, ridendo quasi a crepapelle.
Il suo viso aveva assunto un colorito più roseo del solito e pian piano cominciai a rallentare, fino ad arrestare il divertimento.
Egli spalancò gli occhi, scrutandomi con ancora il sorriso sulle labbra ed io mi chinai in avanti con il busto, stampandogli un bacio sul nasino.
« Buongiorno, campione » gli sussurrai.
A quel nomignolo le sue guance si colorano di un rosso acceso e questo mi fece scappare una risata dilettata.
« Buongiorno » rispose.
Non mi ero accorta che la porta era spalancata e quando sollevai lo sguardo, incrociai quello sorridente di mio padre intento ad osservarci con un'espressione allegra sul volto.
« Principessa, posso entrare? » domandò.
Principessa.
Mi era mancato essere chiamata in quel modo e quando era mio padre a farlo, ciò mi riempiva il cuore.
« Papà, la porta è sempre aperta per te, lo sai » risposi.
Timmy si alzò velocemente e senza nemmeno guardarmi in volto saltò giù dal letto, correndo verso alla porta.
« Angie! » esclamò, uscendo subito dopo.
Mio padre camminò verso alla mia direzione, prendendo posto dinanzi a me.
« Come stai, papà? » gli chiesi.
« Papà Jones sta invecchiando, ma credo di essere ancora
intero » enfatizzò, strappandomi un sorriso dalle labbra.
« Hai dormito bene? »
Egli annuì, allungando poi una mano per poggiarla sulle mie che erano incrociate.
« Tu come stai? » domandò a sua volte, rivolgendomi un dolce sorriso.
« Sto bene, papà » risposi, ricambiando il sorriso.
« Ne sei sicura? »
« Sicurissima » dissi.
Lui annuì più volte, infine, dopo aver tossito due volte, si alzò dal letto, guardandomi subito dopo.
« Allora che ne dici di lavarti e cambiarti per poi raggiungerci in cucina? Michael vi ha dato la giornata libera » parlò.
Sgranai di poco gli occhi, sorpresa ma contenta al contempo.
« Sul serio? » esclamai.
Egli ridacchiò, sistemandosi per bene i pantaloni sui fianchi.
« A quanto pare andremo allo zoo » rispose, camminando verso alla porta per poi afferrare la maniglia, pronta a chiuderla.
« Cercherò di fare in fretta » dissi.
Mio padre mi rivolse un'ultima dolce occhiata prima di uscire, chiudendosi la porta alle spalle.
Lanciai uno sguardo fuori dalla grande vetrata che dava sul spazioso giardino di quel posto talmente perfetto da renderlo irreale.
Il sole splendeva già alto nel cielo e i cinguettii degli uccelli avevano cominciato a riempire le mie orecchie ancora leggermente stordite.
Adoravo sentirli cantare, perché esso mi riportava indietro nel tempo, quando da bambina giocavo nel cortile della nostra piccola villa in compagnia di mia sorella.
Oh, perché era sempre nei miei pensieri? Perché tutti i miei ricordi ricorrevano al suo nome? Al suo volto?
Chiusi gli occhi frustata, sbuffando subito dopo.
Non erano stata in grado di dire ai miei genitori della visita al locale notturno.
In verità, non volevo ferirli.
Si erano sempre immaginati la vita di mia sorella accanto all'amore della sua esistenza, con un buon lavoro e davanti a loro un grande e raggiante futuro.
Ma come Michael un giorno mi disse, il mondo non è come ce lo immaginiamo noi.
E nemmeno le persone.
Sentendomi in dovere di sbrigarmi, socchiusi gli occhi, alzandomi completamente dal letto per dirigermi in bagno dove mi feci una veloce e fredda doccia.
Con un asciugamano attorno al corpo, i capelli ancora bagnati, raggiunsi in punta di piedi il mio grande armadio, spalancandola per rovistarvi dentro alla ricerca di un vestito abbastanza comodo ma presentabile al contempo.
Optai infine per un semplice vestitino azzurro leggero cui bottoni ricamavano la parte fronteriore.
Era lungo fino alle ginocchia, se non leggermente più sollevato e ai piedi indossai un paio di ballerine bianche.
Volevo essere il più semplice possibile e non vestirmi con abiti pesanti.
Dopo essermi sistemata per bene i capelli e dopo aver indossato un paio di orecchini a perla, ordinai il letto, uscendo subito dopo per avviarmi al piano terra.
La prima cosa che udii, quando varcai la soglia della grande sala da pranzo, furono le sonore risate di Michael e dei bambini.
Erano tutti svegli, tutti eccetto me.
« Ahaha Ervin, no, la marmellata no! » esclamava, dimenandosi mentre questo aveva allungato un coltello di plastica sporco di marmellata verso al suo panino.
Ridevano quasi tutti e l'aria sembrava davvero leggera e allegra.
Mi guardai attorno quasi spaesata, notando mia madre ed Angie intente a sistemare le ultime posate sul tavolo, mentre mio padre osservava Michael e i bambini con un sorriso dilettato sulle labbra.
Ma dov'erano Glenda, sua madre e Leticia?
« Buongiorno » parlai, sorridendo quando scontrai il viso delle due donne di fronte a me.
« Buongiorno, tesoro » esclamarono all'unisono, venendomi incontro per stringermi in un caloroso ed affettuoso abbraccio prima di stamparmi un bacio sulla guancia.
« Hai dormito bene? » mi domandò Angie, poggiando una mano sulla mia testa.
Annuii.
« Ho dormito benissimo » risposi.
« Kara! »
Angie e mia madre si spostarono e subito venni stravolta da un paio di bambini, che cominciarono a saltellare sul posto. Altri invece si erano aggrappati alla mia gamba com'erano soliti fare.
Risi divertita a quel punto, abbassandomi alla loro stessa altezza per stringerli in un tenero abbraccio.
« Tesori! Avete dormito bene? » domandai, un allegro sorriso sulle labbra.
« Sì! Neverland è magico! » esclamò Ethan, un bambino dai capelli neri.
Sorrisi a quell'affermazione.
« Concordo con voi! Anch'io mi sono addormentata molto
bene! » dissi.
In parte avevo mentito.
Quella notte non chiusi nemmeno occhio, se non la mattina presto, qualche ora prima di svegliarmi.
Alzai lo sguardo, incrociando subito quello di Michael intento a percorrere con le sue iridi il mio corpo minuto e stretto in quell'abito primaverile.
Ero imbarazzata.
Non sapevo come comportarmi e la presenza dei miei genitori e di Angie non erano molto d'aiuto.
Lily era ancora seduta al suo fianco, intenta a masticare un pezzo di pane secco che teneva stretto fra le sue piccole dita.
Non si era alzata per venirmi a salutare, quella mattina e di solito lei era la prima a farlo.
Le avevo mentito, ma speravo che ella non se ne fosse accorta.
« Lily, tesoro, come stai? » chiesi, avanzandole incontro.
Ella si voltò verso alla mia direzione, sorridendomi a trentadue denti.
« Sto bene » rispose.
Sorrisi dolcemente, allungando una mano per scostarle dal viso una ciocca di ricciolini che mi affrettai a portarlo dietro al suo piccolo orecchio.
« Hai preso la medicina? »
Lily annuì, indicando con un dito Michael che aveva continuato ad osservarmi senza distogliere lo sguardo dal mio. .
« Michael me l'ha data » rispose.
Le stampai un lungo bacio sua fronte, per poi mormorare un 'bravissima' che solo lei riuscì a sentire.
Mi allontanai dal suo corpo per dirigermi verso a quello di Michael, ancora seduto.
Si portò il bicchiere di succo alle labbra, bevendone un sorso e prima che potessi salutarlo, egli appoggiò quest'ultimo sul tavolo, alzandosi subito dopo.
« Dimmi che non sei arrabbiata con me » mormorò.
La sua figura alta sovrastava la mia e quando parlò, i tre adulti presenti nella stanza smisero di conversare, poggiando la loro attenzione sulle nostre figure.
« Dimmelo tu, ti prego » risposi.
Michael allungò una mano per sfiorarmi il viso che subito si ricoprì di brividi di piacere.
La mia colonna fu scossa dalla solita corrente opprimente e il mio basso ventre cominciò a riscaldarsi.
« Non lo sono. Non sono arrabbiato con te, Kara. »
« Non lo sono nemmeno io, Michael » sussurrai.
« Glenda! »
All'udire quel nome, io e Michael ci allontanammo subito, voltandoci per riscontrare i visi delle due donne sotto alla soglia della cucina.
« Buongiorno a tutti » parlò ella.
Mi sentii sollevata all'idea che non si fosse accorta di noi, perché i bambini la avevano accolta a braccia aperte, distraendola.
Ma quando spostai di poco per riscontrare il viso di sua madre, un brivido percorse la mia schiena.
Ella mi fissava con sguardo severo, quasi spaventoso, tenendo stretta in una mano una tazza di caffè ancora calda.
Michael si avvicinò a lei, prendendola dolcemente per un polso.
« Vieni, serviti pure senza problemi » disse.
Erma cambiò del tutto l'espressione del suo viso, sfoggiandogli questa volta un sorriso dolce, quasi genuino.
« Grazie mille, Michael. Glenda, salutalo come si deve » disse, allungando una mano per afferrare il braccio di ella per poi trascinarla di fronte a Michael.
Glenda abbassò lievemente lo sguardo e poi, senza problemi, si avvicinò maggiormente a lui, alzando di poco la testa per stampargli un bacio sulla guancia.
Distolsi il mio sguardo dalle loro figure, prendendo posto vicino a mio padre che mi accarezzò dolcemente la schiena.
Mi piaceva quando mi dimostrata i suoi affetti anche in pubblico e adoravo soprattutto quando mi permetteva di appoggiare la testa sulla sua spalla.
L'avevo da sempre fatto, fin da bambina.
« Erma, prego, prendi pure
posto » disse mia madre, indicando la sedia di fronte alla mia.
La donna ubbidì con un sorriso sul volto, ringraziandola subito dopo e quando si sedette, afferrò subito una mano, poggiandola sul suo piatto di ceramica.
« Mi è giunta voce che in questa casa due persone nascondono un segreto alquanto intimo » proferì all'improvviso.
Il mio cuore perse un battito a quella asserzione, mentre Michael si voltò di scatto verso alla sua direzione, seguito da mia madre ed Angie che avevano mantenuto uno sguardo calmo e sicuro.
« Di cosa stai parlando? » domandò mio padre.
« Sto parlando di due persone in questa stanza » rispose, lanciandomi un'occhiata veloce.
Guardai Glenda ed ella, per evitare il mio sguardo, abbassò la testa, fissando il pavimento.
Era stata lei.
« Erma, smettila » s'intromise Michael.
La donna si voltò verso alla sua direzione, mostrandogli un sorriso sarcastico.
« Perché? Per caso è una bugia? » chiese canzonatoria.
« Glenda, siediti pure a tavola. Angie, potresti per favore far sedere i bambini? » chiese costui, ignorando del tutto la sua domanda.
« Michael » - si alzò in piedi - « se per caso non è vero, perché mi eviti? »
Il ragazzo dalla folta capigliatura la raggiunse a grandi passi, soffermandosi di fronte ad ella.
« Se hai dei problemi, possiamo risolverli da soli. Se non vuoi, allora esci da casa mia » sussurrò con sguardo severo.
Erma in risposta gli sorrise nervosamente.
« Ed è per questo che hai lasciato mia figlia? Perché aveva ragione? »
« Esci da casa mia, Erma. Non costringermi a portarti fuori di persona » esclamò con sguardo alterato.
Fu la prima volta che notai Michael in quello stato e quasi rimasi allibita.
Mi alzai dalla sedia, sentendomi in dovere di fare qualcosa.
Sapevo perfettamente a chi ella si riferiva e non potei negarlo, ma non potevo lasciare che continuasse a fare scenate di fronte ai bambini. Ai miei bambini.
« Erma, possiamo parlarne in privato? » chiesi timidamente.
Michael mi guardò, mantenendo quell'espressione arrabbiata.
« Tu non ti muovi da lì, hai capito? » ribatté.
Mi morsi il labbro inferiore sentendomi intimorita e subito abbassai lo sguardo.
Non volevo insistere, perché sapevo perfettamente che Jackson sarebbe stato in grado di fare di tutto pur di mantenermi seduta al mio posto.
« Se è questo quello che vuoi, Michael. Toglierò il disturbo e vorrei che mia figlia venisse con me » parlò la donna, lanciando un'occhiata a Glenda che in risposta spalancò gli occhi.
« Non posso mamma. Non posso per davvero » rispose.
Lei ridacchiò, passandosi una mano fra la folta capigliatura.
« Quindi preferisci stare con questo sbiancato? » domandò.
Sbiancato.
Sapevo molto bene quanto quel nomignolo orrendo fosse in grado di ferirlo e ciò mi fece adirare parecchio.
« Come osa parlargli in questo modo? Dopotutto quello che ha fatto per lei e per sua figlia? Non gli manchi mai più di rispetto, mi ha capito? » esclamai seria, allontanando violentemente la sedia dal mio corpo.
Mio padre sussultò, abbassando lo sguardo, mentre Angie appoggiò una mano sulla mia schiena, come a dirmi di smetterla.
Ma non potevo lasciare che ella si prendesse gioco di lui.
Non a Michael.
« Mamma, ti prego, smettila » sussurrò Glenda, percependo la vergogna mangiarle il viso.
« La prossima volta che verrai da me piangendo, ti sbatterò la porta in faccia » parlò con voce severa e roca, fulminandola con lo sguardo.
A quella frase, Michael l'afferrò bruscamente per un polso, trascinandola fuori dalla cucina con sguardo cupo e con passi svelti.
Udii la porta d'ingresso aprirsi violentemente e dopo aver sentito un paio di urla, questa si richiuse nello stesso modo in cui venne spalancata.
Attesi in silenzio per vari secondi, notando gli sguardi interrogativi ed impauriti dei bambini dipingere il loro docile volto.
Dopo un po', la sua alta figura si presentò nuovamente nella cucina e prima che mia madre potesse parlare, Glenda si alzò dalla sedia, raggiungendo Michael per stringerlo in un forte abbraccio.
Egli non tardò a ricambiare, nascondendo il suo viso nell'incavo del suo collo, com'era solito fare.
« Midispiace » - le sussurrò -
« Midispiace davvero tanto. »
Sarebbe dovuto essere una spensierata mattinata, ma invece questa fu un disastro.
Quanto a Glenda, mi sentii terribilmente triste nel vederla in quello stato.
Chissà perché? Forse perché anch'io ero come lei?
Era stata appena rifiutata da sua madre ed io fui stata rifiutata da mia sorella.
Non eravamo poi così diverse.
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